"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

91 | luglio 2011

9788898260362

Miracoli a Librino

Intervista a fronte con Roberta Torre e Gabriele Vacis

a cura di Monica Centanni e Maria Rizzarelli

 

Monica Centanni, Maria Rizzarelli - Perché Librino? È un caso che il vostro ultimo lavoro abbia come scenario Librino?

Roberta Torre - Librino è stato per me una scoperta antica. Frequentando Catania da parecchi anni sono capitata in questa periferia anomala dove ho sentito subito una progettualità che era stata poi disattesa. In effetti la mano di Kenzo Tange si continua a percepire in quegli spazi grandi senza traffico e in quei ponti che collegano le diverse isole pedonali. Sono rimasta molto colpita esteticamente e solo dopo ho saputo come era nata. Parlando con chi aveva preso casa per primo in quel quartiere ho capito che inizialmente non si pensava a Librino come un quartiere periferico ma piuttosto come una new town, solo in un secondo tempo ci si era resi conto che l'aereoporto così vicino avrebbe svalutato per sempre quel quartiere. Quando ho iniziato a immaginare un luogo dove ambientare il mio film I baci mai dati, ho pensato subito a Librino. Era un luogo dove poteva benissimo capitare un miracolo, considerandone l'aspetto metafisico.

Gabriele Vacis - La narrazione del presente ha eletto il quartiere napoletano di Scampia a simbolo  del degrado urbanistico italiano. Ma sono molti gli insediamenti massivi che degradano la vita dei propri abitanti. Spesso questi quartieri sono nati con le migliori intenzioni o sotto gli auspici di archistar. Per il film, dopo aver visitato l’Italia opulenta del nord e del centro, cercavo un luogo che potesse mostrare la condizione di una periferia del sud senza essere sovraesposto mediaticamente come Scampia o lo Zen di Palermo. A Librino mi ci ha portato il caso. Se vogliamo chiamare così gli incontri con certe persone. Nel 2008 ho fatto un seminario sulla Tragedia all’Università di Siracusa. Per Siracusa si scende in aereo a Catania. Uscendo dall’aeroporto mi aveva colpito questo quartiere satellite che sapevo progettato da Kenzo Tange. Ho una formazione da architetto e mi interessa da sempre l’incidenza degli edifici nella vita della gente. Poi ci sono stati incontri con persone speciali, amicizie, soprattutto insegnanti dell’Università che mi hanno parlato di Librino, che avevano amici che lavoravano nella scuola del quartiere che mi hanno raccontato di come crescevano i loro alunni, e dello scollamento con la Catania storica. Ho voluto vederlo da vicino e quando ho pensato a dove avrei voluto girare La Paura siCura, è stato uno dei primi posti che ho scelto.


Miracolo a Milano (1951) a sinistra; Comizi d'amore (1965) a destra

MC MR | Ci sono modelli cinematografici, o immagini, che hanno guidato il vostro sguardo?

RT | Miracolo a Milano di De Sica e Rosetta dei Dardenne. Mi piace il realismo magico del primo e il realismo rigoroso e crudo dei secondi. Così lavoro da sempre nei miei film, parto da una realtà forte, dettata da storie vere o – come in questo caso – da un luogo molto potente e poi le trasfiguro in un mondo fantastico, al limite della fiaba. Una fiaba quasi sempre dai contorni neri più o meno sfumati, una fiaba per adulti più che per bambini.

GV | Comizi d'amore di Pasolini. Nei primi anni Sessanta, quando Pasolini girò il film, era importante l’amore, il sesso. Il divorzio, la famiglia erano in quel momento questioni sociali dirimenti. Oggi la stessa importanza ce l’hanno la sicurezza e la paura. Sulla 'sicurezza' si vincono o si perdono le elezioni. Allora ho pensato di fare questo giro d’Italia per capire se le paure degli italiani sono le stesse di cui parlano la televisione e la politica. Quello che spero di aver mutuato da Pasolini non sono tagli stilistici ma l’atteggiamento di 'ascolto' dei testimoni.

MC MR | Quanto somiglia, anche architettonicamente, Librino ad altri quartieri di periferia?

RT | Credo che Librino sia differente nella concezione architettonica, fatta da grandi spazi vuoti che avrebbero potuto diventare luoghi di aggregazione e invece sono rimasti solo dei non luoghi. C'è la progettualità disattesa e incompiuta di quello che poteva essere un quartiere interessante dove vivere, manca l'effetto alveare di molte altre periferie dove l'umanità viene ammassata qua e là. In questo senso è differente da quartieri tipo Scampia o, per restare in Sicilia, lo Zen. C'è addirittura uno spazio che era stato pensato per essere un teatro e ora è diventato deposito di armi e droga. Paradossale.

