"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

73 | luglio/agosto 2009

9788898260188

Classico Manifesto: una indagine di Storia della Tradizione classica

Katia Mazzucco

Peithò & Mnemosyne è il nome assunto da un laboratorio di ricerca sulla Storia della Tradizione Classica nella Pubblicità[1]. Peithò (Persuasione) è nel mito figlia di Afrodite e Hermes: è il frutto dell’unione di seduzione ed eloquenza; bellezza e grazia, assieme a scaltrezza e rapidità. Mnemosyne, ‘memoria’, è una titanide, figlia di Gea e Urano, madre delle Muse, ispiratrici di tutte le arti.

Una nuova musa per la Pubblicità

In questi due numi tutelari, legati da una & commerciale, si individua un possibile terreno, o meglio un tracciato, di ricerca. La Pubblicità si offre in questo senso come luogo della ricerca sulle dinamiche della Tradizione Classica: ibrido – non sterile – tra creazione artistica e comunicazione commerciale, vincolate tra loro dai capricci della produzione di idee per figura e assieme dalle norme del profitto, la Pubblicità e la sua storia rappresentano una sponda necessaria allo studio sulle forme mediatiche di veicolazione delle immagini e più in generale sui meccanismi della memoria culturale. È proprio la necessità economica della comunicazione pubblicitaria a determinare la possibilità di questa prospettiva metodologica: l’efficacia comunicativa, la costruzione di tale efficacia, mette a nudo caratteri formali ed elementi strutturali della persistenza e dell’oblio, nei media di massa, di immagini e parole appartenenti alla tradizione.

Laboratorio è termine appropriato nel caso di questo esperimento. La comunicazione pubblicitaria è campo di indagine dissodato e praticato negli ambiti disciplinari sociologico, semiotico e linguistico, e si è guadagnata, a ragione, una propria letteratura critica e una storiografia particolare. Di rado la Storia dell’Arte si è dotata degli strumenti necessari ad afferrare e comprendere la creazione di immagini pubblicitarie, limitandosi piuttosto a considerazioni di pertinenza della cosiddetta Storia del Gusto. La Storia della Tradizione Classica è d’altro canto una disciplina dai confini labili – porosi –, non consolidata a livello accademico. Laboratorio è proprio in questo senso un luogo di ricerca sperimentale, rivolto alla raccolta di campioni di indagine. L’esposizione Classico Manifesto nasce da questa istanza: mettere in mostra una selezione mirata di materiali di ricerca che contribuiscano alla definizione e alla verifica di una costellazione di concetti pertinenti alla Storia della Tradizione Classica.

Il pretium del classico

Introdurre analiticamente il problema non è cosa breve; sarà comunque necessario in questa sede fare almeno tre precisazioni. Tra i primi riferimenti teorici di Classico Manifesto vi è la definizione data da Salvatore Settis di auctoritas dell’antico[2]. L’autorità, il pretium materiale e simbolico, di ciò che è antico si misura nel corso del Medioevo anche attraverso le forme del riuso, materiale e imaginale. Spolium in re non è prelievo fisico di un frammento dell’antico ma rifacimento – a differente grado di potenza – di uno o più frammenti. Il brano di antichità porta con sé e riecheggia l’idea, l’aura, della grandezza del passato intero – soprattutto quello romano, dalla prospettiva culturale mediterranea – in una sorta di continuità materiale e culturale rispetto all’era pre-cristiana. Prima dello studio da una prospettiva umanistica che porta alla conoscenza e alla classificazione storica delle rovine del passato, auctoritas esprime l’impasto di fraintendimento e fascinazione provocati dalla materia antica, indipendentemente dal suo oggettivo valore e direttamente dipendente dalla sua capacità di presa sul ‘fruitore’; e che non su valori estetici si misura, bensì sul grado di risonanza, potremmo dire, figurale e mnemonica – risonanza determinata anche dalle condizioni contingenti (le tendenze individuali e collettive del gusto e della conoscenza) di diffusione dei riverberi dell’antichità. Non si esaurisce dunque con la stagione culturale e storica del Medioevo: la dote di auctoritas risponde a un modo di interrogare o chiamare in causa l’antichità, e più in generale i ‘classici’. E questo modo, che non è unico e neppure univoco, trova un canale di perpetuazione privilegiato nella comunicazione di massa, in ragione della consonanza con alcuni meccanismi della comunicazione stessa.

