"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

60 | dicembre 2007

9788898260058

La pietra si fa cielo: il Tempio Bayon ad Angkor, Cambogia

Alessio Bortot,  Nicola Sartorato | Università Iuav di Venezia

Rappresentare il profondo legame tra l’architettura indo-buddista e la cosmogonia è il fine ultimo di questa ricerca. Il Tempio Bayon ad Angkor (Cambogia), risulta un paradigmatico esempio del senso numinoso dell’architettura orientale. La modellazione tridimensionale del Tempio si presta come strumento ideale per questa indagine che trova i propri fondamenti nella geometria sacra del Mandala.

Spazio Temp-io

Questo scritto ha come obiettivo di dimostrare che lo studio del tempio del Bayon non può prescindere dalla radice astronomica e simbolico-geometrica che sta alla base della sua edificazione.

Il mito cosmogonico, di tradizione induista, detto “dell’Oceano Latteo” (narrato nei Purana, Ramayana e Mahabharata), in una delle sue varianti narra di Ashura e Deva (angeli e demoni) impegnati a tirare per la testa e la coda il serpente Vasuki, avvolto a spirale attorno al monte Mandera. Si tratta della vetta centrale delle cinque del Monte Meru, asse dell’universo nonché unico sperone di terra che emerge dall’oceano di latte che si estende sull’intero globo terrestre. Questo moto vorticoso addensa il liquido, come il latte che si burrifica nell’operazione della zangolatura, e l’oceano latteo svela le creature che abitano nelle sue profondità dando forma al così detto mondo reale. Gli Ashura tornano poi ad abitare i cieli mentre i Deva scendono ad occupare le viscere della terra. La statuaria presente in molti dei templi di Angkor, antica capitale del regno Khmer, ritrae a più riprese queste momenti di tale mito: lo illustra un bassorilievo lungo circa cento metri nel Tempio di Angkor Wat, all’interno della prima cinta muraria, mentre le quattro porte di Angkor Thom che danno accesso al Tempio del Bayon sono delimitate da un lato dalle statue degli Ashura e dall’altro da quelle dei Deva nell’atto di stringere tra le braccia il corpo di Vasuki.

Ingresso alla cittadella di Angkor Thom; ai lati della strada rappresentazione del mito dell’“Oceano Latteo”

Ancora: i templi di Angkor sono definiti templi montagna, sia per la loro caratteristica morfologica di elevarsi verso l’alto a mano a mano che ci si avvicina al centro, sia per la loro analogia con l’immagine del Monte Meru con le sue cinque vette. Queste ultime sono simboleggiate dalla presenza costante di cinque Sikhara, sorta di torri che si collocano negli angoli del quadrato che circoscrive il centro del tempio.

Prospettiva zenitale del modello digitale del Tempio del Bayon, rappresentazione simbolica del monte Meru

Occorre seguire con gli occhi della mente le linee che con rigore geometrico portano al centro della figura (Bindu), restando in silenzio e con il respiro ritmato, senza però che questo distolga l’attenzione dal tracciato.

 

Schematizzazione geometrica di un Mandala: in evidenza il percorso da seguire con la mente nella pratica della meditazione

Giunti al centro, se la pratica è stata svolta in modo corretto, si sperimenta l’esperienza dell’“assenza di pensiero”, del vuoto interiore. Questa dimensione estatica – di natura extra-corporea – conduce all’apertura di una porta della conoscenza, tramite la quale si entra in contatto con il tutto. La concentrazione sul Mandala è una delle molteplici pratiche di meditazione proposte dalle scuole orientali. Esistono antichi testi sacri che indicano con estrema precisione le regole da seguire per edificare un Tempio: dalla scelta del luogo, alla sua consacrazione, per giungere infine alla costruzione vera e propria, scandita da un sistema proporzionale che tiene conto dell’armonia dell’universo. È necessario tracciare sul terreno il Vastupurusamandala, operazione finalizzata a rendere l’edificio adatto ad ospitare una determinata divinità e, al contempo, a liberare il luogo dalla presenza di spiriti antagonisti. Vastu è tradotto dal sanscrito come “vastità, spazio”, Purusa è la “sostanza spirituale” e Mandala è “cerchio”. Una forzata traduzione letterale non rende però giustizia al concetto ivi racchiuso, che implica l’incontro armonico di cosmo e spiriti. Il Tempio assume quindi ed emana la forma del Mandala, e questo consente all’architettura sacra di fondarsi su quell’armonia che regola anche gli equilibri universali di cui il Vastupusamandala è la simbolica legge. L’esperienza meditativa subisce un passaggio di prospettiva se rapportata alla pratica di preghiera che l’uomo compie nell’attraversare il Tempio: la deambulazione dall’esterno verso l’interno avviene seguendo i cinque recinti che concentricamente conducono al Garbagra, così come con gli occhi della mente si percorrono le linee del Mandala fino a raggiungerne il centro.

