"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

65 | giugno/luglio 2008

9788898260102

L'archeologia tradita: i Propyläen di Leo von Klenze

Francesca Mattei

Fulcro del progetto di rinnovamento di Monaco condotto da Ludwig I durante il suo regno (1825-1848), i Propyläen sul Königsplatz di Leo von Klenze sono frutto di una peculiare reinvenzione della tradizione classica, tradìta ma al tempo stesso rivitalizzata nello stesso momento in cui viene declinata per fini fortemente ideologici.

Fotografia del Königsplatz prima della seconda guerra mondiale, Kunsthistorisches Institut der Universität, Kiel

Con l’ascesa di Otto di Baviera, figlio di Ludwig, al trono ateniese, in seguito alla guerra di liberazione della Grecia (1821-1829), la riconfigurazione di Monaco e in particolare del Königsplatz entra a far parte di un disegno estremamente ambizioso, inscrivendosi in un’operazione unitaria che coinvolge al tempo stesso Monaco e Atene. Al rinnovamento della capitale della Baviera si affianca quello della capitale della Grecia, in un fitto intreccio di rimandi reciproci: come Atene deve venire contrassegnata dai segni della dinastia dei Wittelsbach, Monaco deve imporsi quale nuova Atene.

L’architetto chiamato a partire dal 1814 a dare forma ai piani dei Wittelsbach per il Königsplatz, e non solo, è Leo von Klenze, che con Ludwig instaura una collaborazione, fatta di privilegi quanto di condizionamenti, che durerà sino al 1864, anno di decesso dell’architetto. Consegnando alle pagine dei suoi Memorabilien i dettagli del loro incontro, Klenze rammenterà: “’Ecco un vero tedesco!’ Così mi apostrofò il principe ereditario di Baviera toccando una ciocca dei miei capelli biondi, e in questo modo mi diede il suo benvenuto […]. Io ancora non sapevo che questo incontro, in cui conobbi un principe, avrebbe influenzato il corso della mia intera vita”. (L. von Klenze, Klenzeana I/1, fol. 4r e 4v, BSB, Monaco: "’Also doch ein Teutscher!’, so rief mir der Kronprinz von Baiern, meiner blonden Haare einen Büschel ergreifend, zu, als ich ihm zum erstenmale vorgestellt ward: So seyn Sie mir dann herzlich wilkommen [...] Bei diesem Besuche nun war es, wo ich mit obigen Worten empfangen ward und wo ich einen Fürsten kennenlernte, welcher, was ich damals so wenig ahndete, so großen Einfluß auf mein ganzes Leben haben sollte").

Nelle richieste della committenza, il Königsplatz – ubicato non solo sul limitare della città ma in una posizione strategica, ossia tra i due poli del potere dei Wittelsbach, la Residenza monacense e il Castello di Nynphenburg, sede estiva della famiglia – si sarebbe dovuto caratterizzare per la presenza di tre edifici pubblici, ossia un museo di antichità (Glyptothek), una chiesa (Apostelkirche) e una porta urbica, i Propyläen appunto. Per ragioni ben più che formali, tutti e tre gli edifici sul Königsplatz sono sin da subito pensati come tre diverse declinazioni – dorica, ionica e corinzia – dell’architettura greca. Dorici devono, naturalmente, essere i Propylaeen, all’epoca ancora indicati come Stadtthor, porta urbica, sul Königsplatz. L’oscillazione, dal punto di vista terminologico, tra Stadtthor (termine generico) e Propyläen (termine dal rimando quanto mai preciso) esprime la progressiva definizione del programma assegnato all’edificio, preannunciandone al tempo stesso la natura complessa e l’iter tormentato. Proprio nel corso di questo iter, del resto, si delinea la specificità del contributo offerto da Klenze alla riconfigurazione della capitale della Baviera: se da un lato l’architetto è chiamato ad approfondire i propri studi archeologici, dall’altro saranno tali studi dell’architettura antica a produrre attriti e contrasti tra le sue convinzioni e il programma che è chiamato a soddisfare.

Tra il 1799 e il 1803, Klenze si era formato presso la Allgemeine Bauschule di Berlino, dove aveva frequentato i corsi di Alois Hirt e ne aveva studiato la Kritische Geschichte der Baukunst, apprendendo un metodo di analisi dell’antico che allo studio della storia affiancava l’indagine archeologica; una volta ricevuto l’incarico per il Königsplatz, Klenze avrà quindi avuto modo di sottoporre a verifica gli insegnamenti ricevuti e di proseguire autonomamente lo studio dell’architettura greca antica. In particolare, a costituire un momento fondamentale nella sua formazione sono i viaggi compiuti in Italia e in Grecia, che gli consentirono di studiare in loco l’architettura antica. Per Klenze, giunge finalmente l’ora dell’indagine sul campo: “Sono qui da dieci giorni – ha modo di scrivere, nel corso di uno dei viaggi in Italia, nella lettera alla moglie il 6 gennaio del 1824 –, lavoro come un negro e ho intenzione di rimanervi ancora quattordici giorni. Vedendo le architetture del luogo, mi sono reso conto che tutto quel che ne sappiamo dalle opere degli inglesi e dei francesi è estremamente lacunoso. Mi sono comunque deciso a disegnare tutto personalmente […]”. (L. von Klenze, lettera alla moglie del 6 gennaio 1824, citata in Hamdorf, Klenzes Studien zum dorischen Tempel, in Ein griechischer Traum, p. 135. "Ich bin Jetzt 10 Tage hier, arbeite wie ein Neger und habe vor, noch weitere 14 Tage zu blieben. Als ich die hiesinge Bauwerke erblickte, sah ich, dass alles, was wir aus englischen und französischen Werken darüber wussten, aeusserst unvollkommen war. Ich habe mich daher entschlossen, alles selbst zu zeichne").

