"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

106 | maggio 2013

9788898260515

Iulium Carnicum.

Dalle fonti umanistiche alle origini di Iulium Carnicum

Martina Iridio e Sara Spinazzè

English abstract

La consapevolezza dell’antichità di Zuglio è già attestata nel XV sec., quando Bernardo Giustinan nel De origine urbis Venetiarum, libro VII, opera il primo tentativo in età moderna di individuare le origini del sito. Nella sua Historia inserisce un passo relativo alle devastazioni inflitte dagli Avari al territorio friulano, in cui riporta la leggenda della caduta di Giulio per il tradimento di una donna che, invaghitasi di un barbaro, gli consegnò la città. Il Cavaliere di San Marco associa la nobil città a un borgo situato nell'entrar delle Alpi, poco sopra Tulmetio, [...] il cui nome chiamarsi Zuglio per Giulio” (Giustinian, De origine urbis Venetiarum rebusque eius ab ipsa ad quadrigintesimum usque annum gestis historia, 1482), da lui scoperto durante un'ispezione in Carnia, nell'adempiere all'incarico di ambasciatore in quella regione; fu questa indagine topografica a fornire da subito, pur se non intenzionalmente, il fondamento per il riconoscimento archeologico del sito e del suo significato storico. Giustinian ha il grande merito di individuare correttamente in Zuglio la città citata da una fonte pliniana, in quanto afferma che questa è cosa certa con il testimonio ancora di Plinio, che Giuliensi sono popoli dè Carni, ò a confini à i Carni”.

Durante gli stessi anni Marc'Antonio Sabellico sta componendo il De vetustate Aquileiae, nelle cui pagine giustifica l'esistenza di oppidi vetustissimi vestigia in questa località esistente in Carnis e chiamata Iulium dai confinanti (Sabellico, De vetustate Aquileiae, 1498), proprio attraverso gli indizi ricavati dalla Naturalis Historia (Plinio, Nat. Hist., III); da alcuni dei libri che la compongono, infatti, può dedurre che gli Iuliensi fossero Carnorum Gentes, Noricis et Carnicis paene mixti, suggerendo di conseguenza l'identificazione con la Iulium Carnicum che vi è menzionata. Si conferma che il trattato pliniano, quindi, oltre a essere la più antica fonte in cui compare la formula Iulienses Carnorum, civiltà annoverata tra gli oppida nel passo in cui sono elencati i centri della X Regio situati nell’entroterra, costituisce anche il primo testo di riferimento da cui gli studiosi quattrocenteschi ricavarono indizi per elaborare le loro ipotesi.

CIL V, 1862 ove compare l'espressione Iul(iensium) Kar(norum), passo di Monte Croce Carnico

Dagli scritti dei due umanisti emerge con chiarezza una questione che sarà cruciale nella fortuna letteraria di Zuglio: la confusione generata dall'interpretazione incerta dei toponimi Forum Iulii e Iulium Carnicum determinò numerosi malintesi nell'attribuire a Zuglio piuttosto che a Cividale le vicende che gli auctores antiqui avevano tramandato; questa ambiguità, nata fin dai primi tentativi di identificare l'antica Forum Iulii, prima capitale del ducato longobardo, associandola all'una piuttosto che all'altra sede, sfocerà nel corso dei secoli in un dibattito sempre più acceso.

Alimentata da intenti ideologici e dal patriottismo degli eruditi locali, la diatriba vedrà i due centri contendersi il riconoscimento e il primato di 'patria' del Friuli fino al periodo austriaco; solamente nell'Ottocento, con l’edizione del Corpus Inscriptionum Latinarum, Mommsen vi porrà fine, dedicando il volume V alla defini­zione e alla schedatura del patrimonio epi­grafico di Iulium Carnicum, che renderà possibile una rigorosa attribuzione dei dati ricavabili dalle iscrizioni.

L'equivoco in questione pesava sulla cultura friulana già a partire dagli scritti di due letterati alto medievali. Nella raccolta di lettere e documenti redatta da Cassiodoro (Cassiodoro, Variae, Libro XII) per testimoniare la sua attività di funzionario per l'Impero Romano d'Oriente, viene edita anche l'epistola, datata all'anno 553 d.C., in cui Teodorico informa il vescovo di Milano Dacio di una carestia preoccupante, tale da spingerlo a usare le derrate dell'esercito raccolte in tre città di Venezia. Si tratta delle tre colonie romane, compresa la foroiuliense, in cui è da riconoscersi Zuglio, considerando che Cividale era ancora compresa nell'agro aquileiese.

[...] quod nos in apparatu exercitus ex Concordiese, Aquileiense et Foroiuliense civitatibus colligere feceramus […] (Cassiodoro, Variae, L. XII)

Di un secolo più tardo è il poema in onore di San Martino, in cui Venanzio Fortunato (Venant. Fort., Vita S. Martini, IV. 651-655) descrive il viaggio di ritorno da Tours per il passo di Monte Croce Carnico (Iulia Alpes), e sostiene di aver incontrato lungo il percorso anche il Foro di Giulio, (Forum Iulii) il cui nome è correttamente attribuito a Giulio Cesare.

"[...] Hinc pete rapte vias ubi Iulia tenditur Alpes, altius adsurgens et mons in nubila pergit. Inde Foro Iuli de nomine principis exi per rupes, Osope, tuas qua lambitur undis et super instat aquis Reunia Teliamenti [...]" [Venant. Fort., Vita S. Martini IV. 651-655]

È chiaro che Forum Iulii in questo passo va interpretato come una designazione di Iulium Carnicum, data la successione geografica dei toponimi e la direzione del viaggio che, dopo il passo di Monte Croce Carnico, non sembra certamente contemplare una deviazione verso sud-est per raggiungere Forum Iulii e per poi tornare sulla via Iulia Augusta a Osoppo (Osopus) e a Ragogna (Reunia), lungo il corso del Tagliamento.

Sarà Paolo Diacono a proporre una corretta identificazione tra i toponimi e le città a lui contemporanee, riportando gli eventi che, dopo la distruzione di Zuglio, indussero la meno nota Forum Iulii a diventare nel 568 d.C. capitale del ducato longobardo del Friuli e a mutare il proprio nome in Cividale. Come ricostruì dopo Mommsen, Paschini “dopo la caduta di Aquileia (452) e il declassamento di Iulium Carnicum, gli eventi stessi costringevano Cividale, unico centro di qualche importanza e consistenza, a una precisa posizione” (Paschini 1939-1940).