GV | La ragione per cui alla fine ho scelto Librino è che rappresenta molto bene il degrado urbano proprio perché non assomiglia architettonicamente a nessun altro quartiere speculativo: ha una sua originalità. Alla fine credo che la mano del grande architetto si intuisca, probabilmente nei rapporti vuoto/pieno. Le altre banlieue italiane sono sempre molto dense, le confrontanze tra gli edifici sono minime. Lo spazio soffocante. A Librino non è così. A Librino Kenzo Tange, ma anche quelli che poi hanno finito il lavoro dopo l’abiura dell’archistar, hanno mantenuto i grandi spazi vuoti tra i palazzoni. I principi del maestre Le Corbusier sono stati rispettati. Solo che invece di giardini i vuoti sono diventati giungla infestata da belve come la droga e la criminalità.

Fotogramma da La Paura siCura di Gabriele Vacis (2010) a destra

MC MR | I vostri film non hanno nascosto le ferite architettoniche e nonostante tutto però traspare dalla loro visione un’idea di bellezza: è questa idea che intendevate comunicare? Come definireste questa idea?

RT | Mi piace cercare e trovare la Bellezza nascosta nelle pieghe del disagio, tra ammassi di cemento, in luoghi dove si pensa di non trovarla. In questi squarci esce a tratti una luce, un viso che fa pensare al miracolo. Ecco perché ho ambientato a Librino un film sui Miracoli. La possibilità che il miracolo si compia sembra in un luogo simile più vicina che altrove.






 

GV | È la bellezza dei custodi della speranza. Nella Scuola Campanella Sturzo e nel centro Talita Kum, che sta ai piedi del palazzo di cemento, abbiamo incontrato persone di buona volontà. Gente che vive nell’inferno ma non si adatta, non si rassegna. Quello che fanno persone come Giuliana, la volontaria della Caritas, o il preside della scuola è seguire il consiglio di Calvino. Alla Fine di Le città invisibili Marco Polo dice al Kublai Khan che l’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà, se c’è un inferno è quello che viviamo tutti i giorni, stando insieme. Quello che fa la maggioranza delle persone è adattarsi all’inferno fino a non riconoscerlo più. Ma qualcuno no, qualcuno, pur vivendo nell’inferno continua a cercare, dentro all’inferno, quello che non è inferno e cerca di fargli spazio, di farlo durare. Ecco: queste forme di enclave spazio temporali, che creano i custodi della speranza, sono, di questi tempi, l’unica bellezza possibile. Se questa speranza c’è, esiste perché loro sono in grado di cambiare lo sguardo sia di chi nel quartiere ci vive, sia di chi nel quartiere ci passa. Poi, quando i piccoli squarci di bellezza si allargano, tirano fili tra il passato, il presente ed il futuro, e costruiscono comunità, società. “Non esiste la società” diceva la signora Tatcher. Molte persone che abbiamo incontrato a Librino dimostrano il contrario. Mi piace pensare che anche i ragazzini del palazzo di cemento, nel breve volgere della loro testimonianza davanti alla nostra telecamera abbiano strappato un attimo all’inferno, infatti sono belli.

Fotogramma da I baci mai datidi Roberta Torre (2010) a sinistra

MC MR | Librino prima e dopo: cosa ha rivelato la mdp che non avevate visto subito, come è cambiata cioè la vostra idea di Librino dopo aver girato il film?

RT | Non è stato difficile entrare a Librino tanto quanto uscirne dopo averlo attraversato per mesi. Dopo aver incontrato i suoi abitanti abbiamo potuto dare un volto ad ognuna di quelle finestre che durante la preparazione abbiamo solo identificato come palazzi di cemento. La differenza tra il prima e il dopo è stata quindi l'umanizzazione del quartiere, abbiamo vissuto a casa della famiglia che ha ospitato il film per cinque settimane e alla fine quella casa e le loro finestre sono diventate il nostro sguardo sulla grande piazza dell'Elefante e sulla realtà di quel quartiere. Abbiamo messo la statua della Madonna in mezzo alla piazza e subito qualcosa è apparso diverso, poi nel corso delle settimane la statua bianca è diventata parte dell'architettura e quando alla fine del film abbiamo dovuto toglierla è mancata.

