"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

210 | marzo 2024

97888948401

Live in Berlin! CCCP in DDDR

Astra Kulturhaus, Berlin, 24, 25, 26 Februar 2024 e una nota sul prossimo concerto in Piazza Maggiore

Filippo Perfetti, Giulia Zanon

English abstract

Annarella con il cartello “Tutti/esauriti” sul palco dell’Astra Haus, Berlino, febbraio 2024. Fotografia di Antonio Cabras.

Free – Gratuità è la linea. Divergenze tra i 50 euro di ticket e noi per un concerto in una piazza pubblica, fotomontaggio del Collettivo Universitario Autonomo Bologna.

Joe Strummer durante il Rock Against Racism, London, Victoria Park, 1978.

Locandina lanciata da Annarella nei concerti berlinesi durante Curami. Oltre a ricordare l’anniversario riporta un brano della canzone Manifesto (Socialismo e barbarie, 1987) presente su un murale del fu Tacheles di Berlino.

Giovanni Lindo Ferretti sul palco dell’Astra Haus, Berlino, febbraio 2024.

Berlin, Februar 2024

“Mancanza d’aria” è la motivazione per cui CCCP nel 1990, il 13 settembre, si sgretola e via, finisce. 24, 25, 26 febbraio 2024, altre date, date dei concerti berlinesi, dicono della loro ripresa. Il denaro – ancora una mancanza di – la possibile motivazione che se ne può dare. Le date seguono una felice mostra, un felice catalogo, un felice nastro perso ritrovato e stampato in vinile.

Mancanza di, e un pieno di, CCCP. Ma forse la mancanza non è tanto nel denaro ma nell’immaginario – “ognuno ha l’immaginario che si merita” – che la situazione è eccellente, dati i tempi odierni – per cui “ci si può solo perdere”, che si tenti o meno la confusione quotidiana di oggi e di sempre – e in un mondo vociante la condizione del folle – che ha nel punk un suo parente prossimo e una sua personificazione: “Labile è il confine tra il punk e la pazzia e facilmente valicabile. Non possiamo non sentirci simili” – diventa privilegiata se assunta con la sprezzatura di un Salviano di Marsiglia: “È meglio vivere liberi sotto una apparenza di schiavitù che essere schiavi sotto una apparenza di libertà”.

Per questo forse ci si ritrova a Berlino in quei giorni dei concerti, per questo o per una nostalgia – di qualcosa che forse non si è neppure vissuto. Se fosse solo tale, se fosse solo nostalgia, non sarebbe CCCP. Non lo sarebbe in quanto il loro spirito schizoide tra reazionario – il ritorno al vero, il saldo piuttosto che il labile laddove è solo il contrario (e avanguardista) l’impermanenza di una forma stabile – che li lega a un costante anacronismo – “Siamo arrivati troppo tardi, oppure troppo presto, comunque il nostro tempo non assomiglia al vostro” – vive solo in un presente. In uno stato sempre in divenire che è quello degli esseri, dei vivi. Ecco che una mostra era allora non sufficiente, così come un celebrativo galà (perché neppure un vero ritorno può essere “un pranzo di gala”) ma un concerto, un evento in quanto atto manifesto, questo sì era necessario affinché CCCP tornasse.

“Tutti esauriti” recita il cartello che Annarella – statuaria e austera, nessuna espressione – militarmente ostenta al suo ingresso sul palco. Pochi mesi prima, l’annuncio delle tre date berlinesi, distillato in alcuni giorni. Il sold out in pochi secondi. 

Flashforward. Bologna, maggio 2024

Ma andiamo avanti e cominciamo dalla fine, da ciò che sta succedendo nei giorni immediatamente precedenti alla pubblicazione di questo numero: l’annuncio di undici (ora tredici) date italiane, un vero e proprio tour estivo – la demistificazione di ciò che l’ultimo atto berlinese voleva rappresentare. Ma demistificarsi è ineluttabile, è necessità intrinseca al punk (anche quando esso è diventato parte integrante di un disegno spirituale). 

