"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

Architetture per fascistizzare i caduti in guerra: gli ossari di Oslavia e di Redipuglia*

Paolo Nicoloso

English abstract

La costruzione fascista dell’identità nazionale avviene manipolando la memoria collettiva, sia antica, sia recente. Grandi architetture identitarie a carattere funerario vengono costruite a iniziare dai primi anni trenta nel nord-est del paese a ricordo della Grande Guerra. La più imponente di queste è l’Ossario di Redipuglia sul Carso. Adagiato sul declivio di un monte, il monumento è composto da 22 gradoni di pietra, ognuno alto oltre 2 metri, largo 12, lungo circa 100, coronato dalla scritta “Presente” ripetuta migliaia di volte. Sulle pareti verticali dei gradoni ci sono le lastre di bronzo con i nomi dei caduti. L’ossario ne accoglie quarantamila, mentre i resti di altri sessantamila soldati rimasti ignoti sono raccolti in due tombe, incastonate sul gradone più alto. Tre croci nude concludono l’ascesa.

Giovanni Greppi e Giannino Castiglioni, Ossario di Redipuglia

I progettisti dell’ossario sono due artisti milanesi, l’architetto Giovanni Greppi e lo scultore Giannino Castiglioni. Erano stato chiamati a Redipuglia nel 1935, a disegnare non il nuovo ossario, ma la sistemazione del vecchio cimitero ivi esistente, allora il più importante d’Italia per numero delle salme. Nell’immediato dopoguerra, su una collina chiamata la 'Montagnola', erano stati infatti raccolti i resti di ben trentamila soldati caduti in diverse zone del Carso, di cui solo cinquemila riconosciuti. In cima alla collina, dall’impianto ascendente e concentrico, era stata costruita una cappella, voluta da Emanuele Filiberto di Savoia, duca di Aosta. Questo camposanto, chiamato il Cimitero degli Invitti, fu inaugurato il 24 maggio 1923 alla presenza del re, di Gabriele D’Annunzio e di Mussolini, da poco assunto alla carica di primo ministro.

Caratteristica principale del Cimitero degli Invitti era di evidenziare il legame con il campo di battaglia. Il carattere distintivo ed evocativo era affidato alle epigrafi e agli oggetti – elmi, frammenti di granate, borracce, cesoie, gavette, fili spinati, stufe, giberne – che richiamavano il combattimento, la morte incombente, la fatica della vita in trincea. Il luogo era principalmente espressione di una pietistica ingenua e popolare, adatta a un esercito di reduci e di familiari in visita alle tombe dei loro cari.

Cimitero degli Invitti della Terza Armata sul Colle Sant’Elia a Redipuglia

Questo cimitero comunicava un’idea di sofferenza, di disordine, di improvvisazione, di arte della sopravvivenza, che male si accordava con la mitizzazione e l’estetizzazione della guerra elaborata dal regime. Il pericolo di un messaggio distorto, quasi eretico, è avvertito da Ojetti: “Il cattivo gusto balla su questi trentamila morti la danza macabra. Scarpe, cappelli incatramati perché durino. Scudi, ricoveri, cannoni, biciclette” (Ojetti 1954). A chi visita il camposanto, sentenzia il critico, non sembra che l’Italia abbia vinto la guerra. Neppure a Mussolini questo vecchio cimitero piace, gli ricorda un "grande deposito di un ferro-vecchio" (cit. in Fiore 2001b, 239). Lì infatti, come aveva osservato Ojetti, il pietismo prevale sull'idea di vittoria. Attraverso quest’opera, così amorfa e così caotica, è difficile, se non impossibile, inculcare quei valori di eroismo e di culto della patria, di gerarchia e di ordine, di esaltazione dello scontro armato propri del fascismo. È un monumento che non è fatto per spronare gli uomini a combattere nuove guerre.

La svolta avviene nel settembre 1935, dopo che erano state fatte alcune proposte per sistemare il vecchio cimitero. Il pretesto è molto probabilmente un rapporto giunto da Redipuglia al generale Ugo Cei, in cui si denuncia un grave danneggiamento delle tombe, provocato da diffuse infiltrazioni d’acqua. La proposta del generale di trasferire altrove il cimitero è ciò che vuole Mussolini. Il trasferimento significa implicitamente trasformare il cimitero in un ossario. Si va così a dare attuazione anche a Redipuglia al programma di monumentalizzazione dei luoghi della guerra predisposto nel 1928 (e riconfermato nel 1930) dal generale Giovanni Faracovi, allora Commissario per le onoranze ai caduti. Punto qualificante di quel programma era la realizzazione di alcuni grandi ossari in sostituzione dei numerosissimi cimiteri dispersi lungo il fronte. Queste nuove architetture sarebbero state espressione del “prestigio, della civiltà e della dignità della Nazione” (cit. in Fiore 2001a, 13-19).

