"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

La quinta giornata del Decameron di Boccaccio: un ipertesto del fondale della Calunnia

Mosè Viero

English abstract


 

§ 1. Introduzione: la Calunnia e il suo tempo
§ 2. La quinta giornata del Decameron
§ 3. Struttura e significato delle novelle della quinta giornata
§ 4. Presenze dirette: Cimone e Nastagio
§ 5. Presenze indirette
§ 6. Conclusioni: per una lettura politico-filosofica della Calunnia di Botticelli

§ 1. Introduzione: la Calunnia e il suo tempo

È abitudine critica ormai consolidata suddividere la produzione pittorica di Sandro Botticelli (1445-1510) in due fasi, caratterizzate da macroscopiche differenze: il periodo della giovinezza e della prima età adulta, segnato dalla preferenza per soggetti di carattere allegorico e mitologico, con ogni probabilità dovuta alla vicinanza del pittore con il circolo di umanisti e letterati raccolti attorno alla Firenze medicea, e il periodo della tarda maturità, segnato dalla preferenza per soggetti religiosi e devozionali, dovuti alla tuttora controversa 'crisi' che avrebbe segnato il pittore in occasione della tragica fine della vicenda savonaroliana. 

Il dipinto intitolato La Calunnia di Apelle e conservato alla Galleria degli Uffizi di Firenze può essere considerato una sorta di 'cerniera' fra questi due periodi, da diversi punti di vista. Anzitutto da un punto di vista meramente stilistico: alla rinnovata preferenza che Botticelli accorda, nei suoi ultimi anni di vita, all'arte sacra, infatti, corrisponde anche un notevole mutamento stilistico da parte del pittore, che attua una sorta di consapevole regressione verso canoni e procedure tipici dell'arte devozionale dei secoli precedenti. Nella Calunnia questo mutamento ancora non è presente, ma si fa percepire attraverso alcune avvisaglie, in particolare attraverso le torsioni e le sinuosità dei personaggi rappresentati. La presenza di tali torsioni e sinuosità è una caratteristica tipica di tutta la produzione botticelliana, ma qui l'allontanamento dalla fedeltà al vero raggiunge un punto forse mai toccato in precedenza. In secondo luogo, l'imminente crisi religiosa del pittore è in qualche modo anticipata dalla scelta del soggetto, che risente fortemente della situazione politico-sociale della Firenze di quegli anni.

La Calunnia botticelliana è la riconversione in immagine di una ekphrasis realizzata da Luciano di Samosata (121-181 circa) a partire da un dipinto del celebre pittore greco Apelle, ora raccolta nel trattato antologico Descrizioni di opere d'arteRacconta lo scrittore che Apelle avrebbe subito da parte di un pittore rivale di nome Antifilo l'accusa di aver tentato una cospirazione contro Tolomeo Filopatore; una volta sventato l'inganno, Apelle avrebbe dipinto la sua opera per dimostrare a cosa possono portare le voci calunniose. Il dipinto mostrava una serie di figure allegoriche impegnate a dar vita a una scena: la Calunnia, guidata da Invidia e aiutata da Tradimento e Inganno, trascina un innocente davanti a un giudice, presumibilmente re Mida, consigliato da Ignoranza e Sospetto; all'estremità opposta il Rimorso indica l'Innocente, volgendosi verso la Verità.

Il racconto probabilmente non ha una precisa fondatezza storica, ma il soggetto così puntualmente descritto da Luciano ha molta fortuna nel XV secolo e viene ripreso dagli umanisti, avidi di modelli antichi da imitare: il primo è Leon Battista Alberti, che raccomanda agli artisti del suo tempo di esercitarsi nella riproduzione del soggetto descritto da Luciano. Molti artisti, nel corso della seconda metà del secolo XV, seguono il suggerimento albertiano in quanto la riproduzione del quadro antico costituisce una prova di abilità e inoltre consente all'artista rinascimentale di porsi, attraverso la mediazione della fonte letteraria lucianea, in gara con il dipinto di Apelle.

Sono pertanto giunte a noi una serie di Calunnie, ma quella botticelliana ha una particolarità: essa non rappresenta solo la scena allegorica descritta da Luciano, ma sceglie di collocare tale scena in una ambientazione architettonica che contempla numerosi altri soggetti. La condanna del povero innocente da parte del re dalle orecchie d'asino, infatti, avviene all'interno di una loggia decorata con rilievi, dipinti, statue all'interno di nicchie: tutto viene descritto con minuzia dal pittore, e i soggetti di quasi tutte le scene rappresentate nel fondale sono stati identificati, non senza controversie anche notevoli, dagli studiosi.

Diamo solo un accenno al fatto che la loggia è collocata su un prato verde che a un certo punto, sullo sfondo, lascia spazio al mare. Non sempre la presenza del mare è stata riconosciuta dai critici: la campagna fotografica realizzata per questa occasione ha definitivamente chiarito ogni dubbio a riguardo. Il passaggio dalla terra al mare e dal mare al cielo è molto ben evidente da questo dettaglio: 

All'interno del complesso panorama di rimandi e di citazioni sottesi al programma iconografico del dipinto, un ruolo del tutto particolare spetta all'opera di Giovanni Boccaccio. Moltissimi episodi del fondale, infatti, contengono rimandi più o meno espliciti all'opera dell'autore del Decameron: in alcuni casi troviamo vere e proprie versioni per immagini di novelle o episodi raccontati dallo scrittore toscano, in altri, invece, troviamo scene allegoriche che in qualche modo trovano l'origine e la ragion d'essere in qualche passo boccacciano.

In questo saggio si prende in esame una sezione particolare dell'opera di Boccaccio, una parte del Decameron, che ha una rilevanza notevole come fonte d'ispirazione della Calunnia: si tratta della quinta giornata, le cui dieci novelle vertono sul tema del 'trionfo dell'Amore', ossia di vicende sentimentali a lieto fine, in contrasto con le novelle spesso agrodolci e talvolta perfino tragiche delle altre giornate.

Nei bassorilievi che costituiscono il fondale architettonico della Calunnia botticelliana sono infatti stati riconosciuti due episodi tratti da due novelle del Decameron. Considerando l'ambiente in cui in quel momento Botticelli si trova a operare, è da escludere che le scelte di questi soggetti 'minori' siano state effettuate secondo criteri puramente 'decorativi': come avremo modo di scoprire, e come è già stato messo in evidenza da diversi studiosi, esistono legami tematici molto forti fra la scena presentata in primo piano e le scene che popolano il fondale. Nessuno tra gli studiosi, tuttavia, ha finora considerato l'affinità tematica generale tra il tema della quinta giornata (a cui entrambe le novelle certamente presenti nei bassorilievi del fondale appartengono) e il tema allegorico del dipinto botticelliano. Forse il tema del trionfo dell'Amore che Boccaccio rappresenta nella quinta giornata e il tema del trionfo sul piano etico, oltre che estetico, della Poesia che i circoli neoplatonici fiorentini in quegli anni predicano hanno legami che non si limitano alla suggestione generica evocata dalle due singole novelle.

§ 2. La quinta giornata del Decameron

Collocata a mezzo dell'opera, la quinta giornata ha come argomento "ciò che ad alcuno amante, dopo alcuni fieri o sventurati accidenti, felicemente avvenisse". Si parla cioè di amanti separati dalla mala sorte o dalle avverse vicende umane, in qualche modo ricongiunti grazie alla forza d'Amore. L'argomento nasce narrativamente come opposizione a quello della giornata precedente, ove si parlava di "coloro li cui amori ebbero infelice fine". Si tratta quindi di un momento di gioia e di rilassatezza anche per i novellatori, che talvolta si abbandonano a considerazioni leggere e a risate e ammiccamenti. Non si tratta peraltro dell'unico momento in cui sono presenti storie a lieto fine: la vicenda burrascosa ma felice è anzi il prototipo della novella boccacciana, ma mai come in questo libro la volontà di dimostrare la potenza rigeneratrice del sentimento d'Amore è così caparbiamente esplicitata, fino a diventare quasi una prefigurazione di quella che sarà la teorizzazione neoplatonica quattrocentesca. In altri termini, se spesso l'impressione che si ricava dal Decameron è che il lieto fine arrivi accidentalmente, per volontà del Fato, nulla di tutto ciò accade nelle novelle della quinta giornata, dove la ragione della felicità (la forza d'Amore) è sempre chiaramente teorizzata dallo stesso novellatore. Il carattere singolare di questo capitolo rispetto al resto dell'opera è anche dato dal fatto che a ricoprire il ruolo di "reina", cioè di colei che determina il tema della giornata e la successione con cui viene data la parola ai novellatori, è Fiammetta, già presente in altre opere di Boccaccio ora come donna amata (Amorosa visione), ora come protagonista di vicende amorose con altri personaggi (Elegia di Madonna Fiammetta). È Panfilo a cominciare le narrazioni, con la novella che vede come protagonisti Cimone ed Efigenia:

"Cimone amando divien savio, ed Efigenia sua donna rapisce in mare; è messo in rodi in prigione, onde Lisimaco il trae, e da capo con lui rapisce Efigenia e cassandra nelle lor nozze, fuggendosi con esse in creti; e quindi, divenute lor mogli, con esse a casa loro sono richiamati".