La prima data in programma è fissata per il 21 maggio, in piazza Maggiore nella Bologna “sazia e disperata”, capitale dell’Emilia. Anche in questo caso i biglietti sono andati esauriti in un pomeriggio, non prima di avere mandato in crash il sito di prevendita online. Ottomila cinquecento gli acquirenti che, al costo di circa cinquanta euro e alcune ore di paziente coda digitale, si sono aggiudicati l’accesso alla piazza durante lo spettacolo.

Accesso alla piazza, piazza che viene interdetta ai cittadini per un evento a pagamento. Mentre l’amministrazione si agita e la coalizione civica presenta un’interrogazione al sindaco di Bologna, Matteo Lepore, i gruppi politici studenteschi al zano la voce: il CUA, Collettivo Universitario Autonomo auspica una contestazione alla data bolognese e condivide un comunicato con l’appello all’autoriduzione del biglietto: “Verremo in piazza Maggiore e saremo felici di partecipare in maniera totalmente gratuita”. L’appello è accompagnato da un volantino che, ripredendendo la cover iconica di Affinità-divergenze fra il compagno Togliatti e noi recita: “Free – Gratuità è la linea”.

Helena Velena, fondatrice dei RAF Punk (acronimo Rebel Anarchist Fraction, ovviamente a canzonare la Rote Armee Fraktion) e della Attack Punk Records, l’etichetta discografica che nel 1985 ha prodotto proprio l’LP Affinità-divergenze fra il compagno Togliatti e noi – Del conseguimento della maggiore età (oltre al singolo Ortodossia nel 1984 e nell’anno successivo gli EP Ortodossia II e Compagni, cittadini, fratelli, partigiani) esprime piena solidarietà alla contestazione e ricorda, in una intervista per Salvatore Papa su zero.eu, il boicottaggio da parte del movimento punk bolognese al concerto dei Clash in piazza Maggiore nel 1980:

Noi contestammo i Clash, perché stavamo facendo una battaglia col Comune. Chiedevamo uno spazio dove poter fare i concerti, perché all’epoca non si poteva suonare da nessuna parte. Volevamo un centro di ritrovo, un centro sociale, uno spazio nostro, e invece il Comune spendeva i soldi per darci l’intrattenimento, perché darci un posto poteva significare creare un fulcro di opposizione politica contro il Comune stesso. I Clash, peraltro, furono solo una coincidenza […] coincidenza volle che a quel Comune che non voleva dare uno spazio ai punk gli fu proposto un gruppo che era più o meno punk e che i punk ascoltavano. Quindi ci ritrovammo anche a entrare in conflitto con tutti quei punk che vennero da tutt’Italia per vedere un concerto gratis e a cui non fregava assolutamente nulla delle nostre beghe locali.

Punk contro punk: contrasto tra simili, nel professare il credo che è quello dell’andare contro. Accettare che fosse il Comune, durante la campagna di tesseramento del Pci, a organizzare istituzionalmente un concerto punk era inammissibile. L’opposizione verso il potere costituito andava perorata, anche, e soprattutto, quando veniva offerto un elemento di distrazione così ammiccante. E d’altronde solo l’anno prima, nel 1979, i Clash avevano sancito il diritto a ‘vendersi’ a un establishment, che era in primo luogo politico, suonando davanti a duecentomila persone al Victoria Park di Londra durante il grande evento Rock Against Racism Concert, discostandosi da ciò che il punk era stato fino a poco tempo prima, ovvero un movimento “individualista e fortemente anarchico, sregolato e sganciato da una dimensione politica” (Pierpaolo de Iulis in Mamma dammi la benza. Le radici del punk italiano 1977-1982, soggetto di A. Rastelli e L. Frazzi, testi di L. Frazzi, regia di A. Rastelli, 2005). Un dato visivo interessante è che in quella occasione il cantante Joe Strummer ha esibito una tshirt della RAF (questa volta Rote Armee Fraktion): questa immagine non fa che arricchire la confusione situazionista che il grande collettore della musica fa di tutti gli stimoli storici e politici, indistintamente, senza voler lanciare alcun messaggio che non fosse quello del caos. Politica, radicale e non, anti-politica, consumo: chiunque avrebbe potuto arrabbiarsi, offendersi – clima di tensione elettrica e vivificante. 

