"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

114 | marzo 2014

9788898260591

"Più positivo dei positivisti"

Antropologia, psicologia, evoluzionismo in Tito Vignoli

Elena Canadelli

English abstract

"Più positivo dei positivisti". Antropologia, psicologia, evoluzionismo in Tito Vignoli", di Elena Canadelli, edito da ETS nel 2013, è il primo studio interamente dedicato a Tito Vignoli (1824-1914), uno dei protagonisti della stagione positivista italiana. Pensatore dai numerosi interessi, fu psicologo, antropologo, filosofo, storico delle religioni e tra i primi ad abbracciare la teoria dell'evoluzione di Charles Darwin in Italia. La riflessione di Vignoli è frutto di una feconda contaminazione tra scienze umane e scienze naturali, come dimostra la sua opera principale, Mito e scienza (1879). Ben inserito nel circuito culturale dell'epoca, dopo la morte fu però presto dimenticato. Oggi è noto soprattutto per l'influenza esercitata sul fondatore degli studi iconologici Aby Warburg. Grazie a vaste ricerche d'archivio, il volume fa luce sul lungo ragionamento di un pensatore che in pieno positivismo amava definirsi “più positivo dei positivisti”.

Di seguito si pubblica un estratto dall’Introduzione del volume e uno stralcio tratto dal terzo capitolo, dedicato alla fortuna di Mito e scienza, da Hermann Usener a Aby Warburg.

Introduzione

Il tema trasversale del rapporto tra il mito e la scienza, il pensiero ‘primitivo’ e la mente ‘civilizzata’, accompagna gran parte della moderna riflessione sull’uomo. Proprio a un volume del 1879, intitolato Mito e scienza, deve ancora oggi la sua fama lo psicologo e antropologo evoluzionista Tito Vignoli (1824-1914), inserito dalla critica tra gli animatori della stagione positivista in Italia.

Noto in vita, il suo nome fu presto dimenticato dopo la morte: un destino comune a numerosi protagonisti della sua generazione, cancellati e resi inattuali dallo spartiacque della Grande Guerra e da una storiografia di stampo idealista, poco interessata a una filosofia appiattita sulla scienza, come quella positivista. Se negli ultimi decenni gli storici della filosofia e della scienza sono tornati a occuparsi di figure chiave a lui coeve, come Cesare Lombroso e Paolo Mantegazza, Vignoli è rimasto finora ai margini di questo recupero. Gli studi a lui dedicati lo collegano per lo più alla storia della psicologia, del positivismo o dell’evoluzionismo italiano[1], mentre il suo nome compare di sfuggita in lavori dedicati a figure maggiori che per diversi motivi lo hanno incrociato, come Carlo Cattaneo, del quale divenne collaboratore con alcuni articoli sulla rivista “Il Politecnico”, o il fondatore degli studi iconologici Aby Warburg, che lesse e apprezzò il suo Mito e scienza. Alcuni lo accostano a Carl Gustav Jung, altri invece ne sottolineano l'influenza su poeti e scrittori quali Giovanni Pascoli e Carlo Emilio Gadda[2].

Molti aspetti della sua opera e della sua biografia rimangono però da approfondire. Le ragioni di questa dimenticanza sono diverse. Senza dubbio ha contribuito il suo stile di scrittura, giudicato già da contemporanei come Cattaneo e Francesco De Sarlo involuto e difficilmente comprensibile[3]. In secondo luogo, anche la frammentazione del suo archivio ha avuto un peso. Per questo è stato necessario svolgere in via preliminare una vasta attività di recupero di fonti archivistiche: a partire da un esame dei materiali conservati nel Fondo Vignoli del Museo civico di storia naturale di Milano, l'istituzione da lui diretta tra il 1893 e il 1911, sono stati rintracciati presso tre diversi rami di eredi (Rasini di Castel Campo, Cipollini e Valenti di Milano), il carteggio, l'archivio personale ricco di appunti e la sua biblioteca privata[4].