Il protagonista della novella è Cimone, figlio del ricco cipriota Aristippo. Deriso da tutta la sua città a causa del suo scarso acume intellettuale e dei suoi modi quasi bestiali (il suo nome significa appunto 'bestione'), il povero Cimone viene mandato dal padre a vivere fra i contadini di una delle sue tenute. Un giorno, passeggiando in un boschetto, Cimone si imbatte in un gruppetto di persone che dorme sotto un albero; fra di loro è la bella Efigenia, figlia del nobile cipriota Cipseo. Cimone, estasiato dalla visione, resta per qualche tempo a contemplare la scena; quando la fanciulla si sveglia accampando scuse cerca di sottrarsi all'interesse di Cimone, quest'ultimo comincia a pensare a un modo per conquistare la ragazza. Per farlo, il burbero e ignorante figlio di Aristippo intraprende una vera trasformazione: da ignorante diventa maestro di lettere e di filosofia, da rozzo, campione di eleganza. Tutto questo con somma gioia del padre, che lo richiama a vivere in città. Purtroppo però Efigenia è già promessa a Pasimunda, nobile giovanotto dell'isola di Rodi. Cimone architetta un piano per mandare a monte il matrimonio: arma una piccola nave e insegue la nave che trasporta Efigenia da Cipro a Rodi per le nozze. Catturata la giovane con facilità grazie al coraggio infusogli da Amore, Cimone pensa che non è saggio tornare subito a Cipro, e volta perciò la prua della nave verso Creta. Ma una tempesta spinge l'imbarcazione alla deriva, e alla fine l'equipaggio sbarca a Rodi senza rendersene conto. Riconosciuti subito dagli abitanti, Cimone e l'equipaggio della nave vengono sbattuti in galera. Ma il Fato (o la forza di Amore) li aiuta: lo stesso giorno in cui si sposano Efigenia e Pasimunda, infatti, si sposa anche il fratello di quest'ultimo, Ormisda, con una ragazza di nome Cassandra. Ma di questa fanciulla è invaghito anche il governatore di Rodi, Lisimaco, che sta cercando un pretesto per rinviare le nozze. Decide di chiedere consiglio proprio a Cimone: i due architettano di rapire assieme entrambe le donne proprio prima delle nozze. I due rapimenti riescono non senza spargimento di sangue: lo stesso Ormisda viene ucciso da Cimone. La nave con le due donne rapite fa rotta verso Creta, dove le due coppie vivono per qualche tempo in esilio, in attesa che si calmino le acque; alla fine tutti possono tornare in patria e vivere felicemente la propria storia d'amore.

La prima novella è forse il momento in cui la teorizzazione della forza d'Amore è maggiormente in evidenza. Con queste parole Panfilo introduce la storia:

"Molte novelle, dilettose donne, a dover dar principio a così lieta giornata come questa sarà, per dover essere da me raccontate mi si paran davanti: delle quali una più nell'animo me ne piace, per ciò che per quella potrete comprendere non solamente il felice fine per lo quale a ragionare incominciamo, ma quanto sien sante, quanto poderose e di quanto ben piene le forze d'Amore, le quali molti, senza saper che si dicano, dannano e vituperano a gran torto: il che, se io non erro, perciò che innamorate credo che siate, molto vi dovrà esser caro".

Dunque non solo si pone subito l'accento sulla potenza di Amore, ma anche sul fatto che molti 'vituperano' questa potenza, e che la novella (e per estensione tutta la giornata) vuole proprio rivolgersi a questi millantatori. Cimone parte nella posizione più sfortunata che si possa immaginare: ricco ma incapace di sfruttare le sue possibilità, ignorante, deriso da tutti, scacciato dalle persone amate. La sua trasformazione in uomo savio e coraggioso avviene grazie alla visione della bella Efigenia, che peraltro non limita la sua influenza all'emancipazione del giovane dallo stato 'bestiale': non bisogna dimenticare che la novella insiste sul fatto che anche le imprese guerresche e le vittorie militari conseguite da Cimone sono dovute all'influenza di Amore. Una forza, quella del sentimento amoroso, che non si limiterebbe dunque ad agire attraverso le visioni dell'amato/a e gli sforzi per conquistare la reciprocità della passione, ma che, potente quanto il Fato dei greci, tirerebbe dall'alto le fila delle esistenze degli innamorati in tutti i loro aspetti.

Il valore salvifico della potenza d'Amore intesa come forza capace di agire sul destino mutandolo al di là di ogni precedente previsione è anche il centro della seconda novella, narrata da Emilia:

"Gostanza ama Martuccio gomito, la quale, udendo che morto era, per disperata sola si mette in una barca, la quale dal vento fu trasportata a susa: ritruoval vivo in tunisi, palesaglisi; ed egli grande essendo col re per consigli dati, sposatala, ricco con lei in Lipari se ne torna".

Nell'isoletta di Lipari Martuccio Gomito, giovanotto scaltro ma di famiglia contadina, si innamora di Gostanza, figlia di una famiglia di nobili. La giovane ricambia il suo amore, ma i due sono ostacolati dai genitori di lei, che non accettano di dar la figlia in moglie a un povero. Martuccio allora decide di imbarcarsi e di cercare fortuna, ripromettendosi di non tornare a Lipari se non ricchissimo. Inizialmente la fortuna gli è propizia, ma un giorno la sua navicella è presa di mira da una banda di pirati saraceni, che lo rapiscono e lo conducono prigioniero a Tunisi. A Lipari giunge la notizia che Martuccio e tutti i marinai della sua barca sono morti: Gostanza, disperata, decide di uccidersi offrendo il proprio corpo al mare; sale su una piccola barca e si lascia trasportare alla deriva. Ma il Fato (o la forza d'Amore) ha deciso altrimenti: la barca infatti va a finire a Susa, cittadella costiera africana non lontano da Tunisi. La ragazza viene accolta da una donna italiana, ma ben presto si inserisce nella società del posto cominciando a svolgere piccoli lavoretti per conto delle signore saracene. Intanto Martuccio cerca un modo per uscire di prigione, e lo trova: confida a una guardia di essere in possesso di una tecnica militare che consentirebbe al re di Tunisi di vincere la guerra in corso contro un pretendente al trono. Martuccio riesce a conferire col re, gli spiega il suo trucco (relativo alla scelta di un determinato tipo di archi e di frecce) e la guerra è vinta: Martuccio ottiene non solo la libertà, ma anche molti onori e molto denaro. Diventato noto in tutta Tunisi e dintorni, il suo nome arriva alle orecchie di Gostanza, che lo credeva morto. La ragazza comincia subito a cercarlo e, una volta trovato, i due si sposano e tornano felicemente a casa.

In questa novella la forza d'Amore è esaltata in modo leggermente diverso rispetto a quanto avviene nella novella di Cimone ed Efigenia. Questa volta non vi sono trasformazioni nei due protagonisti: c'è piuttosto la irresistibile necessità di Amore di riunire ciò che il Fato ha ingiustamente diviso, quasi la necessità di portare la felicità, perché, come dice la stessa Emilia:

"Amare merita piuttosto diletto che afflizione".

Ecco allora che Amore in questo caso non agisce su una singola persona ma appare una forza che opera dall'alto, quasi una sorta di divinità pagana che lotta contro gli eventi fortuiti per convogliarli tutti verso l'obiettivo finale, ossia la realizzazione concreta del desiderio amoroso della coppia. Questa visione di Amore, già introdotta nella seconda parte della prima novella, tornerà in molti episodi trattati in questa giornata.

La terza novella comincia in modo del tutto simile alla seconda; a raccontarla è Elissa:

"Pietro Boccamazza si fugge con l'Agnolella; truova ladroni; la giovane fugge per una selva, ed è condotta ad un castello; Pietro è preso e delle mani dei ladroni fugge, e dopo alcuno accidente capita a quel castello dove l'Agnolella era, e sposatala con lei se ne torna a Roma".

Pietro Boccamazza è un giovane di Roma appartenente a una delle famiglie più in vista della città. Si innamora di Agnolella ed è ricambiato, ma lei è plebea e quindi le famiglie ostacolano le nozze dei due. La coppia medita allora di fuggire assieme: Pietro ha degli amici fuori Roma che potrebbero ospitarlo il tempo necessario per celebrare le nozze in segreto. I due fuggono a cavallo, ma fanno l'errore di passare troppo vicini a un castelletto: i soldati all'interno li scambiano per cavalieri nemici e un piccolo gruppetto di fanti esce per assalirli. Agnolella riesce a fuggire in un bosco con il suo cavallo, mentre Pietro viene catturato dai soldati. Il giovane si fa riconoscere sperando che questo possa aiutarlo, ma sfortunatamente i soldati appartengono a un esercito nemico della sua famiglia: già si inizia a discutere su come organizzare la sua esecuzione, quando dal nulla sbuca un altro esercito che comincia a combattere con quello che ha catturato Pietro. Quest'ultimo approfitta della confusione per scappare, prendendo la stessa strada presa da Agnolella. Purtroppo però non riesce a trovarla: continua a chiamarla per tutto il bosco, alla fine cala la sera e il giovane, disperato, sale su un albero per paura degli animali selvaggi e prova a dormire, senza successo. Nel frattempo Agnolella s'è imbattuta in una casetta nel bosco: lì conosce una anziana coppia che accetta di ospitarla per la notte, pur avvisandola che la zona è spesso attraversata da briganti che non si fanno scrupoli con le giovani donne. Agnolella tenta di dormire, ma poco prima dell'alba la casa è visitata proprio da un gruppo di briganti, che non trova la fanciulla solo perché ella con grande accortezza riesce a nascondersi dentro un pagliaio. Andati via i briganti, Agnolella è accompagnata dai suoi ospiti a un castello lì vicino: i castellani conoscono sia lei sia Pietro e si fanno raccontare tutta la vicenda; sicuri che Pietro sia stato ucciso dai suoi nemici, si offrono di riaccompagnare Agnolella a Roma. Nel frattempo Pietro ha assistito all'uccisione del suo cavallo da parte delle bestie; una volta fattosi giorno, scende dall'albero e si muove verso un piccolo fuoco che vede in lontananza. Là trova dei pastori, a cui chiede di essere accompagnato nel castello più vicino: destino (ovvero Amore) vuole che sia proprio il castello dove si trova Agnolella. I due si reincontrano e si sposano immediatamente: dopo gli eventi accaduti, nessuno ha il coraggio di opporsi alle nozze, quindi i due sono liberi di tornare a Roma e di godersi il loro amore.

Lo schema è il medesimo della novella precedente: una unione fra due persone che si amano viene ostacolata dalle famiglie; la coppia agisce per aggirare o risolvere il problema; inizialmente le cose peggiorano e i due amanti rischiano la morte, ma poi alla fine tutto improvvisamente volge al meglio.