Con “Altro che nuovo nuovo” – forse una libera traduzione dal Qohelet – ci troviamo, certo, di fronte a una situazione diversa ma non del tutto differente: il concerto dei CCCP in piazza Maggiore sarà a pagamento e andrà a costituirsi come un nuovo caso di capitalizzazione dello spazio pubblico da parte di un privato. Viceversa, radicalmente cambiato è il basso continuo culturale, politico e ideologico che accompagna la band, o perlomeno la percezione che si ha di essa. Helena Velena continua la sua critica ai CCCP definendoli:

Un gruppo che rappresenta l’Unione Sovietica, il comunismo sovietico, l’islamismo, il cristianesimo fondamentalista e il fascismo, io lo vedo come un gruppo che rientra nella quarta teoria politica di Aleksandr Dugin, cioè proprio la matrice del nuovo fascismo 2.0 e dei nazibolscevichi.

Anche se il contenuto della critica non è importante in questa sede, ci è necessario per capire l’ambiguità degli entusiasmi e degli scontenti: CCCP gruppo sovietico e pericolosamente reazionario, CCCP “Fedele alla lira”, gruppo comunista venduto al capitale, CCCP gruppo di nostalgici istituzionalizzato dall’amministrazione del Partito Democratico.

La replica dei CCCP al CUA e a Helena Velena non c’è stata, ma la si potrebbe trovare in quanto scrissero nel 1985 contro il centro sociale Leoncavallo di Milano dopo un concerto non finito:

Di volontà di purezza è marcio il mondo. Noi non siamo puri. Non vogliamo esserlo. Ci si abitua a tutto, o quasi. Non intendiamo abituarci alle frasi fatte, alle spiegazioni che non spiegano, ai ripieghi dell’ideologia di turno sempre più misera sempre più nebulosa, “Autogestito” è la parola magica che ogni ragazzino o tardone usa per avere gratis e con disprezzo quello che altri faticano a produrre, “autogestito”: – basta la parola! – palle! Tutti i bottegai autogestiscono le loro botteghe, tutti i politici e i managers autogestiscono le loro carriere, tutte le casalinghe autogestiscono le loro cucine. Le parole non parlano più.

Ancora una volta, il clima di piazza sarà caldo, mosso da sentimenti confusi ed entusiasmi stridenti: terreno fertile per l’osservazione e il pensiero e forse per qualche emozione più o meno prevedibile – quanto le polemiche.

Zurück nach Berlin

Torniamo a Berlino. Un momento di popolo, un pellegrinaggio dall’Italia che ha coinvolto fan di allora e fan postumi, che non li hanno mai visti prima ma che li riconoscono come i primi. Nonostante i fraintendimenti, le deviazioni di percorso negli anni, tutti lì per loro. Un palco a Berlino Est, due passi da Kreuzberg: fermata Schlesisches Tor per fare a piedi l’Oberbaumbrücke. Poco più in là una sala concerti dei tempi di allora – i feticci della DDR nei lampadari presi dal Palast der Republik dell’Est – e una coda che sera dopo sera si presenta da un’ora prima dell’inizio. In giro, negli aerei, nella città, le stesse parole in italiano di chi è in viaggio per il concerto. L’argomento solo uno: CCCP.