La ricerca si è poi allargata ad altri fondi d'archivio disseminati in tutta Italia. La documentazione emersa ha permesso di guardare a Vignoli da un punto di vista nuovo, sia sotto il profilo teorico sia sotto quello biografico. Il consistente carteggio intrattenuto con il filosofo pisano Silvestro Centofanti, conservato presso l'Archivio di Stato di Pisa, per esempio, oltre a portare alla luce numerose notizie personali, ha fatto emergere la centralità del suo interesse per la linguistica comparata durante gli anni Cinquanta dell'Ottocento, contribuendo a leggere la sua successiva riflessione sull'uomo e il suo avvicinamento all'evoluzionismo da un'angolatura diversa[5]

L’opera di Vignoli copre un arco temporale e tematico molto ampio, frutto di una feconda contaminazione tra filosofia, storia delle religioni, linguistica, etnografia, antropologia, psicologia, paletnologia, zoologia e fisiologia. Egli guardò a Vico come a Hippolyte Taine, a Vincenzo Gioberti come a Herbert Spencer, a Ernest Renan come a Charles Darwin, a Wilhelm Wundt come a Max Müller. Figura difficile da incasellare sotto un’etichetta storiografica o uno specifico settore disciplinare, Vignoli costringe a ridefinire i confini di un positivismo dalle molte anime, sospeso tra la fiducia nel progresso e la paura della regressione, tra il mito e la scienza, tra naturalismo e storicismo. Lui stesso, a questo proposito, non esitava a definirsi “più positivo dei positivisti più infatuati” (Vignoli 1881a, 6).

Questo libro vuole contribuire a restituire completezza e profondità al suo profilo di studioso, concentrandosi in particolare su un aspetto che ha segnato in maniera trasversale tutto il suo lavoro: l'indagine sull'uomo. 

In un’epoca come la seconda metà dell’Ottocento, segnata da una vera e propria ossessione per la questione antropologica, egli coniugò pensiero filosofico e conoscenze sperimentali, scienze umane e scienze naturali. Il suo interesse a tutto tondo per l’uomo post-darwiniano consente di fare luce su alcuni temi ‘forti’ al centro dell'attenzione in quegli anni, riguardanti l’origine e l’antichità del genere umano in rapporto al regno animale, le culture dei popoli cosiddetti “primitivi”, il progresso della civiltà, il funzionamento della mente.

Negli anni in cui l’antropologo vittoriano Edward Burnett Tylor pubblicava i due volumi della Primitive Culture (1871) e James George Frazer dava alle stampe la prima edizione del suo monumentale Il ramo d’oro (1890), l’evoluzionista Vignoli fu uno dei pochi in Italia a occuparsi dell’uomo in un’ottica che potremmo definire di ‘antropologia culturale’, in un contesto altrimenti dominato da studi di antropologia fisica. Accanto alla ricerca ‘filosofica’ delle radici del mito e della scienza, si occupò di psicologia e psicofisica, con particolare attenzione alla psicologia comparata, di cui in Italia è considerato l’iniziatore; senza dimenticare la costante attenzione nei confronti del dibattito evoluzionistico, di cui seguì anche gli sviluppi tardo ottocenteschi. Mentre si andava affermando la psicologia sperimentale e il padre della psicoanalisi Sigmund Freud poneva le basi della sua teoria dell'inconscio, Vignoli lavorava sul ruolo giocato dalla psiche nel processo evolutivo, sul sogno, sul funzionamento della percezione e dell’intelligenza nell’uomo e negli animali, avendo come termini di paragone studiosi quali George John Romanes, Giuseppe Sergi, Ernst Haeckel, Hermann Lotze, Théodule Ribot e Alfred Binet.

È quindi il filo rosso della riflessione sull’uomo a scandire i capitoli del libro, dedicati alle diverse stagioni della sua consistente produzione: da quella dominata dalla linguistica e dalla filosofia della storia, che precede l’adesione all’evoluzionismo, a quella psicologica e antropologica matura degli anni Settanta, fino al ripensamento di alcuni assunti nell'ultimo periodo. Il suo saggio di maggior successo, Mito e scienza, rappresenta in questo senso solo la punta dell'iceberg di un “lungo ragionamento” iniziato negli anni Cinquanta e proseguito fino alla morte nel 1914. 