Visitando la Sicilia e la Grecia, Klenze non si limita, a differenza dei suoi predecessori, a una conoscenza dell’antico mediata dalle descrizioni di poeti e pittori: egli non sarà più disposto a reimmergersi in un passato solamente vagheggiato – per riproporre la lettura di Michele Cometa – ma comincia ad avvicinarsi all’architettura antica con un metodo scientifico, utilizzando l’osservazione, la misurazione e la catalogazione degli edifici per servirsene, poi, nella progettazione (Cometa 1999, p. 105).

Il primo contatto diretto di Klenze con l’antichità classica era avvenuto nel 1820 quando aveva compiuto un viaggio in Sicilia, nel febbrile clima del dibattito in merito alla forma e all’origine del tempio dorico. Convinto che costituisse la vetta più alta mai raggiunta dall’architettura (“Se l’arte dei greci è stata citata in qualche costruzione, […] ciò è avvenuto grazie all’ordine dorico. L’armonia di questo ordine […] risulta subito evidente”, L. von Klenze, lettera a Ludwig, 3-4 settembre 1855, GHA C22, Monaco: “Ob bei einem solchen Gebaeude [...] die Griechen in der Kunst Blüthezeit unterschiedenerley Ordnungen angewendet, mir wenigstens ist nichts dergleichen nekannt. Einklang [...] derselben scheint mir wesentlich"), Klenze aveva dedicato al tempio dorico alcuni studi ancor prima di intraprendere il viaggio. (L. von Klenze, Versuch einer Wiederherstellung des toskanischen Tempels nach seinen historischen und techischen Analogien, lezione tenuta all’Akademie der Wissenschaften di Monaco il 3 marzo 1821, pubblicata con lo stesso titolo in Denkschriften der Kgl. Akademie der Wissenschaften zu München für die Jahre 1821 und 1822, München 1824; L. von Klenze, Die Tempel des olympischen Jupiter zu Agrigent, nach den neusten Ausgrabungen dargestellt, Stuttgart-Tübingen 1821). Il confronto con il manufatto antico offre pertanto l’opportunità di verificare e vagliare ipotesi già precedentemente formulate.

I viaggi in Italia avvengono nei lunghi decenni che trascorrono tra l’assegnazione a Klenze dell’incarico del Königsplatz e dei Propylaeen e la loro effettiva realizzazione. Dopo essere entrato nelle grazie di Ludwig, e quindi incaricato della progettazione di alcuni dei principali edifici della nuova Monaco, Klenze visita, con occhio evidentemente interessato, l’architettura greca in Italia. Nel 1834, Klenze avrebbe inoltre accompagnato il sovrano in una missione diplomatica ad Atene, cogliendo così l’opportunità per visitarne le rovine, e soprattutto l’Acropoli.

Per Klenze il viaggio in Grecia non è un semplice viaggio di piacere: l’incarico che Ludwig gli ha assegnato è di compiere una catalogazione del patrimonio archeologico ateniese, di intraprendere su questa base il restauro dell’Acropoli e di elaborare un progetto per il palazzo reale. Alla progettazione, già in atto, di Monaco come nuova Atene, si affianca ora la trasformazione di Atene nella città dei Wittelsbach. È questo un momento culminante: archeologia e architettura si trovano coinvolte nel medesimo progetto. Non si tratta di una casuale sovrapposizione dovuta alla loro pratica simultanea, quanto di una precisa scelta operata da Klenze, che intende far collaborare sinergicamente le due discipline per soddisfare la richiesta di Ludwig.

L’architetto documenta in modo preciso le tappe del viaggio in Grecia compilando alcuni diari, pubblicati nel 1838 con il titolo di Aphoristische Bemerkungen (L. von Klenze, Aphoristische Bemerkungen gesammelt auf seine Reise in Griechenland, mit einem Tafelatlas ‘Sechs Lithographien zu Leo von Klenzes griechischer Reise’, Berlin 1838). Secondo la sua stessa testimonianza, si viene per la prima volta a trovare al cospetto delle rovine antiche il 30 luglio 1834, una volta sbarcato a Corinto. È però il Partenone che Klenze è ansioso di visitare. Il 14 agosto Klenze giunge ad Atene, impaziente di mettersi all’opera.