Per la quarta novella la parola passa a Filostrato, che chiarisce subito di non voler raccontare un'altra storia piena di eventi tristi (pur con lieto fine), bensì una vicenda totalmente divertente così da alleggerire ancora di più la giornata:

"Ricciardo Mainardi è trovato da messer Lizio di Valbona con la figliuola, la quale egli sposa, e col padre di lei rimane in buona pace".

Il giovanotto Ricciardo è innamorato della bella Caterina, figlia di Lizio. Il ragazzo è in ottimi rapporti con i genitori di lei, ma questi ultimi sono particolarmente attaccati alla fanciulla e non le tolgono mai gli occhi di dosso. Per potersi appartare col suo amato, la ragazza architetta uno stratagemma: con la scusa del caldo afoso per via dell'estate che si avvicina, chiede alla madre di poter dormire in terrazza invece che nella camera dei genitori, dove dorme abitualmente. Dopo molte insistenze la ragazza viene accontentata: ella avvisa Ricciardo, e i due si incontrano durante la notte e consumano il loro amore. La mattina dopo, però, addormentati, vengono scoperti in posizione inequivocabile dai genitori della ragazza. I due giovani si credono spacciati, ma inaspettatamente Lizio e sua moglie si mostrano pronti a perdonarli entrambi se Ricciardo si impegna a sposare Caterina. La cosa naturalmente riempie di gioia i due.

Fungendo esplicitamente da 'stacco' all'interno delle novelle della quinta giornata, questo breve e divertente racconto, tutto giocato sulle metafore e sui doppi sensi erotici, sembra mettere da parte le considerazioni di carattere filosofico che impregnavano le novelle precedenti. Anche se non bisogna dimenticare che in fondo anche in questo caso un amore (che in questo caso si manifesta esplicitamente anche come amore fisico, carnale), inizialmente ostacolato, trova comunque modo di esplicitarsi nonostante tutto.

Per la quinta novella, è il turno di Deifile:

"Guidotto da Cremona lascia a Giacomin da Pavia una fanciulla, e muorsi; la quale Giannol di Severino e Minghino di Mingole amano in faenza: azzuffansi insieme; riconoscesi la fanciulla esser sirocchia di giannole, e dassi per moglie a Minghino".

Guidotto da Cremona e Giacomino da Pavia sono buoni amici; quando il primo muore senza eredi, decide di lasciare tutto a Giacomino. Nella 'dote' c'è anche una bambina di dieci anni, che Guidotto teneva come una figlia. Crescendo, la bambina diventa una bellissima ragazza e comincia a essere corteggiata da molti uomini. Fra questi in particolare due, Giannole e Minghino, la desiderano talmente tanto da cominciare a odiarsi a vicenda e a tramare piani per conquistarla. Giacomino aveva un servo di nome Crivello, col quale Giannole aveva fatto amicizia: lo spasimante si accorda col servo, chiedendogli di avvisarlo alla prima occasione in cui la ragazza fosse rimasta sola in casa. Però Minghino fa lo stesso patto con una serva di Giacomino. Così, una sera che Giacomino è fuori a cena da un amico, i due uomini si ritrovano assieme davanti alla casa con tanto di esercito personale al seguito di ciascuno: alla fine scoppia una lite furibonda e i due vengono portati in prigione dalle guardie sopraggiunte. Una volta tornato a casa, Giacomino viene informato dei fatti e decide che, onde evitare altri episodi simili in futuro, è il caso di far sposare la ragazza. Usciti di prigione, Giannole e Minghino chiedono perdono a Giacomino e affermano di essere decisi a sposare la ragazza. Giacomino allora racconta la sua amicizia con Guidotto e confida ai due le origini ignote della fanciulla: Guidotto la trovò abbandonata in una casa distrutta a Cremona dopo l'invasione delle forze imperiali quando aveva solo due anni. Ad ascoltare la storia c'è anche Bernabuccio, padre di Giannole: improvvisamente si rende conto che la ragazza potrebbe essere una sua figlia, perdutasi proprio durante l'invasione imperiale di Cremona. Grazie al ricordo di una piccola cicatrice, la ragazza viene riconosciuta: è la figlia di Bernabuccio e quindi la sorella di Giannole. Quest'ultimo deve quindi ritirare la sua richiesta di matrimonio, e la ragazza va in sposa a Minghino.

Costruita su un canovaccio molto convenzionale da commedia degli intrighi, questa novella è talmente infarcita di coincidenze altamente improbabili da riuscire ancora una volta a sottolineare la forza d'Amore di agire nel destino delle persone, in questo caso non solo facilitando la formazione di una coppia ma anche decidendo attivamente quali debbano essere i suoi componenti. Giannole e Minghino sembrano agire sul medesimo piano lungo tutta la vicenda, e il povero Giacomino, dopo averli perdonati per la loro irruenza, sembra del tutto incapace di decidere a chi dei due dare in sposa la figlia. È solo l'intervento della 'coincidenza', braccio attivo della forza d'Amore, a sbrogliare la matassa e a permettere, ancora una volta, una conclusione lieta della vicenda.

Per la sesta novella è il turno di Pampinea:

"Gian di Procida trovato con una giovane amata da lui, e stata data al Re Federigo, per dovere essere arso col lei è legato ad un palo; riconosciuto da Ruggieri de Loria, campa e divien marito di lei".

Il giovane Gianni dell'isola di Procida ama, riamato, la giovane Restituta dell'isola di Ischia. Un giorno la fanciulla, mentre sta raccogliendo conchiglie in riva al mare, viene rapita da un gruppo di giovani mercanti calabresi attraccati da quelle parti. I mercanti la desiderano ardentemente, ma ciascuno la vuole tutta per sé; non sapendo decidersi e temendo di arrivare alle mani, alla fine decidono di liberarsene facendone dono al re di Sicilia Federico. Il re apprezza molto il regalo e fa sistemare la ragazza in una sua lussuosa tenuta nella campagna siciliana. Nel frattempo però Gianni non sta con le mani in mano: arma una piccola nave e comincia a cercare la sua donna in giro per tutte le coste della Calabria e della Sicilia. Alla fine sente delle voci secondo cui sarebbe stata rapita da mercanti calabresi e regalata al re. Il giovane sbarca in Sicilia e riesce a trovare la tenuta dove è alloggiata la donna, ma si deprime quando vede che è sorvegliatissima. Appronta comunque un piano: riesce a parlare alla ragazza dalla finestra e riesce anche a penetrare nella sua stanza nottetempo. I due si coricano assieme e alla fine si addormentano, senza rendersi conto del pericolo che corrono. Il re decide, la mattina dopo, di andare a trovare la fanciulla regalatagli: dopo averla trovata a letto con uno sconosciuto, decide di mandarla al rogo assieme col suo amante. I due poveri ragazzi vengono legati a un palo e condotti verso la piazza centrale di Palermo per l'esecuzione. Ma nella folla accorsa c'è anche Ruggieri di Loria, ammiraglio del re, che riconosce il ragazzo, essendo quest'ultimo nipote di un grande condottiero militare fautore tra l'altro dell'ascesa politica di Federico. Ruggieri corre dal re e lo avvisa dell'errore che sta facendo: Federico libera entrambi i giovani, che tornano a casa loro e si sposano.

Lo schema è il solito: due amanti sono separati dal destino, vivono molte disavventure e sfiorano la morte, per poi essere salvati e ricongiunti dalla forza di Amore. Questa linea rossa che lega tutte le novelle della quinta giornata viene esplicitata da Pampinea all'inizio del suo racconto:

"Grandissime forze, piacevoli donne, sono quelle d'Amore, e a gran fatiche e a strabocchevoli e non pensati pericoli gli amanti dispongono, come per assai cose raccontate oggi comprender si può; ma nondimeno ancora con l'ardire di un giovane innamorato m'aggrada di dimostrarlo".

Gli amanti sono descritti come eroi che, incuranti dei pericoli affrontati, procedono sempre e comunque poiché hanno l'obiettivo più desiderabile che esista, cioè l'oggetto di Amore. Ancora una volta quindi si può dire che Amore agisce sia attraverso il coraggio dato agli amanti sia dall'alto, come una sorta di 'Fato' in concorrenza con quello impersonale e 'casuale' a cui credevano i greci.

Il turno successivo è di Lauretta, che così comincia:

"Teodoro, innamorato della violante, figliuola di messere amerigo suo signore, la 'ngravida ed è alle forche condannato; alle quali frustandosi essendo menato, dal padre riconosciuto e prosciolto, prende per moglie la violante".

Amerigo da Trapani è uno dei signori più ricchi della città; un giorno, avendo bisogno di servi, acquista alcuni schiavi turchi catturati in Africa da dei mercanti. Fra di loro è un giovane di nome Teodoro, particolarmente educato e intelligente; dopo qualche tempo, Amerigo lo fa amministratore di tutte le sue proprietà, lo battezza e, datogli il nome di Pietro, comincia a trattarlo come un figlio. Teodoro/Pietro, nel frattempo, si è innamorato di una delle figlie di Amerigo, Violante. La ragazza ricambia il suo amore, ma i due sono ovviamente costretti a tenerlo nascosto a tutti. Un giorno, mentre tutta la famiglia sta passeggiando in campagna, comincia improvvisamente a grandinare: tutti cercano riparo e i due giovani si trovano da soli in una casa abbandonata. Lì possono finalmente consumare il loro amore, ma qualche tempo dopo Violante si accorge con orrore di essere incinta. Comunicata la notizia a Pietro, costui medita di fuggire: ma Violante lo trattiene dicendo che non avrebbe rivelato a nessuno l'identità del 'colpevole'. Quando la madre scopre che la figlia è incinta, la ragazza si inventa di aver subito una violenza da uno sconosciuto. La madre le crede e la manda a proseguire la gravidanza in un loro podere isolato, così da evitare i pettegolezzi. Il tempo del parto arriva, e mentre Violante sta urlando a causa del dolore viene sentita dal padre, che è da quelle parti a cacciare. Furibondo per quanto accaduto, Amerigo rifiuta di credere alla storia raccontata dalla figlia e minaccia di ucciderla se non racconta la verità. Sentendosi alle strette, Violante rompe la promessa fatta a Pietro e racconta tutto ai genitori. Accecato dall'ira, Amerigo ordina di far condurre Pietro al patibolo, di avvelenare la figlia e di dare il nipotino appena nato in pasto ai cani. Mentre Pietro viene condotto al patibolo, viene visto da alcuni ambasciatori turchi alloggiati in un albergo: uno di loro, di nome Fineo, già collaboratore in passato di Amerigo, lo riconosce come il suo figlioletto, rapito dai pirati tanti anni prima. Accertatosi dell'identità del condannato, Fineo cerca in tutti i modi di interrompere l'esecuzione, pregando Amerigo di tornare sulle sue decisioni e di far sposare i due ragazzi. Amerigo accetta, annulla tutte le condanne e i due sono liberi di sposarsi e di vivere felici.

