"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

121 | novembre 2014

9788898260669

I fiori di Chandigarh: Mohinder Singh Randhawa, Flowering Trees in India (1957)

Una presentazione del lavoro del Maestro dei giardini di Chandigarh

a cura di Franco Panzini

Presentazione

Nel giorno di ferragosto, l’India ricorda orgogliosamente ogni anno la sua indipendenza dal dominio britannico, dichiarata il 15 agosto 1947. Essa fu annunciata da un discorso tenuto all’esterno del Red Fort di Dehli, innanzi a una folla immensa, da una figura carismatica: Jawaharlal Nehru, leader politico che in quel giorno assumeva la carica di Primo ministro del nuovo paese.

Quel celebrato agosto 1947 conserva però anche la memoria di eventi tragici: la partizione secondo labili confini di prevalenza religiosa di quello che era stato il territorio del BritishRaj, l’estesissima area del subcontinente indiano sotto governo britannico. Quell’enorme colonia, che era stata amministrata sotto varie forme dalla corona inglese, fu all’epoca divisa in due nuovi stati: India e Pakistan, quest’ultimo al tempo composto anche da quella separata porzione orientale, che sarebbe divenuta il Bangladesh. Il nuovo confine nazionale, allora sancito, tagliava in due la grande regione agricola settentrionale del Punjab che divenne indiana nella sua porzione orientale e del Pakistan in quella occidentale. Il ricollocamento della sua popolazione secondo i nuovi confini confessionali fu accompagnato da quello che è ormai riconosciuto come un vero reciproco genocidio.[1]

Dopo la partizione, Lahore, l’antica monumentale capitale Moghul del Punjab, si ritrovò in Pakistan, mentre la parte indiana dello stato restò senza un capoluogo di riferimento. L’individuazione di un nuovo centro amministrativo divenne perciò imperativo; la sua localizzazione fu oggetto di molte ipotesi, a partire dall’utilizzo di siti già esistenti, come Amritzar, la città sacra dei Sikh, il gruppo religioso prevalente nell’area. Ma l’ipotesi fu scartata per ragioni strategiche: risultava troppo vicina al nuovo confine con il Pakistan, con cui il confronto militare era iniziato all’indomani dell’indipendenza.

Mohinder Singh Randhawa, Chandigarh, Government Press, Chandigarh, 1968.

Si decise allora di costruire una città integralmente nuova, che avrà il nome di Chandigarh. Una città ben nota ai cultori di storia urbana e soprattutto agli studiosi di architettura, che associano, con qualche approssimazione, quel luogo con il suo principale progettista, Le Corbusier. Negli ultimi anni la lettura degli eventi che portarono alla costruzione di quella capitale è stata oggetto di una radicale revisione e così la città è passata dall’essere considerata il capolavoro di una unica geniale figura, quella appunto dell’architetto svizzero-francese, a laboratorio di incontro e scambio fra culture nel quadro delle strategie connesse al processo di decolonizzazione che l’India stava attuando.[2]

Motore politico dell’ideazione e costruzione della città di Chandigarh fu il Primo Ministro Nehru; il suo ruolo fu fondamentale sia nella decisione di costruire una nuova capitale sia nel garantire il costante finanziamento dei lavori nel tempo.

Il profondo interessamento mostrato per l’impresa era alimentato da più motivi; certamente dal vantaggio politico che si attendeva di cogliere da una terra in cui il suo Partito del Congresso era profondamente radicato, ma insieme dalla convinzione che il processo che doveva condurre il suo paese alla modernità, dovesse seguire un processo culturalmente indipendente. E Nehru pensava che la costruzione di una nuova grande città potesse ben rappresentarlo.

Negli anni che precedettero l’indipendenza dell’India, Nehru aveva elaborato un proprio quadro ideologico in cui va collocata la sua opera di primo presidente della nuova nazione. Sincero ammiratore della scienza e cultura occidentale era insieme critico verso l’industrialismo occidentale e convinto che l’India, nel suo processo di consolidamento come nazione moderna, dovesse seguire un percorso autonomo, basato sulla propria cultura.