La preferenza per questa tipologia funeraria non è dovuta solo a ragioni di tipo economico, alla necessità di ridurre le crescenti spese di manutenzione, ma è anche di tipo commemorativo e ideologico. Le inumazioni cimiteriali hanno una durata limitata e si prestano poco per una modellazione architettonica monumentale. Invece, dall’architettura in pietra degli ossari si sarebbero più facilmente ottenuti quei caratteri di 'grandiosità', di 'monumentalità', di 'perpetuità' richiesti dal fascismo. Quelle enormi architetture funzionano molto meglio dei tradizionali cimiteri per costruire una certa memoria della guerra. Se nel cimitero l’attenzione è rivolta ai singoli morti, nell’ossario è indirizzata al monumento stesso. Con le forme architettoniche dell’ossario è possibile trasmettere al popolo nuovi valori. Azzerare le memorie personali per fare in modo che le vittime di quell’insensata strage diventino oggetto di culto, eroi. E poi trasformare il culto dei morti in epopea della nazione vittoriosa.

Non lontano da Redipuglia, sul colle di Oslavia, in vista della città di Gorizia, è stato costruito il primo dei grandi ossari, capace di accogliere cinquantamila salme. Progettato da Ghino Venturi a partire dal 1932, assomiglia a una sorta di fortezza a impianto triangolare, con ai vertici tre bastioni circolari che rimandano direttamente ai torrioni del castello di Gorizia (v. Pin 2008). Sull’area libera al centro sorge una grande elemento cilindrico cavo. Nelle forme e nelle dimensioni questo elemento richiama la tradizione antica del mausoleo romano a pianta circolare. La classicità dell’architettura è ulteriormente marcata da un enorme rocchio di colonna, con scanalature, che avvolge l’intera base del monumento. All’interno del mausoleo, le pareti perimetrali sono costituite dagli stessi loculi. L’ossario è una fortezza e allo stesso tempo un mausoleo posto a difesa dei valori della civiltà italica, rappresentata dal modello funerario antico e dal frammento di colonna romana.

Ghino Venturi, Ossario di Oslavia, modello. Giovanni Greppi e Giannino Castiglioni, Ossario di Monte Grappa

Altro grande ossario è quello di Monte Grappa, progettato nel 1933. I due autori, Greppi e Castiglioni, abbandonano la precedente idea del cimitero sotterraneo e ne sviluppano una opposta: portano le tombe alla luce del sole, trasformandole in un’imponente architettura funeraria ben visibile anche da grande distanza. Cinque gradoni concentrici modellano lo sperone roccioso. La montagna assume le sembianze di una sorta di fortilizio gradonato inespugnabile, il cui prospetto è definito dalle tombe assemblate sulle pareti verticali. La composizione, unitaria e grandiosa, è ottenuta dall’iterazione del singolo elemento, il loculo ad arco ripetuto 2.800 volte (v. Vanzetto 1996; Mondini 2006).

Confortati da questo successo progettuale, Greppi e Castiglioni si sono presentati a Redipuglia. Il nuovo ossario sul Carso deve superare per dimensione tutti gli altri, anche quello di Oslavia, che Venturi sta completando. Deve essere il più grande d'Europa. La sua grandezza, per estensione e per numero dei morti, deve parlare della potenza della nazione. Sul piano linguistico Redipuglia è in parte diverso dagli altri coevi lavori di Greppi e Castiglioni. Al posto del muro in pietra rustico, ritagliato dagli archi, qui compare un’uniforme lastra bronzea. L’unica decorazione – in sostituzione del loculo ad arco – è la scritta “presente”, che corre sul marcapiano. Se il vecchio Cimitero degli Invitti aveva al centro la Cappella del Duca d'Aosta, qui la centralità viene assegnata all’enorme scalinata rettilinea, con i nomi dei quarantamila. Al centro della composizione non c’è più il generale che li comandava, ma la massa dei soldati. Non più a uno solo, ma ai centomila va riservato il titolo di eroe, espressione evidente di una sopraggiunta democratizzazione nel culto dei caduti. La scalinata è il motivo architettonico dominante. Immediato è il riferimento al progetto di Baroni per il monumento al Fante sul monte San Michele, alla grande scalinata a forma di croce a ricordare la sofferenza, il dolore. Se l’ascesa di Baroni allude all’immane sacrificio, quella di Greppi e Castiglioni è una parata trionfale di morti vittoriosi.