La trama della novella ricalca da vicino quella di altre novelle narrate nella medesima giornata, in particolare l'episodio del patibolo richiama apertamente quello analogo del racconto precedente. Anche in questo caso siamo di fronte a una vicenda disperata le cui sorti mutano improvvisamente grazie alla forza d'Amore. La cosa interessante è che il ruolo di tale forza viene esplicitato più volte all'interno di questa novella. Violante, visto il suo ruolo all'interno della casa di Amerigo, si vergogna di confessare a Pietro/Teodoro il suo amore: 

"Ma Amore questa fatica le tolse, per ciò che, avendo Pietro più volte cautamente guatatala, si era di lei innamorato, che bene alcuno non sentiva se non quando la vedea".

Quando Pietro e Violante scappano dalla grandine si muovono a velocità maggiore rispetto alle altre persone della famiglia:

"Ma Pietro, che giovane era, e la fanciulla similmente, avanzavano nello andare la madre di lei e l'altre compagne assai, forse non meno da Amor sospinti che da paura di tempo".

L'ottava novella è forse la più nota di tutta la giornata; la racconta Filomena:

"Nastagio degli Onesti, amando una de' traversari, spende le sue ricchezze senza essere amato; vassene, pregato da' suoi, a chiassi; quivi vede cacciare ad un cavaliere una giovane e ucciderla e divorarla da due cani; invita i parenti suoi e quella donna amata da lui ad un desinare, la qual vede questa medesima giovane sbranare e, temendo di simile avvenimento, prende per marito nastagio".

Il ravennate Nastagio degli Onesti è un giovane ammodo e ricchissimo grazie alle eredità ricevute da diversi parenti morti. Innamoratosi di una ragazza della sua città, comincia a spendere le proprie ricchezze per conquistarla, ma senza ottenere successo alcuno: la giovane anzi continua a respingerlo con sdegno. I parenti di Nastagio lo consigliano di lasciare la città per qualche tempo, così da dimenticare il suo amore sfortunato. Così il giovane si stabilisce in campagna e ogni pomeriggio compie lunghe passeggiate nei boschi. Un giorno, durante una di queste passeggiate, Nastagio assiste a una scena stranissima: una ragazza nuda, inseguita da un cavaliere armato e da due cani inferociti, viene alla fine raggiunta e sbranata dai tre. Nastagio, sconvolto, tenta di difendere l'aggredita, ma il cavaliere gli parla spiegandogli che sono tutti e due dei fantasmi, vittime di una sorta di maledizione: lui in vita era innamoratissimo della ragazza, che però lo respingeva. Ora sono condannati a ripetere continuamente questa macabra scena, sempre alla stessa ora del giorno: lui come punizione per essersi ucciso per amore, lei come punizione per averlo continuamente respinto. I resti della ragazza sono divorati dai cani, e alla fine i tre si allontanano e Nastagio resta solo a riflettere. Gli viene un'idea brillante: decide di organizzare, proprio in quel luogo, un pranzo con tutti i suoi parenti e amici, e vi invita anche la sua amata. Il pranzo comincia allegramente, ma sono tutti presi dal panico quando la scena dell'uccisione della ragazza si verifica un'altra volta all'ora che Nastagio aveva previsto. Il cavaliere spiega a tutti i commensali le motivazioni alla base di quell'atto, come aveva fatto la prima volta con Nastagio. Al che la ragazza amata da quest'ultimo, terrorizzata di far la stessa fine della fanciulla maledetta, decide di aprirsi al corteggiamento del giovane. Alla fine i due si sposano.

La struttura di questa novella è molto diversa dalle altre di questa giornata. Questa volta non ci sono due amanti che si contraccambiano ma sono ostacolati da qualcosa di esterno: questa volta c'è un amore non corrisposto alla base della sofferenza del protagonista. Il tema centrale della novella diventa, allora, la colpevolezza di chi rifiuta Amore: nei meccanismi di condanna che stanno a fondamento della maledizione inflitta ai due 'fantasmi', rifiutare Amore è come rifiutare la vita. In un certo senso, potremmo già indicare in questa novella il punto di partenza di tutte le altre, il fondamento teorico della grande forza d'Amore: Amore trionfa sempre, ma deve essere accettato e accolto per poter dispiegare la sua forza rigeneratrice e universale. Si consideri poi la grande efficacia anche potenzialmente visiva dell'invenzione dell'inseguimento della fanciulla e della sua morte continuamente ripetuta e si potrà capire facilmente il grande successo letterario e iconografico incontrato da questa novella.

Anche la nona novella è molto conosciuta; la racconta Fiammetta, la "reina":

"Federico degli Alberighi ama e non è amato, e in cortesia spendendo, si consuma; e rimangli un sol falcone, il quale, non avendo altro, da' a mangiare alla sua donna venutagli a casa; la qual ciò sappiendo, mutata d'animo, il prende per marito e fallo ricco".

Federico è un giovane uomo di Firenze innamorato della bella Giovanna, già sposata con un nobiluomo della città; per tentare di conquistarla egli dilapida tutte le sue ricchezze: alla fine non gli resta che un falcone da caccia e un piccolo podere in campagna, dove si trasferisce. Il marito di Giovanna muore precocemente, e decide di lasciare tutti i suoi averi a un loro figlioletto; in caso di scomparsa prematura di quest'ultimo, tutto deve andare a Giovanna. Il ragazzino amava passeggiare in campagna: un giorno conosce Federico e comincia a prendere confidenza con lui e ad affezionarsi al suo falcone. Sfortuna vuole però che il ragazzino si ammali gravemente: sua madre tenta di fare di tutto per alleviargli il dolore e gli chiede qual è il suo più grande desiderio. Il ragazzino dice che vorrebbe il falcone di Federico. Giovanna pensa che quel falcone è l'unica cosa rimasta a Federico e anche che non sarebbe proprio gentile chiedergli un favore dopo tutto il male che lei gli aveva fatto respingendolo continuamente. Alla fine però l'amore per il figlio ha il sopravvento: Giovanna decide di andare a trovare Federico nel suo poderetto, di mangiare con lui e di provare a farsi dare il falcone. Federico è colmo di gioia quando vede Giovanna venire spontaneamente a casa sua, ma al contempo è turbato perché non ha nulla di buono da darle da mangiare. Con molto dispiacere, alla fine decide di uccidere il suo amato falcone e di darlo da mangiare alla sua ospite. La cena avviene senza intoppi, ma alla fine Giovanna chiarisce il vero motivo per cui è lì. Federico si mette a piangere disperato e spiega a Giovanna che fine ha fatto il falcone. La donna, commossa ma disperata per la sorte del figlio, torna a casa a mani vuote. Il ragazzino muore poco dopo; Giovanna è ancora giovane, e i suoi parenti le consigliano di risposarsi e rifarsi una vita. Ricordandosi la generosità di Federico, Giovanna decide di sposare lui, nonostante le proteste dei parenti contrariati dalla sua povertà estrema. Federico quindi, in un colpo solo, trova Amore e ricchezza.

L'inizio della novella è identico a quello della precedente: un giovane ricco ama una donna e per conquistarla consuma invano tutte le sue ricchezze. Di fronte all'ingegno di Nastagio, che architetta il pranzo in mezzo al bosco per sfruttare l'apparizione demoniaca a suo vantaggio, Federico sembra un rassegnato che si ritira in campagna a vivere da povero senza prendere alcuna iniziativa. È la sua estrema generosità, quasi disinteressata dal momento che Giovanna lo respinge da sempre e non sarà certo una cena a farle cambiare idea, a mutare le sorti della sua vita. Qui l'autore non dà molto peso alla forza d'Amore intesa come forza positiva del destino: Giovanna ha una personalità e una libertà d'azione molto più decise della sua analoga nella novella di Nastagio, e sembra che di pari passo con la fortuna benigna si muova la volontà della donna di riparare l'errore commesso a suo tempo rifiutando un amore.

L'ultima novella segna un secondo momento 'comico' all'interno della giornata. La racconta Dioneo, che così comincia:

"Pietro di Vinciolo va a cenare altrove; la donna sua si fa venire un garzone; torna Pietro; ella il nasconde sotto una cesta da polli; Pietro dice essere stato trovato in casa d'Ercolano, con cui cenava, un giovane messovi dalla moglie; la donna biasima la moglie d'Rrcolano; uno asino per isciagura pon piede in su le dita di colui che era sotto la cesta; egli grida; Pietro corre là, vedolo, cognosce lo 'nganno della moglie, con la quale ultimamente rimane in concordia per la sua tristezza".

