"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X
English abstract

“Un rapido schizzo in forma sferica”: Aby Warburg e lo schema del ciclo astrologico di Palazzo Schifanoia

Marco Bertozzi

Figura 1. Aby Warburg: schema degli affreschi di Palazzo Schifanoia (disegno di Mary Hertz Warburg, 1911)

Scrivo questa noticina mentre Palazzo Schifanoia è ancora chiuso, perché inagibile a causa del terremoto. Quando avremo di nuovo il piacere di tornare nella mirabile Sala dei Mesi (forse, mi dicono, nel prossimo autunno/inverno) sarà certamente una grande festa per tutti… Per celebrare questo numero de "La Rivista di Engramma", propongo un breve commento al disegno dello schema sull'ordinamento degli affreschi di Palazzo Schifanoia. Questa ricostruzione grafica compare già nel testo di Warburg su Schifanoia, pubblicato negli Atti del X Congresso Internazionale di Storia dell’Arte (1922) e si trova anche, in prima fila, nell'Atlante della Memoria (Tavola 27). Ma, prima di entrare in argomento, sarà opportuno fornire un breve riepilogo della storia che ci riguarda, cioè di come l'astrologia orientale abbia trovato così generosa ed entusiastica accoglienza nella Sala dei Mesi di Palazzo Schifanoia.

La Sala, di cui restano ancora integri sette scomparti, fu affrescata (per volontà di Borso d'Este) nel periodo 1469-1470. Il monumentale calendario astrologico era in origine formato da dodici scomparti, numero corrispondente ai mesi dell'anno e ai segni dello zodiaco. Gli scomparti sono ripartiti in tre fasce parallele: nella fascia inferiore degli affreschi è messa in scena la vita di corte ai tempi di Borso d'Este, il magnifico principe di Ferrara, rappresentato attraverso il manifestarsi della sua principale virtù, la giustizia; nella fascia mediana, ogni segno dello zodiaco, in posizione centrale, è accompagnato dalle tre enigmatiche immagini dei 'decani'; nella fascia superiore, trionfano i grandi dèi dell’Olimpo greco, che hanno qui sostituito la tradizionale reggenza delle divinità planetarie.

Figura 2. Ferrara, Palazzo Schifanoia, Sala dei Mesi: Marzo, segno zodiacale Ariete

Punto di riferimento per l’interpretazione del ciclo pittorico resta, ancora oggi, il lavoro del grande storico della cultura Aby Warburg. Egli presentò al decimo congresso internazionale di storia dell'arte, svoltosi presso l'Accademia dei Lincei di Roma nel 1912, il suo memorabile contributo Arte italiana e astrologia internazionale nel Palazzo Schifanoia di Ferrara: tale relazione "costituì il momento culminante del convegno e della carriera pubblica di Warburg" [GOMBRICH [1970] 1983, p. 168]. Quattro anni prima, studiando il libro di Franz Boll, Sphaera (1903), Warburg era riuscito a identificare la prima delle inquietanti figure che compaiono nella fascia centrale degli affreschi. Era così ristabilito il contatto fra le descrizioni tramandate dalla letteratura astrologica e le enigmatiche immagini di Schifanoia.

In appendice al libro di Boll, una magistrale ricostruzione della cosiddetta sphaera barbarica di Teucro il Babilonese (I secolo a.C.), l'orientalista Karl Dyroff aveva aggiunto il testo arabo e la versione tedesca di un capitolo tratto dall'Introductorium in astronomiam dello scienziato e astrologo arabo Albumasar, considerato nel Medioevo e nel Rinascimento una delle più grandi autorità in campo astrologico [BOLL 1903, pp. 482-539]. Nella sua Introduzione, composta a Bagdad intorno alla metà del IX secolo, si trovano descritte le immagini dei trentasei decani (i signori dei dieci giorni) secondo tre versioni: persiana, indiana e greco-tolemaica. Ciascuna di queste figure, di probabile origine egizia, occupa dieci gradi dell'eclittica zodiacale. Non si tratta, tuttavia, di una semplice unità di calcolo: con il termine "decano" si deve intendere una figura di origine divina, in cui si riflettono gli attributi di stelle e costellazioni che transitano (si levano e tramontano) in quella definita sezione di spazio celeste. (La levata eliaca di una particolare stella indicava la fine della notte e l'inizio del nuovo giorno; dopo dieci giorni, subentrava un'altra stella a svolgere la medesima funzione. Sulla storia dei decani, cfr. GUNDEL 1936 e BERTOZZI 1999; sugli aspetti astronomici, si veda il recente studio di GADRÉ 2008).