"[...] Castrum Iulium est colonia Iulia Carnica, sita paulo supra Osopum et Ragonia, versus cacumen Alpium Iuliarium, ut apparet in Fortunato Venantio; quadriginta millibus passum Italicorum inferius versus Austrum, sita est ad Natisonem civitatis Foroiulii, nunc Cividad, Alboini tempore villa obscura, postea, castro Iuliensi iam diruto, crescens et ducatus caput factum [...]" (Paul. Diac., Hist. Lang. II .9)

Curiosamente è però proprio la lettura di questa fonte a fornire il pretesto per riaprire la controversia, in quanto la sua cronaca diventa oggetto di fraintendimento nelle ricostruzioni storiche proposte dagli umanisti quattrocenteschi; nell'episodio riportato da Giustinian a proposito della devastazione di Zuglio, tanto profonda "di modo ch’ella non fù più mai rifatta", va infatti letto il mito della distruzione del castrum foroiuliense durante l'assedio del 610 d.C., raccontato da Paolo Diacono (Diacono, IV, 37). Fu proprio in seguito a queste vicende che la città passò a chiamarsi Civitas Forumiuliana, e la formula Forum Iulii andò a definire territori sempre più estesi fino a coincidere con l'intera regione. In questo contesto si possono pertanto comprendere le radici dell'ostinazione con cui veniva rivendicata l'identificazione con Forum Iulii, che emerge chiaramente nel De Vetustate quando l'autore non manca di sancire il ruolo cruciale di Zuglio nella nascita dell'appellativo, affermando che "il nome della città fu poi dato alla provincia; et s'è chiamata la patria del Friuli".

Il medesimo racconto dell'assedio degli Avari tratto dall'Historia Langobardorum offre anche a Sabellico l'occasione per esprimere una posizione, seppur equivoca, sull'argomento: nella sua breve storia del Friuli solleva l'obiezione "dimostri Paolo Diacono che ha scritto queste pagine, in che modo Cividale, di cui financo le vestigia dovrebbero essere scomparse e che invece al presente è ancora tra le città più popolose della Patria, possa essere identificato con il Forumiulium distrutto dagli Avari!" (Sabellico, De vetustate, C.L29R). Già nel primo libro aveva contestato che si potesse riconoscere in Cividale la Forum Iulii citata da Tolomeo, e aveva fornito come alternativa proprio "un'antichissima città fortificata, che gli abitanti del posto chiamavano Iulium e Plinio Carnicum Iulium"; la sua non suona però come una proposta plausibile, ma piuttosto come una provocazione, tanto che, subito dopo aver insinuato il dubbio, la ritratta prontamente osservando che la collocazione di Zuglio "in mezzo alle Alpi" non corrisponde a quella del Foroiulio "ai piedi delle montagne".

Quello che potrebbe sembrare un semplice e ingenuo errore interpretativo, sottende già interessi politici e culturali più complessi; la polemica va infatti inquadrata nella più ampia rivalità tra Udine e Cividale. A partire dalla fine del secolo uscente era infatti emersa con violenza la questione dei rapporti tra le due città, incrinatisi fin dalla prima metà del Duecento per il trasferimento della sede patriarcale da Cividale a Udine. Ad inasprire ulteriormente la situazione, nel corso della storia dell’autonomia politica del patriarcato di Aquileia, Cividale si schierò dalla parte dell’impero asburgico, mentre Udine entrò nella sfera di influenza di Venezia; la lotta che ne derivò per l'annessione del territorio ai rispettivi domini perdurò durante l'occupazione veneziana sotto forma di rivendicazioni sul diritto di precedenza delle due città. In quest’ottica assume caratteri di vasta portata il problema del riconoscimento di Forum Iulii, dal momento che la svalutazione di Cividale e l'esaltazione di Zuglio, in area veneta, rappresentarono un contraltare alla presenza di Aqui­leia in parte Imperi.

Non è perciò un caso che siano proprio Giustinian e Sabellico a farsi portavoce di questa interpretazione. L'opera di Sabellico, che l'anno successivo alla sua composizione verrà chiamato a reggere la scuola veneziana di S. Marco assurgendo in breve tempo al ruolo di storico ufficiale della Repubblica, nasce proprio dalla volontà di nobilitare Udine, dopo dieci anni di permanenza nel capoluogo friulano da cui aveva ricevuto l'invito all'insegnamento. Per quanto riguarda Giustinian, è utile notare che lo studioso, uno dei rappresentanti più colti e attivi della classe politica veneziana di quei tempi, meditava di comporre nella sua monumentale opera una sinte­si delle ragioni che erano alla base del destino di Venezia, per cui il rapporto con le antichità, anche nel caso di Zuglio, va inteso come riflessione sulla nascita di Venezia nell’ambito della crisi dell’impero romano e dell’Italia in parti­colare.

Il passo quattrocentesco di Giustinian presumibilmente fornisce anche un'importante testimonianza relativa alla basilica paleocristiana appartenente a una fase alto medievale, che costituisce, insieme a una Basilica absidata, il complesso di Basilicae geminae scoperte durante gli scavi Ottocenteschi in località Ciampon, subito fuori le mura del municipium, i cui resti sono databili tra la fine del IV secolo d.C. e l’inizio del V secolo d.C. (Moro 1956, 89-104; Menis 1976, 386 s.; Mirabella Roberti 1976, 94-95)L'autore racconta che a Zuglio vi è ancora “una chiesa famosa, dove si veggono di belli mattonati lavorati alla mosaica et pietre appresso la chiesa intagliate di lettere grandi et antiche”.

Maurizio Buora (2001) ha avanzato una proposta per riconoscere il manufatto in questione, confrontando il testo quattrocentesco con un passo tratto dal De Antiquitatibus carnie libri quattuor del 1559; in quest'opera Fabio Quintiliano Ermacora rende nota una serie di identificazioni e rinvenimenti di reperti archeologici avvenuti nella zona, che diedero vita a un intenso fenomeno di collezionismo privato, e tra questi accenna al ritrovamento di un'epigrafe nel vestibolo della chiesa di San Leonardo.

"[...] Gli abitanti di Zuglio anche ai nostri tempi hanno estratto frammenti colorati di pavimenti e pezzi di colonne di marmo. Sono state rinvenute anche urne nelle quali gli antichi riponevano le ceneri dei defunti e anche molti sepolcri ricavati da certi grandi sassi. Ancora molte vestigia dell'antichità esistono nel villaggio di Giulio, così tra le altre un certo sasso che si trova nel vestibolo della chiesa di S. Leonardo(...) (e) un'altra lapide, trasportata a Venezia(...). Un altro sasso, portato da Giulio, è murato nella casa di Giuseppe Gottardis(...). Inoltre molte vestigia di quel villaggio o son perite per consunzione di vecchiaia oppure sono state in altro modo trafugate per negligenza degli abitanti. (Libro I) [...]" (Fabio Quintiliano Ermacora, 1559, De antiquitatibus Carnieae libri quattuor)

Secondo lo studio di Buora la chiesa parrocchiale di S. Leonardo, nominata da Ermacora, sarebbe la chiesa famosa visitata da Giustinian un secolo prima. L'identificazione troverebbe fondamento nel fatto che San Leonardo, allora dotata di vestibolo, aveva un nucleo quattrocentesco eretto sopra murature più antiche, probabilmente romane. La sua collocazione, poco discosta dall'area del Foro, a nord ovest di esso, giustifica la presenza di monumenti epigrafici di grande rilievo, come quello del Tempio di Beleno, qui inseriti secondo una prassi che nell'Italia settentrionale e in Europa si diffuse nel periodo romanico.