Leo von Klenze, Veduta di Atene, 1834. Acquerello su disegno a matita. Autografo, Klenzeana XX /1, Bayerische Staatsbibliotheck, Monaco

Subito si reca a visitare i monumenti antichi, ne compie un inventario e si accinge a elaborare i primi progetti di un restauro orientato a eliminare i mutamenti prodotti nel corso dei secoli e a riportare i manufatti al loro stato ‘originario’. A differenza del Partenone - trasformato prima in chiesa e poi in moschea, ma sostanzialmente inalterato nelle forme - i Propilei erano stati oggetto di diverse sovrapposizioni nel corso dei secoli e, quando Klenze giunge sull’Acropoli, hanno un aspetto molto diverso dal monumentale ingresso pericleo. Nonostante l’alternanza delle dominazioni succedutesi ad Atene abbia lasciato segni riconducibili ad ognuna di esse, l’aspetto dei Propilei, al tempo di Klenze, risente principalmente delle modifiche apportate nei secoli XIV e XV. Gli Acciaiuoli, duchi d’Atene dal 1388 al 1456, li avevano trasformati nella propria residenza e, pur non modificando l’impianto pericleo, ne avevano inglobate alcune parti nelle mura di fortificazione. L’intervento più radicale risaliva al ducato di Antonio Acciaiuoli (1403-1435), il quale aveva fatto erigere una torre di vedetta di fronte al tempietto di Atena Nike, ancora presente all’epoca della visita di Klenze. I danneggiamenti della struttura ‘originaria’ risalivano, invece, alla dominazione dei Turchi, insediatisi dopo aver spodestato gli Acciaiuoli (1456). I Turchi, infatti, avevano utilizzato l’atrio dell’edificio come deposito delle polveri, la cui esplosione causata dalla caduta di un fulmine nel 1640 aveva provocato danneggiamenti alle colonne e alla copertura dei Propilei.

Abbattendo le aggiunte all’Eretteo e ai Propilei, gli intenti di Klenze erano la liberazione dell’Acropoli dalle integrazioni militari e la pulizia dalle macerie, accumulatesi nel corso dei secoli; a questo punto, sarebbe stato compiuto il restauro per anastilosi del Partenone, integrandone le parti mancanti per mezzo di blocchi ben riconoscibili; si sarebbe, infine, dovuto aprire un museo, oltre che creare una zona verde attorno al Partenone. Infine, accanto agli interventi di recupero, la proposta di Klenze contempla i disegni per il nuovo palazzo reale di Otto di Baviera, con i quali si accinge a modificare il progetto per l’Acropoli che due giovani architetti, Eduard Schaubert e Stamatios Kleanthes, entrambi allievi di Schinkel alla Bauakademie di Berlino, avevano precedentemente presentato.

Eduard Schaubert e Stamatios Kleanthes, Progetto di Ottonopolis, 1833, Staatliche Graphische Sammlungen, Monaco (a sinistra)
Leo von Klenze, Piano per Ottonopolis, 1834, Kunsthistorisches Institut der Universitaet, Kiel (a destra)

Nel rispetto degli intenti di Ludwig, uno dei fulcri del progetto di Klenze è costituito dal palazzo reale, che avrebbe dovuto essere innalzato alle pendici dell’Acropoli – onde sottolineare la continuità tra l’epoca periclea e quella dei Wittelsbach – ma non sulla sua cima, tra le vestigia del passato: la venerazione per l’antichità non lo avrebbe mai consentito. Dell’Acropoli, il palazzo reale aspira piuttosto a porsi come la cornice. Allineato con la porta della nuova città e con gli edifici ministeriali, avrebbe dovuto essere introdotto a nord ovest da una statua di Atena, così da stabilire un collegamento visivo con l’Acropoli dal punto di vista da cui si gode della panoramica più suggestiva.

Leo von Klenze, Veduta del castello di Otto di Baviera sull’Acropoli, olio su tela, 1835, Museo dell’Ermitage, San Pietroburgo

Il 15 settembre 1834, una volta affidato il cantiere dell’Acropoli a Ludwig Ross – con il quale manterrà costanti contatti epistolari – e assistito alla sfarzosa cerimonia per l’inaugurazione dei lavori di restauro del Partenone, Klenze fa ritorno a Monaco. Impostata la trasformazione di Atene, e arricchito dalle conoscenze conseguite nel corso del viaggio, Klenze ha finalmente modo di dedicarsi alla riconfigurazione della capitale bavarese, e in particolare al progetto del Königsplatz.