Pianta del Tempio del Bayon con il percorso che segue il fedele per giungere al Garbagra, tenendo sempre la destra rispetto al centro

Garbagra, la stanza più sacra dell’edificio, letteralmente è restituibile come “grembo”, ed è un luogo che non deve aver mai visto la luce, tant’è che viene edificato durante la notte. In alcune tradizioni nel Garbagra si trova una raffigurazione del Buddha, più spesso l’ambiente è il Vuoto. Il percorso che l’adepto compie per giungere al Garbagra è un alchemico percorso nell’universo che conduce al centro, inteso quale asse di rotazione. In effetti il diagramma del Vastupurusamandala accoglie all’interno del proprio ordine la posizione delle divinità a cui il tempio sarà consacrato; ogni divinità è a sua volta reggente di una precisa stella (Naksatra).

Schematizzazione del Vastupurusamandala

Abbiamo osservato che nella fascia più esterna si trovano 32 divinità con rispettive stelle, sottraendo a queste i quattro guardiani dei punti cardinali (Lockapala), ne risultano 28, che rappresentano le altrettante case lunari. Riproducendo il cielo di Angkor nell’ipotetico anno di fondazione del Tempio abbiamo rintracciato le stelle coinvolte, constatato come si trovassero tutte prossime all’eclittica, e verificato che la loro successione in cielo risultava la medesima di quella delle divinità del diagramma.

Il cielo visibile ad Angkor nell’anno di fondazione del Tempio; in azzurro sono indicate le stelle di cui sono reggenti le divinità del Vastupurusamandala

Proseguendo il nostro percorso di ricerca ci siamo spostati verso l’anello più interno, che con la sua partizione in otto settori suggerisce le posizioni del sole agli equinozi, ai solstizi e nei punti intermedi tra questi. Si sottolinea che la posizione del sole nei due equinozi coincide con l’incrocio tra il piano dell’equatore e quello dell’eclittica. Nella città di Angkor il legame tra il sole e i templi che vi si trovano risulta evidente anche osservando che questi sono allineati reciprocamente lungo le proiezioni a terra delle parabole compiute dal sole agli equinozi e solstizi.

Foto satellitare dell’area archeologica di Angkor:

i vettori rossi e verdi rappresentano le proiezioni a terra delle parabole compiute dal sole rispettivamente al solstizio d’estate e al solstizio d’inverno

Inoltre è stato verificato che l’ombra proiettata dal Garbagra del Tempio del Bayon nel giorno del solstizio d’estate, all’alba e al tramonto, va a traguardare due porte di accesso, per tale ragione denominate solstiziali.

Simulazione digitale ricavata dal modello 3D dell’ombra proiettata dal Garbagra, all’alba e al tramonto del solstizio d’estate

Seguendo questa mappa stellare, ci si ritrova ancora una volta nel centro, che in chiave astronomica rappresenta il polo dell’eclittica, ossia l’asse di rotazione dell’universo, il Monte Meru. Ne risulta che il centro, in quanto asse, racchiude in sé la dimensione dell’eterno. Esso, infatti, è immobile. Il Vuoto del Garbagra del Bayon rappresenta un luogo di ascesa verso le armonie dell’universo, delle quali il Tempio è un’immagine in scala ridotta.

Bibliografia di riferimento

G. D’Acunto, Il disegno del cosmo, L’architettura mandalica di Angkor Wat, Padova 2004
S. Kramrisch, Il tempio indù, Milano 1976
A. Snodgrass, Architettura, Tempo, Eternità. Il simbolismo degli astri e del tempo nell'architettura della Tradizione [1988], Milano 2004
G. Tucci, Teoria e pratica del mandala, Roma 1969