Fortuna di Mito e Scienza da Hermann Usener a Aby Warburg

In una lettera a Vignoli, Canestrini definiva Mito e scienza un’opera “eminentemente originale e profonda”[6]; un’originalità che a Novecento inoltrato gli fu riconosciuta anche da uno studioso del calibro di Ernst Cassirer, che vi vedeva soprattutto un’indagine psicologica sulla capacità di conoscere dell’essere umano. Nel secondo volume sul pensiero mitico e nel terzo volume sulla fenomenologia della conoscenza della Filosofia delle forme simboliche, Cassirer sottolineava che, pur nei limiti di un indirizzo “rigorosamente empiristico” (Cassirer 1964, 31) e di “una gnoseologia puramente positivistica” (Cassirer 1964, 100), nell’affrontare il tema del mito Vignoli aveva avuto il merito di risalire a un’unità logica formale, a una legge dello spirito, evitando una mera indagine quantitativa e comparativa basata sull’accumulo di dati etnografici, storici, religiosi, tipica dell'antropologia vittoriana. Colpito dalla concezione non puramente progressista del rapporto tra mito e scienza, per Cassirer l’antropologo italiano aveva riconosciuto “al mito un proprio principio trascendentale, una peculiare legge di formazione che anche nel progredire dello spirito verso la scienza sperimentale ed esatta non scomparirebbe semplicemente, ma si affermerebbe accanto alle formazioni della scienza rigorosa”[7].

Come per il Saggio di psicologia comparata, le traduzioni in tedesco del 1880 (per la Brockhaus) e in inglese del 1882 (per la Kegan Paul Trench di Londra) aiutarono Mito e scienza a oltrepassare i confini nazionali. Appena uscito, il libro si guadagnò una recensione sul prestigioso “Journal des Savants”, che lo definiva “une étude psychologique et philosophique sur le mythe et sur le conditions mentales dans lesquelles il prend naissance et se développe”, ricco di “aperçus neufs et ingénieux, en observations fines, d’un puissant esprit d’analyse des opérations psychiques” (Mito e scienza 1879, 724). Nel 1881, poco dopo la pubblicazione della traduzione tedesca, lo storico delle religioni Hermann Usener diede un'ampia e dettagliata segnalazione dell'opera sulle pagine della “Deutsche Literaturzeitung”. Pur accennando al debito di Vignoli nei confronti di Vico, Usener preferiva inserire Mito e scienza tra gli studi di storia della cultura che avevano preso avvio dopo Darwin[8]. Anche l'anonimo recensore del “Popular Science Monthly” sottolineava il punto di vista genuinamente darwiniano adottato dall'autore del saggio, avvisando il lettore: “It is not a book of old fairy tales nor of the mythological legends of different peoples, but it is a compact disquisition on the origin and nature of the common mythical element manifested by all grades of intelligence” (Myth and Science 1882, 270).

Accanto agli apprezzamenti, non mancarono le critiche. L'“Archivio per l’antropologia e la etnologia” diretto da Paolo Mantegazza, dopo la recensione del Saggio di psicologia comparata, tornava a essere severo con Vignoli, rimproverato (come aveva fatto Carlo Cattaneo una ventina di anni prima) di usare il “linguaggio oscuro e incerto dell’antica metafisica”, con uno “stile poco chiaro” che rendeva confusi i concetti espressi, gettando il lettore in un “labirinto gotico” dalle “cento guglie”. Vignoli aveva insomma “in mano armi ottime, ma le maneggia male, e di rado colpisce nel segno”[9]. Vi era poi chi, come il docente di filosofia morale dell’Università di Genova, Luigi Garello, aveva dedicato alla teoria di questa “mente eletta di pensatore, sussidiata, come poche, da vasta e profonda cultura”[10], un intero capitolo nel suo volume del 1908, La morte di Pan, con il principale intento di criticare la sua lettura psicologica del mito.