Leggendo il testo di Albumasar, Warburg riuscì a trovare, proprio nella descrizione della sfera indiana, la traccia che lo riconduceva all'immagine del primo decano dell'Ariete di Schifanoia, il celebre "vir niger" (che egli identificò, sia pure discutibilmente, con la costellazione greca di Perseo): "Gli indiani affermano che in questo decano si leva un uomo di carnagione scura, dagli occhi rossi, di alta statura, forte coraggio ed elevati sentimenti. Egli porta un’ampia veste bianca, cinta in mezzo da una corda; è adirato, sta dritto, custodisce e osserva" [BOLL 1903, p. 497; WARBURG, [1912] 1999, p. 90]. Secondo la versione latina di Johannes Hispalensis (1133), quella che più si avvicina all'immagine ferrarese, si tratta di un "vir niger, rubeis oculis et magni corporis, fortis et magnanimus indutus lintheo laneo albo, precinctus in suo medio fune, et est iratus stans super pedes suos" [ALBUMASAR 1995-1996, vol. 5, t. 2, p. 216]. Il decano di Schifanoia, diversamente dal testo di Albumasar, indossa giacca e pantaloni bianchi stracciati e tiene, con la mano sinistra, un capo della corda annodata in vita. Nella tradizione che precede il trattato dello scienziato arabo, il decano è ancora armato e porta in spalla una scure bipenne, come risulta dal trattato dell'astrologo indiano Varāhamihira (VI secolo d.C.); [cfr. WARBURG [1912] 1999, p. 90; BERTOZZI 1999, p. 78 n. 46]. Nella Sala dei Mesi, la cui fonte deriva dalla sfera indiana di Albumasar, il "vir niger" è rimasto ormai privo dell'antico attributo.

Inoltre, Warburg ebbe modo di identificare anche l'erudito ispiratore degli affreschi. Adolfo Venturi aveva pubblicato una lettera di Francesco del Cossa a Borso d'Este, scritta in data 25 marzo 1470. L'artista, rivendicando in essa la paternità di "quili tri campi verso l’anticamera" (gli scomparti che si riferiscono ai mesi di marzo, aprile e maggio), si lamentava del trattamento a lui riservato dai responsabili dei lavori, cioè Pellegrino Prisciani "et altri", che lo avevano "apparagonato al più tristo garzone de Ferara" (Venturi 1885, pp. 384-385). Un'attenta analisi di questa lettera, che attestava l'intervento del Cossa nei primi tre scomparti della Sala, diede dunque l'opportunità a Warburg di mettere in evidenza la figura di Pellegrino Prisciani, astrologo, bibliotecario e storiografo degli Estensi [ROTONDÒ 1960; BERTOZZI 2011].

Egli, in una lettera del 27 ottobre 1487 (che Warburg pubblicò in appendice al suo saggio) scriveva a Eleonora d'Aragona, duchessa di Ferrara, che se ella intendeva vedere esauditi i suoi desideri, doveva pregare durante la ormai prossima e favorevole congiunzione di Giove con il caput draconis (il nodo ascendente della luna, punto d'intersezione dell'eclittica con l'orbita lunare). Prisciani, per questo responso, si richiamava all'autorità indiscussa di alcune grandi figure della tradizione astrologica: Albumasar, Pietro d'Abano e Manilio [WARBURG [1912] 1999, pp.109-111]. Proprio a Pietro d'Abano è attribuita una sistemazione latina (1293) di Albumasar, mediata dalla versione ebraica di Ibn Ezra, e il poema di Manilio (Astronomica, II, vv. 439-447) è la fonte certa dello zodiaco olimpico di Schifanoia, l'unica a proporre la tutela della coppia Giove-Cibele per il mese di luglio (che ha come segno zodiacale il Leone). Dunque, Pellegrino Prisciani poteva essersi basato sulle stesse autorevoli fonti quando, circa vent'anni prima della lettera, aveva predisposto la complessa tessitura degli affreschi.

Tuttavia, è bene aggiungere, non è stato finora possibile rintracciare un'unica lista di decani, che trovi plausibile corrispondenza con la serie delle ventuno immagini superstiti di Schifanoia [JAFFÉ [1932] 1999; LIPPINCOTT 1994]. In effetti, bisogna fare appello a una numerosa serie di versioni e compendi latini di Albumasar o al trattato di magia talismanica Picatrix, per trovare descrizioni parallele a quelle dei decani di Ferrara (il testo arabo di Picatrix, composto verso la metà del secolo XI in terra di Spagna, venne fatto tradurre in castigliano da Alfonso 'el Sabio' nel 1256 e si diffuse in Occidente attraverso una versione latina; [BERTOZZI 1992]).

