"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

Guglielmo Gatti

Relazione al Soprintendente dei Beni Archeologici del Lazio, Salvatore Aurigemma, sulla ricostruzione dell'Ara Pacis Augustae (5 febbraio 1949)

(Archivio di Stato di Roma, Carte Gatti, scatola n. 17)

Trascrizione a cura di Simona Dolari

ARA PACIS AUGUSTAE
CRITERI SEGUITI DURANTE LA RICOSTRUZIONE (1937-1938) E PROPOSTE DI MODIFICHE

Premessa – Negli anni 1937-38, contemporaneamente al lavoro di scavo e di recupero nell’area del monumento in Via in Lucina e sotto il Palazzo Fiano-Almagià, venivano condotti presso la Soprintendenza alle Antichità di Roma e negli ambienti delle Terme di Diocleziano (Museo Nazionale Romano) gli studi necessari per poter giungere alla materiale ricomposizione dell’Ara Pacis Augustae, in Via in Ripetta, per il 23 settembre del 1938.

Ai lavori di scavo, diretti dal Prof. G. Moretti, Soprintendente alle Antichità di Roma, attesero oltre il sottoscritto che ebbe l’incarico di raccogliere tutti i dati relativi alla struttura del monumento che si stava esplorando, l’assistente E. Cocozza ( che seguì assiduamente i lavori stessi compilando un accurato giornale di scavo nonchè il giornale di contabilità delle opere inerenti alle indagini nel sottosuolo e nelle fondazioni del Palazzo Almagià ) e il Prof. M. Bonserini che, oltre a collaborare col sottoscritto per l’esecuzione di alcuni rilievi topografici, effettuò numerose fotografie dello scavo; mentre per altre fu incaricato il fotografo Simoncini (di Via Volturno).

Gli studi per la ricomposizione del monumento anch’essa diretta dal Prof. Moretti, furono compiuti, per la parte generale e particolarmente per l’altare, dal sottoscritto (che redasse anche tutti i disegni esecutivi delle varie parti da ricostruire in marmo) e dal Prof. O. Ferretti, che eseguì pregevoli disegni di ipotetiche ricostruzioni dell’altare. L’Arch. G. Caraffa disegnò la ricostruzione del capitello in base ai pochi elementi originali ritrovati.

Il lavoro di ricomposizione impegnò tutto il personale specializzato della Soprintendenza e del Museo, che si prodigò con entusiasmo e con intelligenza alla ricerca dei pezzi che potevano unirsi fra loro, operandone poi il collegamento e ricomponendo in blocchi, con l’aggiunta di strutture interne in cemento armato, gli elementi che costituivano originariamente le varie parti del monumento. Particolarmente notevole fu la opera dei restauratori Marconi, Vettraino e Romagnoli, i quali ebbero vari ottimi collaboratori nel delicato compito di ricerca e di ricostruzione. Il Prof. G. Giris modellò le parti mancanti dell’ornato floreale attenendosi, strettamente al disegno delle parti conservate e riproducendo talvolta mediante il rovesciamento di lucidi su cristallo zone intere di decorazione.

L’elemento fondamentale sul quale era basato il lavoro di composizione era il disegno rigorosamente preciso delle tracce di posa dei blocchi con la cornice di base e degli stipiti del recinto, che sui lastroni superiori del podio - rinvenuto intatto - erano chiaramente visibili.

Vennero a tal fine utilizzati (oltre le conclusioni dei maggiori studi condotti sul monumento) i dati grafici egregiamente raccolti nel 1903 dal Prof. A. Berretti, per la parte del podio allora esplorata (lato est – or a nord - e parte dei lati nord e sud - ora ovest ed est) opportunamente integrati con gli altri raccolti dal sottoscritto nella parte di nuova esplorazione.

Con differenti sistemi, imposti dalla necessità di non poter eseguire un unico criterio per le varie parti del monumento, si procedette all’integrazione delle parti mancanti. Infatti per il podio (privo di decorazione e formato da una zoccolatura di semplici linee architettoniche), per i gradini sia esterni che interni, e per la pavimentazione dello spazio fra il recinto e l’altare, si ritenne opportuno integrare le parti mancanti con marmo di Carrara.

