Aby Warburg, una biografia
Nato ad Amburgo da un’importante famiglia ebraica di banchieri, Aby Warburg (1866-1929) fin dagli studi universitari a Bonn concentra i suoi interessi sulla storia dell’arte, l’archeologia, l’antropologia, la filosofia e la storia delle religioni. Il suo primo viaggio a Firenze tra 1888 e 1889 segna l’inizio di un rapporto privilegiato con l’arte e la cultura italiana. In una frase sintetizzerà così la sua biografia: “Ebreo di sangue, amburghese di cuore, d’animo fiorentino”.
A partire dalle sue prime ricerche (il saggio del 1893 su La Primavera e La Nascita di Venere di Botticelli), Warburg propone un nuovo metodo per lo studio delle immagini della tradizione classica, disegnando una mappa delle costanti della memoria culturale occidentale – miti, figure, parole, simboli – con un’ indagine che apre alle risonanze tra Antico, Rinascimento e Contemporaneo. Si tratta di una metodologia di ricerca a tutto campo che ridefinisce i limiti cronologici, geografici, materiali dell’opera e mette in crisi le gerarchie e i confini disciplinari, valorizzando la comparazione e l’interazione tra le fonti iconografiche e letterarie e la ricostruzione del contesto storico. A distanza dalle letture storico-artistiche puramente estetizzanti, Warburg ha insegnato ad analizzare le immagini utilizzando tutta la strumentazione documentaria e disciplinare a disposizione: l’opera – ogni opera, dal capolavoro all’oggetto d’uso quotidiano – è il sintomo di una riemersione di nuclei di memoria che erano latenti nell’immenso thesaurus di immagini e di testi classici e che l’artista riattiva, anche a distanza di secoli, rispondendo alle urgenze e ai desideri del suo tempo. L’opera d’arte è sempre considerata come sintomo, fa sempre segno: non è solo l’espressione del genio singolare dell’artista ma anche, insieme, la traccia e la prova concreta della “vita postuma” delle forme antiche e l’indizio di una specifica temperie culturale, storicamente connotata.
La sua ricerca si concentra attorno ad alcuni nuclei principali: la riemersione e la persistenza di miti e immagini dell’antichità classica e la ripresa di modelli archeologici come veicoli e amplificatori della gestualità patetica; le feste e il teatro come forma intermedia tra arte e vita; la trasmissione della tradizione astrologica dalle fonti arabo-persiane all’Umanesimo rinascimentale, per arrivare alla cultura dell’Europa della Riforma; la migrazione delle immagini e la loro circolazione e riproduzione, dalle corti italiane a quelle europee e viceversa; la declinazione e trasformazione di temi e immagini nel passaggio al Nord. L’ampiezza e la complessità del metodo di
Warburg non si ricavano solo dai suoi scritti – i pochi saggi che pubblica in vita; i molti, importanti, appunti che per tutta la vita annota sulle ricerche in fieri – ma si rintracciano anche in due straordinari progetti: la costruzione della Biblioteca di Scienza della Cultura ad Amburgo, nel 1933 migrata dalla Germania a Londra, e l’Atlante di immagini intitolato alla memoria, Mnemosyne. L’opera di Warburg, all’incrocio tra scienza e filosofia, tra archeologia e storia dell’arte, tra filologia e antropologia, non è incasellabile in un settore accademico o disciplinare definito. Ma la sua lezione e il suo metodo sono estremamente fecondi: da essi originano, in modo non sempre lineare, i moderni filoni di ricerca e di studio sulla storia e il significato delle immagini, in primis l’iconologia. La disciplina che Warburg inaugura rimane comunque ancora una “scienza senza nome” (così Giorgio Agamben): “psicostorico” – termine denso ed evocativo, ancora tutto da indagare – è la definizione che Warburg propone per se stesso.
Aby Warburg, a bibliography
Born into a prominent Jewish banking family in Hamburg, Aby Warburg (1866–1929) studied art history, archaeology, anthropology, philosophy and the history of religions at the University of Bonn. His first trip to Florence in 1888–1889 marked the beginning of a privileged relationship with Italian art and culture. He summed up his biography in a single sentence: ‘Jew by birth, Hamburger at heart, Florentine in spirit’.
From his earliest research, such as his 1893 essay on Botticelli’s Primavera and The Birth of Venus, Warburg proposed a groundbreaking method for studying images from the classical tradition. He mapped the constants of Western cultural memory—myths, figures, words and symbols—through an inquiry that illuminated the resonances between antiquity, the Renaissance and the present. This comprehensive research methodology redefined the chronological, geographical and material boundaries of artworks and challenged traditional hierarchies and disciplinary boundaries. It emphasised the comparison and interaction of iconographic and literary sources and the reconstruction of historical contexts. In contrast to purely aesthetic approaches to art history, Warburg taught us to analyse images using all the documentary and disciplinary tools available. For him, every work—whether a masterpiece or an everyday object—was a symptom of the resurfacing of latent memories from the vast thesaurus of classical images and texts. Artists reactivated these nuclei of memory, even across centuries, in response to the urgencies and desires of their time. The work of art is therefore always seen as a symptom and a signifier. It is not only the expression of an artist’s singular genius but also the trace and tangible evidence of the ‘afterlife’ of ancient forms and the clue to a specific cultural and historical climate.
Warburg’s research revolves around several key themes. First, the re-emergence and persistence of myths and images from classical antiquity and the revival of archaeological models as vehicles and amplifiers of expressive gestures; festivals and theatre as mediators between art and life; the transmission of the astrological tradition from Arab-Persian sources to Renaissance humanism and finally to the culture of Reformation Europe; the migration, circulation and reproduction of images between the Italian courts and those of Europe and vice versa; the adaptation and transformation of themes and images during their passage to the North.
The breadth and complexity of Warburg’s method is evident not only in his writings—which include a few essays published during his lifetime and numerous important notes that recorded his ongoing research—but also in two extraordinary projects: the creation of the Warburg Library in Hamburg, which moved from Germany to London in 1933, and the Mnemosyne Atlas, an image-based project dedicated to memory. Situated at the intersections of science and philosophy, archaeology and art history, and philology and anthropology, Warburg’s work resists categorisation within a single academic or disciplinary framework. Nevertheless, his approach and methodology have been profoundly influential. They have inspired, if not always directly, modern research into the history and meaning of images, most notably iconology. The discipline pioneered by Warburg continues to be described in the phrasing of Giorgio Agamben as a ‘Nameless science’, reflecting its enduring openness and interdisciplinary nature: “psychohistorian”—a complex and evocative term, still open to exploration— is the definition Warburg proposes for himself.