GV | Sono le persone a fare la differenza. Prima di conoscerle, Librino era soltanto calcestruzzo e ferro, Poi, dopo ore passate a cercare di strappare una qualche verità ai testimoni, Librino diventa un’altra cosa. Una cosa per esempio: tutti gli abitanti di Librino dicono che non è poi così male viverci. Anzi, piano piano è venuto fuori un incredibile 'Librino Pride'. Alla fine credo che l’abbia detto bene Rilke, nella settima delle sue Elegie duinesi: “… in nessun dove, amata, ci sarà mai mondo se non in noi. La nostra vita scorre trasmutando e quel che è fuori di noi svanisce, in forme sempre più meschine.”


 

Due momenti delle riprese del film I baci mai dati di Roberta Torre (2010)

MC MR | Come avete vissuto il set e come avete effettuato il casting?

RT | Il casting è sempre per me oltre la metà del film. Nel caso di Librino abbiamo fatto mesi di casting fotografando tutte le facce e alla fine abbiamo ottenuto un archivio di volti straordinario. Devo dire che si tratta sempre di volti antichi, come se proprio a Librino si fosse fermato il tempo sulle facce dei suoi abitanti. Nel caso del film poi questi volti spesso sono diventati personaggi veri e propri e dalla semplice fisiognomica si è passati alla conoscenza della persona che spesso corrispondeva alla sua caratterizzazione visiva.

GV | La Paura siCura è più un documentario che un film, anche se, personalmente non credo ad una differenza sostanziale dei due 'prodotti'. Abbiamo costruito un piccolo set per i colloqui in un’aula della scuola Campanella Sturzo ma non abbiamo fatto casting. Ci siamo affidati alle persone che conoscevamo e a quelle che abbiamo conosciuto grazie a quelle che conoscevamo. Naturalmente noi non cercavamo attori che interpretassero ruoli, ma testimoni che comunicassero esperienze. Poi il lavoro è metterli nelle condizioni di dire la verità. Se c’è una cosa che credo di poter dire per tutte le persone che ho incontrato è che avevano una gran voglia di dire qualcosa di sé, qualcosa di vero, solo che ci fosse qualcuno che volesse e potesse ascoltarli. E a Librino più che in altri posti.

Due fotogrammi da I baci mai datidi Roberta Torre (2010) a sinistra e La Paura siCura di Gabriele Vacis (2010) a destra

MC MR | “Il film si fa facendo il film”: quanto la vostra sceneggiatura ha subito l’influenza dell’esperienza del casting?

RT | Ho lavorato per qualche mese scavando nelle storie dei personaggi reali di Librino e in particolare interrogandoli sui miracoli. Quali miracoli avrebbero voluto avere? Le risposte che mi hanno dato sono nel film e sono tutti i desideri che hanno nei confronti di una realtà molto avara con loro. Spesso il miracolo che vorrebbero è semplicemente uno: il lavoro. Quello che altrove sarebbe un diritto ora si è tramutato in utopia. In questo senso le loro risposte mi hanno fatto cambiare direzione rispetto alla sceneggiatura iniziale. In generale cerco sempre di tenere le porte aperte all'imprevisto a qualcosa che mi stupisca. E sempre arriva.

GV |  Per i miei documentario non faccio una sceneggiatura prima di girare. Quando ho cominciato a girare i colloqui a Settimo Torinese, la prima tappa del viaggio, non sapevo che sarei andato a Librino e neanche a Genova. Una volta ho letto il diario di Jean Luc Dardenne mentre girava L’enfant. Ho trovato una frase che ho fotocopiato, ingrandito e appeso davanti al computer del montaggio: “non fare il prima di farlo”. Io cerco di praticare rigorosamente questa massima. Così parto credendo, come tutti, che gli italiani abbiano paura degli extra-comunitari o dei micro-criminali. E finisco per stupirmi di fronte alla serietà delle paure reali.
 

>> vai agli appunti di regia di Gabriele Vacis per La paura siCura

English abstract

Monica Centanni and Maria Rizzarelli interview Roberta Torre and Gabriele Vacis about their latest works, respectively I baci mai dati and La paura siCura. Both films were shot in Librino, Catania, one of the many places in Italy representing decay and disregarded architecture and urban planning.

 

keywords | Interview; Roberta Torre; Gabriele Vacis; Cinema; Italian contemporary cinema; Catania; Sicily.

Per citare questo articolo / To cite this article: M. Centanni, M. Rizzarelli (a cura di), Miracoli a Librino. Intervista a fronte con Roberta Torre e Gabriele Vacis, “La Rivista di Engramma” n. 91, luglio 2011, pp. 41-46. | PDF

doi: https://doi.org/10.25432/1826-901X/2011.91.0009