Nehru, per educazione, personaggio insieme cosmopolita e nazionalista, aveva messo a punto l’idea di una strategia originale per condurre il paese verso la modernità, durante un periodo di immobilità forzata perché in prigionia, fra il 1944 e il 1946. Raccolse le sue riflessioni in un libro scritto in carcere, The Discovery of India,[3]che si propone come un itinerario nella storia del subcontinente, alla ricerca di quelle circostanze e condizioni di specificità, anche nel rapporto con le dominazioni straniere, che avevano portato all’avanzamento del paese.

Nehru era consapevole che l’India faceva ormai parte di un’economia globale, ma sapeva anche che l’ingresso del suo paese nella modernità doveva necessariamente passare attraverso il confronto con l’identità culturale sfaccettata del suo paese. La modernità non si poteva raggiungere solo applicando tecniche scientifiche; a queste dovevano coniugarsi altre attitudini: “the temper and approach of science, allied to philosophy, and with reverence for all that lies beyond”[4]

Per questo inedito approccio che avrebbe potuto costituire un esempio per il mondo, l’India era il luogo appropriato per la sua lunga tradizione di ricerca delle verità primarie dell’esistenza che il pensiero indiano aveva elaborato nella sua storia. Una via indiana a una modernità che univa scienza e ricerca spirituale in cui anche Cahandigarh trovava il suo posto. Del resto la fine del dominio coloniale e le conseguenti nuove consapevolezze suscitate, stavano facendo emergere nel mondo nuove attitudini e sensibilità anche nel pensiero rivolto all’architettura e alla città moderna.

Al suo fianco Nehru ebbe uomini che condividevano quell’approccio; fra questi vi fu Mohinder Singh Randhawa (1909 – 1988). Figlio di una agricoltore, Randhawa aveva fatto studi di agraria e botanica ed era entrato nel 1934 nell’Indian Civil Service dove aveva compiuto una rapida carriera. Nel 1946, alla vigilia dell’indipendenza, ebbe la nomina a dirigente dell’amministrazione urbana del distretto di New Delhi. Dopo l’indipendenza e i tumulti etnici che seguirono la spartizione del Punjab, a lui fu affidato il difficilissimo incarico della ridistribuzione delle terre agricole abbandonate dai mussulmani in fuga dai profughi di religione indu provenienti dal Pakistan.

Acquisì così una grande conoscenza del territorio del Punjab che gli giovò la nomina a Presidente del “Landscape Advisory Committee” (LAC), istituito a Chandigarh nel luglio 1953. All’epoca la costruzione della città era sta appena iniziata e il comitato era stato creato per contribuire alla costruzione del paesaggio e degli spazi pubblici della capitale. Suo compito era integrare il lavoro dell’Architects Office[5], l’ufficio di progettazione che operava nel sito della nuova città diretto da Pierre Jeanneret, e coordinarne l’opera con quello degli ingegneri forestali e vivaisti che erano coinvolti nella costruzione ambientale della città.

Chandigarh è stata vista come una città moderna sorta dal nulla a opera di architetti moderni. Ma in realtà non è così. Sorse in una piana agricola densa di colture e villaggi rurali alcuni dei quali vennero preservati al pari dei sentieri che li collegavano. Anche il celebre piano urbanistico della città, che definiva una griglia di distretti rettangolari chiamati settori, divisi da una maglia articolata di strade e percorsi, colloquia con la regolarità dell’organizzazione agricola che già il sito presentava e la sua conformazione morfologica.

Chandigarh, veduta aerea dell'area del Campidoglio.

A rafforzare il legame fra ambiente e nuova città contribuì la questione dell’impianto delle nuove alberature. Nei mesi centrali del 1952 aveva preso corpo il Plan d’Arborisation per Chandigarh, l’idea di Le Corbusier di proporre uno strumento di riferimento che contenesse le alberature da impiantare nella città, suddivise per forma e colori delle fioriture, così da porre le specie vegetali in relazione con i diversi tipi di strade urbane e le architetture che le fiancheggiavano.