Modernità del classico

Difficilissimo tratteggiare una definizione universale o definitiva del concetto di ‘classico’[3]. Specificamente per quanto riguarda i modelli ‘classici’ selezionati per la mostra Classico Manifesto si possono innanzitutto indicare alcuni riferimenti in negativo: non si intende per classico solo ciò che, sulla base della consolidata classificazione stilistico-storiografica, è riconducibile al V sec. a.C., e particolarmente all’Atene periclea; sbancato questo limite, classico non è solo l’arte antica che esprime, con Winckelmann, “edle Einfalt und stille Größe” (“nobile semplicità e quieta grandezza”); classico non è per forza antico, archeologico, passato. La materia di ricerca per Classico Manifesto mette in luce un dato meno generico e che per il momento è necessario, almeno, registrare: particolarmente per quanto concerne la dialettica tra memoria collettiva e individuale e il rapporto del classico con il ‘brusio’ dell’attuale, le declinazioni di definizione di ‘classici della letteratura’ offerte da Italo Calvino si adattano quasi perfettamente in Pubblicità anche all’uso di icone classiche del patrimonio visuale collettivo, in un significativo slittamento parola-immagine[4]. In questo senso, è naturale includere nell’ambito dei classici in Pubblicità opere che non appartengono al repertorio dell’arte antica greco-romana ma che spaziano ampiamente nelle epoche della storia dell’arte e, assieme, figure che non sempre godono di evidente o spiccata auctoritas mediatica. Di qui la necessità di un confronto, dalla prospettiva degli studi di tradizione, con l’attuale e ‘senso comune’ del classico.

Originale/modello/copia

Un’ulteriore precisazione: la ricerca nell’ambito della comunicazione pubblicitaria è funzionale a una discussione – in favore della complicazione – del nesso originale/modello/copia. Non si considera la vertiginosa prospettiva mediatica delle immagini pubblicitarie nei termini benjaminiani di perdita dell''aura’ (dell’originale). Il punto di fuga delle immagini pubblicitarie è piuttosto punto di osservazione privilegiato per l’indagine dei mezzi di ‘trasmissione (culturale) di massa’. Il riconoscimento di termini e meccanismi propri della tradizione nell’ambito della creazione di figure pubblicitarie non è dunque mirato a uno studio di carattere esclusivamente retrospettivo, ma anche prospettivo: il timore del facile comparativismo tra contesti storico-culturali affatto inaccostabili, e dell’uso improprio di schemi critici di lettura della produzione di immagini, non impedisce alfine di usare proficuamente la comunicazione pubblicitaria come materia di verifica di studio.

Il rapporto dei campioni di indagine raccolti per le ricerche di Peithò & Mnemosyne su oggetti, temi, motivi dell’arte occidentale ha suggerito un possibile ordinamento e una classificazione di esempi significativi, relativi a campagne pubblicitarie degli ultimi trent’anni – con poche, volute, eccezioni. La scelta di escludere quasi completamente materiali pertinenti alla 'storia della Pubblicità' ha una ragione principale: la necessaria restrizione del campo è mirata a evitare una sovrapposizione con lo studio storico di settore, per concentrare l’attenzione su materia solo parzialmente storicizzata; si esclude pertanto da questa parte di ricerca il confronto con i nodi storici del ‘Ritorno all’ordine’ ex Avanguardie e delle iconografie classiciste adottate dalla propaganda dei regimi totalitari del Novecento – e delle relative elaborazioni-reazioni post-belliche.