Pietro di Vinciolo è uno degli uomini più ricchi di Perugia. Ha preferenze omosessuali, ma, spinto dai parenti, alla fine è costretto a sposarsi. Sua moglie, una giovane e bellissima donna, è ovviamente insoddisfatta del marito, che mostra pochissimo interesse verso di lei. Sostenuta anche da una sua amica, decide di procurarsi un amante: invita quindi a casa sua un bel giovinetto, approfittando del fatto che quella sera il marito è a cena da un amico. Per disdetta, Pietro torna a casa poco dopo esser partito: la donna decide allora di nascondere il suo amante dentro una cesta piena di stracci nel cortile della casa. Pietro è tornato a casa quasi subito perché la cena è andata a monte: il suo amico, di nome Ercolano, ha scoperto proprio mentre preparava la cena che sua moglie aveva nascosto un suo amante in casa. La moglie di Pietro finge di scandalizzarsi e biasima moltissimo la moglie dell'amico. Proprio in quel momento, però, giunge un urlo dal cortile: un asino ha pestato il piede al giovinetto nascosto dalla donna nella cesta. Pietro lo scopre e biasima la moglie per la sua ipocrisia. Poi però si rende conto che il giovinetto piace molto anche a lui, quindi perdona di buon grado la sua consorte e anzi la invita a trovarsi più spesso degli amanti e a rendere partecipe anche lui. La mattina dopo il giovinetto si alza senza aver capito con chi ha passato la notte.

La novella di Dioneo svolge il medesimo ruolo di quella di Filostrato: alleggerire la giornata offrendo vicende leggere e divertenti all'interno di quelle tragiche (pur con lieto fine) raccontate nelle altre novelle. In questo caso, lo scopo è anche quello di concludere in bellezza la giornata, con una buona risata collettiva che nemmeno le più pudiche fra le novellatrici riescono a trattenere.

§ 3. Struttura e significato delle novelle della quinta giornata

Può essere utile, prima di passare dal momento dell'analisi letteraria al momento dell'analisi iconografica e iconologica, riassumere i 'tipi' di novelle presenti nella quinta giornata e ribadirne i significati allegorici fatti emergere dagli studiosi. Possiamo distinguere, all'interno delle novelle della quinta giornata, tre canovacci-base:

1. un uomo ama una donna, ma non è ricambiato; grazie alla forza d'Amore, però, alla fine la donna accetta di unirsi all'uomo;
2. due amanti sono separati forzosamente dagli eventi, ma alla fine riescono a riunirsi;
3. due uomini lottano per una donna; gli eventi, guidati dalla forza d'Amore, facilitano la scelta.

Fanno eccezione le due novelle 'comiche' di Ricciardo Mainardi (IV) e Pietro di Vinciolo (X), che fungono da diversivo e da stacco all'interno della giornata e non rientrano in nessuno dei canovacci elencati (forse la prima può essere fatta rientrare, con qualche sforzo, nella seconda tipologia).

Il primo canovaccio si trova in tre novelle: la novella di Cimone ed Efigenia (I), la novella di Nastagio degli Onesti (VIII) e la novella di Federico degli Alberighi (IX). È già interessante notare che si tratta senza dubbio delle tre novelle più note della quinta giornata, e che a questa categoria appartengono le due novelle che Botticelli sceglie di rappresentare in forma compiuta all'interno della Calunnia. Pur avendo un canovaccio comune, queste tre novelle presentano caratteristiche diverse, soprattutto per quanto riguarda le modalità con cui si arriva al lieto fine e le motivazioni che stanno alla base del cambiamento. Cimone ama e non è riamato, ma non è riamato non tanto per la cattiveria o l'altezzosità dell'amata (come nelle altre novelle e come in generale nella letteratura 'cortese'), bensì per il suo essere oggettivamente un uomo poco attraente e poco interessante. Ciò che muta causando l'unione della coppia non è dunque qualcosa di esterno bensì la stessa personalità dell'amante, che si trasforma completamente proprio per ottenere la possibilità di realizzare il suo desiderio amoroso. È da sottolineare il fatto che l'autore non afferma mai esplicitamente che Efigenia apprezza la trasformazione di Cimone e ne ricambia l'amore, ma comunque la donna, nonostante le resistenze iniziali, sembra alla fine apprezzare la sua unione con Cimone. C'è anche da dire che questa novella in un certo senso racchiude in sé sia il canovaccio indicato al numero 1 sia quello indicato al numero 2, visto che la seconda parte del racconto contiene il resoconto del rocambolesco rapimento di Efigenia da parte di Cimone, che vuole evitare a tutti i costi il matrimonio già fissato per la fanciulla. La prima novella della giornata può quindi anche essere considerata la novella più complessa, visto che il suo svolgimento non si risolve in un'unica e singola vicenda. Nastagio degli Onesti, al contrario di Cimone, non è amato solo a causa dell'altezzosità della sua amata. Il problema è risolto grazie all'ingegno del protagonista, che nel saper sfruttare le apparizioni demoniache scoperte nel bosco mostra un certo qual grado di sangue freddo e di razionalità, poco vicine, almeno all'apparenza, al sentimento amoroso. La novella si distingue, all'interno della giornata, per essere l'unica a dar spazio al soprannaturale. Federico degli Alberighi s'è addirittura ridotto in miseria nel tentativo di conquistare l'amata: nonostante questo, però, appare il più rassegnato fra i tre amanti (inizialmente) non corrisposti; la vicenda infatti prende una piega a lui favorevole non a causa di sue iniziative, bensì grazie agli scherzi del destino, dietro cui naturalmente si muove la volontà di Amore.

Il secondo canovaccio è il più ricorrente: lo si trova nella novella di Gostanza e Martuccio (II), di Pietro e Agnolella (III), di Gian di Procida (VI) e di Teodoro e Violante (VII); senza contare che, come già accennato, lo si può rinvenire come canovaccio secondario anche nella novella di Cimone ed Efigenia (I), nonché, a livello molto semplificato, nella novella 'comica' di Ricciardo Mainardi (IV). Quello dei due amanti separati dagli eventi infausti è un topos diffusissimo nella letteratura occidentale di ogni tempo (in particolare, ritorna molto spesso nella letteratura ellenistica). Può essere interessante osservare, in questo caso, a cosa è dovuta la separazione forzata: Gostanza e Martuccio sono ostacolati dai genitori di lei, che non vogliono dare la figlia in matrimonio a un uomo povero; Pietro e Agnolella sono ostacolati dai genitori di lui, visto che questa volta è la ragazza a essere povera e il ragazzo ricco; Gian di Procida e la sua donna sono ostacolati dal fatto che quest'ultima è rapita e alla fine finisce prigioniera dello stesso re di Sicilia; Teodoro e Violante sono ostacolati dai genitori di lei, dei quali Teodoro è un semplice schiavo. In tre casi, quindi, l'ostacolo iniziale è costituito dai genitori, che si oppongono al matrimonio per motivi economici e di differenza di status sociale. Tuttavia, solo nel caso di Teodoro e Violante la vicenda resta racchiusa nell'ambito familiare; negli altri due casi, l'opposizione dei parenti al matrimonio è solo il pretesto per far vivere alla coppia peripezie maggiori, che si svolgono lontano da casa e che per qualche tempo fanno temere addirittura per la vita dei protagonisti. In tutti i casi, la soluzione positiva della vicenda è dovuta non tanto all'ingegno o alla caparbietà dei personaggi, bensì alle fortunose coincidenze che, spesso tramite un nuovo personaggio che funge da 'paciere', raddrizzano improvvisamente le sorti infauste della coppia. È interessante sottolineare, com'è già stato fatto nel resoconto delle novelle, che chi racconta la storia evidenzia sempre che le coincidenze in realtà non sono affatto tali: sono opera di Amore, è solo grazie a esso che le vicende più infauste possono volgersi al meglio. In questo secondo gruppo di novelle, quindi, l'azione di Amore è ben diversa da quella messa in atto nel primo gruppo: là il rovesciamento della condizione iniziale negativa è frutto del cambiamento di uno dei protagonisti, l'amata (Nastagio, Federico) o l'amante (Cimone); qui invece tale rovesciamento è conseguenza di una forza che agisce 'al di sopra' dei personaggi, conducendoli anche loro malgrado verso la conclusione 'giusta'.

Il terzo canovaccio si riscontra soltanto in una novella: quella di Giannole e Minghino (V). Due pretendenti si accapigliano per una donna, che apparentemente è del tutto disinteressata alla faccenda; dopo che i due litiganti hanno causato parecchi danni, si scopre che la donna è la sorella di uno di loro, e quindi non può che andare in sposa all'altro. Poiché anche in questo caso siamo di fronte alla coincidenza fortuita spiegata come volontà concretizzata della forza d'Amore, è possibile ricondurre questo canovaccio alla tipologia che comprende il gruppo precedente di novelle.

§ 4. Presenze dirette: Cimone e Nastagio

Nel fondale della Calunnia botticelliana è stata riconosciuta la presenza di due novelle della quinta giornata del Decameron: la novella di Cimone ed Efigenia (I) e la novella di Nastagio degli Onesti (VIII). La vicenda di Nastagio degli Onesti è stata riconosciuta già da tempo dalla critica nelle scene che occupano gli spazi del soffitto a sinistra rispetto all'osservatore.

In un comparto si riconosce la parte anteriore di un cavallo al galoppo con un cavaliere; in un altro comparto una figura femminile nuda corre con la testa tra le mani; un uomo tende il suo braccio destro verso la testa della donna, forse fortunosamente o forse perché tenta di fermarla; in un altro comparto si vede una figura stesa per terra; in un altro, poi, una veste per terra sopra cui un uomo barbuto tende il braccio verso il cavaliere del comparto precedente; nell'ultimo riquadro una figura si piega sopra un'altra figura distesa per terra e la tocca con entrambe le mani. Ricostruire la giusta sequenza in cui vanno collocati i diversi comparti non è facile: secondo Meltzoff la storia di Nastagio qui è narrata due volte, ma solo alcuni dei riquadri narrativi risultano visibili allo spettatore. Il riconoscimento del soggetto è preciso e convincente: il cavaliere che insegue la fanciulla nuda è già di per sé indice abbastanza chiaro del soggetto trattato; a confermare l'interpretazione c'è poi anche il fatto che Botticelli non è nuovo alla rappresentazione di questa novella, già affrontata nei quattro noti pannelli conservati (eccetto il quarto, in collezione privata) al Museo del Prado di Madrid.

