"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

88 | marzo 2011

9788898260331


Il Cammeo Gonzaga di San Pietroburgo e la gemma perduta di Isabella d’Este


Lorenzo Bonoldi
 

English abstract


  Cammeo con i ritratti di Tolomeo II Filadelfo e Arsinoe II (cosiddetto “Cammeo Gonzaga”), arte ellenistica del III secolo a.C., sardonica, San Pietroburgo, Hermitage

Il cosiddetto 'Cammeo Gonzaga' è un grande cammeo in sardonica realizzato ad Alessandria d’Egitto, verosimilmente sotto il regno di Tolomeo II Filadelfo e della sua sorella e sposa Arsinoe II. I ritratti dei due sovrani presenti sul cammeo sono ornati da attributi divini e da simboli del potere che, prima di ogni altro significato, evocano e raccontano le imprese di Alessandro, fondatore del domino dei Tolomei in Egitto nonché della stessa Alessandria. L’egida di Zeus, il serpente (al contempo ureo e agathodaimon) posto sull’elmo di Tolomeo e l’anastolè (il ciuffo di capelli ribelle che caratterizza la ritrattistica di Alessandro il Grande) rappresentano punti chiave di quel processo di imitatio Alexandri che tanto ha caratterizzato la produzione delle effigi ufficiali dei sovrani ellenistici. L’intenzionale sovrapposizione iconografica delle fattezze dei successori di Alessandro con quelle del Macedone ha fatto sì che per molto tempo i ritratti presenti sul cammeo siano stati considerati non quelli di Tolomeo e Arsinoe, ma dello stesso Alessandro e della madre Olimpiade.


Riproduzioni del cammeo di San Pietroburgo che indicano come soggetti del cammeo Alessandro il Grande e la madre Olimpiade. Charles Patin, CAII / SVETONII / TRANQVILLI / OPERA QVAE EXSTANT./ CAROLUS PATINUS/ […] BASILEAE / M DC LXXV Testo a stampa, 1675, Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale. Pietro Santi Bartoli e Nicolò Galeotti, Museum Odescalchum sive Thesaurus Antiquarum Gemmarum cum Imaginibus in iisdem insculptis, et ex iisdem exculptis, quae a Serenissima Christina Svecorum Regina collectae in Museo Odescalco adservantur et a Petro Sancte Bartolo quondam incisae, Romae, Sumptibus Venantii Monaldini, Testo a stampa in due tomi 1751-1752, Trento, Collezione privata Lupo


Jean-Auguste-Dominique Ingres, Cammeo di San Pietroburgo, incisione da E.Q. Visconti, Iconographie Greque, Paris, P. Didot L’Ainé, 1811, Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale,
Palat. 4.B.8.9. 1. sguardo rivolto verso l'alto; 2. anastolè, 3. serto/corona di foglie di alloro 4. serpente alato: agathodaimon/ureo; 5. egida con testa di Gorgone e di Phobos (?)

La gemma ellenistica è stata recentemente esposta in due diverse mostre, una allestita a Palazzo Te (Mantova, 2008) e l’altra presso la sede olandese dell’Hermitage (Amsterdam, 2010/2011). I contributi dei cataloghi di entrambe le esposizioni non hanno mancato di sottolineare quanto questo importnate esemplare della glittica ellenistica rappresenti anche un interessante caso nella storia del collezionismo. Nel corso degli ultimi secoli, infatti, il cammeo ha fatto parte di alcune delle collezioni d’arte più importanti d’Europa. La sua presenza è attestata senza ombra di dubbio nella raccolta della Regina Cristina di Svezia fino al 1696, da quella il cammeo entra a far parte dei possedimenti di Livio Odescalchi per poi passare, nel 1794 alle collezioni pontificie; dall’inizio del XIX secolo è a Parigi, nelle mani di Josephine Beauharnais, fin quando, nel 1814, l’ex moglie di Napoleone lo regalò allo Zar Alessandro I (cfr. Arsentyeva 2008). In virtù di quest’ultimo passaggio, il cammeo è stato a lungo chiamato 'Cammeo Malmaison', dal nome della residenza di Josephine.

La denominazione 'Cammeo Gonzaga' deriva invece dall’ipotesi – come vedremo, in realtà pressoché infondata – di una sua appartenenza alle collezioni Gonzaga già dal XV secolo. A tal proposito il catalogo della mostra di Amsterdam recita: “The earliest written mention of the gem can be found in the 1542 inventory of the collection of Isabella d’Este, wife of the Duke (sic! recte: Marquis) Gonzaga” (Immortal Alexander 2010, scheda n. 155, di Elena Arsentyeva).