Tuttavia, dall'esame dei testi, non appaiono chiari elementi di identificazione tra gli edifici trattati dai due autori, mentre si riscontrano analogie tra la descrizione di Giustinian e le consistenze della Basilica cimiteriale, di cui i disegni ottocenteschi e le relazioni fotografiche degli anni Quaranta documentano il pavimento musivo; questa osservazione renderebbe plausibile l'ipotesi che il manufatto fosse ancora visibile agli inizi del XV secolo.

Se così fosse, non si sarebbe comunque conservato per molto tempo, almeno secondo quanto emerge dalla panoramica che Jacopo Valvason da Maniago offre su quanto restituisce la struttura urbana di Zuglio dopo alcuni decenni; nella Descrittione della Cargna del 1565 racconta che "a questi tempi si vede solo una chiesa sul monte, e di sotto alcune poche case di villa".

Con quest'opera il letterato promuove un'importante evoluzione delle ricerche documentarie, in quanto prende in esame un numero maggiore di fonti antiche rispetto a quelle citate dagli eruditi quattrocenteschi a proposito di Zuglio, inserendo nel suo resoconto anche Tolomeo e l'Itinerario Antonini (Imperatoris Antonini Augusti Itineraria Provinciarum et Maritimum).

"[...] Giulio carnico per fino al presente ritiene il nome di Giulio, di cui fanno menzione Tolomeo e Plinio, riponendolo nei Carni tra l'Italia e il Norico, e Antonio li mette trenta miglia sopra Tricesimo, come è ancora. A questi tempi si vede solo una chiesa sul monte, e di sotto alcune poche case di villa. La chiesa si chiama S. Pietro, dov'è un preposito con otto Canonici, che ivi non fanno più residenza. Quivi sono ancora i vestigi del castello che era sul monte e del borgo situato nel piano, il quale fu fabbricato da que' Romani che rimasero alla custodia di quelli passi...Qui si trovano pezzi di musaichi, medaglie d'ogni sorte e i vestigi di un acquedotto in metallo, con molti epitafij Romani in marmori del paese, che sono stati trasportati parte in Tolmezzo et parte in Friuli e di questi n'ho veduti due nel castello di Colloretto e tre in Udine, i quali si registrano qui dietro. Dalli detti epitafij si comprende esser stato in quel luogo un tempio di Ercole, come un simile al quale era quello d'Apolline Belleno nella chiesa della Beligna in Aquilegia” (Jacopo Valvason di Maniago, 1565, Descrittione della Cargna)

Grazie a queste testimonianze Valvason propone la localizzazione "Giulio carnico nei Carni tra l'Italia e il Norico", rielaborando una combinazione ibrida tra i testi dei due storici citati; Tolomeo in effetti non include Iulium Carnicum fra le città carniche, come fa Plinio, ma la pone alla fine del lungo elenco di centri norici, Μεταξὺ δὲ, Ἰταλίας καὶ Νωρικοῦ (Ptolom. II, 13, 4).

Le fonti che ha a disposizione gli permettono comunque di determinare con precisione l'ubicazione di Iulium Carnicum e conseguentemente di identificarla con Zuglio, la cui distanza da Tricesimo corrisponde alle XXX miglia indicate nell'Itinerarium Antonini (Itin. Ant. 279. 2-7, 42).

CIL V, 1832

CIL V, 1833

La testimonianza di Valvason è di grande interesse anche perché restituisce un'immagine nitida del fervore che agitò il collezionismo di reperti archeologici provenienti dalla città di Zuglio, durante i primi decenni del Cinquecento. Per quanto riguarda il castello di Colloredo, dove afferma di aver visto due "epitaphi Romani iuliensi," bisogna tenere presente che il nome si riferisce ai proprietari e non al luogo. Si tratta infatti del castello di Susàns, di proprietà dei Colloredo, in cui erano collocate le iscrizioni ora registrate al CIL (CIL, V, 1832; CIL, V, 1833).

A questo si deve aggiungere anche la casa dei Colloredo di Udine, dove si trovava un'altra iscrizione (CIL, V, 1830) con dedica al tempio di Ercole, citata nella Descrittione della Cargna. Paolo Ramusio, in una lettera del 1583, conferma la posizione della lapide proprio sotto il portico del palazzo dei Colloredo e dichiara di averla chiesta e ottenuta dal proprietario Curtio Colloredo: sarebbe così documentato il primo spostamento della pietra a Venezia, dove viene vista da Fabio Quintiliano Ermacora (terminem post quem 1583 e terminus ante quem 1598, anno della morte).

Sia Valvason, sia Ramusio, sia Ermacora ne riconoscono però la provenienza dalla città di Zuglio, che sarebbe confermata anche da Gian Domenico Bertoli nel 1739, sulla base della lettura di una pagina di Enrico Palladio degli Olivi (1659). Secondo Giuseppe Furlanetto (1837) nel 1616 il testo dell’epigrafe viene pubblicato da Iano Grutero, che la vede a Padova. Il testo riportato da Grutero viene trascritto anche da Bertoli in Antichità d’Aquileia, ma la frammentarietà dell’opera di Bertoli non consente di determinare la collocazione della lapide in quell’anno.

Notizie di una attuale collocazione nel Museo d’Este, dopo essere passata a Venezia e a Padova, vengono da Furlanetto nel 1837, che pubblicò, su comunicazione di Asquini, con cui era in contatto, anche una copia del promemoria e della lettera di Paolo Ramusio. Di questi ultimi si trova comunque traccia ben 55 anni prima, in uno scritto dello stesso Asquini ad Aurelio Guarnieri Ottoni del 1782. Panciera 1970 lo considera come un dato che farebbe propendere per la veridicità dell'informazione, al contrario di Mommsen secondo cui "haec ut videntur vera esse, tamen nituntur fide Asquini minime firma".