 
  

Realizzati probabilmente più di dieci anni prima della Calunnia, in occasione del matrimonio fra Gianozzo Pucci, nipote del Magnifico, e Lucrezia Bini (1483), i quattro pannelli suddividono la storia di Nastagio in modo simile a quanto avviene nei comparti in finto rilievo del soffitto della loggia in cui è ambientata la Calunnia. Il primo pannello mostra Nastagio intento a passeggiare dentro un boschetto con sullo sfondo le lagune tipiche del paesaggio ravennate; improvvisamente, di fronte al giovane si materializzano le figure della fanciulla nuda in fuga e del cavaliere che la insegue aiutato dai due cani. Il secondo pannello mostra al centro la fanciulla stesa a terra mentre il cavaliere chino su di lei ne pugnala le membra; a sinistra Nastagio si ritrae pieno di orrore, mentre sulla destra i due cani divorano le interiora della ragazza e sullo sfondo si ripete la scena dell'inseguimento. Il terzo pannello mostra il gran pranzo organizzato da Nastagio proprio nel momento in cui viene turbato dalla comparsa del cavaliere all'inseguimento della fanciulla. L'ultimo pannello mostra infine il matrimonio fra Nastagio e la sua amata, prima recalcitrante ma poi finalmente convinta a cedere all'Amore. 

Il confronto fra i pannelli del Prado e i comparti leggibili del primo soffitto della loggia in cui è ambientata la Calunnia non lascia adito a dubbi: Botticelli ha scelto di rappresentare la vicenda di Nastagio anche all'interno del piccolo dipinto in cui riproduce il quadro di Apelle.

Il motivo di tale inserimento, apparentemente incongruo e anacronistico, sta nel significato allegorico e morale delle due vicende: la calunnia subìta dal pittore antico (e in generale dall'Arte) è poi volta a buon fine e la vicenda di Nastagio presenta un Amore inizialmente impossibile che volge a buon fine: come si è già detto sopra, Nastagio non subisce cambiamenti come Cimone ma applica il suo ingegno e si avvale di una prodigiosa coincidenza guidata dalla mano sapiente di Amore. La novella tratta dal Decameron, già scelta dall'artista per accompagnare in modo erudito (e forse anche un po' ironico) la celebrazione nuziale Pucci-Bini, viene inserita anche nel fondale della Calunnia. La pertinenza tematica è garantita dal lieto fine di entrambe le storie e dall'esaltazione della bellezza e dell'Amore (nel caso della Calunnia dell'Arte) come vie privilegiate per accedere alla conoscenza, alla giustizia, al successo. 

La novella di Cimone ed Efigenia è stata riconosciuta in uno dei pannelli dell'architrave, sulla destra del dipinto rispetto all'osservatore

Tale finto rilievo mostra una donna distesa con gli occhi chiusi; la testa riposa sopra il braccio destro, mentre il sinistro tiene avvolta alla vita una veste leggera. Al centro, un uomo vestito in maniera molto rustica è fermo a osservare la donna: la sua mano sinistra è sul mento, mentre con la destra regge un bastone nodoso. Il paesaggio comprende alberi di diverse dimensioni e anche un piccolo ruscello: sembra che il pittore abbia voluto descrivere quello che, secondo il topos della letteratura cortese, è il classico locus amoenus. Curiosamente, sembra che nessuno prima di Meltzoff abbia avanzato ipotesi circa il soggetto di questo riquadro, che rappresenta chiaramente il momento in cui Cimone incontra Efigenia addormentata nel bosco. La sicurezza di questa affermazione deriva da diversi elementi. Anzitutto, le pur scarne indicazioni iconografiche sono praticamente inequivocabili: Cimone è descritto graficamente nello stesso modo in cui viene descritto all'interno della novella boccacciana. Ecco il passo del Decameron con la descrizione di quel momento:

"Andatosene adunque Cimone alla villa e quivi nelle cose pertinenti a quella esercitandosi, avvenne che un giorno, passato già il mezzodì, passando egli da una possessione ad un'altra con un suo bastone in collo, entrò in un boschetto il quale era in quella contrada bellissimo, e, per ciò che del mese di maggio era, tutto era fronzuto: per lo quale andando, s'avvenne, sì come la sua fortuna il vi guidò, in un pratello d'altissimi alberi circuito, nell'un de' canti del quale era una bellissima fontana e fredda, allato alla quale vide sopra il verde prato dormire una bellissima giovane con un vestimento indosso tanto sottile, che quasi niente delle candide carni nascondea, ed era solamente dalla cintura in giù coperta d'una coltre bianchissima e sottile; e a pie' di lei similmente dormivano due femine e uno uomo, servi di questa giovane. La quale come Cimon vide, non altramenti che se mai più forma di femina veduta non avesse, fermatosi sopra il suo bastone, senza dire alcuna cosa, con ammirazione grandissima la incominciò intentissimo a riguardare; e nel rozzo petto, nel quale per mille ammaestramenti non era alcuna impressione di cittadinesco piacere potuta entrare, sentì destarsi un pensiero il quale nella materiale e grossa mente gli ragionava costei essere la più bella cosa che giammai per alcuno vivente veduta fosse. E quinci cominciò a distinguer le parti di lei, lodando i capelli, li quali d'oro estimava, la fronte, il naso e la bocca, la gola e le braccia, e sommamente il petto, poco ancora rilevato: e di lavoratore, di bellezza subitamente giudice divenuto, seco sommamente disiderava di veder gli occhi, li quali ella, da alto sonno gravati, teneva chiusi; e per vedergli, più volte ebbe volontà di destarla. Ma parendogli oltre modo più bella che l'altre femine per addietro da lui vedute, dubitava non fosse alcuna dea; e pur tanto di sentimento avea, che egli giudicava le divine cose esser di più reverenza degne che le mondane, e per questo si riteneva, aspettando che da se medesima si svegliasse; e come che lo 'ndugio gli paresse troppo, pur, da non usato piacer preso, non si sapeva partire".

La rappresentazione che Botticelli inserisce nel fondale della sua Calunnia si inscrive puntualmente nella tradizione illustrativa di questo episodio della novella boccacciana. Basti osservare queste due miniature dell'inizio del Quattrocento, tratte rispettivamente dal manoscritto Par. it. 63 e dal manoscritto Vat. Pal. lat. 1989:

  

E anche quando artisti successivi raffigurano la medesima scena, ricorrono a un modulo di rappresentazione direttamente accostabile a quello utilizzato da Botticelli. Si veda ad esempio il dipinto di Rubens, ove Cimone è rappresentato ancora una volta con un viso 'selvaggio' e poco curato, una veste rozza e un bastone nodoso. E si veda anche la serie di pannelli di Bonifacio Veronese, ove compaiono i medesimi dettagli.


Si può quasi dire che la barba lunga e incolta, la veste rozza e il bastone nodoso siano attributi che inequivocabilmente portano all'identificazione del Cimone del Decameron.

L'inserimento di questo episodio nel fondale della Calunnia è ancora da ascrivere al significato allegorico-morale attribuito alla novella di Cimone ed Efigenia: si tratta ancora dell'esaltazione del ruolo salvifico dell'arte e della bellezza. Cimone subisce una vera e propria trasformazione grazie al contatto con la bellezza e con l'esperienza di Amore: trasformazione che, lungi dal coinvolgere solamente l'aspetto fisico e il carattere dell'amante, lo emancipa anche sul piano della cultura letteraria e filosofica e in generale innalzano la sua levatura morale.

§ 5. Presenze indirette

Le due novelle che Botticelli rappresenta nel fondale della Calunnia hanno, come già si è visto, la medesima struttura narrativa: un uomo ama una donna ma non è riamato; la forza d'Amore, esplicitata in maniere diverse, riesce però alla fine a mutare la realtà avvicinando la donna amata al suo amante. Questo tipo di canovaccio, puntando molto sulla trasformazione dell'amato e dell'amante e relativamente poco sulla semplice coincidenza, risultava il più adatto per farsi veicolo del messaggio morale del piccolo dipinto. 

Ma è interessante notare che nel fondale della Calunnia si trovano diverse raffigurazioni di altri episodi, non appartenenti alla quinta giornata del Decameron, che possono essere ricondotti alla stessa struttura narrativa (e quindi al medesimo significato morale-allegorico). Nel primo architrave da sinistra compare un gruppo di cavalieri e di cavalli che galoppa da sinistra a destra.

Tre cavalieri compongono un gruppo avanzato: uno di questi sta cadendo da cavallo, mentre un secondo galoppa tranquillo e un terzo si volta indietro; tutti e tre sono vestiti compiutamente per la battaglia. Al centro del finto rilievo, quattro cavalli si muovono da soli senza selle né cavalieri; dietro di essi, un singolo cavaliere vestito come i primi tre agita una frusta. Di questa immagine sono state offerte diverse interpretazioni: Eracle e le cavalle di Diomede, l'uccisione dei Centauri, Ippolito scaraventato giù dal carro. Vi sono ostacoli in tutte e tre queste proposte: difficilmente Eracle può essere rappresentato vestito (all'interno della Calunnia le figure di divinità e di eroi mitologici sono rappresentate convenzionalmente nude); di Centauri chiaramente non c'è traccia; Ippolito non cade da un cavallo ma da un carro. Il problema resta aperto, anche se a favore dell'interpretazione relativa a Ippolito c'è un elemento importante: Ippolito è vittima di una fine orribile a causa del suo rifiuto di Amore. 