Il Königsplatz è uno degli argomenti più discussi nelle numerose lettere del carteggio tra Ludwig e Klenze, e ricorre frequentemente anche nelle pagine dei Memorabilien. Dagli scritti privati di Klenze emerge come il sovrano, spesso definito “despotes”, eserciti continue pressioni in merito alle questioni progettuali. Dal momento che sta investendo ingenti risorse nella realizzazione del suo programma, il principe non intende limitare il suo ruolo a quello di spettatore; non esita nemmeno a creare un clima di competizione tra i vari architetti che lavorano per lui, allo scopo di stimolarli a produrre sempre nuovi e migliori progetti. Oltre a contestare le interferenze del principe, Klenze non ne condivide la propensione a utilizzare indiscriminatamente tutti gli stili storici, indipendentemente dal carattere o dalla funzione dell’edificio. “Illustre Maestà, lei desidera avere a Monaco tutti gli stili allo stesso tempo!!! Dunque per cosa mai ho combattuto!!! […]. O Adriano, come ho spesso paragonato a ragione la tua epoca con la nostra in Germania!!! Tra il 1813 e il 1818 avevo sperato di essere al servizio di un Pericle e di poter divenire un moderno Metagene, mentre a me il destino serbava solo il ruolo di un Apollodoro!” (L. von Klenze, lettera a Ludwig di Baviera, Klenzeana XIII/1, fol. 61ff, BSB Monaco: “Erklaerung Seiner Majestaet, er wolle nun einmal von allen Stylen und Schönheiten architektonische aller Zeiten und Muster in München haben!!! Also was ich so sehr bekaempft geschient nun doch!!! [...] O Hadrian, wie richtig habe ich Dein Zeitalter oft mit unserer Zeit in Teutschland verglichen! 1813-18 hoffe ich, einem Perikles zu dienen und Metagenes zu werden, doch nur die Rolle eines Apollodor wollte mir das Schicksal gewaehren!”). Convinto sostenitore dell’architettura greca, e in particolare di quella di epoca periclea, Klenze non condannava a priori l’adozione di diversi stili, a condizione però che questo non avvenisse in contrasto con la tipologia dell’edificio e con il contesto nel quale deve andare ad inserirsi. Il diverso atteggiamento di Ludwig e Klenze a tale riguardo è testimoniato dalla discussione in merito ai Palazzi sulla Ludwigstrasse: mentre Ludwig desidera riprodurre la magnificenza del Rinascimento romano, Klenze preferisce creare una facciata continua che richiami i palazzi toscani del Quattrocento, sulla base della convinzione che la committenza romana del Cinquecento fosse stata troppo diversa per nobiltà e ricchezza rispetto a quella monacense del XIX secolo. L’opzione per uno stile o per un altro da parte di principe e architetto rivela, dunque, motivazioni assai diverse, nelle quali è possibile riconoscere uno dei punti più significativi del loro dibattito: se per Ludwig l’adozione di un determinato stile del passato è funzionale alla celebrazione della propria dinastia, per Klenze è frutto di una valutazione fondata su ragioni storiche. È quindi interessante rilevare come essi si trovassero d’accordo sulla scelta del dorico per i Propyläen.

Attingendo agli insegnamenti di Durand, Klenze concepisce la storia dell’architettura come una sorta di Recueil, nel quale alcune forme originarie vengono declinate in modi diversi. All’interno di tale quadro, l’architettura greca presenta, però, una peculiarità: quella di costituire la vetta irraggiungibile dell’architettura di ogni tempo, e di conseguenza pure di quella della sua epoca. “Non c’è mai stata né ci sarà mai – afferma Klenze nella Sammlung Architectonischer Entwürfe (1830) – più di una arte del costruire, ovvero quella che è stata portata alla perfezione nell’epoca della prosperità e di civiltà della Grecia […]. L’architettura greca soltanto ha le qualità che la rendono universale […] per quanto ogni stile architettonico abbia la possibilità di influire su di noi quando è veramente stile nazionale” (L. von Klenze, Sammlung architectonischer Entwürfe welche ausgeführt oder für die Ausführung entworfen wurden, Münich 1830, Vorwort: "Es gab und gibt nur Eine Baukunst, und wird nur Eine Baukunst geben, naemlich diejenige, welche in der griechischen Geschichts – und Bildungsepoche ihre Vollendung erhielt. [...] Allgemein zweckmaessig, charakteristisch und schön ist nur die griechische Baukunst; [...] reizende und von bedingtem Werth jede Bauart, welche wirklich zu einer nationellen Entwicklung gelangt"). Per il dorico poi, come si è detto, Klenze nutre una predilezione particolare. Non si tratta, per l’architetto, di uno degli innumerevoli stili a cui sia possibile attingere più o meno opportunamente, ma della massima espressione dell’architettura greca. È soltanto per edifici di particolare importanza che, pertanto, egli lo adotta. Sotto la committenza di Ludwig, questo avviene con il Walhalla (1815-1842), la Ruhmeshalle (1834-1853) e, infine, i Propyläen, tutti e tre coerentemente chiamati ad assolvere il medesimo compito – di celebrare, rispettivamente, la nobiltà della Germania, della Baviera e di Monaco.

La convergenza dell’architetto e del suo committente sul dorico si radica nella convinzione – assai diffusa nella coeva costellazione degli staterelli di lingua tedesca che diventerà la Germania – che il dorico costituisca il “vero stile nazionale” tedesco. Sulla base della lettura dei testi di Johannes von Müller, Friedrich Schlegel e Joseph Görres, già nel corso di una conferenza tenuta a Monaco all’Akademie der Wissenschaft il 3 marzo del 1821, del resto, alla quale era seguita la pubblicazione del testo Versuch der Wiederherstellung des toskanischen Tempels (L. von Klenze, Versuch einer Wiederherstellung des toskanischen Tempels nach seinen historischen und techischen Analogien, München 1824), Klenze aveva proposto un confronto e un’equiparazione – soprattutto sul piano del particolarismo delle città-stato della Grecia, paragonato alla suddivisione della Germania in Stati autonomi, e della funzione unificatrice svolta dalla lingua quale unico elemento comune in entrambe le culture – tra la storia greca e quella tedesca. Ancora nell’apparato decorativo del Walhalla, Klenze avrebbe dato espressione agli ipotetici intrecci tra la mitologia greca e le tradizioni germaniche. Per Klenze, come per una fetta consistente della cultura tedesca, greco e tedesco si implicano a vicenda. Per Ludwig, d’altro canto, tale implicazione si rivela strumentale alla politica culturale attuata. Ed è su questa base, anche se con premesse molto differenti, che tra committente e architetto si stabilisce una convergenza.