Al di là di critiche e consensi, Mito e scienza agì da volano per Vignoli, che grazie a questo studio fu contattato per collaborare con alcune importanti riviste del tempo, come la tedesca “Archiv für Religionswissenschaft”[11]. Entrò inoltre in contatto epistolare con figure di rilievo della cultura europea della seconda metà dell'Ottocento, come lo storico francese Alfred Maury[12], tra i fondatori dell’École des Hautes Études di Parigi, autore tra l'altro nel 1865 del volume Le sommeil et les rêves (che lo rese noto per le sue ricerche pionieristiche sull'interpretazione dei sogni prima di Freud), o lo scrittore austriaco Leopold von Sacher-Masoch, che suo malgrado ispirò lo psichiatra e neurologo tedesco Richard von Krafft-Ebing nella coniazione del termine “masochismo”. Con l'autore del celebre racconto La Venere in pelliccia (1870), Vignoli intrattenne un consistente carteggio incentrato soprattutto sulla sua collaborazione alla rivista “Auf der Höhe”[13], fondata da Sacher-Masoch e stampata a Lipsia tra l’ottobre 1881 e il settembre 1885. Vignoli mandò alla rivista l'articolo Die Aesthetik in der Evolutionslehre, pubblicato nel febbraio 1882, che a detta di Sacher-Masoch aveva suscitato “un immense retentissement: presu’en Amerique ou les journaus en out parlè et en out donnè des extracts”[14].

Non è invece facile valutare l’esatta influenza che Vignoli esercitò sul fondatore dell'iconologia Aby Warburg. Certo è che questa vicinanza ha contribuito alla riscoperta contemporanea della sua opera, in particolare di Mito e scienza, recentemente rieditato in lingua inglese[15].

Il confronto di Warburg con l’opera di Vignoli è testimoniato dall’esemplare in tedesco del volume, chiosato dallo studioso e conservato al Warburg Institute di Londra, insieme ad alcuni appunti risalenti al 1890, in cui Warburg commentava le teorie dell’italiano sul meccanismo della personificazione alla base del mito[16]. Senza voler esagerare l’apporto di Vignoli al pensiero warburghiano, Mito e scienza rientrò, insieme a lavori come L’espressione delle emozioni negli animali e nell’uomo di Darwin, tra le letture evoluzionistiche in cui maturarono le prime riflessioni di Warburg. Secondo Ernst Gombrich, lo storico della cultura tedesco si sarebbe infatti avvicinato a quest’opera mentre seguiva le lezioni di mitologia di Usener (che abbiamo visto interessato al lavoro dell'italiano) all’Università di Bonn nel semestre invernale 1886/87[17]

Al di là di corrispondenze più o meno dirette (ancora tutte da approfondire), ad avvicinare i due pensatori erano i temi che stavano a cuore a entrambi. Ampliando la prospettiva di Vignoli, si aprivano interrogativi che, con accenti e finalità senza dubbio differenti, segnavano in profondità anche la riflessione warburghiana e quella di altri storici della cultura del periodo: il rapporto tra la pratica magica e il pensiero scientifico, tra il mito e la razionalità, il problema della sopravvivenza delle culture passate in quelle successive, della circolazione di tratti culturali nel tempo e nello spazio, dell’adattamento e della ricomparsa sotto nuove sembianze di tradizioni che si credevano estinte.

L’assonanza delle idee di Warburg con quelle di Vignoli emergeva in particolare nella sua conferenza Il rituale del serpente, tenuta a Kreuzlingen nella clinica dello psichiatra Ludwig Binswanger il 21 aprile 1923 per provare di essere guarito dalla malattia mentale che lo affliggeva da cinque anni. Nel rispolverare i ricordi del viaggio del 1895/96 tra gli indiani Pueblo del Nuovo Messico, Warburg riprendeva alcuni temi giovanili, tra cui, uno in particolare si avvicinava al pensiero di Vignoli: per il tedesco, infatti, la pratica magica e la scienza, sorta solo in un secondo momento, rispondevano, con strumenti diversi, ai medesimi bisogni di sopravvivenza. Prima dell’avvento del pensiero scientifico, l’uomo, spinto dalla paura, cercava di esorcizzare questi sentimenti con la magia, popolando il mondo di anime attive che poteva influenzare e dominare con rituali e danze. Questa concezione ricordava da vicino la spiegazione vignoliana del mito come primo, erroneo e imperfetto tentativo da parte dell’uomo di conoscere e padroneggiare il mondo esterno.