La vicenda del grande numero di nuovi alberi di cui la città necessitava, aveva portato alla costituzione del LAC, diretto da Randhawa e a cui partecipavano Le Corbusier e Pierre Jeanneret, il quale dirigeva l’Architects Office. Dalla collaborazione fra Le Corbusier e Randhawa sortì un vero e proprio piano direttore del verde che definiva il ruolo delle masse alberate nella scena urbana, anche in funzione dei colori delle fioriture.

Nel suo ufficio parigino Le Corbusier fece predisporre una sorta di catalogo concernente le forme delle alberature e il modo in cui avrebbero dovuto essere piantate, secondo diverse composizioni lineari o aggregate, in relazione alla dimensione delle strade, alla posizione del sole, agli edifici con cui si confrontavano. Le Corbusier creò così una specie di manuale che poteva essere utilizzato in ogni situazione. Prese in considerazione le varie forme delle chiome, estese o ridotte, più trasparenti o ombreggianti, e il relativo colore dei fiori; elencò i vari modi in cui le alberature dovevano essere piantate, in filari singoli, doppi, multipli, simmetrici o asimmetrici, in boschetti a seconda della del tipo di strada, dell’orientamento e relativa insolazione.

Le Corbusier, Classification of trees according to shape of crown and colour of flowers, ca.1954 (Fondation Le Corbusier, Paris).

Per questi schemi compositivi Randhawa guidò la selezione delle specie botaniche più idonee a ottenere l’effetto desiderato. Fece grande sforzo per ottenere alberature che provenissero da luoghi diversi dell’India e anche per ottenere specie esotiche, che a suo avviso avrebbero rafforzato il senso di amicizia dell’India con le altre nazioni.

Scrivendo di quell’esperienza la sintetizzava in poche righe:

“Chandigarh, like a new-born baby, was waiting to be clothed in amantle of vegetation. The urgency of planting the Capital was realized by the State Government, and a Landscape Committee, with the present authoras Chairman, and Engineers and Architects of the Chandigarh Project as members, was set up to guide the work.

Corbusier, who was one of the members of the Committee, suggested the preparation of a chart showing shapes of trees and colours of flowers. This simple chart presented a classification of selected, beautiful, ornamental flowering and foliage trees of India which may be called the aristocrats of the plant kingdom, and provided the basis of alltree-planting in Chandigarh”.[6​]

Schemi di piantagione furono predisposti per ogni singola area urbana o strada dando origine a quella che nel tempo si imporrà come una delle caratteristiche più avvincenti della città: il ruolo delle alberature nella costruzione della scena urbana.

Chandigarh, le alberature dello Jan Marg, l'asse urbano centrale della città.

Ad esempio le strade principali, destinate al grande traffico, furono accompagnate da alberature dalle chiome dense, così da creare veri tunnel verdi, che proteggono dal sole sia i conducenti sia i pedoni a cui sono destinati specifici percorsi separati. Alle strade commerciali o quelle che conducevano a scuole o musei fu data una caratterizzazione originale: ognuna di esse fu piantata con specifiche alberature dalla fioritura di diverso colore. Ed infine le grandi alberature presenti nel sito al momento della costruzione della città vennero risparmiate e inserite nei nuovi spazi verdi, cosicché trasmettessero un senso di storia del sito alla nuova città.

Randhawa, il quale coniugava conoscenze agronomiche e forte senso estetico, selezionò le alberature native ed esotiche più adatte per il clima di Chandigarh, mettendo anche a frutto l’esperienza e gli errori compiuti nel periodo inglese per alberare New Dehli. Ebbe molto a cuore questo compito e quando nel 1955 divenne vicepresidente dell’ “Indian Council of Agricultural Research” ne approfittò per ottenere semi di alberature pregiate dagli orti botanici e giardini storici dell’India intera, perché fossero piantati a Chandigarh[7].