La vicenda, narrata nella tragedia Fedra di Euripide e da vari mitografi dell'antichità ma citata anche da Boccaccio nella Amorosa Visione, racconta che Ippolito, figlio di Teseo e Ippolita (o di Antiope), è inviso ad Afrodite a causa della sua accesa devozione per la casta Artemide; per punirlo, Afrodite fa innamorare di lui la sua matrigna Fedra, che aveva sposato Teseo dopo che questi aveva lottato con le Amazzoni. Dopo mesi e mesi passati a spiarlo e a consumarsi nella passione, Fedra decide di dichiarare il suo amore al figliastro e di proporgli di passare qualche tempo assieme a lei, garantendo che nessuno avrebbe sospettato di nulla. Ippolito è sdegnato dalla proposta: va in cerca di Fedra, la trova e la insulta pesantemente per aver osato proporgli una cosa simile. Fedra decide di togliersi la vita, ma prima si vendica: lascia una lettera a Teseo in cui denuncia Ippolito per averle usato violenza. Teseo decide di bandire per sempre suo figlio dalle sue terre e di farlo uccidere da Poseidone, che in passato gli aveva promesso di esaudire qualsiasi suo desiderio; mentre Ippolito sta cavalcando vicino al mare, un mostro esce dalle acque e assale la sua carovana, provocando grande agitazione nei cavalli: Ippolito viene trascinato giù dal carro e muore.

Ippolito, nel mito, subisce una triste fine proprio a causa del suo ostinato rifiuto per un amore che è immorale solo in base alle leggi della società, ma certo non secondo le leggi di natura (non bisogna dimenticare che quello fra Ippolito e Fedra non sarebbe un amore realmente incestuoso, visto che Ippolito non è figlio di Fedra): è proprio Boccaccio a porre l'accento sul carattere erroneo della scelta di Ippolito e sui legami diretti fra questa e le vicende successive della vita del personaggio. Non è difficile scorgere una certa affinità fra l'atteggiamento dello scrittore in questi passi dell'Amorosa Visione e nella novella di Nastagio degli Onesti nel Decameron.

Nel terzo architrave da sinistra infuria una battaglia. 

A destra un cavaliere, del tutto simile a quelli descritti sopra a proposito dell'architrave 1, galoppa con una spada in mano, pronto a colpire. A sinistra una grossa donna nuda scappa dalla porta di una tenda; vicino a lei un altro cavaliere si muove verso il centro della lotta, ma questo indossa solo un mantello svolazzante. Fra i due cavalieri un'altra donna molto grande (o semplicemente fuori scala rispetto al resto) sta colpendo con una sorta di scimitarra una figura atterrata. Meltzoff è il primo a tentare una identificazione di questo episodio: secondo il critico si tratta di un episodio della vita della principessa persiana Rodoguna, raccontato da Filostrato nelle Immagini, un testo riscoperto dagli umanisti proprio in quegli anni e che per qualche decennio, a cavallo tra XV e XVI secolo, gode di una notevole fortuna iconografica.

L'identificazione del soggetto filostrateo, motivata in base ad affinità iconografiche, è interessante anche sotto il profilo della scelta tematica, soprattutto in connessione con l'architrave 1: anche in questo caso, infatti, la protagonista della storia è un personaggio che rifiuta l'amore. Rodoguna era nota per la sua ferrea castità, che ne faceva una sorta di Artemide persiana e la spingeva a rifiutare i corteggiamenti di qualsiasi tipo di uomo: la sua vicenda può essere quindi facilmente collegata a quella di Ippolito e, naturalmente, a quella di Nastagio e di Cimone.

La fine tragica o comunque negativa delle vicende non relative alla quinta giornata narrate finora trova un contrappeso nella conclusione della vicenda presente in due comparti del terzo soffitto da sinistra, sublimata nella unione dei due amanti. Nel primo comparto che ci interessa (quello più in alto), due figure nude di sesso indeterminato sono semidistese a terra con le gambe che si toccano e le teste vicine ai margini.

Una linea orizzontale separa la terra dal cielo: quattro figure compaiono dalla vita in su, tre guardano in basso da destra, una da sinistra; due hanno le braccia alzate e una, che sembra più grande delle altre, indossa una lunga veste.

Nel comparto più in basso, due figure semidistese, un uomo e una donna, sono posizionate in maniera molto simile alle due figure laterali presenti sopra; entrambe tengono un'anfora, da cui esce dell'acqua che ha invaso tutto il primo piano; tengono anche in mano quella che sembra una cornucopia. 

Già identificato come Zeus e la caduta dei Titani e come Deucalione e Pirra dopo il diluvio, si tratterebbe invece secondo Meltzoff della vicenda di Africo e Mensola, raccontata da Boccaccio nel Ninfale fiesolano: la prima scena rappresenterebbe un concilio degli dei e la seconda il legame allegorico tra i due protagonisti e il fiume. 

Il Ninfale fiesolano, poemetto pastorale in sette canti, narra dell'amore del pastore Africo per la ninfa Mensola, che però lo respinge per un voto di castità fatto a Diana. Su consiglio di Venere, Africo si traveste da ninfa e riesce a far sua Mensola, che poi, sconvolta per la paura della vendetta di Diana, fugge via, abbandonando per sempre il giovane. Questi non sopporta il dolore e si uccide lasciandosi annegare in un ruscello che prenderà poi il suo nome. Intanto Mensola dà alla luce il figlioletto nato dall'amore di Africo e, scoperta da Diana, viene trasformata in un ruscello che prende il suo nome. I due ruscelli si incontreranno ed alla loro confluenza sorgerà la città di Fiesole.

Se nei casi di Ippolito e di Rodoguna siamo in presenza di rifiuti del sentimento amoroso che si risolvono negativamente per il protagonista, nel caso di Africo e Mensola la vicenda, comunque tragica, trova modo di unire amata e amante nell'abbraccio dei due fiumi. In tutti i casi, comunque, al centro della vicenda è il rifiuto di Amore. 

La struttura tematica dei diversi soggetti che compongono il fondale della Calunnia risulta fortemente intrecciata e il tema delle conseguenze negative del rifiuto di Amore sembra essere un tema portante, a cui l'artista dà evidenza e risalto. È evidente, peraltro, che l'utilizzo di Boccaccio come fonte non si limita alla quinta giornata del Decameron e nemmeno al Decameron tutto, ma si estende all'intera produzione dello scrittore, che del resto era fonte di riferimento per tutta la cultura fiorentina (segnatamente neoplatonica) nel Quattrocento. 

Anche il canovaccio che abbiamo individuato come secondo tipo nella quinta giornata del Decameron è però indirettamente rappresentato nel fondale della Calunnia botticelliana. Tale canovaccio si lascia sintetizzare nella vicenda di in una coppia di amanti, questa volta entrambi ugualmente coinvolti nel sentimento amoroso ma separati da circostanze avverse e alla fine fortunosamente ricongiunti grazie all'intervento fatale della potenza di Amore che governa e dirige a buon fine le più disparate coincidenze.

La seconda 'base' a partire da destra (sotto al trono del giudice) mostra una figura femminile addormentata, la testa appoggiata al braccio destro e il braccio sinistro a coprire con un drappo l'inguine.

Un uomo senza barba con una lunga veste sta in ginocchio di fronte a lei, toccandosi la fronte con la mano destra; la mano sinistra invece regge un bastone, usato dall'uomo come sostegno. Ai piedi dell'uomo sono tre bambini nudi e dormienti. La donna dorme sotto un albero fronzuto; dietro le due figure c'è una spiaggia, il mare dove si trova una barca con le vele spiegate e, sullo sfondo, una montagna rocciosa. Questo è uno degli episodi di più difficile interpretazione: alcuni studiosi hanno proposto come soggetto della raffigurazione Zeus e Antiope, ma la figura maschile non ha alcun attributo di Zeus, la nave sarebbe del tutto incongrua e soprattutto sarebbero inspiegabili i tre bambini addormentati (dall'unione di Zeus e Antiope nascono due gemelli, Anfione e Zeto). Altri, fra cui Meltzoff, propongono invece come soggetto Arianna e Teseo. La proposta è per certi versi persuasiva: la figura femminile distesa, infatti, ha una posa molto affine a quella solitamente attribuita ad Arianna dormiente e in seguito slittata ad altri soggetti (Endimione addormentato, Noè ebbro); se questa donna è da identificare con un personaggio del mito, il nome di Arianna è il primo e il più ovvio che dovrebbe venire alla mente. Anche la spiaggia, la nave e il monte roccioso sullo sfondo avrebbero un senso preciso: la spiaggia alluderebbe al luogo dell'abbandono subito dalla fanciulla, la nave alla partenza dell'amato Teseo e le rupi al suicidio di Egeo al ritorno del figlio a causa dell'equivoco delle vele nere. Con qualche sforzo la figura in ginocchio può essere riconosciuta come Teseo, anche se non vi sono attributi relativi al personaggio e l'aspetto generale della figura non è certo eroico. Inspiegabile resterebbe comunque l'identità dei tre bambini addormentati, che Meltzoff tenta un po' arditamente di spiegare come le personificazioni delle tre forme d'Amore: Eros, Anteros e Lyseros. A dire il vero, argomento principe di Meltzoff nel tentativo di sostenere questa interpretazione è che la storia di Arianna comparirebbe ancora nel fondale della Calunnia; più precisamente, nel secondo architrave a partire da sinistra:

Il rilievo di questo architrave mostra una donna semidistesa sul fianco destro, appoggiata al gomito destro e vestita con una sorta di tunica che la copre completamente dalla vita in giù; tale veste è sollevata da un satiro, secondo un cliché molto in uso nell'iconografia mitologica. Un altro satiro, a destra, tira la grossa sciarpa annodata al collo di una figura maschile senza barba, con un vestito corto, piuttosto effeminata; dietro la figura femminile c'è un piccolo arbusto. L'immagine è stata identificata inizialmente come Marte e Venere, a causa delle somiglianze, nella posa della figura femminile, con il celebre dipinto botticelliano conservato alla National Gallery di Londra.

Dal punto di vista del soggetto si tratta di una identificazione facilmente confutabile: il personaggio maschile certamente non è riconoscibile come Marte. Resta peraltro perfettamente plausibile che questa figura semidistesa e la Venere della tavola della National Gallery provengano da un medesimo modello iconografico, senza che ciò comporti anche una identità dei soggetti trattati. Molto più semplice è invece identificare la figura maschile con Dioniso/Bacco, nel qual caso la figura femminile semidistesa potrebbe essere Arianna: l'immagine evocherebbe l'incontro fra i due che segue l'abbandono forse raccontato dalla 'base' di cui si è parlato sopra.

