"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

Costruire con i vuoti. Il padiglione d'accesso agli scavi dell'Artemision a Siracusa

Vincenzo Latina

English abstract

[…] milioni di vite passate, presenti e future, quegli edifici recenti, nati su edifici antichi e seguiti a loro volta da edifici ancora da costruirsi,
mi sembra si susseguissero nel tempo, simili alle onde […]
Marguerite Yourcenar, Memorie di Adriano

Il progetto, e la conseguente realizzazione del padiglione di accesso agli scavi del'Artemision, pensato sulle fondazioni del tempio ionico, pone l'archeologia come materia attiva e fondativa dell'architettura. In passato costruire sui lasciti di epoche precedenti, e persino con i resti degli edifici antichi, era una pratica comune, adottata per la rigenerazione del tessuto urbano. L'architettura si offriva come forma di 'risarcimento', rimandando l'ineluttabile perdita completa degli edifici 'ad un più lungo avvenire'. Oggi invece sembra qualcosa di 'straordinario' e gli edifici sono diventati simili a elettrodomestici a scadenza preordinata, destinati a incrementare future discariche.

Il Padiglione è un 'piccolo' edificio, che mette in luce un'importante porzione del tempio ionico, dedicato ad Artemide, localizzato nel cuore dell'isola di Ortigia, corrispondente con l'Acropoli della città antica.

Il tempio risulta in parte 'disvelato', è stato infatti scoperto parzialmente negli anni '60 dagli archeologi Gino Vinicio Gentili e Paola Pelagatti a seguito di alcuni scavi precedenti alla realizzazione di un edificio comunale limitrofo all'area di progetto. Quest'ultima costruzione ingloba al piano interrato i resti delle fondazioni del tempio di Artemide, ai quali si aveva accesso, fino ad oggi, mediante una scala interna all'edificio. Tutto il percorso risultava però poco fruibile.

L'area di progetto è situata nella porzione di tessuto urbano monumentale e conserva un piccolo affaccio su piazza Minerva: il sito era contraddistinto da un vuoto, o meglio da uno squarcio, che interrompeva la continuità della cortina edilizia prospiciente la piazza. Inoltre erano presenti dei setti pericolanti, residui di edifici parzialmente demoliti negli anni '60 del secolo scorso, che sono stati rimossi per realizzare lo scavo archeologico, e una cabina dell'Enel, un prefabbricato di cemento, visibile da via Minerva.

Tale situazione non rispondeva a nessun criterio di qualità; sul fronte opposto, infatti, domina l'eccezionale presenza della colonna d'angolo del peristilio del tempio dorico di Atena, inglobato nel sistema murario della cattedrale.

Fase precedente allo scavo: l'area di progetto e sullo sfondo la colonna d'angolo del Tempio di Atena.

Fase precedente allo scavo: l'area di progetto prima dell'intervento, sulla sinistra gli uffici comunali progettati da Gaetano Rapisardi.

Il progetto restituisce, mediante lo scavo archeologico, il collegamento ad un'area oggi 'ipogea' e poco conosciuta, quella dei sotterranei dell'edificio comunale, che custodisce parte della testimonianza millenaria dell'isola di Ortigia. Tra i resti si individuano le fondazioni del tempio ionico, alcune capanne sicule della tarda età del bronzo e la cripta della chiesa di S. Sebastianello

Il progetto: sezione trasversale del Padiglione, rapporto tra la Cattedrale, i due corpi sospesi del Padiglione, lo spazio ipogeo ed il Giardino di Artemide.

Il progetto ha la propria genesi nella stessa area di sedime del tempio, interpretata come genius loci creatore di spazi; il padiglione è stato pensato come costituito da un sistema di due monoliti 'galleggianti', sospesi rispetto al suolo, che lasciano intravedere, mediante il taglio orizzontale, il piano archeologico sottostante. Il padiglione è stato interpretato come un contemporaneo edificio 'magnete', che risponde al polo opposto, costituito dalle vestigia sotterranee del tempio ionico e dall'adiacenza del tempio dorico, l'Athenaion; la colonna d'angolo di quest'ultimo dista dal padiglione soltanto 18,30 mt.

