"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

92 | agosto 2011

9788898260379

Capitolo dell’Occasione dedicato a Filippo De’ Nerli

Capitolo di Fortuna dedicato a Giovan Battista Soderini

Nicolò Machiavelli

English abstract

Bottega di Andrea Mantegna, Occasio e Paenitentia, 1500-1505, affresco (Mantova, Palazzo Ducale)

Niccolò Machiavelli, Capitolo Dell’Occasione, a Filippo De’ Nerli

– Chi se’ tu, che non par’ donna mortale,
di tanta grazia el ciel t’adorna e dota?
Perché non posi? e perché a’ piedi hai l’ale?

– Io son l’Occasione, a pochi nota;
e la cagion che sempre mi travagli,
è perch’io tengo un piè sopra una rota.

Volar non è ch’al mio correr s’agguagli;
e però l’ali a’ piedi mi mantengo,
acciò nel corso mio ciascuno abbagli.

Li sparsi mia capei dinanti io tengo;
con essi mi ricuopro il petto e ’l volto,
perch’un non mi conosca quando io vengo.

Drieto dal capo ogni capel m’è tolto,
onde invan s’affatica un, se gli avviene
ch’i’ l’abbi trapassato, o s’i’ mi volto.

– Dimmi: chi è colei che teco viene?
• È Penitenzia; e però nota e intendi:
chi non sa prender me, costei ritiene.

E tu, mentre parlando il tempo spendi,
occupato da molti pensier vani,
già non t’avvedi, lasso! e non comprendi
com’io ti son fuggita tra le mani.

Niccolò Machiavelli, Capitolo Di Fortuna, a Giovan Battista Soderini

Con che rime giammai o con che versi
canterò io del regno di Fortuna, 
e de’ suo’ casi prosperi e avversi?

E come iniuriosa ed importuna,
secondo iudicata è qui da noi,
sotto il suo seggio tutto il mondo aduna?

Temer, Giovan Battista, tu non puoi,
né debbi in alcun modo aver paura
d’altre ferite che de’ colpi suoi;

perché questa volubil creatura
spesso si suole oppor con maggior forza,
dove più forza vede aver natura.

Sua natural potenza ogni uomo sforza;
e ’l regno suo è sempre violento,
se virtù eccessiva non l’ammorza.

Ond’io ti priego che tu sia contento
considerar questi miei versi alquanto,
se ci sia cosa di te degna drento.

E la diva crudel rivolga intanto
ver di me gli occhi sua feroci, e legga
quel ch’or di lei e del suo regno canto.

E benché in alto sopra tutti segga,
comandi e regni impetuosamente,
chi del suo stato ardisce cantar vegga.

Questa da molti è detta onnipotente,
perché qualunche in questa vita viene,
o tardi o presto la sua forza sente.

Costei spesso gli buon sotto i piè tiene,
gl’improbi innalza; e se mai ti promette
cosa veruna, mai te la mantiene.

E sottosopra e regni e stati mette
secondo ch’a lei pare, e’ giusti priva
del bene che agli ingiusti larga dette.

Questa incostante dea e mobil diva
gl’indegni spesso sopra un seggio pone,
dove chi degno n’è, mai non arriva.

Costei il tempo a suo modo dispone;
questa ci esalta, questa ci disface,
senza pietà, senza legge o ragione.

Né favorire alcun sempre le piace
per tutt’i tempi, né sempre mai preme
colui che ’n fondo di sua rota giace.

Di chi figliuola fussi, o di che seme
nascessi, non si sa; ben si sa certo
ch’infino a Giove sua potenzia teme.

Sopra un palazzo d’ogni parte aperto
regnar si vede, e a verun non toglie
l’entrar in quel, ma è l’uscir incerto.

Tutto il mondo d’intorno vi si accoglie,
desideroso veder cose nove,
e pien d’ambizione e pien di voglie.

Lei si dimora in su la cima, dove
la vista sua a qualunque uom non niega;
ma piccol tempo la rivolve e muove.

E ha duo volti questa antica strega,
l’un fero e l’altro mite; e mentre volta,
or non ti vede, or ti minaccia, or prega.

Qualunque vuole entrar, benigna ascolta;
ma con chi vuole uscirne poi s’adira,
e spesso del partir gli ha la via tolta.

Dentro, con tante ruote vi si gira
quant’è vario il salire a quelle cose
dove ciascun che vive pon la mira.

Sospir, bestemmie e parole iniuriose
s’odon per tutto usar da quelle genti,
che dentro al segno suo fortuna ascose;

e quanto son più ricchi e più potenti,
tanto in lor più discortesia si vede,
tanto son del suo ben men conoscenti.

Perché tutto quel mal ch’in voi procede,
s’imputa a lei; e s’alcun ben l’uom truova,
per sua propria virtude averlo crede.

Tra quella turba variata e nuova
di que’ conservi che quel loco serra,
Audacia e Gioventù fa miglior pruova.

Vedevisi il Timor prostrato in terra,
tanto di dubbii pien, che non fa nulla;
poi Penitenzia e Invidia li fan guerra.

Quivi l’Occasion sol si trastulla,
e va scherzando fra le ruote attorno
la scapigliata e semplice fanciulla;

e quelle ruoton sempre notte e giorno,
perché il ciel vuole (a cui non si contrasta)
ch’Ozio e Necessità le volti intorno.

L’una racconcia il mondo, e l’altro il guasta.
Vedesi d’ogni tempo e ad ogni otta
quanto val Pazienzia e quanto basta.