CIL V, 1830

[s]ex(tus) erbonius sex(ti) et sex(ti) l(ibertus) fron[to],/[-]regontius primi et genti l(ibertus) iucu[ndio vel -us],/[s]ex(tus) votticius argentil(li) l(ibertus) amor,/[t(itus)] titius t(iti) l(ibertus) philemon,/[sex(tus) erbonius sex(ti) l(ibertus) philogen[es],/[-]gavius philemonis l(ibertus) hilario,/[l(ucius) regontius l(uci) l(ibertus) stepanus,/[-]mulvius ditionis l(ibertus) senecio,/[l(ucius)] gavius l(uci) l(ibertus) gratus,/[hi]larus vetti t(iti) ser(vus),/[m]agistri aedem herculis d(e) s(ua) p(ecunia) t[- - - ?],/[se]x(to) erbonio sex(ti) l(iberto) diphilo,/[m(arco)] quinctilio m(arci) l(iberto) donato,/mag(istris) vici. (Dedica al tempio di Hercules)

L'iscrizione, che elenca una serie di liberti e schiavi, definiti espressamente come magistri, da intendersi in quest'epoca come addetti al culto presso il tempio, dimostra che il culto di Ercole nella zona era ampiamente attestato. Sulla base di questa epigrafe, Girolamo Asquini confezionerà un probabile falso epigrafico dedicato a Hercules Invictus (CIL, V , 58), finalizzato a valorizzare le origini romane di Zuglio.

Questo atto, peraltro non isolato, si può comprendere a fondo solo alla luce del panorama culturale in cui fu attuato. Dalla seconda metà del XVII secolo si registrò un importante fenomeno di ripresa e rinnovamento della scienza antiquaria a cui parteciparono anche gli intellettuali friulani, e il cui approccio vide una lunga evoluzione, finchè alla metà del Settecento “l'interesse per le fonti monumentali e epigrafiche aveva preso ormai il sopravvento su quello per le fonti letterarie” (Panciera 1970, 13). In questo mutato contesto Zuglio continuò a offrire un modello interessante, restituendo un grande numero di lapidi (alcune delle quali si possono ancora vedere murate nelle sue case) e di resti archeologici. All'interno diatriba che seguiva a trascinarsi tra Zuglio e Cividale, il continuo ritrovamento di reperti divenne ulteriore occasione di un uso spregiudicato delle fonti, che si tradusse in alcuni casi in falsi epigrafici, confezionati a favore della sue origini illustri.

Per quanto riguarda Iulium Carnicum tra gli studiosi più rappresentativi possiamo annoverare Gian Giuseppe Liruti (1689-1780), il barnabita Angelo Maria Cortenovis (1727-1801) e il più giovane Girolamo Asquini (1762-1837).

Nell'opera De Iulio Carnico del 1760 Liruti (1741, 273-370), oltre a raccogliere e registrare tutte le iscrizioni note, si sforza di sostenere l'antichità e l'importanza di Zuglio a discapito di Cividale, per la quale viene quasi negata la fondazione in epoca romana.

All'interno di questa disputa sulla romanità di Cividale resterà isolata la voce di Michele Della Torre, il quale già agli inizi del 1700 aveva dimostrato, servendosi dei materiali epigrafici, che Cividale era l'antica Forum Iulii, annoverata da Tolomeo fra le colonie carniche insieme ad Aquileia e Concordia, nonostante quest’ultima si trovi ad occidente del Tagliamento, usato da Tolomeo (Ptol. II, 13.4) come punto di riferimento per circoscrivere il territorio carnico.

In questo contesto culturale Asquini scelse di battersi per Iulium Carnicum, con metodi disinvolti e poco ortodossi, che lo portarono a creare e diffondere invenzioni epigrafiche a sostegno delle proprie teorie: questo sforzo emerge con evidenza nell'opera Del Forogiulio dei Carni e di quello d'altri popoli transpadani, in cui, con il supporto del suo epistolario, usa il corpus epigrafico conosciuto, insieme a quello da lui inventato, a sostegno delle origini illustri di Zuglio. Lo studioso arriva ad accusare Della Torre di aver tolto "non senza grave errore al vero Forogiulio le sue iscrizioni" in favore della "sua colonia di Cividale" (Asquini 1827, 8). Una delle tesi che cerca di dimostrare attraverso questo metodo (Asquini 1827, 19), è infatti l'esistenza della COLonia IUlia KARnorum, come unico centro romano di rilievo costituito a nord di Aquileia. A tale scopo pubblica il CIL 1842.

In questo senso è interessante notare che l'unica attestazione esplicita del toponimo Iulium Carnicum preceduto dall'identificazione colonia si trova in un epitafio oggi disperso, tradito da Ciriaco D'Ancona (Panciera 1970, 118), che non ebbe nessuna circolazione fino al momento in cui Asquini venne in possesso del Codice Ciriacano Parmense. Fu proprio lui a donare il manoscritto a Ramiro Tonani prima del 1820, e lo segnalò a partire dal 1823 nella raccolta del suo amico Pietro Vitali, dalle cui mani passò alla Biblioteca Palatina di Parma, dove si trova tuttora (Panciera 1979, 33). Secondo l'udinese la copia presente nel codice si dovrebbe a un illustre viaggiatore del XV-XVI secolo, e il testo della lapide sarebbe stato anche annotato a margine di una versione italiana della Geografia di Tolomeo del 1561 da Giovanni Battista Leoni, il quale scriveva “questo è Iulium Carnicum Colonia, come si legge in questa antichissima Inscriptione, che si vede murata nel basso d'una casa in Zuglio” (Asquini 1827, 55). Si tratta dell'iscrizione del decurione e duoviro giurisdicente M. Volumnius Urbanus (come si ricava dall'integrazione del testo CIL, V, 1842 <M(ARCUS) VOLUMNIUS URBANUS>).

d(is) m(anibus)/m(arcus) volumnius/m(arci) f(ilius) cla(udia)/urbanus,/dec(urio) col(oniae) iul(ii) kar(nici),/iivir i(ure) d(icundo)./m(arcus) volumnius / ardeatinus patrono/b(ene) m(erenti) et iuliae/iucundae, uxori/karis(simae). (Epitafio di M. Volumnius Urbanus, duoviro e decurione della colonia di Iulium Carnicum)

Asquini la pubblicò (Asquini 1827, 5) seguita da un'altra di simile contenuto ma di dubbia autenticità, che apre uno ampio paragrafo sulle sue presunte falsificazioni. Si tratta di un'epigrafe inedita (CIL, V, 61), "barbaramente tagliata ai due lati, che serviva posta al rovescio di riquadro alla finestra d'un povero abituro in Zuglio" (Asquini 1827, 4-6), che contiene una dedica alle Ninfe Auguste da parte di Sesto Erbonio Decurione della Colonia Carnica.