Questo significa che l'erudito consigliere-astrologo degli artisti di Schifanoia disponeva di un compendio oggi perduto, oppure ne aveva compilato uno per l'occasione, senza scegliere un'unica lista di decani, ma selezionando di volta in volta le figure da illustrare sulle pareti della Sala. In questo caso, l’ideatore del programma doveva avere a disposizione una ricca biblioteca di manoscritti, specializzata in decani… Eppure, nelle biblioteche degli Estensi non si registrano tracce evidenti di questa speciale documentazione astrologica.

Le ampie indagini, svolte in precedenza, ci hanno comunque consentito di risalire all'origine stellare dei decani di Schifanoia, decifrando le stratificate incrostazioni di cui li avevano rivestiti le varie tradizioni astrologiche, incontrate nel corso di secolari e avventurose migrazioni [BERTOZZI 1999, pp. 38-71; BERTOZZI 2002 e BERTOZZI 2008, pp. 97-127].

Figura 3. Tabula Bianchini, Parigi, Louvre

Torniamo ora allo schema di Warburg. Il disegno dello schema, definito come sphaera Prisciani, è opera di Mary Hertz Warburg: l'originale, ritrovato negli Archivi dell'Istituto Warburg, venne esposto a Ferrara in occasione della mostra organizzata a Palazzo Schifanoia (FRATUCELLO, KNORR 1998]. Lo stesso Warburg riconobbe, sia pure in forma privata, che proprio la moglie Mary si era assunta il compito di disegnare "l'Armonia della Sfera della Villa Schifanoia del Duca Borso" [FRATUCELLO, KNORR 1998, pp. 60-63]. Warburg intendeva affermare, con assoluta determinazione, che (anche sotto mentite spoglie) i decani indiani di Albumasar dovevano comunque finire per rivelare la loro 'anima' greca. Pellegrino Prisciani aveva trattato con grande rispetto il senso 'armonico' della cosmologia greca, mettendolo in rapporto con il 'barbarico' ordinamento dei trentasei decani di origine egizia.

Se prendiamo in considerazione, con un rapido schizzo, la trasposizione dell’intero ciclo ferrarese in forma sferica, allora salta agli occhi che la triplice striscia pittorica di Palazzo Schifanoia è effettivamente un sistema sferico trasferito su superficie piana, dove il modello sferico di Manilio si mescola a quello della tavola Bianchini. Il nucleo centrale della sfera terrestre è simboleggiato dal calendario illustrato della corte e dello stato del duca Borso. Nella fascia più alta si trovano, conformemente alla credenza di Manilio, le dodici divinità olimpiche protettrici dei mesi. A Ferrara esistono ancora: Pallade, Venere, Apollo, Mercurio, Giove-Cibele, Cerere e Vulcano. Manilio ha attribuito la reggenza dei dodici mesi a dodici divinità, invece che ai pianeti, e le ha venerate in quanto tali. A Ferrara tale teoria cosmologica viene mantenuta nella sua idea fondamentale. […] La sfera zodiacale è comune a Manilio, al planisfero Bianchini e al ciclo dei mesi di Palazzo Schifanoia, anche se, grazie alla elaborazione del sistema dei decani, che nella tavola Bianchini è intercalato come una regione particolare fra le stelle fisse e i pianeti, la sfera di Prisciani ha la stessa natura cosmologica della tavola Bianchini, poiché i decani indiani di Albumasar, che a Ferrara governano la fascia mediana degli affreschi, ci rivelano – certo dopo un’auscultazione minuziosa – che batte un cuore greco sotto il mantello a sette strati da viandante di questi pellegrini, molto provati dalle epoche, dai popoli e dagli uomini [WARBURG [1912] 1999, pp. 99-100].

Il tentativo di mescolare la cosmologia di Manilio con quella della tavola Bianchini ebbe come risultato di capovolgere l'orientamento del ciclo pittorico, una svista che rendeva poi difficile cogliere il perché del doppio senso degli affreschi. Ricordiamo che, a Palazzo Schifanoia, i mesi e le costellazioni zodiacali procedono da destra verso sinistra, mentre i decani sono ordinati da sinistra a destra. Quali sono le ragioni di questo duplice orientamento? È una domanda che mi sento rivolgere spesso, di recente anche in occasione delle tre giornate di alti studi su I molti Rinascimenti di Aby Warburg, organizzate dall'Istituto di Studi Rinascimentali di Ferrara nella Sala dei Mesi (16-18 febbraio 2012), per celebrare il centenario della relazione di Warburg all'Accademia dei Lincei (per maggiori dettagli su quanto segue, si rinvia a Bertozzi 2012).