L’inizio dello spettacolo, un video kitsch e un inno socialista dopo tanti anni così poco identificabile, un’entrata che è un’ovazione. Il Willkommen allegro di Massimo Zamboni. Quello bastardo, nostalgico di una Berlino che fu e di kebab non più turchi ma globalizzati di Ferretti che finisce con un inaspettato sorriso a mezza bocca: “passa quella canna”. Una profezia che ancora recita:

Nessuno è eterno
e il tempo della fine
giunge per ogni cosa
il tempo non si arresta,
si trasforma ed è altro
la terra è viva
cresce chi deve crescere
e crescerà
ma voi non mi ascoltate mai
leccatevi le ferite poi.

Si parte con Depressione caspica: una chitarra perfetta, da incisione, sembra quasi CSI. Subito poi è invece l’inizio vero e proprio: con anche spettatori andanti per i sessanta che nelle prime file partecipano al pogo un brano dopo l’altro. Loro quattro a essere loro quattro – nonostante tutto – sopra un palco. “CCCP non è una discografia ma una storia di palchi”, dichiarava qualche giorno prima Ferretti. Ben scavato vecchia talpa: siamo ancora qui. 

Ma c’era bisogno di anche altro per riportarli: Andrea Scanzi. Un’invenzione necessaria quanto contestata, o meglio in quanto contestata. Era necessario il conflitto tra pubblico e CCCP perché CCCP tornasse. Ora, in questa occasione, il pubblico sarebbe stato solo acclamante, festante e felicitante per l’appuntamento. Con Scanzi – mal voluto, mal accolto e provocatoriamente presente – il pubblico aveva il suo bersaglio. Nella prima data, alla sua comparsa, a introduzione di Emilia paranoica, bersagliato da insulti per minuti. Nelle successive contestato già prima – ché già tutti sapevano ci sarebbe stato – e durante, con un sempre gaudente Ferretti che acclama e accoglie fischi e insulti per il suo ospite, e lo cinge con l’elmetto militare che lo proteggeva a suo tempo dagli urli e da quanto arrivava lanciato sul palco. Ferretti che manda a fanculo il pubblico; il pubblico che passa dal lancio di insulti a quello di bicchieri sul palco – rinunciando alla cauzione. E poi anche dopo, nelle pause e in ogni momento buono: insulti, inviti a Scanzi di scendere tra il pubblico per essere buttato in mezzo al pogo. Di nuovo la violenza. Una sana violenza indirizzata, un loro contro noi, una polemica ristabilita. In quanto solo questo serve a CCCP.

A CCCP serve un pubblico, altrimenti non ci sarebbe: nello scontro, nel movimento di palco di Annarella e Fatur, l’una con i suoi cambi d’abito e l’altro con il suo caotico armamentario postindustriale, e in quanto sotto al palco accade, avviene CCCP.

Alcune voci dalle serate: dal pubblico: “Dio non esiste!” Ferretti: “L’hai detto!… Se ne ricorderà”. Mentre Fatur è al suo monologo, appassantito dalla massa dei chili pari agli anni passati, con la voce ancora sottile e nasale, dal pubblico un: “Sei Carmelo Bene pelato!”. E così Ferretti:

Quanta voglia di purezza in questi sguardi, quanta voglia di poter odiare qualcuno perché ti sta sui coglioni, e lui sta qua, perché vi sta sui coglioni, perché non abbiamo mai voluto che tutti la pensassero come noi, perché portiamo il disordine e non l’ordine, non quello che volete voi, non sono come tu mi vuoi, non sono come tu mi vuoi, non sono come tu mi vuoi, non sono come tu mi vuoi.

Forse sì, questo lo si voleva. 