(n)ymph(is)/(a)ugust(is)./(se)x. erbon(ius)/(se)x. f. fest(us)/(de)c(urio) col k(ar)/ (aq)uam fon(tis)/(clu)dendam (con)/(ca)meranda(mq)/(c)ur idem (que)/(d)edicavi(t) (Epitafio di Sesto Erbonio, decurione della colonia di Iulium Carnicum)

Secondo Asquini sarebbe stato il Siauve a comunicargliela il 19 Dicembre 1808, nell'anno stesso in cui fu restituita dagli scavi che aveva intrapreso; la lettera manca però tra quelle conservate, e, nonostante l'epistolario abbia effettivamente delle lacune tra il 20 ottobre 1808 e il 10 febbraio 1811, è comunque sintomatico che non compaiano cenni di un ritrovamento tanto importante in nessun altro dei suoi scritti o nelle schede Zuccoliane. Secondo Panciera (Panciera 1970, 70) il testo poterebbe essersi conformato a CIL, V, 1842 per il gentilizio del dedicante, e per la nomina della colonia a CIL, V, 1843, insieme al quale viene pubblicato. L'epigrafe non è considerata vera da Mommsen (CIL V, 81 n. 24), che segue il principio di considerare inattendibile qualsiasi reperto segnalato dalla sola voce di Asquini. La credibilità del lavoro di Asquini si incrina radicalmente proprio a partire dall'edizione della prima parte del volume V del CIL, in cui per la prima volta Mommsen mette in discussione l'attendibilità delle sue ricerche, di cui nel passato non si era mai dubitato. Pur riconoscendogli un ruolo nell'aver reso note numerose iscrizioni autentiche, lo accusa apertamente di falso, e spiega il severo giudizio nei confronti delle testimonianze da lui fornite dichiarando che "ut auctor et eruditior et ingeniosior quam solent esse falsarii vulgares non ita facile deprehendatur et adhuc plane latuerit" (CIL V, 81, c. XXIV).

L'attitudine alla contraffazione così descritta dallo studioso tedesco, si manifesta ancor più clamorosamente in un altro passo del asquiniano, in cui l'autore persegue l'ambizioso progetto di dimostrare le origini Iuliensi del noto personaggio romano Gaio Cornelio Gallo. Asquini aveva già introdotto questa figura, nella presentazione all'epigrafe di Volumnius Urbanus, che risultava pubblicata tra le note di Quirico Viviani all'Egloga X, dedicata da Virgilio proprio al suo grande amico e primo Prefetto dell'Egitto Cornelio Gallo. Non sorprenderà che dal commento di Viviani (Viviani 1824, 233) quest'ultimo risulti originario "della colonia Giulia-Carnica o Forogiuliese, ora Zuglio". Asquini (ASQUINI 1827, 39) ricostruisce a conferma della sua ipotesi "il piccolo stemma gentilizio della famiglia che gli è riuscito di poter cavare dalle iscrizioni di Giulio carnico donde ebbe i suoi natali".

Girolamo Asquini, Albero genealogico di Cato Cornelio, 1830

Si tratta di sei epigrafi, di cui quattro pertinenti al territorio di Zuglio e catalogate tra le false da Mommsen, in quanto conosciute solo dall'Asquini (CIL, V, 65; CIL, V, 69), o note da un suo corrispondente qui habuit sine dubio ab eodem Asquinio (CIL, V, 58; CIL, V, 62); tra le due rimanenti una, proveniente da Aquileia (CIL, V 742), sembrerebbe autentica, mentre la più significativa, romana (CIL, VI, 3513), conterrebbe nel testo un'interpolazione.

c. cornelvs/c. f. gallvs/carnicvs/trib. milit.

[Dal CIL] invece risulta:

c(aius) cornelius/c(ai) f(ilius) gal(eria)/ cornutus/trib(unus) milit(um)

Asquini infatti, alla terza riga, rifiuta per sua stessa ammissione la versione CORNUTUS di Carlo Cesare Malvasia, che sarà quella proposta anche da Mommsen, e la revisione di Ludovico Antonio Muratori CARNUT, in favore della lettura CARNICUS più congeniale per comprovare le sue idee.

Girolamo Asquini, Iscrizione (CIL V, 58), in Donati 1991

Un'attenzione particolare va dedicata alla dedica a Ercole Invitto da parte di Cornelio Secondiano (CIL, 58), veterano dell'VIII coorte pretoria, che compare in questo curioso ciclo come consanguineo di Cornelio Gallo; si tratta di un "ara votiva [...] scoperta la primavera dell’anno 1820 in Giulio Carnico, ora Zuglio, nella Carnia del Friuli, nel rifare le fondamenta di una vecchia casa situata nella sponda del Fiume But, nel luogo comunemente detto la basilica. Essa è di marmo bianco del paese". La prima segnalazione della lapide venne fatta da Asquini a Pietro Vitali in un'epistola del 1822 così introdotta: “poche righe in fretta per mandarle il disegno dell'Ara Votiva ad Ercole Invitto scoperta in Giulio Carnico, che riceverà unito alla presente”, nota da una copia del Fondo Bartolini di Udine (Panciera 1970, 68; Donati 1991, 709-710). L'originale, recuperato insieme ad altre lettere inedite presso l'autografoteca Campori della Biblioteca Estense di Modena, conserva l'allegato contenente il disegno dell'ara e le informazioni sul suo rinvenimento da cui si ricava che il rilievo del monumento sarebbe stato eseguito da Don Lorenzo Linusso di Tolmezzo (Donati 1991, 709-710).

herculi invicto/sacr(um)/l(ucius) cornelius l(uci) f(ilius)/cla(udia) secondianus,/ vet(eranus) coh(ortis) viii praet(oriae)/ ((centuria)) pontis,/pro salute sua et/valeriae madiae,/contubern(alis) suae,/v(otum) s(olvit) l(ibens) m(erito). (Dedica ad Hercules Invictus da parte del veterano L. Cornelius Secondianus)

Mommsen ritiene il testo non autentico per la sola ipotesi di derivazione dall'Asquini; lo storico berlinese lo conosceva infatti da una comunicazione del 1826 a Orelli da parte di Giovanni Labus, al quale era stata inviata nello stesso anno da Asquini. Anche Panciera (Panciera 1970, 67-69) afferma di non poterne provare l'autenticità, a causa dei nomi della donna Madia, e della centuria, Pontis, che per Asquini stava ad indicare la mansione di Secondiano destinato alla guardia d'un Ponte (Asquini 1827, 51; cfr CIL, VI, 31946a). La genuinità della lapide viene d'altra parte rivalutata da Fulvia Mainardis (Mainardis 2008, 97-99), secondo la quale tale dedica costituisce un'importante testimonianza della continuità, anche in epoca imperiale, del culto del dio, nonostante i dubbi sollevati in merito al cognome della donna, di origine carnica, ma non documentato nel mondo antico.