La visione di questo contrastante percorso suscita sempre qualche meraviglia, anche perché si ha l'impressione che ci sia qualcosa di confuso. Difficile, tuttavia, pensare che Pellegrino Prisciani, l'erudito ideatore del ciclo pittorico, si fosse così clamorosamente sbagliato nell'indicare agli artisti l'inverso ordinamento di segni zodiacali e decani. Naturalmente, vi può essere una intuitiva (quanto semplice ed efficace) spiegazione del perché i decani siano posti, in sequenza di tre per ogni segno, da sinistra a destra: potrebbe trattarsi di un effetto simile a quello di una fotografia stampata alla rovescia, frutto della nostra direzione di lettura (anche delle immagini) destrorsa, rispetto a quella araba, che è orientata in senso contrario. A Ferrara, "il capovolgimento della direzione dei decani […] non sarebbe quindi altro che il risultato di una trascrizione di fonti intermedie arabe fatta da europei" [HÜBNER 1999, p. 11].

Non è certo strano che mesi e segni dello zodiaco, a Schifanoia, siano orientati da destra a sinistra, dato che seguono l’apparente rivoluzione annuale del sole, che procede da ovest a est, dunque in senso antiorario. Mentre, al contrario, l'apparente percorso quotidiano di rotazione del sole procede da est a ovest, cioè da sinistra a destra, se osserviamo il cielo con lo sguardo volto a mezzogiorno [HÜBNER 1999, p. 10]. Ma, allora, se stelle e costellazioni rappresentate dalle figure dei trentasei decani dell'anno solare accompagnano i segni zodiacali, i decani stessi dovrebbero essere ordinati da destra a sinistra. Sarebbe astronomicamente 'logico' trovare il primo decano dell'Ariete subito dopo i Pesci e non vicino al Toro, come accade a Schifanoia.

Infatti, proprio così risulta dalle testimonianze iconografiche dei decani egizi, sia dal frammento della tabula Bianchini [BOLL 1903, pp. 299ss.] che dalle tavolette astrologiche d'avorio ritrovate a Grand, nei Vosgi [ABRY 1993 e 2002]. La tavola Bianchini è costituita da una lastra marmorea di età imperiale, scoperta a Roma sull'Aventino, all'inizio del Settecento, e donata da Francesco Bianchini all'Accademia di Francia, oggi al Louvre. L'ormai noto "vir niger", che porta in spalla una scure bipenne, inizia (come primo decano dell'Ariete) la serie delle tre figure, cominciando da destra.

Figura 4. Tavolette astrologiche di Grand (Vosgi): i tre decani dell'Ariete

Inoltre, nell’anello sovrastante i decani, si affacciano (all’interno di un cerchietto) le facies delle sette divinità planetarie, che ne assumono il 'volto', secondo una determinata sequenza (Marte, Sole, Venere, Mercurio, etc.; [BERTOZZI 1999, pp. 30-31]. Oltre che della frammentaria tabula Bianchini, disponiamo ora anche delle tavolette astrologiche appena menzionate (risalenti all'inizio o alla metà del II secolo d.C.) ritrovate alcuni anni fa nel sito archeologico di Grand, nel nord-est della Francia. Nelle tablettes astrologiques de Grand, compare – come primo decano dell'Ariete – il solito "vir niger", anch'egli armato di ascia bipenne, che tiene sollevata con entrambe le mani.

L'inversione dell’ordinamento dei decani, da destra a sinistra, è considerata da Kristen Lippincott un buon indizio per dimostrare come la fonte di Schifanoia fosse essenzialmente visiva, pensando, per esempio, alle illustrazioni dei decani che possiamo vedere nel manoscritto del Picatrix latinus conservato presso la Biblioteca Jagellonica di Cracovia, dove i decani sono ordinati da sinistra a destra [BERTOZZI 1999].