Il taglio: il taglio verticale che inquadra la colonna d'angolo del tempio di Atena.

Lo scavo archeologico, effettuato con metodo stratigrafico, ha costituito pertanto la fase più importante dell'intervento progettuale, poiché nell'area hanno origine il centro 'monumentale antico', l'Acropoli e lo spazio sacro della colonia greca.

È stata un'occasione unica per riprendere gli scavi archeologici, condotti negli anni '60 lungo la direttrice ovest-est, che hanno preceduto, come si è accennato, la costruzione degli uffici comunali progettati da Gaetano Rapisardi, architetto romano di origine siracusana della 'scuola' di Marcello Piacentini. Attraverso lo scavo si è ottenuta una migliore comprensione del sottosuolo, non soltanto perché si è riusciti ad intercettare le tracce delle fondazioni del tempio ionico, ma, in particolar modo, anche per la scoperta di resti di capanne sicule di epoca pregreca (tarda età del bronzo), di un altare sacrificale, di un tracciato viario antico e di numerosi resti medievali.

Fase di scavo: l'area di progetto durante i lavori per lo scavo archeologico.

Il sito, di straordinaria rilevanza archeologica, ha richiesto appropriate e meticolose esplorazioni che, come leggiamo nella relazione intermedia di scavo del dott. Lorenzo Guzzardi, "[…] hanno portato alla individuazione di più di duecentocinquanta unità stratigrafiche rappresentate da livelli di frequentazione, strutture, buche, riempimenti naturali e artificiali, testimonianze della vita e dell'utilizzo del sito nelle varie epoche, dall'età dei metalli fino al XVIII secolo".

L'androne di accesso all'area archeologica, posto in asse con palazzo Vermexio, è stato immaginato come una cella aperta, a memoria del nàos del tempio ionico che ivi sorgeva, che genera all'interno dell'edificio uno spazio 'ipetrale', lo stesso ipotizzato dal Gullini nello studio e nel plastico esposto al Museo Archeologico Regionale Paolo Orsi di Siracusa.

L'interno del padiglione è caratterizzato da un forte movimento plastico, accentuato dall'illuminazione interna, dosata e calibrata in modo da evocare la sensazione di un ambito ipogeo contemporaneo, memoria delle Latomie del Paradiso di Siracusa, il luogo nascosto, caratterizzato dalla penombra e dalla luce 'concessa' con parsimonia, che filtra attraverso la 'lanterna' sospesa in corrispondenza del piano di copertura. È come se all'interno fosse stata praticata un'operazione di 'scavo' nella massa dell'edificio, dalla quale si ottiene una sorta di 'lanterna', che costituisce una camera di luce, che misura i raggi solari, e restituisce agli scavi sottostanti una luce soffusa, accorgimento che accentua il carattere sotterraneo dell'intervento.

Il livello ipogeo: l'illuminazione soffusa degli scavi e il taglio orizzontale che evidenzia l'estraneità della struttura al contatto con il terreno su cui sorge

La 'lanterna': una camera di luce che misura i raggi solari.

Al termine del percorso la natura si rivela: sorge infatti nell'area limitrofa all'area di scavo, verso l'interno, il Giardino di Artemide. Il giardino ha costituito la prima fase di un intervento più esteso e complesso, che trova il suo completamento, con l'assetto dell'area 'libera' su via Minerva, tramite, appunto, la realizzazione del padiglione.

Il giardino di Artemide: setto murario appartenente agli edifici demoliti 

Il giardino, secondo un processo di vivificazione della memoria storica e dell'immaginario mitologico, recupera le potenzialità di un'area fortemente stratificata. Tale stato ha suggerito di realizzare un intimo intreccio fra l'artificio dell'intervento e la spontanea forza della natura. Non si è realizzato, come era stato richiesto dall'amministrazione, un civico ortus conclusus, ma un giardino spontaneo, caratterizzato dalle essenze 'infestanti' già presenti nell'area. Tale spazio è stato pertanto immaginato come 'offerta' ad Artemide che, nell'immaginario mitologico, è dea vergine della fertilità, protettrice delle belve feroci, dei boschi e delle ninfe.