È interessante notare che, alcuni anni prima dell'apparizione di questa dedica, nel 1811, furono rinvenuti alcuni frammenti di una statua colossale di Ercole, probabilmente appartenente a un tempio la cui esistenza era attestata da un'iscrizione nota fin dal Cinquecento (CIL, V, 1830). Secondo lo studio di Donati (1991, 710), un santuario dedicato ad Ercole perciò fu certamente importante a Iulium Carnicum, e se da una parte in questo contesto potrebbe trovare fondatezza la veridicità dell'iscrizione in questione; allo stesso tempo questi dati, insieme alla presenza, nello stesso luogo, di un altro veterano dell'VIII coorte pretoria, potrebbero aver suggerito all'erudito lo spunto per la creazione del suo artefatto: si sarebbe infatti potuto ispirare al testo citato dell'epigrafe funeraria di M. Iuventius Oclatus (CIL, V, 1840). CIL, V, 1840 è ora dispersa, già segnalata come soluzione di reimpiego da Ermacora in un angolo della chiesa parrocchiale di Tolmezzo e da Valvason nella Pieve di Santa Maria di Strabut, e probabilmente rinvenuta in una delle necropoli romane lungo la strada che scendeva da Iulium Carnicum.

m(arcus) iuventius/m(arci) f(ilius) cla(udia)/oclatus, vet(eranus)/coh(ortis) viii pr(aetoriae),/t(estamento) f(ieri) i(ussit) sibi.

Questi metodi poco ortodossi hanno a lungo pesato sulla fama e sulle sue opere di Asquini, ma per comprenderli e per restituire un profilo più obiettivo del suo lavoro, è necessario contestualizzarli alla luce della sua vita e della situazione politica che caratterizzavano l'intero Friuli in quegli anni.

Molti dei falsi che gli sono stati attribuiti nei secoli scorsi, sono stati infatti rivalutati (Panciera 1970); le sue contraffazioni sarebbero da circoscrivere a un determinato periodo, quello dell'anzianità, successivo alla scomparsa di Angelo Maria Cortenovis, archeologo e numismatico che gli fu maestro, e a una precisa città, Iulium Carnicum. Il modus operandi spregiudicato dello studioso fu piuttosto comune nell'ambiente culturale della sua epoca, in cui è spesso mancato lo spirito critico verso le fonti, utilizzate per essere piegate alle idee di un singolo o di una corrente di pensiero.

E' evidente che tutte le indagini che riguardavano il sito furono da subito fortemente condizionate dalla necessità di rivendicare alla regione un'identità, che veniva rintracciata proprio nelle sue radici imperiali. Era questa un'ambizione nutrita dall'intero Friuli, fin dalla sua annessione alla Serenissima, che lo ritrovava relegato ai confini del dominio Veneziano e dell'Italia intera.

Nel caso di Zuglio pesarono ancora di più i condizionamenti dell'orgoglio municipale, alimentato da un panorama culturale che viveva nella prospettiva della piccola patria: gli umanisti locali operavano indipendentemente dalle logiche nazionali, e anzi, dalle iniziative dei regimi che si succedettero, ricavavano un motivo d'orgoglio per la propria terra. Il fervore per le vestigia antiche sembrava essere ispirato inizialmente da desideri contingenti di legittimazione politica, per poi tradursi nelle teorie della speculazione antiquaria; il tema della discendenza romana nella tradizione locale fu un argomento importante nel determinare i poteri, le autonomie e i rapporti con gli stati, Venezia prima e l'Impero Austriaco più tardi.

In questa sede si è voluto indagare come questo spirito campanilistico abbia influenzato gli autori presentati nel riferire la storia di Zuglio, di pari passo alle scoperte e agli scavi si svolgevano in quegli anni. Mano a mano che si ritrovavano pezzi della città antica, tanto più gli studiosi si sentivano legittimati a proclamare nei loro testi le antiche origini di Zuglio.

Spesso queste esigenze hanno prodotto delle ricostruzioni fantasiose e bizzarre, ma nel complesso a questo momento storico va attribuito un grande merito per il progresso delle ricerche da parte degli studiosi, prima locali, poi di più ampio raggio, e per la rinascita della fortuna di Iulium Carnicum, rimasta sepolta per più di sei secoli dopo l'abbandono della sede vescovile.

Appendice. Catalogo completo delle fonti antiche e umanistiche
Fonti antiche

Strab. IV. 6. 9, p. 206 C
Μετά δὲ τούτους, οἱ ἐγγὺς ἢδῃ τοῦ Ἀδριατικοῦ, μυχοῦ καὶ τῶν κατὰ Ἀκυληίαν τόπων οἰκοῦσι, Νωρικῶν τέ τινες καὶ Κάρνοι·

Strab. IV. 6. 9, p. 207 C
Ὑπέρκεται δὲ τῶν Κάρνῶν τὸ Ἀπέννινον ὂρος λίμνην ἒχον ἐις τὸν Ἰσάραν ποταμόν, ὅς παραλαβῶν Ἂταγιν ἂλλον ποταμῶν εἰς τὸν Ἀδρίαν ἐκβάλλει. ἐκ δὲ τῆς αὐτῆς λίμνης καὶ ἂλλος ποταμὸς εἰς τὸν Ἲστρον ῥεῖ καλούμενος Α [τησ] ἶνος· καὶ γὰρ ὁ Ἲστρος τὰς ἀρχὰς ἀπὸ τούτων λαμβάνει τῶν ὀρῶν πολυσχιδῶν ὂντων καὶ πολυκεφάλων.

Strab. IV. 6. 10, p. 207 C
Καὶ οἱ Ἰάποδες δὲ ἢδη τοῦτο ἐπίμικτον Ἰλλυριοῖς καὶ Κελτοῖς ἒθνος περὶ τούτους οἰκοῦσι τοὺς τόπους, καὶ ἡ Ὂκρα πλησίον τούτοων ἐστίν.
[...] ἡ δὲ Ὂκρα τὸ ταπεινότατον μέρος τῶν Ἂλπεῶν ἐστι καθ’ ὅ συνάπτουσι τοῖς Κάρνοις, καὶ δι’ οὗ τὰ ἐκ τῆς Ἀκυληίας φορτία κομίζουσιν ἁρμαμάξαις εἰς τὸν καλούμενον Ναύπορτον, σταδίων ὁδον οὐ πολὺ πλειόνων ἢ τετρακοσίων.

Strab. V. 1. 9, p. 216 C
Τὰ μὲν δὴ πήραν τοῦ Πάδου χωρία οἵ τε Ἑνετοὶ νέμονται καὶ οἱ < Ἶστριοι > μέχρι Πόλας. ὑπερ δὲ τῶν Ἑνετῶν Κάρνοι καὶ Κενομάνοι καὶ Μεδόακοι καὶ Σύμβροι...

Strab. VII. 1. 5, p. 292 C
Ῥαιτοὶ δὲ καὶ Νωρικοὶ μέχρι τῶν Ἀλπίων ὑπερβολῶν ἀνίσχουσι καὶ πρὸς τὴν Ἰταλίαν περινεύουσιν, οἱ μὲν Ἰνσούβροις συνάπτοντες, οἱ δὲ Κάρνοις καὶ τοὶς περὶ τὴν Ἀκυληίαν χωρίοις.