Nonostante i condizionali, la spiegazione fornita da Meltzoff è plausibile e affascinante: la vicenda di Arianna infatti, se considerata nella sua interezza e nella sua versione più diffusa e conosciuta, risulta del tutto pertinente al tema allegorico-morale che abbiamo riconosciuto come predominante nel fondale della Calunnia. La vicenda raccontata, infatti, ricalca almeno in parte il canovaccio boccacciano di cui si sta parlando: due amanti separati fortuitamente dagli eventi, ma successivamente uniti dalla buona sorte o meglio dalla forza d'Amore; in questo caso però il lieto fine vede l'intervento di un terzo personaggio. 

Arianna, com'è noto, si innamora di Teseo dopo averlo visto a Creta, giunto per uccidere il Minotauro e liberare quindi Atene dalla servitù dovuta proprio alla presenza del mostro; la fanciulla aiuta l'eroe nella sua impresa suggerendogli lo stratagemma del filo e in cambio riceve da Teseo una promessa di matrimonio. Compiuta l'uccisione, gli ateniesi assieme ad Arianna fuggono verso casa; ma Teseo durante una sosta nell'isola di Nasso abbandona la fanciulla addormentata sulla spiaggia e torna a casa senza di lei. Arianna si desta e si rende conto di essere stata ingannata; proprio mentre si sta disperando, però, passa da quelle parti Dioniso, di ritorno con tanto di corteo dal suo viaggio in India. Colpito dalla bellezza della fanciulla, la prende con sè e ne fa la sua sposa.

La versione più nota e diffusa, nella tradizione mitografica e letteraria, della vicenda di Arianna prevede dunque l'abbandono della fanciulla da parte del primo amante, Teseo, ma un lieto fine grazie all'incontro con il dio Dioniso. Esistono molte altre versioni del mito di Arianna. Uno dei motivi di maggior lontananza fra le diverse versioni del mito è la ragione che sta dietro al gesto di Teseo: desiderosi di assolvere da ogni colpa il padre spirituale della città di Atene, molti autori introducono spiegazioni ardite circa il suo gesto; ad esempio, che sarebbe stato allontanato da Nasso da una tempesta contro la sua volontà; o che lo avrebbe fatto agire così qualche divinità; o addirittura che non si sarebbe neppure reso conto che Arianna era scesa dalla nave. In ogni caso, l'allontanamento dei due amanti viene presto compensato dall'arrivo, del tutto casuale, di Dioniso e del suo corteo: alla fanciulla viene garantito non solo il 'lieto fine', ma addirittura una unione con il dio e quindi una promessa di immortalità. In questa, che rimane la versione prevalente del mito, poco importa se secondo altre varianti anche Dioniso, più avanti, avrebbe a sua volta abbandonato Arianna. Nell'ambito del pensiero neoplatonico che permea la Calunnia Teseo può bene rappresentare la caducità dell'amore terreno e Dioniso l'eternità dell'amore divino. 

La presenza della vicenda di Arianna, Teseo e Dioniso all'interno della Calunnia sarebbe quindi perfettamente pertinente con il messaggio allegorico-morale e con il pensiero filosofico sotteso all'opera e anzi aprirebbe strade e collegamenti molto interessanti. Il fatto è che interpretare la base con il presunto abbandono e l'architrave con il presunto incontro Bacco-Arianna come i due episodi principali della vicenda lascia anche parecchi problemi aperti. Chi sono i tre bambini che dormono ai piedi della figura identificata con Teseo nella base? E come mai Teseo è sulla spiaggia se la sua nave è già al largo, diretta verso le rupi da dove si getterà il povero Egeo? Esempi di 'contrazione iconografica' siffatti, in cui più episodi sono raccontati nella medesima raffigurazione, non sono così rari nella storia dell'arte, però in questo caso la cosa andrebbe meglio circostanziata visto che la contrazione iconografica non sembra molto usata all'interno della Calunnia. E comunque, la figura pensosa sulla spiaggia non ha alcun attributo relativo a Teseo: è avvolta in una rozza veste, tiene in mano un lungo bastone ed è completamente assorta nell'ammirazione della fanciulla addormentata. Questa descrizione ci fa tornare alla mente qualcosa di cui abbiamo già parlato: la vicenda di Efigenia e Cimone, già presente in uno degli architravi della Calunnia e qui ancora fortemente evocata dalle pose e dagli attributi dei personaggi. Nessuno finora ha avanzato questa possibile interpretazione per la base, eppure gli elementi che la sostengono sono almeno altrettanti rispetto a quelli che sostengono l'interpretazione di Meltzoff relativa ad Arianna e Teseo: la figura femminile addormentata è in una posa che può essere tanto di Arianna quanto di Efigenia; la figura maschile assorta è certamente più vicina a Cimone che non a Teseo; la nave sullo sfondo può evocare le peripezie vissute da Cimone nel tentativo di sottrarre Efigenia al suo promesso sposo. In entrambi i casi resta il vero e proprio enigma dei tre bambini dormienti; nel caso della interpretazione della scena come Cimone che osserva Efigenia addormentata, poi, c'è anche il problema che si tratterebbe dell'unica scena raffigurata due volte nel fondale. In conclusione, per entrambe le interpretazioni restano parecchi dubbi.

§ 6. Conclusioni: per una lettura politico-filosofica della Calunnia di Botticelli

È stato proprio partendo da queste identificazioni che, verso la fine degli anni ottanta, è stata avanzata una lettura iconologica del dipinto che lo rende certamente unico nel panorama delle Calunnie: quella botticelliana, infatti, non sarebbe un semplice esercizio di abilità svolto a seguito dell'ammirazione per Apelle, né la rappresentazione in chiave artistica di un episodio biografico del pittore – una calunnia che avrebbe colpito lo stesso Botticelli o uno dei suoi committenti. 

Il dipinto botticelliano sarebbe da considerare invece un vero e proprio 'manifesto' di una corrente politica e culturale della Firenze dell'ultimo decennio del Quattrocento: la Firenze in cui alla Signoria medicea e ai suoi ideali filosofici e umanistici si opponeva la repubblica savonaroliana e i suoi ideali di purificazione sempre più radicale dai valori terreni. È stato Stanley Meltzoff ad avanzare per primo questa teoria, arrivando ad affermare che Botticelli, qui, non è che l'interprete per immagini del messaggio che Angelo Poliziano, l'esponente maggiore del circolo di intellettuali ruotante attorno ai Medici, voleva mandare a Piero de' Medici, erede legittimo della Signoria, negli anni dei fondamentalismi savonaroliani. In altri termini, 'calunniata' in questo caso sarebbe la poesia, intesa nel senso estensivo di 'arte'; se allo Stato serve certamente una sorta di 'purificazione', questa non deve certo avvenire attraverso la condanna della poesia, ma, al contrario, attraverso la consapevolezza che solo il potere della bellezza (e quindi dell'arte) rende possibile una qualsivoglia elevazione. 

In altri termini, il dipinto botticelliano sarebbe un manifesto del neoplatonismo ficiniano abbracciato dal circolo mediceo: filosofia che predicava sì la necessità di rinnovamento politico e sociale, ma su un fronte ben distante dall'intransigenza estremista delle posizioni di Savonarola e dei suoi. A sostenere con decisione una interpretazione siffatta vengono le identificazioni dei diversi soggetti che compongono il fondale, ossia le 'decorazioni' della loggia in cui avviene la scena allegorica: ciascuna scena, infatti, può essere ricondotta all'esaltazione ora degli ideali di cui dovrebbe farsi portatore lo Stato 'purificato' in senso neoplatonico, ora dell'arte e della bellezza, mezzo di concretizzazione di tale 'purificazione'. 

La forte componente filosofica e 'politica' presente nel dipinto ha fatto ipotizzare a molti studiosi un intervento diretto di Poliziano nella elaborazione della scena; qualche tempo fa è stata anche avanzata l'ipotesi che Poliziano sia stato il coordinatore di un gruppo di lavoro di cui Botticelli sarebbe stato solo uno dei componenti (fra gli altri un ruolo importante spetterebbe a Bartolomeo di Giovanni, pittore attivo a Firenze dal 1480). In realtà, che Botticelli abbia ceduto il posto a qualcun altro nella realizzazione dei dettagli del fondale (perché le figure in primo piano sono sicuramente botticelliane) appare decisamente strano visto il formato dell'opera, ma comunque questo non è il problema che in questa sede interessa affrontare. Con questo lavoro si è cercato di far emergere, scegliendo un filo conduttore che leghi in qualche modo alcuni dei soggetti del fondale, che dietro ogni minimo dettaglio dell'opera c'è un preciso intento di comunicazione e che tutte le fonti scelte sono tali in ragione della loro efficacia nel promuovere il messaggio diretto a Piero e a tutto il popolo di Firenze: se il contatto con la bellezza può provocare vertiginosi innalzamenti morali, è semplicemente assurdo contrapporre la bellezza alla fede: al contrario, la prima può diventare efficace premessa della seconda. Che Boccaccio e la sua opera diventino mezzo privilegiato per diffondere tale verità rientra nella situazione già accennata in precedenza che vede questo autore come autentico protagonista dei circoli neoplatonici della Firenze quattrocentesca. Il fatto che Botticelli e Poliziano scelgano di rappresentare direttamente Boccaccio in una delle nicchie del fondale della Calunnia, unico personaggio 'quasi contemporaneo' presente nell'opera, è il sigillo finale al riconoscimento di questo autore e al merito della sua opera letteraria. 

English abstract

This essay focuses on the subjects of the architectural background of the Calunnia which represent a Story from the Fifth day of the Boccaccio’s Decameron.

keywords | Botticelli; Calumny of Apelles; Boccaccio; Decameron.

Per citare questo articolo / To cite this article: M. Viero, La quinta giornata del Decameron di Boccaccio: un ipertesto del fondale della Calunnia, “La Rivista di Engramma” n. 42, luglio/agosto 2005, pp. 79-109 | PDF

doi: https://doi.org/10.25432/1826-901X/2005.42.0005