Nonostante tale convergenza, l’elaborazione del progetto per il Königsplatz e per i Propyläen è decisamente lenta e accidentata: Klenze, insignito di innumerevoli altri incarichi da parte di Ludwig, ne avrebbe consegnato la versione definita non prima del 1848; nel frattempo, avrebbe continuato a rivedere la propria proposta. In una lettera a Ludwig del 30 luglio 1817 (L. von Klenze, lettera a Ludwig di Baviera, 30.7.1817, GHA I A 36 I, Monaco), l’architetto elencava quelli che, a suo giudizio, costituivano gli antecedenti del suo progetto: la Porta del Popolo a Roma, la Barrière du Throne a Parigi, e il Brandeburger Thor a Berlino. In un’annotazione contenuta in un disegno del 1821, in cui peraltro si limitava a indicare l’ingombro planimetrico della porta, concentrandosi invece sul rapporto tra i diversi edifici sulla piazza, Klenze specificava che la porta urbica sarebbe stata costruita in ordine dorico – come stabilito con Ludwig già nel 1816 (L. von Klenze, Klenzeana I/1, fol. 26 v, BSB, Monaco). Nel progetto del 1821, il Königsplatz si presentava come uno spazio chiuso, che traeva la propria monumentalità dai tre edifici pubblici che vi prospettavano, ossia la Glyptothek, la porta urbica e la chiesa, pensati ciascunoin uno dei diversi ordini greci. Per evidenziare la continuità del perimetro del Königsplatz, essi venivano collegati tra loro da edifici privati, ispirati a fastosi palazzi rinascimentali.

Leo von Klenze, Progetto per il Königsplatz, 1821, Matita e acquerello, Geheimes Hausarchiv, Monaco

Tra il 1820 e il 1826, inoltre, Klenze presentava a Ludwig un disegno della porta urbica nel quale dimostrava di aver tratto ispirazione dagli archi trionfali romani, proponendo una porta a un solo fornice sormontata da una quadriga.

Leo von Klenze, Progetto di porta urbica con motivo ad arco di trionfo, 1820-1826, Staatliche Graphische Sammlungen, Monaco

L’arco presentava due prolungamenti su ciascuno dei fianchi, che terminavano in due portali tetrastili dorici, che avrebbero dovuto conferire maggiore imponenza alla porta e, contemporaneamente, avrebbero costituito un collegamento con gli altri edifici sul Königsplatz. L’arco trionfale era un modello ben noto a Klenze, che aveva avuto modo di studiarlo sia per mezzo di riproduzioni grafiche sia durante i viaggi in Italia. In tale fase progettuale, per quanto monumentale, la porta urbica risultava tuttavia estromessa dallo spazio della piazza: mentre la Glyptothek e la Apostelkirche entravano in dialogo fronteggiandosi sui due opposti lati della piazza, la porta occidentale non partecipava a questo dialogo, e appariva una semplice interruzione del perimetro della piazza. In seguito, Klenze si sarebbe sforzato di attribuire un ruolo paritario ai tre edifici, sia sul piano simbolico che su quello compositivo; nel 1823, quindi, isolava in maniera più evidente la porta urbica dagli altri edifici che si affacciavano sul Königsplatz, in modo da conferirle una maggiore importanza.

Leo von Klenze, Progetto per il Königsplatz, 1823, Staatliche Graphische Sammlungen, Monaco

A queste prime proposte era seguita una lunga interruzione nella progettazione, nel corso della quale Klenze aveva però avuto modo di approfondire, soprattutto nel corso del viaggio in Grecia, la propria conoscenza dei Propilei ateniesi. E quando poi, nel 1846, riaffiora negli scritti il riferimento all’accesso monumentale al Königsplatz, Klenze vi si riferisce sostituendo l’iniziale termine Stadtthor con quello, assai più specifico nonché evocativo, di Propyläen – chiaro indizio sul modello che ora lo ispira. A questo punto, abbandonato il diretto riferimento all’arco trionfale, Klenze propone due nuovi disegni, entrambi caratterizzati da un portale esastilo dorico, con una soluzione molto vicina a quella dei Propilei ateniesi. Nel primo, le ali che fiancheggiavano il portale sono staccate dal corpo centrale, creando così due varchi ai suoi lati. Nel secondo, invece, che rappresenta la soluzione preferita da Klenze, i corpi laterali sono uniti a quello centrale, determinando una maggiore compattezza dell’insieme. In entrambi i casi, le ali laterali sono di altezza inferiore rispetto al corpo centrale, che caratterizza la porta con la sua monumentalità.