Strab. VII. 5. 3, p. 314-315 C
Ἔφαμεν δ’ ἐν τῇ περιοδεία τῇς Ἰταλίας Ἵταλίας Ἴστρους εἶναι πρώτους τῆς Ἰλλυρικῆς παραλίας, συνεχεῖς τῇ Ἰταλίᾳ καὶ τοῖς Κάρνοις....

Liv. XLIII. 1.4-7
4. Alter consul C. Cassius nec in Gallia, quam sortitus erat, memorabile quicquam gessit et per Illyricum ducere legiones in Macedoniam uano incepto est conatus. 5. Ingressum hoc iter consulem senatus ex Aquileiensium legatis cognouit, qui querentes coloniam suam nouam et infirmam necdum satis munitam inter infestas nationes Histrorum et Illyriorum esse, 6. cum peterent, ut senatus curae haberet, quomodo ea colonia muniretur, interrogati, uellentne eam rem C. Cassio consuli mandari, 7. responderunt Cassium Aquileiam indicto exercitu profectum per Illyricum in Macedoniam esse. Ea res primo incredibilis uisa, et pro se quisque credere Carnis forsitan aut Histris bellum inlatum [...]

Liv. XLIII. 5.1-4, 7, 10
1. Eodem tempore de C. Cassio, qui consul priore anno fuerat, tum tribunus militum in Macedonia cum A. Hostilio erat, querellae ad senatum delatae sunt, et legati regis Gallorum Cincibili uenerunt. 2. Frater eius uerba in senatu fecit questus Alpinorum populorum agros, sociorum suorum, depopulatum C. Cassium esse et inde multa milia hominum in seruitutem abripuisse. 3. Sub idem tempus Carnorum Histrorumque et Lapydum legati uenerunt: duces sibi ab consule Cassio primum imperatos, qui in Macedoniam ducenti exercitum iter monstarent; 4. pacatum ab se tamquam ad aliud bellum gerendum abisse. Inde ex medio regressum itinere hostiliter peragrasse fines suos; caedes passim rapinasque et incendia facta; nec se ad id locorum scire, propter quam causam consuli pro hostibus fuerint. 7. Nec responderi tantum iis gentibus, sed legatos mitti, duos ad regulum trans Alpis, tres circa eos populos placuit, qui indicarent, quae patrum sententia esset. 10. Legati cum Gallis missi trans Alpis C. Laelius, M. Aemilius Lepidus, ad ceteros populos C. Sicinius, P. Cornelius Blasio, T. Memmius.

Pomp. Mela II. 59
[...] Interiora eius (scil Italiae) aliae aliaeque gentes, sinistram partem Carni, et Veneti colunt Togatam Galliam; tum Italici populi Picentes, Frentani, Dauni, Apuli, Calabri, Sallentini. Ad dextram sunt sub Alpibus Ligures, sub Appennino Etruria; post Latium, Volsci, Campania et super Lucaniam Bruttii [...]

Plin. Nat. III. 6. 38
[...] Italia dehinc primique eius Ligures, mox Etruria, Umbria, Latium, ibi Tiberina ostia et Roma, terrarum caput, XVI p. intervallo a mari. Volscum postea litus et Campaniae, Picentinum inde ac Lucanum Bruttiumque, quo longissime in meridiem ab Alpium paene lunatis iugis in maria excurrit Italia. Ab eo Graeciae ora, mox Sallentini, Poeduculi, Apuli, Paeligni, Frentani, Marrucini, Vestini, Sabini, Picentes, Galli, Umbri, Tusci, Veneti, Cari, Iapudes, Histri, Liburni [...]

Iscrizioni

CIL, V, 1838 – Dedica onoraria a C. Baebius Atticus da parte dei Saevates e dei Laianci
c(aio) baebio p(ubli) f(ilio) cla(udia)/attico/iivir(o) [i(ure) d(icundo)], primopil(o)/leg(ionis) v macedonic(ae) praef(ecto)/c(iv)itatium moesiae et/treballia[e, pra]ef(ecto) [ci]vitat(ium)/in alpis maritumis, t[r](ibuno) mil(itum) coh(ortis)/viii pr(aetoriae), primopil(o) iter(um), procurator(i)/ti(beri) claudi caesaris aug(usti) germanici/in norico/civitas/saevatum et laiancorum.

CIL, V, 1839 – Dedica onoraria a C. Baebius Atticus
[c(aio) b]aeb[io p(ubli) f(ilio) cla(udia)]/[att]ico [iivir(o) i(ure) d(icundo)], [pr(imo)pilo]/leg(ionis) v [macedonic(ae)], [praef(ecto)/ci]vitat[ium moesiae et]/[treballi]ae, pr[aef(ecto) civitat(ium)]/[in alpib(us) ma]rit[umis, tr(ibuno) mil(itum)coh(ortis)]/[viii pr(aetoriae), pr]imo pi[lo iter(um), procurat(ori)]/[tiberi claudi] caesar[is aug(usti) germanici]/in nori[co]/[- - -]mus br[.]ef[- - -] vel [- - -]aus br[.]ef[- - -],/- - - - - - ?

CIL, V, 1846 – Epitafio del duoviro C. Retinacius e della sua famiglia
[c(aius) retinacius/c(ai) f(iulius) iivir, t(estamento) f(ieri) i(ussit)./retinacia l(uci) f(ilia) secunda uxor,/retinacia l(uci) f(ilia) gaia,/l(ucius) retinacius l(uci) f(ilius) crispus.

CIL, VI, 31946a – Roma
massa pontis/veri antio/chi et par/teni vv(irorum) cc(larissimorum)/ex p(rae)p(ositis) s(acri) c(ubiculi)

CIL, V, 742 – Aquileia
beleno/aug(usto) sacr(um)/l(ucius) cornelius/l(uci) fil(ius) vel(ina)/secundinus/aquil(eia)/evoc(atus) aug(usti) n(ostri)/quod in urb(e)/don(um) vov(it)/aquil(eiam)/perlatum/libens posuit/l(ocus) d(atus) d(ecreto) d(ecurionum)

CIL, V, 59 – Falsae
(h)erculi sancto/sacrum/m. ogius l. f. para/(p)raef(ectus) collegi/(fa)br(um) et dendr(oforum)/(si)gnum cum b(a/se) marm(orea) de s(uo)/(im)perio po(suit). l(ocus) d(atus) [d(ecurionum) d(ecreto)]

CIL, V, 62 – Falsae
parcis/cornelia c. f./tallias/ex visu

CIL, V, 65 – Falsae
c. cornelio l. f./cla(udia) caeson(i)/tr(ibuno) mil(itum) a populo/praef(ecto) fabr(um) et de[ndr(ophorum)]/cur(atori) viae carn(icae)/octavia c. f. qua(rta)/uxo(r)

CIL, V, 69 – Falsae
d(is) m(anibus)/costonio/servo b(ene) m(erenti)/amn(orum) xxxii/cornelia/melines/fecit