Con accenti vicini a quelli di Vignoli, Warburg scriveva che il "pensiero fantastico è – per quanto ciò possa sembrare strano – il primo stadio della nostra spiegazione scientifico-genetica del mondo" (Warburg [1988] 1998, 31). Per questo la comprensione dell’universo sviluppata dagli indiani Pueblo "attraverso connessioni disorganiche non è poi così lontana dal darwinismo: infatti, mentre noi vediamo una legge di natura in quello che è un processo evolutivo autonomo, i pagani ricorrono a nessi arbitrari con il mondo animale. Ciò che determina la vita di questi cosiddetti primitivi è, se si vuole, un darwinismo mediato da una mitica affinità elettiva" (Warburg [1988] 1998, 31).

Alla fine del XIX secolo, i Pueblo offrirono a Warburg la possibilità di addentrarsi in questa mentalità simbolica delle origini, in cui la magia rivestiva un preciso ruolo utilitaristico. La danza mascherata con i serpenti non era un gioco, ma un serio e valido strumento a disposizione degli indiani nella lotta per l’esistenza. Il serpente sagittato, simbolo del fulmine, diventava allora un mediatore necessario per propiziare la pioggia in una regione arida come il Nuovo Messico. In questo senso la magia andava interpretata come un’espressione arcaica di realismo, perché era la siccità che insegnava all’uomo ‘selvaggio’ a fare incantesimi e a pregare. Se l’umanità ‘primitiva’ comprendeva il mondo attraverso il mito (la magia e la “causalità danzata” dei Pueblo), l’età tecnologica non aveva più bisogno del serpente per sopravvivere. Sia per Vignoli che per Warburg la spiegazione fornita dalle scienze era subentrata quindi alla causalità mitologica, eliminando lo sgomento e l’angoscia che l’uomo provava di fronte ai simboli magici che egli stesso aveva creato.

Nonostante le indubbie affinità teoriche, diverse furono le strade prese dai due pensatori. Se Vignoli rimase un convinto assertore delle possibilità salvifiche della scienza, l’unica in grado di rispondere agli interrogativi esistenziali e conoscitivi dell’uomo, questa conclusione non esaurì certamente il discorso antropologico e culturale intrapreso da Warburg. Al di là dell’interessante rapporto con l’iniziatore degli studi iconologici, come misero ben in evidenza già i contemporanei di Vignoli, Mito e scienza era in primo luogo un'indagine filosofica sulla capacità di conoscere dell’essere umano; uno studio che per essere compreso appieno deve essere collocato nel più ampio programma di ricerca sviluppato dal suo autore nel corso della seconda metà dell'Ottocento. Vignoli, come uomo del positivismo, sollevava temi di grande interesse che se da un lato intercettavano filoni di ricerca legati al passato, dall'altro aprivano le porte ai moderni sviluppi della psichiatria, della neurologia e dell'antropologia culturale, temi chiave di una fin de siècle venata di nevrosi e psicopatologie individuali e collettive.

Note

[1] Penso in primo luogo agli importanti contributi di Nicola Badaloni (1990;1993), Girolamo De Liguori (1998; 2000) e Giovanni Landucci (1996; 2001). Più di recente, si vedano i lavori di  Canadelli (2006; 2007; 2010b; 2010c), Magnano San Lio (2008) e Steardo (2010).

[2] Per gli studi che collegano Vignoli a Pascoli, cfr. Bazzocchi (1993: 33-36; 66) e Marcolini (1997); a Gadda, cfr. Antonello (2004) (2005: 22-78); a Freud e Jung, Parsifal-Charles (1986: 489-490); a Warburg, tra i tanti, Didi-Huberman (2006: 381-397), Gombrich (2003), Papapetros (2011: 94-95), Villhauer (2002: 17-19); a Cattaneo, cfr. De Liguori (2000b); Lacaita et al. (2005, a cura di).

[3] In una lettera non datata, scritta probabilmente tra il gennaio e il febbraio 1863, Cattaneo rimproverava Vignoli per lo stile “di sacrestia”, “studiato per confondere le idee” (Cattaneo, 1956: 115). La minuta è conservata presso le Civiche Raccolte Storiche – Museo del Risorgimento di Milano (d'ora in poi CRSM), Carteggio di Carlo Cattaneo, b. 3, plico 30, doc. 170. Lo psicologo De Sarlo imputava la scarsa diffusione degli scritti di Vignoli proprio alla “mancanza di sobrietà nell’esposizione dei fenomeni osservati, nei riferimenti, nei confronti, nei rimandi”. La lettura finiva così “per essere faticosissima e per esercitare un’azione financo repulsiva” (De Sarlo, 1915: 306). Anche l'”Archivio per l'antropologia e la etnologia” di Paolo Mantegazza non fu tenero con Vignoli, criticato per lo “stile poco chiaro” e il “linguaggio oscuro e incerto dell'antica metafisica” (Mantegazza, 1880: 144-145). Perfino nella presentazione della sua opera nel catalogo Hoepli, si accennava al suo stile “non sempre moderno, anzi antiquato” (XXV anni di vita editoriale, 1896: 382-383).