Leo von Klenze, Progetto per i Propyläen, I versione, 1846, Staatliche Graphische Sammlungen, Monaco (a sinistra)
Leo von Klenze, Progetto per i Propyläen, II versione, 1846, Staatliche Graphische Sammlungen, Monaco (a destra)

L’evoluzione del progetto per i Propyläen tratteggia il percorso compiuto da Klenze verso la scelta di modelli adatti a esprimere al meglio il programma culturale del sovrano. Mantenendo come elemento costante lo stile dorico, negli anni '20 Klenze si era preoccupato di disegnare una porta urbica. Nei successivi vent’anni, si impegna quindi in una lunga fase di studio che, letta alla luce della proposta finale, costituisce il nodo nella progettazione di questo edificio. Già nella proposta del 1846, Klenze sovrappone alle iniziali indicazioni stilistiche il riferimento a un edificio – quale i Propilei ateniesi – in grado di motivare storicamente la scelta del dorico e al contempo di dare espressione agli intenti del committente.

La citazione dei Propilei ateniesi in una porta urbica si inscrive in una tradizione ormai attestata da alcuni decenni. Tra i numerosi antecedenti, va ricordato il berlinese Brandeburgerthor (1796) di Carl Gottard Langhans, non a caso tra i modelli citati da Klenze stesso – come si è visto – per i Propyläen. Langhans, che non era mai stato in Grecia, si era affidato alla ricostruzione delle Ruines des plus beaux monuments de la Grèce (1758) di Julien-David Le Roy, e aveva proposto un edificio che, pur richiamando esplicitamente il prototipo ateniese, ne aveva adattato le forme secondo la sensibilità dell’epoca: aveva addolcito lo stile dorico dotando di base le colonne e introducendo delle mezze metope alle estremità del fregio, secondo una prassi romana; e, invece che il frontone, aveva posto sulla sommità dell’edificio una piattaforma a più piani che reggeva una quadriga.

Nonostante abbia visitato in prima persona le antichità greche, le abbia studiate e sia persino stato incaricato di intervenire su di esse, Klenze non pare comportarsi molto diversamente da Langhans. Quando appronta i progetti del 1846, Klenze non utilizza i rilievi eseguiti durante il viaggio in Grecia: si affida, piuttosto, a una ricostruzione dei propilei ateniesi, quella effettuata da Stuart e Revett, di cui conosceva l’opera sin da giovane; come Langhans, e nonostante abbia avuto l’opportunità di visitare le antichità, Klenze si basa per il proprio progetto non sulle osservazioni compiute personalmente in loco ma sulle più note e diffuse riproduzioni degli edifici antichi tra quelle allora in voga: la fase di rilievo e studio archeologico viene scissa, quasi inconsapevolmente, da quella della progettazione.

Leo von Klenze, Copia da Stuart e Revett della pianta dei Propilei ad Atene, 1829-1833, Kunsthistorisches Institut der Universitaet, Kiel (a sinistra)
Leo von Klenze, Ricostruzione dei Propilei da Stuart e Revett, 1846, Staatliche Graphische Sammlungen, Monaco

Tale scelta appare singolare alla luce delle osservazioni compiute e non ne compaiono tracce nei documenti esaminati, ma potrebbe essere spiegata dal complesso di circostanze in cui si sviluppò il progetto per i Propyläen: oltre a confermare l’autorevolezza dei rilievi di Stuart e Revett, il modus operandi di Klenze si giustifica alla luce delle esigenze di Ludwig, in quanto asseconda l’interesse del sovrano non per l’edificio in sé, e quindi per le recenti indagini svolte da Klenze, ma per la forza evocativa di cui l’edificio è chiamato a farsi da tramite.

Nemmeno nel 1846 si dà, però, avvio ai lavori. Klenze approfitta così dei due anni successivi – quelli che precedono la Rivoluzione del 1848 – per sottoporre il progetto a ulteriori, piccoli cambiamenti. Propone di sostituire le ali laterali, più basse del corpo centrale, con due torri; in tal modo, i Propyläen reintroducono un rimando alla propria natura di porta urbica, come peraltro emerge dalle parole dello stesso architetto: “il progetto per i Propyläen […] discendeva dalle antiche porte urbiche, per quanto riguardava le due torri laterali; esse erano collegate al portico centrale, pensato e progettato come quello dei propilei di Atene” (L. von Klenze, Klenzeana II/5, fol. 68, BSB, Monaco: “Ein Propylaeenentwurf war wie antike StadtThore mit 2 Thürmen […] durch eine Saeulendurchfahrt verbunden waren, welche dann allerdings wie die Atheniensischen Propyläen […] gestaltet war”). Si tratta, in altri termini, di fondere motivi tratti da epoche e stili differenti per raggiungere una sintesi originale.