I blocchi che formavano il recinto con decorazioni e sculture, come si è detto sopra, ricostituiti con integrazioni in cemento armato: la parte superficiale delle zone moderne fu gettata in cemento bianco.

Criteri seguiti nella ricostruzione

1) – Gradinata – E’ ricomposta con molti pezzi originali, estratti dallo scavo, comprese le fiancate. Le parti mancanti e quelle che non fu possibile recuperare, sono state rifatte in marmo.

2) – Podio – Vennero asportati dal podio originale alcuni lastroni del rivestimento e del piano di posa

del recinto, a sinistra della scala (lato ovest – ora sud) e lungo il lato nord (ora ovest). Questi elementi furono inseriti nella ricostruzione del podio, eseguita in marmo, al fine di testimoniare la linea architettonica del podio. Il ciglio interno dei lastroni superiori del podio, nei lati con le grandi porte, presentava nello scavo, una risega regolare lunga circa m. 7, 40, larga m. 0, 23 e profonda m. 0, 045. Fin dagli scavi del 1903 il Pasqui (Studi Romani, 1913, fasc. V, pp. 302-303) spiegò la presenza di questa risega come sede per lo scorrimento dei due battenti delle porte che, non potendo girare su cardini per la ristrettezza dello spazio interno fra il recinto e i gradini intorno all’altare, dovevano necessariamente scorrere su guide di bronzo, inserite nella risega, lungo la parete interna dei lati con le aperture. In uno dei lastroni originali che costituisce parte della soglia al termine della gradinata esterna (lato ovest – ora nord) è tuttora visibile il ciglio della risega; questa è però colmata con una moderna lastra di marmo, perché il Prof. Moretti, ritenendo che la chiusura delle porte mediante scorrevoli fosse avvenuta successivamente alla costruzione del monumento, non intese riprodurre la risega in parola.

3) – Cornice di base – E’ stata integralmente ricostruita in cemento mediante calchi dei pezzi originali. Questi sono stati inseriti nelle parti ricostruite.

4) – Blocchi con ornato floreale all’esterno – Sono stati ricomposti completando le parti mancanti con l’ornamentazione modellata di nuovo dal prof. Giris, in modo da presentare la decorazione nella sua integrità. Questa soluzione, che fu prescelta dal Prof. Moretti dopo vari tentativi di soluzioni diverse, se può essere criticata per aver troppo aggiunto alle parti originali, offre l’indiscutibile vantaggio di far comprendere ed apprezzare il motivo decorativo, quale scaturì dalla mente dell’artista augusteo. Nella parte interna, la decorazione a semplici fasce verticali, è stata anch’essa integralmente ricostruita, in base ai pochi elementi rimasti.

5) – Fregio con meandro all’esterno e palmette all’interno – Si è seguito lo stesso criterio adottato per la cornice di base (n. 3).

6) – Blocchi con figure all’esterno e festoni all’interno – E’ questa la parte più importante del recinto: e per il lato esterno non è stato fatto alcun lavoro di restauro e di integrazione. Le varie parti delle preziose sculture sono state ricomposte a blocchi, lasciando un fondo uniforme e liscio nelle parti mancanti. In luogo dei pezzi originali tuttora conservati al Louvre, ai Musei Vaticani (parti della “processione” lungo il lato nord – ora ovest) e sulla facciata di Villa Medici (festoni), sono stati posti i calchi in cemento.

I quadri allegorici ai lati esterni delle porte non hanno subito alcun restauro: essendo, però, quasi totalmente perduto il quadro con la figurazione di Roma, fu integrato dal Prof. O. Ferretti, mediante disegno sul fondo liscio del quadro, la figura della Roma seduta, ricavandone le linee da altre figurazioni.

7) Paraste e capitelli – Le paraste sono state integrate come la cornice di base (n. 3). I capitelli esterni sono stati formati sulla ricostruzione di uno di essi, eseguita in base a pochi elementi recupertati. Mancando qualsiasi pezzo che potesse ritenersi appartenente al capitello delle paraste interne, il Prof. Moretti ricorse alla determinazione di ripetere il tipo di capitello ricostruito all’esterno, piuttosto che far modellare un tipo differente, che sarebbe stato del tutto ipotetico.