Chandigarh, il Sector 18 che contiene la zona amministrativa e commerciale centrale della città.

Al suo decisivo impulso si deve anche la costituzione della Leisure Valley di Chandigarh, il grande parco lineare che interseca la capitale. Si trattava in origine di una “vallée d'erosion, come la definì Le Corbusier, il quale individuò sin dalla sua prima visita nel sito le potenzialità di quell’incisione che un corso d’acqua stagionale aveva scavato nella piana agricola creando un piccolo canyon utilizzato dai contadini come percorso [8]. Le Corbusier vide in quel’avvallamento, strategicamente direzionato verso le montagne, la suggestiva spina dorsale della sua nuova città, che avrebbe attraversato il centro urbano e raggiunto il Campidoglio. Trovò conferma di quell’intuizione nel marzo 1951, quando si recò nella capitale indiana per incontrare il Primo Ministro Nehru; del monumentale asse centrale ideato da Sir Edwin Lutyens for New Delhi scrisse: “l'axe est désèspérant (longueur + pelouses vides)…. À Chandigarh il faut mettre le piétons dans les vallons, chemins sinueux pittoresques”[9]

Chandigarh, la Leisure Valley, parco lineare centrale della città.

Era l’atto di nascita della Leisure Valley, il parco lineare percorso da sentieri serpeggianti fra boschetti che avrebbe attraversato l’intera città di Chandigarh. A quel parco lineare Randhawa diede migliaia di magnifiche alberature, continuando nel tempo ad arricchirlo con nuovi giardini anche quando l’esperienza della città si era ormai conclusa. Al suo decisivo impulso si deve la creazione dello “Zakir Hussain Rose Garden”, il più grande giardino botanico dell’Asia dedicato alle rose, creato nel 1967 lungo la Leisure Valley.

Chandigarh, lo Zakir Hussain Rose Garden, il grande roseto contenuto all’interno della Leisure Valley.

L’esperienza di Chandigarh servì a Randhawa per confortare la sua visione che fosse possibile perseguire una sorta di via indiana alla costruzione urbana, segnata dalla consapevolezza del ruolo estetico che le alberature avrebbero potuto svolgere. Le monumentali piante che avevano accompagnato il passato dell’India avrebbero potuto assumere il ruolo di memoria della grande storia del paese ed essere insieme emblema di una sua propria capacità di costruire realtà urbane diverse.

Chandigarh, ognuno dei settori residenziali in cui è suddivisa la città contiene un'area verde alberata.

Perseguirà quell’idea in una serie di progetti per piantagioni urbane e in una sorta di manifesto del paesaggismo indiano, il libro Flowering Trees in India, in cui gli alberi dalle belle fioriture sono gli strumenti per suscitare nei cittadini l’amore per la bellezza della natura:

“Our ancestors of the Asokan and Gupta periods were people of the high estaesthetic perception, while we are surprising lydeficient in aesthetic consciousness. I thought the planting of beautiful trees in homes and public places in towns would provide a healthy corrective and wouldlead to a genuine improvement in taste... I decided that the beauty of thesetrees must bemultiplied for the benefit of those who had shut their eyes and persistently refused to see it… I made arrangements for planting these beautiful trees in the compounds of district courts, tahsils [municipi], school saswellas in the houses of the well-to-do along the road sides. Though I never saw these trees grow up, I knew that some day they would flower and convey my message of love for the beauty of nature atleast to the coming generation”.[10]

Partendo dall’idea delle alberature dalle belle fioriture come strumento di elevazione culturale si spinse a sognare intorno ad una possibile pianificazione bioestetica che coniugava il rispetto per la vita animale e la difesa delle specie viventi in pericolo con il senso estetico che esse sapevano suscitare. Coniugando approccio scientifico e sensibilità estetica, propose che le città andassero trattate come organismi viventi e che l’intero paese dovesse essere sottoposto a una pianificazione bioestetica, che puntava alla salvaguardia della biodiversità, in ragione soprattutto della bellezza che da essa derivava:

“For a healthy and balanced development of a nation, wealth in the form of material goods is, no doubt, necessary, but a beautiful environment is just as essential. … Bioaesthetic planning embraces both the animal and plant sciences, Botany and Zoology, and may be further defined as planned ecology of living beings from the artistic and aesthetic points of view. It includes the plantation of ornamental flowering trees along city roads, in parks, public places and compounds of houses both in towns and villages, and development of national parks for the preservation of beautiful, non-carnivorous animals, and the creation of bird sanctuaries. The object of a bioaesthetic plan for India is the encouragement of the planting of selected ornamental flowering trees in ourtowns and villages, protection of beautiful, harmless birds like wild ducks, egrets, geese and saruscranes by legal declaration of our bigjhilsas bird sanctuaries, and preservation of graceful animals such as blackbucks, blue bulls, sambhars and spotted deer, which are being ruthless lyexter minated in national parks and zoological gardens in the vicinity of our big towns”[11].

Chandigarh, i grandi alberi continuano a essere punti di aggregazione per la vita sociale.

Possiamo sorridere nella lettura di queste aspirazioni apparentemente ingenue, che esaltano la comunità degli esseri viventi visti nella bellezza del loro esistere, e che sembrano sollecitare un approccio al mondo animale in sintonia con quello delle pellicole dell’atelier Disney. Ma inviterei piuttosto a scorgervi il legame con la storia filosofica dell’India, nel vaticinare di una pianificazione in cui aleggia il senso della compassione per gli esseri viventi. Una compassione che, intrecciando i fili di tutti i fenomeni interdipendenti, favorisce e nutre la vita in ogni sua diversa, prodigiosa manifestazione.

Randhawa sognava un ambiente in cui le alberature dalle belle fioriture sarebbero state testimonianza della partecipazione attiva al compassionevole funzionamento dell’universo, arricchendo e intensificando il dinamismo creativo della vita. E di una umanità più compassionevole verso le forme viventi abbiamo forse sempre più bisogno.

Mohinder Singh Randhawa, Flowering Trees in India (1957)

This is a saga of the Tree Beautiful. It is the result of a decade of observation and worship of the beautiful trees of India. It recalls many joyful hours spent in the forest, the countryside and the garden feasting my eyes on the beauty of mauve Bauhineas and flaming scarlet blossoms ofpalas. In my quest for the Beautiful Tree, I wandered all over the face of India from the Himalayas to Cape Comorin. I was thrilled by the beauty of the graceful coconut palms with their plume-like leaves swaying gracefully in the scented breeze of Kerala, the Land of the Coconut Palm. I enjoyed the beauty of Plumerias, their waxen leaves and white branches glistening in the tropical sun of the countryside of Travancore. The graceful bamboo forests at the foot of the Nilgiris, the blue mountains of South India, appeared indescribably beautiful in the early monsoons. The teak forests of Central India kept me company for days, and I enjoyed the rustling of their broad leaves and the sight of their pale yellow blossoms. In the submontane Uttar Pradesh, I enjoyed the sight of sal trees, and the dark village women clinging to the flower-laden branches of sal reminded me of the mother of the Buddha. The Himalayas in spring time, when the plum and the wild pear burst into a white universe of flowers, made a deep impression on me.

The flowering of the forest trees is the spontaneous expression of the mystery of life. Contemplating the beauty of the trees, one experiences the joy of the Impersonal, when the inner self of man and the outer self of nature unite. In the union of the soul and nature one experiences ecstatic joy and forgets one's little self. Thrilled by the beauty of the blossoms of the forest trees, the sailing clouds, the golden sunsets and the splendour of the snow peaks, one feels elevated, and a rain of beauty seems to drizzle.