Il giardino di Artemide: il cretto di acciaio e le essenze spontanee

Le opere realizzate sono dei 'dispositivi' preposti ad accogliere la flora naturale del sito. Il cretto di acciaio che dà forma al recinto opera direttamente con la natura e sulla natura, evidenziandone la centralità: accoglie al suo interno le essenze vegetali indigene, che a tratti sbucano dalla materia, per poi sparire ciclicamente in un gioco di ombre provocato dalle folte fronde di alcuni arbusti. In primavera la natura-Artemide qui si rivela, non solo come oggetto di contemplazione, ma come materia viva e materiale dell'architettura, in nessuna misura artefatto. Le essenze spontanee invadono il luogo: le fredde lastre di acciaio del recinto e le perimetrali trame sovrapposte di rete elettrosaldata inglobano e incorniciano la vegetazione che rinasce.

Il giardino di Artemide: il recinto in acciaio e il perimetro di rete elettrosaldata



I templi
La Cattedrale di Siracusa è la principale testimonianza, e sintesi, di millenari eventi sedimentati. Le stratificazioni, aggiunte al Tempio di Athena, sono riconducibili ad oltre 2500 anni di storia della città, e tra le sue 'faglie' è possibile ripercorrere alcune tra le più straordinarie vicende degli eventi umani, secondo una successione di guerre, carestie, cataclismi e rinascite verificatisi nel corso dei millenni.

Non meno importante è il concetto di trasformazione in architettura così come affrontato in Le variazioni dell’identità. Il tipo in architettura di Carlos Martí Arís, in cui l'autore conduce una sintetica, ma efficace, riflessione sulla genesi costruttiva della Cattedrale di Siracusa, che da edificio pagano archetipo di Ordine Dorico, si trasforma in Basilica cristiana. A tal riguardo Arìs scrive:

L'edificio sembra di conseguenza scaturire dalla sovrapposizione concettuale di due strutture elementari che si fondono tra loro in un amalgama, che lascia comunque intravedere la composizione delle parti.

I resti del tempio ionico, l'Artemision, attualmente esposti all'interno di una piccola sala, sono costituiti per lo più da frammenti di fusti di colonne e capitelli ionici. Tali frammenti costituiscono oggetto di studio continuo per le ipotesi ricostruttive del tempio.

Ricostruzioner della colonna del tempio: frammenti dei fusti e dei capitelli di colonna rinvenuti nell'area di scavo. Restituzione tridimensionale dei due templi: plastico esposto al Museo Archeologico Regionale Paolo Orsi di Siracusa

Del tempio furono messe in luce, dal 1964 al 1969, mediante gli scavi dei già citati archeologi Gentili e Pelagatti, le strutture dello stereobate ed alcuni elementi del kymation e delle volute del capitello, fra cui gli imoscapi con lavorazione a rilievo della base e della parte inferiore del fusto delle colonne della peristasi, lavorata con un riporto di una decorazione marmorea. Tali elementi fanno intendere che il tempio siracusano sia simile ai templi ionici dell'Asia minore come l'Artemision di Efeso. Le recenti scoperte archeologiche hanno permesso di individuare in modo preciso i margini del crepidoma e, in particolar modo, di fornire nuove ipotesi sulla datazione del tempio. Tali risultati sono tutt'oggi oggetto di studi da parte di Lorenzo Guzzardi, della Soprintendenza Archeologica di Siracusa, e di Giuseppe Voza, consulente archeologo dell'amministrazione comunale.


La struttura del padiglione
Nella Naturalis historia, Plinio il Vecchio racconta che il tempio di Diana a Efeso era scampato alle più violente scosse telluriche perché le sue fondamenta erano protette da "[…] uno strato di carbone e da un altro di velli di lana. Quando arrivavano le scosse, l’edificio sacro non ondeggiava paurosamente: scivolava dolcemente sul terreno, e rimaneva indenne […]".

Il progetto: vista del padiglione ultimato da Piazza Minerva, sulla sinistra il fianco della Cattedrale, sullo sfondo Piazza Duomo.