8) – Trabeazione – Di essa, come è noto, non è stato ritrovato alcun pezzo. Si è perciò dovuta totalmente ideare, tracciandone un profilo contenuto nella più schematica semplicità di linee, e dopo aver scelto, fra vari profili disegnati dall’Arch. L. Crema, quella che più si ritenne adatta, per dimensioni e per tipo. La trabeazione è stata eseguita in gesso e montata con una leggera intelaiatura interna di legno.

9) – Pavimentazione interna – È totalmente moderna, a lastroni di marmo tagliati secondo le dimensioni di quelli rilevati nello scavo.

10) – Gradinata intorno all’altare – È quasi interamente moderna; nel primo gradino sono inseriti pezzi originali. Le dimensioni delle gradinate sono assolutamente certe, essendo ricavate dalle impronte lasciate sui lastroni della pavimentazione.

11) – Podio dell’altare – Mentre i quattro gradini inseriti nel podio (lato ovest – ora sud) sono di marmo e interamente moderni, tutto il resto del podio è foderato di calchi tratti da superfici grezze di marmi antichi. Con tale accorgimento il Prof. Moretti intese indicare che, nel dado del podio, la superficie non era liscia ma, con ogni probabilità, decorata con una serie di figure a rilievo, delle quali sono stati recuperati alcuni frammenti, non messi però nella ricostruzione, ma conservati tuttora presso il Museo Nazionale Romano.

Successivamente nel volume “Ara Pacis Augustae” recentemente edito dalla Libreria dello Stato, il Prof. Moretti dichiara di non credere che i frammenti sopraccitati possano aver appartenuto a questa parte del monumento. Con uno studio in corso, il sottoscritto ritiene di poter dimostrare, con assoluta certezza, la legittimità della attribuzione in parola.

Il podio termina in basso e in alto con due belle cornici, riprodotte da pochi frammenti originali recuperati, alcuni dei quali sono inseriti nella ricostruzione.

12) – Altare – Sono originali soltanto la fiancata sinistra e parte della destra, integrate esclusivamente nelle parti con ornamentazione floreale.

Tutto il resto dell’altare è ipotetico, sia come forma che come dimensioni.

Due tipi di cornici, rinvenute in frammenti durante gli scavi, e che forse appartenevano all’altare, non sono state poste nella ricomposizione perché troppo ipotetica ne sarebbe stata l’attribuzione.

Il criterio seguito nella ricostruzione dell’altare è stato essenzialmente quello di creare una massa lineare e schematica, priva di qualsiasi decorazione, per sostenere, nella loro presumibile posizione, le splendide fiancate che costituiscono il più importante recupero degli scavi del 1937-38.

MODIFICHE CHE SI PROPONGONO

La ricostruzione del monumento, per quanto si è sopra esposto, deve ritenersi fondamentalmente esatta.

Non sembra, pertanto, che si possano o debbano suggerire sostanziali modifiche. Si prospetta, peraltro, l’opportunità di apportare una variazione di dettaglio che meglio risponde ai dati di fatto e che non dovrebbe essere omessa, se si vuole eliminare dalla ricostruzione qualsiasi soggettiva interpretazione.

Descrivendo il criterio seguito dal Prof. Moretti nella ricomposizione del podio, si è messa in rilievo (n. 2) l’esistenza di una risega lungo il ciglio interno dei lastroni superiori – e soltanto nei lati con le porte nella quale scorrevano i battenti delle porte, forse sopra una guida di bronzo.

Che l’Ara Pacis avesse avuto le porte che chiudevano le due grandi aperture (larghe ed alte circa m. 3,60) è documentato da monete di Nerone e di Domiziano. Il prof. Moretti ritenne che le porte non dovevano esservi nell’età augustea, perché avrebbero impedito la visibilità dell’altare. Ma la testimonianza offerta dalle monete viene suffragata da una elementare considerazione. L’Ara Pacis Augustae era, in sostanza, l’altare, intorno al quale fu eretto un recinto marmoreo, ornato di mirabili sculture; recinto che doveva avere come funzione essenziale, quella di proteggere ed isolare l’altare dell’esterno.