In these pages a sensitive reader will enjoy the beauty of the gardens, the forests and the countryside of India. As one thinks of the forest, images of great strength and beauty swim before one’s eyes. And these images are more clear if one has had a chance to visit a forest in one’s younger days when the mind is more receptive and impressions are more vivid. Forest trees provide an appropriate back-ground to our emotions, for they remind us of our primaeval ancestors who often read their own moods in nature. The forest-lore of India provides a vast fund of primitive imagination and feeling which may well be ranked with real poetry. As I delved into the tree-lore of ancient India, I reconstructed forest scenes among which lived our rishis and forest maids in association with the trees which they loved and looked after. The ancient garden-lore gave me great happiness. >> [il volume è integralmente disponibile in edizione digitale]

Alcune pagine tratte da Flowering Trees in India di M.S.Randhawa.

Note
  • [1]Paul R. Brass, The partition of India and retributive genocide in the Punjab, 1946–47: means, methods, and purposes, in Journal of Genocide Research (2003), 5 (1), 71-101.
  • [2]Si veda al proposito il volume di, Tom Avermaete, Maristella Casciato, Casablanca Chandigarh: A Report on Modernization, CCA (Montreal) e Park Books (Zurich), 2014. Il volume è il risultato delle ricerche promosse sul tema dal “Canadian Centre for Architecture” (CCA); queste sono state presentate anche nel corso di una esposizione dal titolo “How architects, experts, politicians, international agencies and citizens negotiate modern planning: Casablanca Chandigarh” tenuta fra l’inverno e la primavera 2013–2014 nelle galerie del CCA a Montreal.
  • [3]Jawaharlal Nehru, The Discovery of India, Oxford University Press, Oxford-New York 1946.
  • [4]The Discovery of India, 514.
  • [5]L’ufficio costituiva il corripondente a Chandigarh dello studio di Le Corbusier a Parigi. Era diretto da Pierre Jeanneret, cugino e collaboratore diretto di Le Corbusier e in esso lavoravano, oltre a molti progettisti indiani, gli altri due architetti occidentali che erano stati chiamati a far parte del team progettuale, Maxwell Fry e Jane Drew.
  • [6]Mohinder Singh Randhawa, Flowering Trees in India, Indian Council of Agricultural Research, New Delhi 1957, 117.
  • [7]L’esperienza del piano di piantagione delle alberature a Chandigarh è ricordato da Randhawa in due diverse sue pubblicazioni: FloweringTrees in India, op.cit. e Chandigarh,Government Press, Chandigarh 1968.
  • [8] Uno schizzo della ‘vallée d’erosion’ come si presentava prima dell'inizio dei lavori di trasformazione è contenuto in, Le Corbusier, Œuvrecomplète 1946-1952, Editions Girsberger, Zurich 1955, 118.
  • [9]Fondation Le Corbusier, Carnet E18, foglio 36.
  • [10]Flowering Trees in India, 2.
  • [11]Flowering Trees in India, 59.

English abstract

This contribution offers a historical overview and a critical presentation of the green space design of the new city of Chandigarh in India. The political driving force behind the conception and construction of the city of Chandigarh was Prime Minister Nehru; his role was fundamental both in the decision to build a new capital and in guaranteeing the constant financing of the works over time. Mohinder Singh Randhawa (1909-1988), then president of the "Landscape Advisory Committee" (LAC), collaborated with Les Corbusier and Pierre Jeanneret on the Plan d’Arborisation.

 

keywords | Flowers; Mohinder Singh Randhawa; Flowering Trees; India; Chardigarh; Urban green spaces; Park design.

Per citare questo articolo / To cite this article: F. Panzini, I fiori di Chandigarh: Mohninder Singh Randhawa, Flowering Trees in India (1957). Una presentazione del lavoro del Maestro dei giardini di Chandigarh, “La Rivista di Engramma” n. 121, novembre 2014, pp. 29-41 | PDF di questo articolo

doi: https://doi.org/10.25432/1826-901X/2014.121.0005