"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

119 | settembre 2014

9788898260645

Nei primi mesi del 1933 usciva in Germania, presso l’editore Teubner, l’edizione delle Gesammelte Schriften di Warburg (Aby Warburg, Gesammelte Schriften, herausgegeben von der Bibliothek Warburg, unter Mitarbeit von Fritz Rougemont, herausgegeben von Gertrud Bing‚ Teubner, Leipzig-Berlin 1932). Poco dopo‚ a seguito dell'avvento al potere del Partito Nazionalsocialista‚ “sotto la pressione degli avvenimenti politici" – come scrisse Gertrud Bing – l'Istituto Warburg venne trasferito a Londra.

Nel 1934 Mario Praz, nel recensire nella rivista "Pan" la pubblicazione delle opere di Warburg, commentava molto severamente l'esilio dalla Germania dell'importante istituzione culturale, e paragonava la migrazione a Londra degli studiosi e dei materiali dell'Istituto Warburg ai Bizantini che, nel Rinascimento, in fuga da Costantinopoli, si rifugiarono in Italia, portando il loro tesoro di libri e di conoscenze.

Recensione a Aby Warburg, Gesammelte Schriften, Teubner, Leipzig-Berlin 1932

("Pan" II, 1934, pp. 624-626)

Mario Praz

English version

Di Aby Warburg e della sua opera parlò Giorgio Pasquali in “Pegaso” (aprile 1930: vedi in Engramma la riedizione online del saggio di Pasquali) in modo tale che anche i lettori che prima ignoravano fino il nome dell’umanista israelita non avranno dimenticato “l’omino piccino, coi baffi color pepe e sale e cogli occhi indicibilmente dolorosi” che era un maestro grande e divertente. Umanista è un titolo comodo e capace, ma al Warburg mi pare che meglio si confaccia del nome di dotto col quale i più connettono freddezza e aridità. Ardore di ricerca e disinteresse erano invece tratti così salienti del Warburg che le sue opere più gli premeva diffonderle fra i discepoli che farle rendere fino all’ultima stilla d’inchiostro. Di certe sue vaste concezioni non è serbato nei saggi ora raccolti che il canovaccio; ed è evidente che occorre illuminare l’opera con l’uomo, per non rischiare di confonderlo con un paziente coordinatore di curiose notizie, con uno spigolatore ai margini del prato vivo della storia. Alto era il suo disegno se la ricerca era minuta e pareva perdersi in infinitesimi.

Studiare le sfumature dei trapassi da periodo a periodo in quella storia della cultura che era la sua passione, ecco il suo compito; e la trasmissione dell’eredità classica fu il pernio delle sue ricerche. Un particolare del costume osservato in un disegno, la ricorrenza di un motivo ornamentale, uno svolazzo di veste, una chioma fluttuante, una piega ovale, un exvoto di cera, un coperchio di scatola effigiante un’impresa d’amore, tutte queste cose che gli uomini di alta statura e di grandi gesti non curano, l’omino piccino le accarezzava con le sue mani amorose di collezionista; ma i suoi occhi vedevano lontano e profondo e non è detto che quella ossessione che lo dominò per un lungo periodo d’anni, ossessione di poteri occulti operanti dietro le piccole cose e le grandi, fosse in tutto e per tutto pazzia. Forse quell’“impaziente aspirazione ad un punto di vista più ampio” contro cui egli insorge (nel saggio sulle Imprese amorose nelle più antiche incisioni fiorentine) come quella che fa troppo in fretta sorvolare su particolari significativi, conduce al superficialismo non solo nella storia della cultura: e per mancare di quella impaziente e comoda aspirazione i suoi occhi divennero “indicibilmente dolorosi”.

I due bei volumi delle opere editi dal Teubner mettono ora a disposizione d’ogni biblioteca il contenuto di quegli opuscoli esauriti o difficili a trovarsi che i suoi amici e discepoli avevano la fortuna di ricevere in dono dal Warburg. Sulla moltitudine delle osservazioni singole presiedono quei motivi conduttori che il Pasquali ha così chiaramente riassunti per i lettori di “Pegaso”; è un arsenale in cui ogni studioso della storia della cultura trova di che giovarsi, anche se le idee del Warburg non toccano direttamente il suo periodo speciale. Che i Fiorentini del Quattrocento, per esempio, cercassero negli antichi soprattutto schemi dinamici (il cosiddetto elemento dionisiaco), spiega non soltanto l’arte del Rinascimento; spiega pure il perché del contrasto tra quell’arte e il neoclassicismo esaltato dal Winckelmann e trionfante nello stile Impero, ispirato a un ideale di solenne calma; e un capitolo della storia del gusto che il Warburg avrebbe saputo condurre da pari suo, potrebbe mostrare il diverso trattamento, nei due periodi, dei medesimi motivi ornamentali desunti dagli antichi, e, insieme, la curiosa deformazione o cristallizzazione neoclassica di motivi rinascimentali. Da un medesimo punto di partenza classico si giunge ai due estremi del nervosismo di Botticelli e Filippo Lippi, e della statica freddezza di tante opere neoclassiche.

Quella imponente raccolta di materiale per servire alla storia della cultura che va sotto il nome di Biblioteca Warburg, non è più ora un vanto di Amburgo. Gli uomini di alta statura e di grandi gesti, fissi nella loro impaziente aspirazione a un punto di vista più ampio, non si sono accorti, o, se se ne sono accorti, non si sono curati che la bella raccolta passasse al di là del Mare del Nord.

Una questione di razza, basata su categorie metafisiche e culminante in manifestazioni d’un vertiginoso sintetismo, ha determinato un’altra di quelle piccole tragedie individuali il cui cumulo influisce sul corso della storia non meno efficacemente dei grandi gesti. Quando gl’israeliti tedeschi cominciarono a cercar rifugio in Inghilterra, gl’inglesi, popolo quant’altri mai attaccato alla propria razza, di fatto il solo popolo del mondo che ancor conservi una concezione aristocratica all’antica, decisero di ospitarli, poiché sapevano che quegl’israeliti portavano con sé come fardello d’esilio non i luridi stracci e gli avari forzieri e i leggendari sacrifici umani dei ghetti, ma le più feconde idee scientifiche e i più vasti tesori di cultura del mondo germanico. E si parlò allora dei greci che migrarono da Bisanzio nel Rinascimento, e aprirono nuovi orizzonti all’Occidente. Ora la Biblioteca Warburg risiede al pianterreno di un modernissimo palazzo di Westminster, Thames House, a pochi minuti dal Parlamento. Forse la riva del Tamigi non è così diversa dalla riva dell’Elba; anche qui il traffico fluviale si svolge sotto un grigio cielo, e gli studiosi israeliti tedeschi ospitati da Thames House potranno sentir meno la nostalgia della patria che li ha ripudiati.

ristampa in "La Rivista di Engramma", 119 (settembre 2014)
prima edizione online in "La Rivista di Engramma", 25 (maggio/giugno 2003)

To cite this article: M.Praz (reviewed by), Aby Warburg, Gesammelte Schriften (Teubner, Leipzig-Berlin, 1932),  “La Rivista di Engramma” n. 119, settembre 2014, pp. 33-35 | PDF of the article