Il parallelo ci permette davvero di immaginare come fu realizzato il ciclo di Schifanoia. Chi supervisionò gli affreschi deve aver presentato una serie di schizzi veloci, tre divinità su ciascuna pagina, e deve aver distribuito tali pagine a ciascun artista. Gli artisti devono aver considerato quelle pagine veri e propri fogli di istruzioni e copiato alla lettera, sulla stessa pagina, l’ordine degli dèi-decani da sinistra a destra, ignorando che questi ultimi avrebbero invece dovuto corrispondere al generale schema cosmologico della sala [LIPPINCOTT 1994, pp. 187-188].

Secondo la tradizione indiana, attestata da Picatrix:

Ascendit in prima facie Arietis homo habens oculos rubeos magnamque barbam et pannum lineum album convolutum, faciens gestus magnos in incessu sicut coopertus magna clamide alba ac fune precinctus, stans in uno pede ac si aspiceret quod tenet ante se. Et ascendit in 2 facie Arietis mulier clamide cooperta linea, rubeis vestibus induta, unum tantum habens pedem […]. Et ascendit in 3 facie Arietis homo colore albo et rubeo, capillos rubeos habens, iratus et inquietus, habens in dextra ensem et in sinistra perticam, vestibus rubeis indutus […] [Picatix latinus, II, 2, 1986, pp. 33-34].

Lo stesso ordinamento sinistra-destra, illustrato nel Picatrix latinus di Cracovia, corrisponde a quello delle facies planetarie dell'Astrolabium planum di Johannes Angelus, opera che deriva probabilmente da un manoscritto di Pietro d'Abano [BERTOZZI 1999].

Sappiamo che l'apparente rotazione quotidiana del sole, accompagnata dai decani, è stata fondamentale nell'astronomia egizia per la suddivisione della giornata in 24 ore. In questo caso, i decani rappresentavano le 36 frazioni di quaranta minuti di ciascun giorno [NEUGEBAUER 1974, pp. 106ss.]. È possibile ipotizzare che Pellegrino Prisciani (esperto astronomo, astrologo ed erudito ideatore del programma pittorico di Schifanoia) volesse indicare, attraverso il doppio e contrario percorso di segni zodiacali e decani, il legame tra la rivoluzione annuale del sole con il suo movimento quotidiano di rotazione?

In realtà, come ha opportunamente suggerito Ornella Pompeo Faracovi:

questo intreccio è quanto di più familiare agli astrologi, usi a proiettare sul medesimo piano lo spostamento antiorario del Sole in rapporto alla successione dei segni zodiacali, e l'ascensione giornaliera dei pianeti e dei segni che sorgono e tramontano in senso orario. È dunque tutt'altro che improbabile che questa familiarità abbia guidato Pellegrino Prisciani nel disporre le istruzioni per gli esecutori degli affreschi di Schifanoia: si tratta di una delle molte piste di ricerca rispetto alle quali la padronanza della tecnica astrologica può rivelarsi strumento prezioso nelle mani degli storici della cultura [POMPEO FARACOVI 2000, pp. 241-242].

Erano forse queste le "consapevoli" indicazioni fornite da Prisciani ai frescanti della Sala? L'ipotesi potrebbe essere rafforzata dalla possibilità di interpretare gli affreschi ferraresi come un monumentale oroscopo illustrato di Borso d'Este, la cui nomina ducale, da parte del pontefice, era allora imminente. Tale eventualità, esclusa da Wilhelm Gundel (BOLL, BEZOLD, GUNDEL [1917] 1966, pp. 150-151], è stata ora ripresa in considerazione, con buoni argomenti, da Manuela Incerti (2010): un tentativo di ricerca che merita di essere attentamente valutato e approfondito. Il ciclo astrologico di Palazzo Schifanoia rappresenta davvero uno straordinario capolavoro, che continuerà sempre a meravigliarci e a interrogarci, simbolico enigma sorto all’aurora di quello che ci ostiniamo a chiamare Rinascimento.

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English abstract

The purpose of this paper is to write some notes on Warburg's "Diagram of the arrangement of the frescoes at Palazzo Schifanoia". The diagram, made by Mary Hertz Warburg, was printed in the first edition of Warburg's well-known essay Italian Art and International Astrology in the Palazzo Schifanoia, Ferrara (1922).

 

keywords | Warburg; Palazzo Schifanoia; Astrology; Frescoes.

Per citare questo articolo / To cite this article: M. Bertozzi, "Un rapido schizzo in forma sferica": Aby Warburg e lo schema del ciclo astrologico di Palazzo Schifanoia, “La Rivista di Engramma” n. 100, settembre-ottobre 2012, pp. 43-50 | PDF

doi: https://doi.org/10.25432/1826-901X/2012.100.0022