Mussolini inaugura l’ossario il 19 settembre 1938, nel ventennale della Vittoria, durante la visita al nord-est d’Italia: in realtà, i lavori non sono ancora ultimati e quattro gradoni verranno completati solo nei primi anni Cinquanta. L’architettura dell’ossario gli appare quanto di più distante ci sia dall’informe e caotico vecchio Cimitero degli Invitti. Soddisfatto, loda l'opera di Greppi e Castiglioni, che "sfiderà i secoli e forse anche i millenni” (Morti più vivi dei vivi 1938). Diversamente dagli altri sacrari, qui a Redipuglia i due autori hanno voluto accentuare il principio di unitarietà architettonica, della diversità che si fa unità. In questo monumento, i morti sono disposti a schiera e compresi in una visione unitaria. Diversamente dal Monte Grappa, tutti i loculi sono esposti contemporaneamente alla vista. Questi morti compongono una massa militarmente disciplinata, perfettamente inquadrata, come quella dei vivi, degli iscritti al partito e alle organizzazioni giovanili, che il regime fa sfilare sulle piazze nelle grandi manifestazioni. I singoli nomi dei quarantamila soldati, distribuiti sui 22 gradoni, scompaiono nella ben più visibile scritta "Presente", ripetuta ossessivamente ottomila volte.

Giovanni Greppi e Giannino Castiglioni, Ossario di Redipuglia. Particolare con la scritta “presente”.

Ma “Presente” in quegli anni ha per tutti un pregnante significato politico. Appartiene al vocabolario della liturgia fascista. Infatti, la parola “presente” viene pronunciata nel rito fascista per eccellenza, il 'rito dell'appello' (v. Gentile 1993, 47-48). Essa si ritrova in tutti i sacrari fascisti, cioè nei luoghi dove si celebra il 'sacrificio' degli squadristi morti in azioni illegali, in scontri con la polizia e con gli avversari politici. Compare, ad esempio, nel più famoso dei sacrari fascisti, il Sacrario dei Martiri fascisti di Adalberto Libera e Antonio Valente, alla Mostra della rivoluzione fascista del 1932 a Roma. Qui sulla parete di una sala circolare, dall’atmosfera 'azzurro-cupa', viene ripetuta centinaia e centinaia di volte. Al centro della sala una scritta ricorda che i “martiri fascisti” sono caduti “per la Patria immortale”. Come i soldati nella Grande Guerra. Quell’esposizione romana ha uno straordinario successo: quasi quattro milioni di persone si recano nella capitale a idolatrare il fascismo e il suo duce (v. Schnapp 2003, 41-49). Altri milioni di pellegrini ritroveranno la stessa parola a Redipuglia, a sovrastare ossessiva i nomi dei caduti. Il “presente” del rituale fascista viene fatto pronunciare a centomila soldati morti prima dell’avvento del fascismo. Centomila persone l’una diversa dall’altra. Ognuna con la propria idea di patria. Tutte con la stessa divisa, ma ognuna portatrice di valori diversi, anche opposti, da dare a quell’esperienza bellica. Nell’ossario di Greppi e Castiglioni le differenze sono brutalmente azzerate. Il popolo dei morti parla un’unica voce. Il vecchio disordinato cimitero di Redipuglia è stato trasformato in un gigantesco sacrario fascista a cielo aperto. In un tempio della fede nella nazione fascista, un tempio questa volta privo di colonne e di archi. 

* Questo contributo è stato pubblicato in Paolo Nicoloso, Architetture per un’identità italiana, Udine 2012, 89-97.

English abstract

Fascism built national identity manipulating the collective memory of the Great War also through the building of huge ossuaries. In the Thirties the regime destroyed many little cemeteries, built after the end of the war, and replaced them with ossuaries, also called sacraria. Three things had to define the new war memorials: magnificence ('grandiosità'), monumentality ('monumentalità'), and perpetuity ('perpetuità'). Ossuaries were built along the front lines, like in Oslavia (1932-38) and in Monte Grappa (1934-35). The most important one was the Redipuglia’s ossuary, between Trieste and Gorizia.

An old war cemetery was already located in Redipuglia. It was designed to remember life in trenches during the war. However it gave the idea of unduty, not the idea of invincible army corps and Mussolini himself didn’t like it. So, on 1935, he decided to destroy the old cemetery and to build a new ossuary, a ciclopic terrace step in front of it. With 100 thousand buried soldiers, it was going to be the biggest in the world. Now the deads ranged themselves in a perfect line, like an obedient army. At the top of every terrace step there is a word, “Presente” (“Here”). This word is repeated eight thousand times. During Fascism the word “Presente” is meaningful: fascists used to say “Presente” when they sworn fidelity to one’s ideals. So “Presente” became a sign of faith in fascist ideology. At Redipuglia’s ossuary dead soldiers seem to say all togheter the same word “Presente”. In this way, the fascist regime changed these dead bodies in fascist warriors.

 

keywords | Fascism; Architecture; War; Slain; Ossario di Redipuglia; Ossario di Oslavia.

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doi: https://doi.org/10.25432/1826-901X/2014.113.0003