Con il nome 'Cammeo Gonzaga', però, si suole indicare anche un’altra pietra lavorata in età ellenistica e conservata presso il Kunsthistorisches Museum di Vienna. Le vicende storiche di questo secondo cammeo, ricostruite da Clifford Malcolm Brown (1997), permettono di far luce anche sul pezzo di San Pietroburgo, dimostrando come, in realtà, non vi sia alcuna possibilità che
il cammeo appartenuto a Isabella d’Este fosse quest'ultimo.


 

Cammeo con i ritratti di Tolomeo II Filadelfo e Arsinoe II (cosiddetto 'Cammeo Gonzaga')
arte ellenistica del III secolo a.C., sardonica, Vienna, Kunsthistorisches Museum

Il cammeo viennese, esattamente come quello dell’Hermitage, presenta una coppia di dinasti tolemaici, probabilmente gli stessi Tolomeo II Filadelfo e Arsinoe II. Come nell'esemplare di Sanpietroburgo i volti dei sovrani sono rivolti a sinistra, ma con inclinazioni lievemente divergenti rispetto al perfetto parallelilismo fra i profili del cammeo russo. Sul capo di Arsinoe è una corona coperta da un velo, mentre il ritratto di Tolomeo è ornato da un elmo decorato con i simboli divini che già avevano caratterizzato il mito di Alessandro: il serpente-ureo-agathodaimon (qui raffigurato senza le ali), il fulmine alato di Zeus e un'immagine di Ammone.

Durante il medioevo il cammeo fu protagonista di un interessante esempio di interpretatio christiana: i tre profili raffigurati sulla gemma (quelli di Arsinoe e Tolomeo sullo strato bianco della sardonica, e quello di Ammone ricavato dalla parte scura della pietra), in virtù del loro numero e dei loro colori vennero fraintesi e considerati i ritratti dei tre Re Magi. Caricata di questo significato – e del conseguente valore simbolico – la gemma fu quindi collocata sul reliquiario dei Magi della Cattedrale di Colonia (cfr. Zwirlein-Diehl 1997). Da qui il cammeo venne rubato il 28 gennaio 1574.


 

Ricostruzione del fronte del Reliquario dei Magi nella Cattedrale di Colonia, con evidenziata la collocazione originaria del Cammeo Gonzaga di Vienna

Dodici anni dopo il furto, la gemma ricomparve a Roma. A darne testimonianza è una lettera dell’ottobre 1586 inviata da Fulvio Orsini al cardinale Alessandro Farnese (Brown 1997, p. 90):

Sono quatto giorni è capitato in Roma un mercante di gioie fiammingo, il quale ha un cameo col ritratto di Alessandro et Olympiade, antico indubbiamente non ritocco […]. È ben vero che dietro la testa, dove è quel ritratto di Giove Ammone del quale si faceva figlio Alessandro, è un poco di rottura accomodata col smalto che si conosce benissimo, ma poco importa.”
(Parma, Archivio di Stato, Epistolario scelto, b.12)

Nella testimonianza di Fulvio Orsini ai personaggi raffigurati sul cammeo vengono restituite identità più attendibili. Dalla loro identificazione con Gaspare, Baldassarre e Melchiorre – dovuta al fraintendimento per l’interpretatio christiana – si passa a quella con Alessandro e Olimpiade – dovuta alla mancata decodificazione dell’imitatio Alexandri. L’unico personaggio riconosciuto in maniera esatta è Giove Ammone, in virtù della sua particolare iconografia. La descrizione fornita da Orsini della presenza di “quel ritratto di Giove Ammone”, in corrispondenza del quale si trova una “rottura accomodata col smalto” appare peraltro un elemento chiave che permette di identificare con assoluta certezza il cammeo citato nella lettera con il pezzo viennese.

La frattura accomodata con lo smalto pare essere una conseguenza di una riduzione delle dimensioni originali del cammeo, probabilmente dovuta a una sua rottura al momento del furto. Tale ipotesi è comprovata dalla differenza fra la forma attuale della gemma e quella del vano del reliquiario che la alloggiava.