Dinamiche della tradizione classica

Alcune tecniche di costruzione della comunicazione pubblicitaria recente sono dunque ricondotte a schemi storicamente attestati nelle dinamiche della tradizione culturale, e sono state ordinate in queste categorie: ‘presenze del classico’; ‘pseudo-classici’; ‘allusioni’; ‘à la manière de’; ‘archetipi della memoria collettiva’. Come in qualsiasi forma di classificazione, i casi non sono riconducibili in maniera univoca a singole categorie, ma acquistano il valore funzionale di esempi di un particolare carattere. La delimitazione delle categorie, inoltre, non esaurisce la discussione dei concetti portanti delle stesse, e rappresenta una finzione ermeneutica, utile nella ricerca e nella esposizione dei suoi esiti.

Presenze del classico

In questa categoria rientrano i veri e propri prelievi di tipo archeologico: dato per acquisito il filtro determinato dalla riproduzione tecnica dell’originale antico, si tratta di spolia in se, ossia di opere o frammenti (dettagli) antichi riusati nel contesto pubblicitario. Il classico è slogan, scena, fondale ovvero oggetto dell’immagine pubblicitaria, impiegato in forza della propria auctoritas. Gli spolia, i frammenti di figure classiche più o meno celebri, sono ricontestualizzati e subiscono un processo di risemantizzazione, spesso declinato nei termini del letteralismo o della pura illustrazione: la stratificazione del valore simbolico e la molteplicità dei significati contestuali del classico sono obliterati in favore di una comunicazione diretta. In questi casi, il contesto storico-artistico originario del classico entra di rado a far parte della comunicazione pubblicitaria e si situa quasi esclusivamente a un livello secondo di lettura: classico è qui inteso in termini astorici, come dotato di valore intrinseco.

Pseudo-classici

Una distinzione prima si rende necessaria nel caso di esempi in cui si evidenzino interventi che alterano la forma dell’‘originale’ (o, meglio, del modello di riferimento). A partire dagli stessi presupposti che determinano la pratica del riuso in Pubblicità (auctoritas come opportunità comunicativa), il classico si presta a essere plasmato, riadattato, funzionalizzato al messaggio commerciale attraverso processi di sottrazione e/o addizione formale, mascheramento, deformazione. Si tratta dei casi di costruzione di quella che può essere considerata una metaopera, che nasce dalla modificazione o dall’integrazione di elementi di una o più opere classiche (e non).

Frequente è soprattutto il caso dell’inserto attuale – il prodotto reclamizzato o un elemento ad esso funzionale – dettato dallo specifico contesto del messaggio pubblicitario. Anche qui in via di letteralismo, l’oggetto pubblicizzato, nominato, indicato o riprodotto in figura può diventare elemento aggiuntivo (o sostitutivo di una parte) del classico, guadagnandosi spazio per consonanza o pertinenza formale o forzosa alterazione. Prima di chiamare in causa le pratiche dadaiste di scardinamento del ‘senso comune’, il caso è piuttosto accostabile, ad esempio, alla pratica ininterrotta del riadattamento nell’ambito della ritrattistica o, più puntualmente, a quella della risemantizzazione per via di sostituzione degli attributi o degli elementi accessori caratterizzanti figure (soprattutto allegoriche) della tradizione.

Allusioni

Gli esempi raccolti all’insegna dell’‘allusione’ mostrano un processo di libera ideazione a partire da un classico: il messaggio pubblicitario allude, spesso in modo ironico o per ammiccamento, ad autori, opere o singoli elementi del repertorio dei classici. Non si tratta di un grado maggiore di allontanamento dall’‘originale’, poiché rifacimento o imitazione non hanno propriamente luogo. Il classico è un punto di partenza, che può presentarsi come modello (singolo o plurale) individuabile o intuibile, ovvero come tipo, ossia riduzione ideale a partire da una serie, più o meno ampia, più o meno nota, attestata storicamente. In questa operazione, il classico alluso, in modo grossolano o con la sottigliezza dell’intuizione, resta congiunto al prodotto creativo del publicitario, come ombra dai contorni imprecisati, e non subisce alterazione di senso, poiché non è presente (via prelievo) e i suoi significati non sono messi in discussione. Considerando come parallelo possibile elementi della dinamica di trasmissione storica delle formule iconografiche e del processo cosiddetto della Typenwanderung, classico e allusione ad esso risultano infine accostabili ma non più sovrapponibili: l’opera allusiva acquisisce un posto proprio accanto al modello.