Eppure anche questa tensione va scaricandosi. L’ultima data, quella del 26 febbraio, vede uno scambio stanco tra Scanzi e il pubblico: entrambe le parti sono perfettamente consapevoli del copione che è dato loro da recitare, entrambe le parti liquidano il proprio ruolo con la rapidità dei convenevoli. Come scrive il giornalista Vittorio Ray nella sua rubrica online Il tuffatore

Se ci fosse una Norimberga celeste e onnitemporale, l’entrata dei più grandi traditori della storia in aula me la immagino come Scanzi che rientra sul palco a fine concerto con un bicchiere di birra in mano e sta tutto il tempo a sorseggiare e a fingere di ignorare gli insulti e le cose che gli piovono addosso. […] Ti ritrovi che sali sul palco e la gente ti tira le cose; ma neanche tanto arrabbiata – piuttosto divertita, sicuramente irrispettosa ma perché non pensa di avere davanti una persona degna di rispetto, pensa di avere un oggetto. […] Senza tenerezza né alienità, è stato solo un goffo pagliaccio che cerca di sfuggire alla sua sorte segnata.

La fine del concerto, il momento del rientro sul palco, è significativa in questo senso: i performer, Andrea Scanzi compreso, diventano attori sorridenti pronti a nutrirsi di applausi, e la tensione agonale, l’austerità martellante del punk filosovietico si scioglie nella musica melodica, mentre tutti, sul palco e sotto il palco, intonano un Amandoti che ha del nazionalpopolare. 

E poi la musica, anche lei. “All’erta sto, all’erta sto/ Come un russo nel Donbass, un armeno nel Nagorno-Karabakh” come nuova strofa per Radio Kabul. Un inedito: la cover in duetto tra Ferretti e Annarella – lei con abito arancio e parrucca riccia dello stesso colore – di Bang bang. Sembra un bel gioco d’amore tra loro due, una storia di bambini poi cresciuti, poi invecchiati, ritmato dal gioco delle pistole. Nessuno se ne accorge ma il passaggio è naturale, anzi causale, logico: Bang bang è “SPARA!”. Ferretti sembra anche lui accorgersene, mette le mani al volto come sa fare, come nascondendosi, vergognandosi incredulo, mentre indietreggia e rivela – profeta – l’ovvia conclusione: Bang Bang, il brano più lento, si risolve in Spara Jurij!, urlata, agitata, esplosa come un colpo di cannone. Felicitazioni, speranze, di Jurij. Come non esserci arrivati prima?

Poi, ancora. Kebabtraume, cover cantata da uno Zamboni felice e accattivante nell’interpretazione che diventa un nuovo inno:

Kebab-Träume in der Mauerstadt
Türk-Kültür hinter Stacheldraht
Neu-Izmir ist in der DDDR
Atatürk, der neue Herr.

Un nuovo ritornello che si adagia comodo sulla metrica del brano: “CCCP in DDDR/ CCCP in DDDR”. Resta nella testa e continua anche dopo l’uscita. Come dopo l’uscita del gruppo non esce il pubblico, che chiede ancora e intona da sé una delle più sentite assenze, Madre. Per istinto, per comune educazione il gruppo chiude così: “Madre di Dio e dei suoi figli/ Madre dei padri e delle madre/ Madre o Madre o Madre mia/ L’anima mia si volge a te”, dove ad aver aperto era l’inno della DDR. Lei sì smantellata, mentre CCCP, nonostante i quarant’anni può dire: “Eppure sono vivo!”.

English abstract

CCCP in DDDR, where DDDR stands for ‘Dismantled German Democratic Republic’. Filippo Perfetti and Giulia Zanon publish a series of interwoven notes on the three CCCP – Fedeli alla linea’s concerts that took place on 24th, 25th and 26th February at the Astra Kulturhaus in Berlin. Beginning with an impressionistic account, the reflection extends to a reflection on the controversy that arose from the announcement of the band’s summer tour, in particular about the first date in Bologna’s Piazza Maggiore. 

keywords | CCCP; Astra Kulturhaus; DDR; DDDR; Andrea Scanzi; Bologna; Helena Velena.

questo numero di Engramma è a invito: la revisione dei saggi è stata affidata al comitato editoriale e all’international advisory board della rivista

doi: https://doi.org/10.25432/1826-901X/2024.210.0022