Il cammeo presentato ad Alessandro Farnese da Fulvio Orsini non venne tuttavia acquistato dal cardinale e la gemma rimase sul mercato, in attesa di nuovi acquirenti. Non trascorse molto tempo prima che il suo valore suscitasse l’interesse dei signori di Mantova, e il 2 dicembre 1587 Giacomo Canossa e Mario Bevilacqua scrivevano al Duca Vincenzo Gonzaga comunicando che:

Diciamo il cammeo essere antico et di buon maestro, ma in qualche parte modernamente ritoccato […] potrò fare concerto con quello d’Augusto et Livia che tiene la Vostra Altezza Serenissima”.
(Mantova, Archivio di Stato, b.1519)

In virtù di questa expertise il cammeo oggi a Vienna giunse quindi alla corte dei Gonzaga, dove si mise a “fare concerto” con un altro cammeo, già in possesso del Duca Vincenzo (cfr. Brown 1997, pp. 91 e 92). Tale cammeo, descritto come “quello d’Augusto et Livia” era stato ereditato da Vincenzo dalla bisnonna Isabella d’Este. Il cammeo era evidentemente fra i pezzi più importanti della collezione conservata nella Grotta dell’Illustre Marchesa, tant’è che viene ricordato al primo posto nell’inventario dei beni appartenuti a Isabella redatto nel 1542:

Primo: Uno cameo grande fornito d’oro con due teste de rilievo di Cesare et Livia legato in oro con una gherlanda incirca con foglie de laura smaltate de verde, con una perla de sotto, et da roverso lavorato a niello, et una tavola con il nome della Ill.ma Madamma di bona memoria”.

Tanto i curatori della mostra di Amsterdam quanto quelli di quella mantovana – e in primis Elena Arsentyeva, collaboratrice di entrambe le esposizioni – hanno sposato l’ipotesi, di per sé affascinante, che il Cammeo oggi a San Pietroburgo, passato poi nelle mani di grandi donne quali la Regina Cristina di Svezia e Josephine Beauharnais, sia il pezzo ricordato nell’inventario dei beni appartenuti a Isabella d’Este.

Tuttavia fonti antiche pubblicate da Clifford Brown nel 1997 – quindi prima di entrambe le esposizioni – dimostrano l’infondatezza di tale ipotesi.
Nel 1555 Enea Vico, nei suoi Discorsi sopra le medaglie degli Antichi, scriveva a proposito del ritratto di Livia, moglie di Augusto:

“… ella si vede al naturale insieme con quella [immagine] del suo marito, e col nome suo in lettere scritto, fra le cose rare e preciose della Grotta dell’Eccellentissimo Signore Duca di Mantova scolpita in bellissimo e gran cammeo d’inestimabile pregio […]. Alla cui similitudine ne ha una bella corgniula intagliata Monsignore Bembo non dissimile a quel volto”.

Come evidenzia Brown (pp. 93 e 94) la testimonianza di Enea Vico ci informa precisamente del fatto che il cammeo conservato nella Grotta di Mantova –  senz’ombra di dubbio il pezzo appartenuto a Isabella d’Este – reca il nome di Livia “in lettere scritto”. E quindi, poiché sul cammeo di San Pietroburgo non compare alcuna iscrizione, ogni possibilità di una sua identificazione con la gemma appartenuta alla Marchesa di Mantova viene a cadere.

Gli studiosi appassionati di Isabella d'Este e delle sue vicende collezionistiche si devono quindi a malincuore rassegnare al fatto che nessuno dei due cosiddetti 'cammei Gonzaga', né quello di Vienna, né quello di San Pietroburgo, sia mai appartenuto alla collezione dell’illustre 'signora del rinascimento'.

Dell’aspetto del cammeo appartenuto a Isabella – che risulta quindi a oggi ancora disperso – possiamo tuttavia farci un’idea. Pur non esistendo nessuna sua riproduzione in disegni o stampe antiche, la citata testimonianza di Vico rimanda a un’altra gemma e appartenuta a Pietro Bembo (poi passata nella collezione di Fulvio Orsini). Di questo intaglio si conservano due testimonianze grafiche, entrambe realizzate da Theodoor Galle nel 1606: un disegno delle teste sul cammeo e la stampa da esso derivata, che compare in controparte.

Theodoor Galle, Cammeo dalla collezione di Fulvio Orsini, disegno, 1606, Roma, Biblioteca Apostolica Vaticana, Codex Capponianus 228, fol. 208. Theodoor Galle, Augustus et Livia, apud Fulvium Ursinum in Gemma, incisione da Illustrium Imagines, ex antiquis marmoribus, nomismatibus, et gemmis expressae: quae extant Romae maior pars apud Fulvium Ursinum, 1606

Queste testimonianze grafiche dell’aspetto del cammeo descritto come “non dissimile” da quello conservato anticamente nella Grotta di Mantova permettono di immaginare quale fosse l’aspetto della gemma appartenuta a Isabella d’Este.