Come si è già detto, gli allineamenti e le giaciture dei piani di appoggio esatti della struttura portante del padiglione scaturiscono dallo scavo archeologico, che determina il rilevato del piano di fondazione con la perimetrazione esatta del tempio ionico.

La considerevole valenza archeologica del sito impone interventi in prevalenza reversibili, a basso impatto e compatibili con le peculiarità del luogo. Infatti, si prevede la realizzazione di una struttura portante del padiglione composta da un sistema puntuale e circoscritto di 'appoggi', degli isolatori sismici elastomerici HDRB/LRB. Gli isolatori costituiscono la base dei pilastri e della struttura intelaiata di c.a. del padiglione. L'intervento è per la maggior parte reversibile e particolarmente adatto alle attuali condizioni del sito archeologico. Il sistema strutturale prevede anche una parete di contenimento del terreno limitrofo, costituita da una serie di blocchi ancorati e ammorsati tra di loro, che diventa limite dell'area di scavo, anch'essa reversibile.

L'edificio è pensato come un 'guscio' rigido, che contiene e protegge l'area archeologica. La forma e la tipologia della struttura portante del padiglione sono conseguenza di alcuni principi riconducibili non solo a valori di carattere urbano, come l'eccezionale contesto storico-architettonico, ma anche alla straordinaria rilevanza del sito archeologico e alla contiguità del piano seminterrato dell'edificio comunale esistente, che ingloba in parte gli scavi dell'Artemision. I caratteri del sito e il programma di progetto hanno suggerito la progettazione di un edificio che prevedesse una struttura portante perimetrale, la quale poggia esclusivamente sul piano di fondazione del setto verticale e della parete di contenimento, poiché il rilevato archeologico rende impossibile la realizzazione di travature interne di collegamento dei setti. Il solaio di copertura è del tipo in latero-cemento e travi in c.a. ancorate alle pareti laterali.


Paramenti murari
Il padiglione determina una ricucitura urbana, atta a ripristinare la continuità dei fronti di piazza Minerva. Il rivestimento perimetrale è caratterizzato da una trama e una tessitura muraria poco enfatiche che rimandano a ritmi e trame peculiari del periodo medievale o catalano. Sono questi caratteri prevalenti che strutturano la composizione dei paramenti murari di molti edifici di Ortigia, sui quali si è innestato il barocco dopo il sisma del 1693.

La trama e la tessitura del rivestimento evocano il paramento murario catalano della chiesa di S. Sebastianello. La chiesa era situata nell’area adiacente al padiglione e fu demolita in occasione della realizzazione degli edifici comunali del Rapisardi. A tal proposito, l'intenzione era quella di realizzare il fronte di un edificio 'silente' su Piazza Minerva, che fosse in grado di ascoltare il suono proveniente dagli straordinari monumenti limitrofi. L'unico accento è costituito da un taglio verticale nella parete che opera una connessione visiva e spaziale diretta tra i reperti del tempio ionico e la colonna d'angolo del tempio di Atena.

English abstract

The entrance hall to the Artemision archaeological site allows Archeology to become an active founding component of Architecture. In order to recallthe ancient naòs the exhibition path begins with an entrance hall structured as an open cell, and then it moves into the main hall. This is mainly composed  by a system of two floating monoliths, suspended from the ground,  which reveals the view of the archeological level below. The hughly plastic structure of the room is further  stressed by the lighti filtrating from a suspended lantern which transfers the light of the hypogean rooms of the Latomie del Paradiso. The architectural style is deliberately silent in order to better harmonize with surrounding structures: the only significant feature is a vertical cut in the wall, which creates a visual and spatial connection with the angular column of the temple of Athena, now included in the Cathedral.  The visit continues descending to the excavations level and it ends in the garden of spontaneous vegetation, dedicated to the goddess of woods and nymphs.

 

keywords | Architecture; Archeology; Artemision; Syracuse; Hall; Path; Latomie del Paradiso.

Per citare questo articolo / To cite this article: V. Latina, Costruire con i vuoti. Il padiglione d’accesso agli scavi dell’Artemision a Siracusa, “La Rivista di Engramma” n. 96, gennaio/febbraio 2012, pp. 5-12 | PDF

doi: https://doi.org/10.25432/1826-901X/2012.96.0008