Leo von Klenze, Propilei sul Königsplatz, olio su tela 1848, Stadtmuseum, Monaco

Quando, nel 1848, il sovrano è costretto ad abdicare in seguito alla sua relazione con la ballerina Lola Montez, l’avvento della Rivoluzione in Baviera sospende la costruzione dei Propilei fino al 1854. Dopo cinquant’anni di lavori lenti e affannosi, e di continui ripensamenti, i Propyläen vengono terminati soltanto nel 1862, quando in Grecia il regno di Otto di Baviera, in crisi da anni, stava ormai volgendo al termine. Con la loro inaugurazione, il 30 ottobre di quell’anno, il Königsplatz è ultimato. “La Glyptothek ionica, la chiesa corinzia e la porta della città dorica diventano – secondo il proposito espresso da Klenze già nel 1817 – il modo per trasporre l’immagine di un puro ellenismo nella nostra epoca” (L. von Klenze, lettera a Ludwig di Baviera, 13 settembre 1817, GHA I A 36 I, Monaco: “Die ionische Glyptothek, die korintische Kirche und das dorische Stadttor würden auf einem Punkte ein bild des reinen Hellenismus in unsere Weltverpflanzt geben”).

Alla celebrazione di Otto di Baviera, incoronato nel 1832 re della Grecia, e tramite lui alla celabrazione dei Wittelsbach, è rivolto l’apparato decorativo dei Propyläen, che fa da controcanto all’architettura e ne completa il messaggio. Nelle sculture del frontone orientale,

Frontone orientale dei Propyläen, Monaco (fotografia dell'autrice)

realizzate da Ludwig Schwanthaler, troneggia proprio Otto, rappresentato come incarnazione di Arte, Conoscenza e Religione, mentre in quelle del frontone occidentale vengono raffigurate due Nikai, simbolo della vittoria dei tedeschi sulla terra e sul mare.

Frontone occidentale dei Propyläen, Monaco (fotografia dell'autrice)

Le torri vengono decorate con scene della guerra tra Greci e Turchi, in cui i Greci sono ritratti con costumi ispirati alla moda antica.

Torre meridionale dei Propyläen, Archivio privato di Adrian von Buttler

Ad attenuare il severo aspetto dorico dei Propyläen, intervengono alcuni motivi decorativi realizzati nella parte nascosta dell’edificio: dietro il colonnato dorico, Klenze ne colloca un altro ionico policromo, con capitelli che presentano motivi ripresi dall’architettura egizia.

Capitello del colonnato interno dei Propyläen, Monaco (fotografia dell'autrice)

Ludwig ordina inoltre di iscrivere i nomi dei trentadue soldati che parteciparono alle guerre di liberazione in Grecia nelle pareti interne ai Propyläen, così da sottolineare il legame storico tra le due città.

Iscrizione con i nomi dei combattenti nelle guerre di liberazione in Grecia, Propyläen, Monaco (fotografia dell'autrice)

Pur con le sue dimensioni ridotte, il progetto per i Propyläen assume un ruolo centrale nel Königsplatz e, più in generale, nella 'nuova Monaco' di Ludwig.

Veduta orientale dei Propyläen sul Königsplatz a Monaco, fotografia, 1900, Kunsthistorisches Institut der Universität, Kiel

L'utilizzo del modello ateniese consente di affrontare la questione del rapporto tra archeologia e architettura nell'opera di Klenze: alla bade del lungo iter progettuale, quindi, vi è più di un dibattito attorno alla questione dello stile più idoneo e ai modelli da utilizzare. Se ci soffermiamo sulle intenzioni comuni di Klenze e di Ludwig - la scelta dello stile dorico e il riferimento all'età aurea di Atene - sembra tracciarsi un percorso lineare che non solo collega archeologia e architettura, ma elegge la prima a sostegno dlla seconda. Klenze, incaricato di progettare un edificio celebrativo per il committente, dapprima si documenta mediante i rilievi, e poi propone nel proprio progetto i risultati degli studicompiuti ad Atene. Invece, si vorrebbero qui evidenziare i punti critici di questo percorso e proporre una seconda lettura che, al contrario, rivela la debolezza del rapporto tra archeologia e architettura.

Il modello dei Propilei da un lato sembra essere assunto a priori, dall’altro viene messo in discussione proprio nella fase finale del progetto. I Propyläen, infatti, riprendono il nome dell’edificio antico e ne evocano palesemente le forme, ma lo ibridano con elementi provenienti da altri edifici, puntualmente citati da Klenze anche se con meno enfasi. I Propyläen, dunque, non sono la semplice copia di un modello antico: ne suggeriscono piuttosto la mancata riproposizione puntuale.
L’accostamento di stili, forme e sintagmi provenienti da epoche diverse dipende indubbiamente dalla cultura architettonica del tempo e, d’altro canto, il recupero del passato che Klenze richiede a Ludwig costituisce tutt’altro che un unicum: tuttavia l’operazione condotta a Monaco assume una particolare connotazione proprio per la favorevole situazione storica – la reciproca implicazione di Monaco e Atene – che legittima finalmente, dopo il fallimento di innumerevoli studi precedenti, la discendenza della corte bavarese dalla civiltà greca.