Usura e Fraude si godono in frotta
potenti e ricchi; e tra queste consorte
sta Liberalità stracciata e rotta.

Veggonsi assisi sopra de le porte
che mai, come s’è detto, son serrate
senz’occhi e senza orecchi Caso e Sorte.

Potenzia, onor, ricchezza e sanitate
stanno per premio; per pena e dolore,
servitù, infamia, morbo e povertate.

Fortuna il rabbioso suo furore
dimostra con quest’ultima famiglia;
quell’altra porge a chi lei porta amore.

Colui con miglior sorte si consiglia,
tra tutti gli altri che in quel loco stanno,
che ruota al suo voler conforme piglia;

perché gli umor ch’adoperar ti fanno,
secondo che convengon con costei,
son cagion del tuo bene e del tuo danno.

Non però che fidar ti possa in lei
né creder d’evitar suo duro morso
suo’ duri colpi impetuosi e rei;

perché, mentre girato sei dal dorso
di ruota per allor felice e buona
la suol cangiar le volte a mezzo il corso;

e, non potendo tu cangiar persona
né lasciar l’ordin di che ’l ciel ti dota
nel mezzo del cammin la t’abbandona.

Però, se questo si comprende e nota,
sarebbe un sempre felice e beato,
che potessi saltar di rota in rota;

ma perché poter questo ci è negato
per occulta virtù che ci governa,
si muta col suo corso il nostro stato.

Non è nel mondo cosa alcuna eterna:
Fortuna vuol così, che se n’abbella,
acciò che ’l suo poter più si discerna.

Però si vuol lei prender per sua stella
e quanto a noi è possibile, ogni ora
accomodarsi al variar di quella.

Tutto quel regno suo, dentro e di fuora
istoriato si vede e dipinto
di que’ trionfi de’ qua’ più s’onora.

Nel primo loco, colorato e tinto,
si vede come già sotto l’Egitto
il mondo stette subiugato e vinto:

e come lungamente il tenne vitto
con lunga pace, e come quivi fue
ciò ch’è di bel ne la natura scritto;

veggonsi poi gli Assirii ascender sue
ad alto scettro, quand’ella non volse
che quel d’Egitto dominassi piue;

poi, come a’ Medi lieta si rivolse;
da’ Medi a’ Persi: e de’ Greci la chioma
ornò di quello onor ch’a’ Persi tolse.

Quivi si vede Menfi e Tebe doma,
Babilon, Troia e Cartagin con quelle,
Ierusalem, Atene, Sparta e Roma.

Quivi si mostran quanto furon belle
alte, ricche, potenti e come al fine
fortuna a’ lor nimici in preda dielle.

Quivi si veggon l’opre alte e divine
de l’imperio roman, poi, come tutto
il mondo infranse con le sue rovine.

Come un torrente rapido, ch’al tutto
superbo è fatto, ogni cosa fracassa,
dovunque aggiugne il suo corso per tutto;

e questa parte accresce e quella abbassa,
varia le ripe, varia il letto e ’l fondo
e fa tremar la terra donde passa;

così Fortuna, col suo furibondo
impeto, molte volte or qui or quivi
va tramutando le cose del mondo.

Se poi con gli occhi tuoi più oltre arrivi,
Cesare e Alessandro in una faccia
vedi fra que’ che fur felici vivi.

Da questo esempio, quanto a costei piaccia,
quanto grato le sia, si vede scorto,
chi l’urta, chi la pigne o chi la caccia.

Pur nondimanco al desiato porto
l’un non pervenne, e l’altro, di ferite
pieno, fu a l’ombra del nimico morto.

Appresso questi son genti infinite,
che per cadere in terra maggior botto,
son con costei altissimo salite.

Con questi iace preso, morto e rotto
Ciro e Pompeio, poi che ciascheduno
fu da Fortuna infin al ciel condotto.

Avresti tu mai visto in loco alcuno
come una aquila irata si trasporta,
cacciata da la fame e dal digiuno?

E come una testudine alto porta
acciò che ’l colpo del cader la ’nfranga,
e pasca sé di quella carne morta?

Così Fortuna, non, ch’ivi rimanga,
porta uno in alto, ma che, ruinando,
lei se ne goda e lui cadendo pianga.

Ancor si vien dopo costor mirando
come d’infimo stato alto si saglia,
e come ci si viva variando.

Dove si vede come la travaglia
e Tullio e Mario, e li splendidi corni
più volte di lor gloria or cresce, or taglia.

Vedesi alfin che tra’ passati giorni
pochi sono e’ felici; e que’ son morti
prima che la lor ruota indrieto torni,
o che voltando al basso ne li porti.

English abstract

In this Engramma issue we publish a transcription of two “Capitoli” by Nicolò Machiavelli: the “Capitolo Dell’Occasione” dedicated to Filippo De’ Nerli, the “Capitolo Di Fortuna” dedicated to Giovan Battista Soderini.

keywords |  Nicolò Machiavelli; “Capitolo Dell’Occasione”; Filippo De’ Nerli;  “Capitolo Di Fortuna”; Giovan Battista Soderini

Per citare questo articolo / To cite this article: N. Machiavelli, I Capitoli Dell’Occasione e Di Fortuna, “La Rivista di Engramma” n. 92, agosto 2011, pp. 110-116 | PDF

doi: https://doi.org/10.25432/1826-901X/.92.0018