Un ulteriore interessante spunto – che conferma l’avvicinamento della gemma Bembo-Orsini all’aspetto del cammeo di Isabella – è offerto dal confronto fra il disegno di Theodoor Galle e un dipinto realizzato da Rubens immediatamente a ridosso della sua stagione mantovana, oggi conservato presso l’Akland Art Museum di Chapel Hill (North Carolina).


 

Peter Paul Rubens, Coppia Imperiale, 1614 circa, Akland Art Museum, Chapel Hill (North Carolina)

Sulla base del noto e documentato interesse di Rubens per i cammei antichi e per le collezioni dei Duchi di Mantova (per i quali svolse anche il ruolo di consulente artistico), si ritiene che il modello del dipinto possa essere una gemma appartenuta alla raccolte dei Gonzaga. Michele Danieli, autore della scheda riguardante l’opera nel catalogo della mostra a Palazzo Te, propone pertanto il confronto fra il dipinto e il cammeo di San Pietroburgo, riconoscendone un rapporto di stretta dipendenza iconografica. In realtà le differenze sono più numerose delle analogie: nel dipinto di Rubens il personaggio maschile è privo di elmo e corazza, e quello femminile non presenta sul capo né la ghirlanda di foglie né il velo. Il confronto con il disegno di Galle appare invece molto più calzante (cfr. Brown 1997, p. 94). Il modello di Rubens è dunque, molto più probabilmente, il cammeo di Isabella con  i ritratti di Augusto e Livia.

In conclusione: possiamo escludere, con una certa sicurezza, che né uno né l'altro dei due cammei, né l'esemplare conservato a San Pietroburgo, né l'esemplare conservato a Vienna, sia identificabile con il pezzo che Isabella d’Este esibiva nella sua Grotta, tra i mirabilia più preziosi della sua raffinata collezione. Ma la testimonianza di Enea Vico, il disegno e l’incisione di Theodoor Galle e la Coppia Imperiale di Rubens formano una cerchia di indizi che, messi in relazione fra loro, evocano l’immagine del cammeo appartenuto a Isabella: il vero 'Cammeo Gonzaga' è per noi perduto ma quella gemma, che non possiamo ammirare fisicamente, si manifesta per proiezioni della memoria, nella forma di un vero e proprio fantasma dell’antico.

Riferimenti bibliografici

Brown 1997
Clifford Malcolm Brown, Isabella d’Este Gonzaga’s Augustus and Livia Cameo and the “Alexander and Olympias” Gems in Vienna and Saint Petersburg, in Engraved Gems. Survivals and Revivals, a cura di C.M. Brown, Hanover and London 1997, pp. 84-107

Zwirlein-Diehl 1997
Erika Zwirlein-Diehl, “Interpretatio Christiana”: Gems on the Shrine of the Three Kings in Cologne, in Engraved Gems. Survivals and Revivals, a cura di C.M. Brown, Hanover and London 1997, pp. 62-83

Arsentyeva 2008
Elena Arsentyeva, Il Cammeo Gonzaga. Enigmi della storia, in Il Cammeo Gonzaga. Arti preziose alla corte di Mantova, a cura di Ornella Casazza, catalogo della mostra, Palazzo Te, Mantova, 12 ottobre 2008 – 11 gennaio 2009

Immortal Alexander 2010
The Immortal Alexander the Great, a cura di Anna Trofimova, catalogo della mostra, Hermitage, Amsterdam, 18 settembre 2010- 18 marzo 2011

English abstract

The recent exhibition The Immortal Alexander the Great (Hermitage, Amsterdam, September 18th 2010 - March 18th 2011) has displayed the so-called "Gonzaga Cameo", introducing it as the ancient gem belonged to Isabella of Este (the same identification has been proposed on the occasion of an exhibition in Mantua, in the year 2008). Actually, back in 1997, Clifford Malcolm Brown has published – in English language – a clear essay showing the groundlessness of such hypothesis. The following article provides with a dissertation on the Brown's hypothesis, with the aim to increase its reception from the Italian scholars. The English-speaking readers can find the full text of the Brown's essay published in: Engraved Gems. Survivals and Revivals, edited by C.M. Brown, Hanover and London 1997.