A. Pasqui ha esposto nel 1913 (Studi Romani cit.) una geniale e convincente interpretazione, secondo la quale il recinto sarebbe una traduzione in materia più duratura – il marmo – del recinto ligneo eretto nel 13 av.Cr. per il giorno della consacrazione. Il solo fatto della presenza di un recinto, in due lati opposti del quale si aprono due grandi porte, esige che queste potessero esser chiuse. Inoltre la risega, nella quale scorrevano i battenti non aveva affatto il carattere di un provvedimento di ripiego successivamente effettuato: ma era, invece, tracciata con molta regolarità. E ciò non si verificava, ad esempio, per altre soluzioni successivamente adottate nel monumento, e che rivelavano a prima vista il loro carattere in disaccordo con la lavorazione delle parti originali.

In sostanza, tutto induce a ritenere che i battenti della porte vi fossero fin dall’origine. Ne’ si oppone a questa affermazione il fatto che le paraste interne, presso le porte, dovessero esser prive delle basi, che altrimenti, con il loro aggetto, avrebbero impedito lo scorrimento dei battenti. La mancanza di basi non era, infatti, visibile perché, quando si poteva accedere nell’interno del recinto, i battenti aperti coprivano gran parte delle pareti corte, nascondendo quella anomalia.

Uno dei lastroni della soglia, recuperato e ricomposto nella porta ovest (ora sud) presenta la risega sopra ricordata, coperta da una lastra di marmo moderna. Si propone quindi di togliere questa lastra, riportando in luce l’unica testimonianza della risega, e prolungando questa a destra e a sinistra per una lunghezza totale di m. 7,40.

Altrettanto dovrà esser fatto nel lato opposto, dietro la soglia orientale (ora settentrionale).

Per quanto riguarda i restauri e le integrazioni in genere, il sottoscritto non ritiene di suggerire modifiche o accorgimenti diversi da quelli realizzati. Le integrazioni anche se notevoli dell’ornato floreale lungo le pareti esterne, offrono, come si è detto sopra, il vantaggio di apprezzare, attraverso un effetto completo ed immediato ciò che l’artista creatore di quella decorazione immaginò e tradusse in marmo.

La soppressione delle parti moderne modellate, anche se sostituite con un graffito o un disegno sul fondo liscio, non permetterebbe di avere quella immediata visione di ricchezza decorativa, raggiunta invece con le integrazioni plastiche.

Occorrerà, quindi, distinguere le parti moderne da quelle antiche, con opportune patinature, e segnando i contorni dei pezzi originali con maggiore evidenza. Alla convinzione della opportunità di lasciare le integrazioni attuali, il sottoscritto è indotto anche dalla considerazione che, qualora si dovessero eliminare le parti moderne con decorazioni, lo stesso criterio dovrebbe essere seguito per tutte le altre parti del monumento. In questo modo dovrebbero essere eliminati: gran parte della cornice di base, quasi tutto il fregio con meandro e quello a palmette; la semplice decorazione a scanalature, della parete interna del recinto dovrebbe anch’essa essere eliminata quasi totalmente, ecc. il monumento perderebbe indubbiamente molto della sua immediata bellezza, risultando una geometrica intelaiatura a superfici lisce, sulle quali apparirebbero, qua e là, i frammenti originali, in molti punti scarsissimi.

La trabeazione, tutta moderna – come si è detto –, è quasi interamente distrutta dalla pressione dei sacchetti di sabbia per la protezione antiaerea, per un cedimento delle impalcatura lignee di sostegno.

Presentandosi quindi la necessità di ricostruirla per intero, la trabeazione potrà essere nuovamente studiata conferendo ad essa linee e dimensioni maggiormente appropriate.

5. II. 1949

L’ISPETTORE PRINCIPALE

Capo del Servizio Arte Antica del Comune di Roma

Dr. G. Gatti

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Per citare questo articolo / To cite this article: S. Dolari (a cura di), Relazione di Guglielmo Gatti al Soprintendente dei Beni Archeologici del Lazio, Salvatore Aurigemma, sulla ricostruzione dell’Ara Pacis Augustae (5 febbraio 1949), “La Rivista di Engramma” n. 75, ottobre/novembre 2009, pp. 250-256 | PDF di questo articolo