Fonti umanistiche

Bernardo Giustinian 1482, De origine urbis Venetiarum rebusque eius ab ipsa ad quagrigentesimum usque annum gestis historia, libro VII
[...] Ruinò da fondamenta la terra, di modo ch’ella non fù più mai rifatta; ma non si trova anco con vestigi, ò memorie più certe dove ella fosse giamai. Se non che essendo andato io con carico d’ambasciatore in quella provincia, maravigliandomi, che fossero spenti tutti i vestigi di così nobil città, mentre io ne domandava gli habitatori del loco, finalmente fù ritrovato nell’entrar delle Alpi poco sopra Tulmetio, un borgo, ch’è ancora una chiesa famosa; dove si veggono di belli mattonati lavorati alla mosaica et pietre appresso la chiesa intagliate di lettere grandi et antiche. Domandando io il nome del loco et essendomi risposto Zuglio finalmente intesi quello essere il loco ch’io cercava et corrotto il nome chiamarsi Zuglio per Giulio. Questa è cosa certa col testimonio ancora di Plinio; che Giuliensi sono popoli dè Carni, ò confini à i Carni. Il nome della città fu poi dato alla provincia; et s’è chiamata la patria del Friuli. Non ho dovuto tacere queste cose ch’io ho veduto e udito siccome di cosa antica et oscura fin’attanto che forse si ritroveranno vestigi più certi di questa terra.

Marc'Antonio Sabellico, 1498, De vetustate Aquileiae
[...] Quod autem Iulienses fuerunt Norcis et Carnicis paene mixti id argumentum est quod nunc quoque oppidi vetustissimi vestigia in Carnis extant quem locum proximi incolae Iulium dicunt Plinius vero quod superiore libro ostendimus Iulium Carnicum vocat Iuliensesque ipsos Carnorum gentem esse affirmat.

English abstract

The paper aims to examine the gradual rediscovery of Zuglio, ancient Iulium Carnicum, and the increasing interest on its roman origins, which developed between the Middle Ages and the 19th century. The issue has been conducted analyzing texts, both epigraphic and literary, that together with the archaeological remains allow us to reconstruct the historical and architectonic evolution of the city. The Roman origins of Zuglio have been used as a legitimizing instrument for a regional identity. In fact, ancient sources and inscriptions, that will be examined, were often ‘manipulated’ within a cultural local frame during different historical and political contexts.

 

keywords | Zuglio; Iulium Carnicum; Archeology; Roman Empire; De origine urbis Venetiarum.

Riferimenti bibliografici
Fonti antiche
  • Itinerarium Antonini
    Itineraria Antonini Augusti et Burdigalense vol I, a cura di Otto Cuntz, Stutgardiae 1990.
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    Fortunatus Venantius Honorius Clementianus, Vita di San Martino di Tours, a cura di Giovanni Palermo, Roma 1995 Auctores Antiquissimi,Venanti Honori Clementiani Fortunati presbyteri italici Opera poetica recensuit et emendavit Fridericus Leo, vol 4,1, in Monumenta Germaniae Historica, Apud Weidmannos, 1981.
Fonti umanistiche

Le principali fonti umanistiche e moderne che sono state prese in esame sono: Bernardo Giustinian, De origine urbis Venetiarum rebusque eius ab ipsa ad quagrigentesimum usque annum gestis historia, libro VII, testo originale del 1482, ripubblicato nel 1534 a cura di Antonio Brucioli, Venetiis; Marc'Antonio Sabellico, De vetustate Aquileiae, libri 6, in Opera Marci Antonii Sabellici: quae hoc volumine continentur, pubblicato da Albertino da Lessona, Venetiis 1502; Fabio Quintiliano Ermacora, Sulle antichità della Carnia: libri quattro, volgarizzati da G. B. Lupieri, del 1559; Jacopo Valvason di Maniago, Descritttione della Cargna del 1565; Enrico Palladio degli Olivi, Rerum ForoIuliensium ab Orbe condito usque ad an. Redemptoris Domini nostri 452 libri undecim, Udine, 1659; Johannis Joseph Liruti de Villafredda, De Julio Carnico nunc Zuglio in Carnis Forojuliensibus dissertatio, Venezia 1741, 273-370.

Fonti moderne
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    G. Asquini, Del forogiulio dei Carni e di quello di altri popoli transpadani. Lettera del Conte Girolamo Asquini, membro dell'accademia d'agricoltura, commercio ed arti... al chiarissimo Conte Cintio Frangipane, Verona 1830.
  • Asquini 1830
    G. Asquini, La giardiniera suonatrice o sia Ilustrazione di un antico sepolcro scoperto in Osopo nel territorio della colonia Giulia Carnica capitale del vero, e antico Forogiulio, Verona 1830.
  • Bandelli, Fontana 2001
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    M. Buora, L’attenzione per le antichità di Zuglio dal rinascimento al neoclassicismo, in G. Bandelli, F. Fontana (a cura di), Iulium Carnicum: centro alpino tra Italia e Norico dalla protostoria all’età imperiale. Atti del convegno (Arta Terme - Cividale 29-30 settembre 1995), vol. 13, “Studi e ricerche sulla Gallia cisalpina”, Roma 2001, 211-230.
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  • Cavalieri, Manasse 2001
    G. Cavalieri Manasse, L’imago clipeata di Iulium Carnicum. Aggiornamento, in G. Bandelli, F. Fontana (a cura di), Iulium Carnicum: centro alpino tra Italia e Norico dalla protostoria all’età imperiale. Atti del convegno (Arta Terme - Cividale 29-30 settembre 1995), vol. 13, “Studi e ricerche sulla Gallia cisalpina”, Roma 2001, 319-348.
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    M. Mirabella Roberti, Iulium Carnicum centro romano alpino, in Aquileia e l’arco Alpino orientale. Atti della VI settimana di studi aquileiesi (25 aprile - 1 maggio 1975), “Antichità Altoadriatiche”, 9 (1976), 91-101
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    P. M. Moro, Iulium Carnicum (Zuglio), Roma 1956.
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    S. Panciera, Un falsario del primo Ottocento: Girolamo Asquini e l'epigrafia antica delle Venezie, Roma 1970.
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    Q. Viviani, La bucolica di Virgilio tradotta e illustrata da Quirico Viviani colla giunta d'una tavola di varie lezioni tratte da due antichi codici manoscritti e del catalogo de' traduttori italiani”, Udine 1824.
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    P. Zanovello, Notizie storico-topografiche, in G. Cavalieri Manasse (a cura di), Il Veneto nell'età romana. Note di urbanistica e di archeologia del territorio, vol. II, Verona 1987, 443-444.

Per citare questo articolo / To cite this article: M. Iridio, S. Spinazzè, Iulium Carnicum. Dalle fonti umanistiche alle origini di Iulium Carnicum, “La Rivista di Engramma” n. 106, maggio 2013, pp. 26-46 | PDF