[4] La ricomposizione del Fondo Vignoli ha assorbito a lungo la ricerca e ha richiesto una complessa ricostruzione delle vicende ereditarie, comprese anche grazie al testamento della moglie di Vignoli, Francesca Pedrali, datato 6 agosto 1917 (cfr. Tribunale di Milano, Indice generale delle disposizioni di ultime volontà, 1902-1924, notaio Pietro Bermond). I tre nuclei in possesso degli eredi sono stati riprodotti e sono andati a completare la documentazione donata negli anni Novanta del Novecento al Museo civico di storia naturale di Milano. È inoltre in corso il progetto di riunificazione digitale e pubblicazione on line dell’intero Fondo Vignoli sul sito dell'Aspi-Archivio storico della psicologia italiana, Università di Milano-Bicocca (www.aspi.unimib.it). Per maggiori informazioni sulle vicende dell'archivio, cfr. Canadelli (2010c) e Il fondo Tito Vignoli, nella sezione Archivi del sito stesso; sulla Biblioteca di Castel Campo, il cui elenco di consistenza con più di mille titoli è consultabile sul sito www.milanocittadellescienze.it, cfr. Canadelli (2010a e 2011).

[5] Giovanni Landucci ha giustamente sottolineato l'importanza storiografica dei carteggi di questi personaggi cosiddetti “minori”, a cavallo tra primo e secondo Ottocento: essi “forniscono un quadro abbastanza veritiero di vicende personali ed universitarie (spesso inquiete e penose), dei viaggi e delle relazioni internazionali. […] Sono importanti per la ricostruzione della storia degli studi linguistici e filologici, delle iniziative scientifiche ed editoriali, dell’intreccio tra cultura e politica, del rapporto tra ricerca specialistica e divulgazione nella seconda metà dell’Ottocento. Ma sono importanti anche per ricostruire quel clima di entusiasmi per lo studio, la ricerca, la didattica e l’organizzazione delle istituzioni culturali che caratterizzò la vigilia dell’unità e i primi decenni di vita dello Stato unitario. Infine, pur nelle trame di una vita privata spesso indagata con sguardo indiscreto, si può rinvenire più di qualche elemento che va a completare il già vasto orizzonte del fenomeno ‘positivismo’” (1981: 230).

[6] MSNM, Fondo Vignoli, b. 1, fasc. 3, Padova 16 ottobre 1879.

[7] Cassirer, 1964: 31. Nel terzo volume, il filosofo tedesco ritornava sulla concezione biologica del mito elaborata da Vignoli, soffermandosi in particolare sulla tesi dell’origine animale della funzione mitica dell’uomo, cfr. Cassirer (1966: 100-102).

[8] Cfr. Usener, 1881: 1065. Nel 1904 tornò nuovamente sulle teorie di Vignoli, di cui criticava l’interpretazione del mito come personificazione, cfr. Usener (1904: 25).

[9] Mantegazza, 1880: 144-145. La recensione era apparsa nell' "Archivio per l’antropologia e la etnologia” ed era firmata solo “M.”. Come per il libro del 1877, anche in questo caso si trattava probabilmente di Paolo Mantegazza, sebbene in una lettera a Vignoli, Giuseppe Sergi accennasse al collaboratore di Mantegazza, Paolo Riccardi, “il tale che faceva le riviste”, il quale, scriveva, aveva parlato di “Mito e Scienza senza leggerlo, e senza capirlo” (MSNM, Fondo Vignoli, b. 2, fasc. 4, Bologna 13 gennaio 1882).

[10] Garello, 1908: 85. Ampi riferimenti a Mito e scienza si trovano in tutto il libro, in particolare alle pagine 81-95.