à la manière de

Così si indicano esempi di veri e propri esercizi formali: ispirazioni, ambientazioni, variazioni su motivi classici o modelli della tradizione. Nel caso di questa categoria, sono proprio il contesto o il milieu culturale del modello a essere vagheggiati. Il messaggio pubblicitario è proposto in (o da) una scena stilisticamente attendibile, ossia riconducibile a linee formali attestate – se non già stereotipate – in collocazioni e ambiti storici precisi, riconoscibili o intuibili. La commistione in questi pastiche di elementi appartenenti a generi o stili differenti in origine risulta coerente e consonante all’atmosfera ricreata nella messa in scena pubblicitaria.

Il rapporto con l’originale – l’atmosfera di un’opera, la maniera di un maestro o di una corrente artistica, gli elementi reiterabili di uno stile – sarà da intendere in senso ‘tipografico’: come nelle espressioni artistiche definibili neoclassiche (o, genericamente, ‘neo-qualcosa’) non esiste un rapporto effettivamente produttivo con il modello, bensì una sorta di trascrizione – in alcuni casi di altissima raffinatezza – di stilemi ideali appartenenti a un determinato lessico espressivo.

Archetipi della memoria collettiva

Nella creazione pubblicitaria si cela un simbolo, un tema, un motivo, appartenente al codice della tradizione culturale. Il simbolo può non essere oggetto della comunicazione, può essere sfruttato o meno direttamente, può non essere rivolto all’attenzione del fruitore. La categoria definita in questi termini si può quindi considerare attraverso uno sguardo che non è quello del creatore della pubblicità o del fruitore-consumatore bensì quello del ‘conoscitore’, e ha diretta relazione con i meccanismi di definizione della memoria culturale collettiva. Questo procedimento – l'emersione di un simbolo della tradizione in un contesto impertinente – ricalca lo schema teorico della riattivazione di un ricordo sopito: anche nei casi di utilizzo involontario o accidentale (da parte del creatore) di materia propria della tradizione, una immagine pubblicitaria può trascinare con sé – soprattutto per consonanza formale – una rete di significati stratificatisi, nel corso della storia, in una formula data.

[1]Il laboratorio di ricerca ‘Peithò & Mnemosyne’ dedicato a Pubblicità e tradiizone classica ha dal 2000 una finestra nel web nella rivista on-line “engramma” (www.engramma.it); i materiali sono pubblicati a cura di Lorenzo Bonoldi, autore di alcuni contributi sull’argomento (cfr. Lorenzo Bonoldi, Un compianto sul dandy stanco, in Monica Centanni (a cura di), L'originale assente. Introduzione allo studio della traduzione classica, Bruno Mondadori, Milano 2005, pp. 423-425.

[2] Il testo di riferimento è Salvatore Settis, Continuità, distanza, conoscenza. Tre usi dell'antico, in Memoria dell'antico nell'arte italiana, a cura di Salvatore Settis, vol. III, Dalla tradizione all'archeologia, Einaudi, Torino 1986, pp. 373-486.

[3] Monica Centanni, L'originale assente, in Ead. (a cura di), L'originale assente. Introduzione allo studio della traduzione classica, Bruno Mondadori, Milano 2005, pp. 6-9.

[4] Italo Calvino, Perché leggere i classici, Mondadori, Milano 1991 (già in «L'Espresso», 28 giugno 1981, pp. 58-68).

Il contributo è tratto da Classico Manifesto. Temi della tradizione classica nella pubblicità italiana (XV-XXI secolo), catalogo della mostra (Milano, 12 febbraio - 24 marzo 2008), a cura di Monica Centanni, Fondazione Valore Italia, Roma 2008.

Per citare questo articolo / To cite this article: K. Mazzucco, Classico Manifesto: una indagine di Storia della Tradizione classica, “La Rivista di Engramma” n. 73, luglio/agosto 2009, pp. 56-62 | PDF