Nell’esame dell’opera di Klenze i Propyläen assumono una particolare rilevanza: essi, infatti, denunciano che egli, pur essendo sia architetto che archeologo e nonostante ritenesse che il rilievo dell’antico fosse funzionale al disegno del nuovo, non riesce, di fatto, a far collaborare le due discipline nella fase finale del progetto. Anche se la lezione greca costituisce il momento più alto della 'storia del costruire' e mantiene una posizione preminente nella sua formazione, lo studio archeologico incide maggiormente nella teoria piuttosto che nella pratica progettuale. È un primo tradimento all’archeologia: davanti al rigore del suo formarsi come scienza, l’architetto non è capace di sfruttare le nuove acquisizioni come strumenti oggettivi di progettazione. Se poi riflettiamo in generale sul ruolo dell’archeologia all’epoca del progetto dei Propyläen è possibile smascherare un secondo tradimento.

Indipendentemente dal rigore scientifico, il vero compito dell’archeologia è quello di dare un fondamento storico alle ambizioni del committente, poiché il fine per cui Klenze è chiamato a proporre un edificio esemplato sull’accesso all’Acropoli ateniese è la legittimazione del regno monacense. E, come sostiene Michele Cometa, il contesto monacense si presta in modo particolare a questa analisi (Cometa 1999, p. 188). Per quanto riguarda la committenza, l’archeologia tende a ridursi a strumento di propaganda politica: la riproposizione puntuale di un edificio antico o la sua ricostruzione filologicamente corretta sono del tutto estranee agli interessi di Ludwig. Pertanto, il rapporto tra architettura e archeologia è ostinatamente ricercato, ma rimane subordinato agli obbiettivi politici del committente.

L’archeologia suggella l’incontro tra le istanze del principe e dell’architetto, ma, per entrambi, il suo valore si riduce a strumento esclusivamente retorico: da presupposto forte, si trasforma inaspettatamente in strumento debole. Il percorso intrecciato di archeologia e architettura arriva a un punto critico: nella storia dei Propyläen, le tensioni irrisolte fra teoria e pratica progettuale, da una parte, e fra ricostruzione storica e propaganda politica, dall’altra, sembrano annunciare l’irrimediabile divorzio fra archeologia e architettura e la formazione dei rispettivi e indipendenti campi di competenza.

Bibliografia fonti

Klenze 1821
L. von Klenze, Der Tempel des olympischen Jupiter zu Agrigent, nach den neusten Ausgrabungen dargestellt, Stuttgart-Tübingen 1821

Klenze 1821
L. von Klenze, Über das Himwegführen plastischer Kunstwerke aus demjetzigen Griechenland und die neusten Unternehmungen dieser Art. Eine Vorlesung, gehalten in der öffentlichen Versammlung der Kgl. Bayerischen Akademie der Wissenschaften am 31.3.1821, München 1821

Klenze 1821
L. von Klenze, Versuch einer Wiederstellung des toskanischen Tempels nach seiner historischen und technischen Analogie, München 1821

Klenze 1823
L. von Klenze, Die schönsten Überbleibsel griechischer Ornamente del Glyptik, Plastik und Malerei, gesammelt, gezeichnet von Leo von Klenze, München 1823

Klenze 1830
L. von Klenze, Sammlung architectonischer Entwürfe welche ausgeführt oder für die Ausführung entworfen wurden, München 1830

Klenze 1838
L. von Klenze, Aphoristische Bemerkungen gesammelt auf seine Reise in Griechenland, mit einem Tafelatlas ‘Sechs Lithographien zu Leo von Klenzes griechischer Reise’, Berlin 1838

Klenze, Memorabilien
L. von Klenze, Memorabilien, Bd. 1-7, (Klenzeana I/1-I/7), BSB, München

Klenze, Tagebuch
L. von Klenze, Tagebuch, (Klenzeana XIII/1), BSB, München

Bibliografia critica

Griechischer Traum
Ein griechischer Traum. Leo von Klenze der Archäolöge, catalogo della mostra (Monaco, 6 dicembre 1985-9 febbraio 1986), München 1985

Königsplatz
Der Königsplatz 1812-1988, hrgs von K. Vierneisel, catalogo della mostra, München 1988

Cometa 1999
M. Cometa, Il romanzo dell’architettura, Roma-Bari 1999

Glaser 1995
H. Glaser, Zum Verhaeltnis von Kunstpolitik und Staatspolitik, in “Zeitschrift fur Bayerische Landgeschichte”, n. 58, 1995, pp. 114-119

Glaser, Dunkel 2004
Quellen zur Neuren Geschichte Bayerns, hrgs von H. Glaser e F. Dunkel, vol. V, München 2004

Habel 1981
H. Habel, Der Königsplatz in München als Forum des Philellenismus, in “Jahrbuch der bayerische Denkmalpflege“, n. 33, 1981, pp. 175-198

Vierneisel, Leinz 1980
Glyptothek München 1830-1980, hrgs von K. Vierneisel e G. Leinz, catalogo della mostra (Monaco, 17 settembre-23 novembre 1980), München 1980

Per citare questo articolo / To cite this article: F. Mattei, L'archeologia tradita: i Propyläen di Leo von Klenze, “La Rivista di Engramma” n. 65, giugno/luglio 2008, pp. 78-98 | PDF