[11] Cfr. MSNM, Fondo Vignoli, b. 1, fasc. 6, biglietto di Paul Siebeck a Vignoli, Freiburg febbraio 1898.

[12] MSNM, Fondo Vignoli, b. 1, fasc. 6, lettera di Maury a Vignoli, Paris 8 ottobre 1879.

[13] Nello scambio epistolare, intercorso tra il 1881 e il 1882, a proposito della rivista Sacher-Masoch scrisse a Vignoli che si trattava di un' “impresa così ben ricevuta dal pubblico, che ha trovato un successo straordinario, che ha avuto tutti gli applausi del mondo internazionale”. Lo scrittore non trascurava d'informarlo sulle difficoltà sorte a causa del cambio di editore, pregandolo di voler comunque contribuire alla riuscita della rivista “nel nome delle belle lettere, della letteratura, degli interessi intellettuali” (MSNM, Fondo Vignoli, b. 1, fasc. 6, Leipzig 18 febbraio 1882). Vignoli rispose  probabilmente in modo positivo, visto che il 1° marzo 1882 Sacher-Masoch lo ringraziò “di tutto cuore delle sue simpatiche parole che mi hanno confortato insieme colle molte prove che mi vennero date da tutti i lati”.

[14] MSNM, Fondo Vignoli, b. 1, fasc. 6, lettera di Sacher-Masoch a Vignoli, Leipzig 10 maggio 1882. Vista la buona accoglienza di questo lavoro, nella stessa lettera Sacher-Masoch gli chiedeva di contribuire alla rivista con un altro articolo.

[15] Tra le ristampe più recenti, si vedano le edizioni della Dodo Press (2009), BiblioLife (2008), Echo Library (2007), Kessinger Publishing (2003). Si segnala che nel 2010 è uscita una ristampa dell'edizione italiana di Mito e scienza, cfr. Canadelli (2010b).

[16] Cfr. Villhauer (2002: 17-19) e Papapetros (2011: 94-95). Questi due lavori si servono del materiale archivistico presente al Warburg Institute di Londra, utile per gettare nuova luce sull'effettivo impatto che Vignoli ebbe sullo storico dell'arte tedesco, al di là della molto citata conferenza del 1923, Il rituale del serpente. Papapetros, in particolare, riporta il brano di Mito e scienza dove Warburg sottolineò i termini “statische” e “dynamische Belebung”, in riferimento all'animazione statica e dinamica operata dagli animali. Lo stesso passaggio fu trascritto da Warburg in una nota manoscritta. Interessanti anche i riferimenti di Villhauer al Notizbuch del 1890.

[17] Gombrich (2003: 34). Fu proprio Gombrich, infatti, uno dei primi a sottolineare nella sua biografia di Warburg l'influenza esercitata da Vignoli. Su questo, oltre Villhauer e Papapetros, si vedano Agamben (1984); Canadelli (2010b); Dal Lago (1984); Didi-Huberman (2006: 381-397); Gombrich (1994); Sassi (1983); Zanetti (1985).

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English abstract

"Più positivo dei positivisti" is the first essay entirely devoted to Tito Vignoli (1824-1914), a protagonist of the Italian positivism. He was a psychologist, anthropologist, philosopher, historian of religions and among the first to embrace the Darwinian theory of evolution in Italy. The work of Vignoli is the result of a fruitful contamination between humanities and natural sciences, as showed by his major work, Myth and Science (1879). Well integrated into the cultural circuit of the time, he was however soon forgotten after his death. Today he is best known for his influence on Aby Warburg, the founder of the iconographical studies. Through extensive archival researches, the book sheds light on the reasoning of a thinker who during positivism liked to call himself “the most positive of the positivists”. Engramma publisches an excerpt from the Introduction and an excerpt dedicated to the luck of Myth and Science, from Hermann Usener to Warburg, taken from the third chapter on the anthropology of Vignoli.         

To cite this article: E. Canadelli, “Più positivo dei positivisti” Antropologia, psicologia, evoluionismo in Tito Vignoli,  “La Rivista di Engramma” n. 114, marzo 2014, pp. 116-128 | PDF of the article 

doi: https://doi.org/10.25432/1826-901X/2014.114.0007