"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

"AB OLYMPO": Mercurio e Amymone, dai modelli mantegneschi alla mondanizzazione del mito

a cura del Seminario del Centro studi classicA

animazione

In una tavoletta proveniente dal Gabinetto disegni e stampe delle Gallerie degli Uffizi, è possibile ravvisare un'importante testimonianza del diffondersi nell'arte del primo Cinquecento delle forme inventate o re-inventate da Andrea Mantegna. L'opera è stata datata tra il 1515 e il 1520 ed è nota con i titoli di Scena allegorica, o Ninfa dormiente, o Mercurio e Amymone.

L'attribuzione del quadro, tradizionalmente assegnata al Leonbruno, resta ancora dibattuta, soprattutto negli ultimi tempi: recentemente essa è stata infatti spostata nell'ambito del giovane Antonio Allegri, detto il Correggio. Tanto Leonbruno quanto Correggio sono pittori che operano in stretto rapporto (anche fisico, non solo culturale) con le opere di Mantegna, ed è quindi riconoscibile in entrambi la presenza di 'prelievi' dal thesaurus delle forme mantegnesche.

Nell'opera, di piccole dimensioni, sono protagoniste due figure: una donna nuda sdraiata a occhi chiusi, solo parzialmente coperta da un panno giallo (in realtà il velo 'mostra' quanto dovrebbe coprire, come il velo della Venere-Isabella nel Parnaso di Mantegna); dormendo, la donna poggia il braccio che le sorregge la testa su una sfera; dietro di lei e in ginocchio, è un uomo rivestito di lorica, con un elmo alato sul capo; l'uomo tiene fra le mani un 'pastorale' e una foglia di palma. La critica non è ancora concorde nella lettura di questa scena allegorica, già interpretata come raffigurazione dei rapporti diplomatici fra Mantova e Stato della Chiesa (Chiara Perina, 1961) o allegoria di Virtus e Voluptas (Leandro Ventura, 1994).

Lorenzo Leonbruno o Antonio Allegri detto il Correggio, Ninfa dormiente (part.), olio su tavola, 1515-1520 circa, Firenze

Lorenzo Leonbruno o Antonio Allegri detto il Correggio, Mercurio, particolare da Ninfa dormiente, olio su tavola, 1515-1520 circa, Firenze

Andrea Mantegna, Marte con Venere Celeste, particolare da Il Parnaso, tempera su tela, 1497, Parigi, Louvre

Indipendentemente dalle questioni dell'interpretazione e attribuzione dell'opera, ciò che è certo, e da tempo noto, è la fortissima dipendenza di quest'opera da fonti mantegnesche. Fu Carlo Gamba, nel 1909, a riconoscere nella donna sdraiata un'eco di una composizione del Mantegna nota attraverso altre derivazioni: un'opera a monocromo in collezione privata milanese (oggi divisa in tre frammenti), attribuita allo stesso Leonbruno, e un'incisione di Girolamo Mocetto nota come Metamorfosi di Amymone. È peraltro interessante notare che molto probabilmente l'incisione del Mocetto venne incisa sull'altro lato della lastra realizzata dallo stesso autore sulla base del disegno di Mantegna sulla Calunnia di Apelle (sul tema iconografico della Calunnia di Apelle vedi la galleria pubblicata in engramma, numero 42).

Lorenzo Leonbruno, Amymone, olio su tavola, 1495-1505 ca., collezione privata

Girolamo Mocetto, Amymone, incisione, 1504-1506 ca.

Girolamo Mocetto, Calunnia di Apelle,
incisione, 1504-1506 ca.

Andrea Mantegna, Calunnia di Apelle, disegno, 1504-1506 ca., Londra, British Museum

Lo stesso Leonbruno - traendo da diverse opere del Maestro deduzioni iconografiche precise, veri e propri 'prelievi' - realizza un quadro in cui il soggetto principale è quello della Calunnia di Apelle, che diventa pero pretesto 'narrativo' per illustrare il tema del Governo della Fortuna.

Lorenzo Leonbruno, Allegoria del governo della Fortuna, dipinto su tavola, 1525-1530 ca., Milano, Pinacoteca di Brera

Ancora, anche nel monocromo con la ninfa 'Amymone', le diverse figure sembrano tolte di peso da lavori di Mantegna: Poseidone dalla lunetta con Arione della 'Camera picta' del Palazzo Ducale di Mantova; la vecchia dietro la ninfa dall'analoga figura nell'incisione della Zuffa degli dei marini; Marte da un disegno che presenta il dio della guerra 'al bivio' tra Venere e Diana.

Lorenzo Leonbruno, Amymone, olio su tavola, 1495-1505 ca., collezione privata

Andrea Mantegna, Arione sul delfino, affresco, 1465-74, particolare dalla volta della Camera degli Sposi, Palazzo Ducale, Mantova

Andrea Mantegna, Zuffa degli dei marini (part.), incisione, ante 1494, Roma, Gabinetto delle stampe

Andrea Mantegna, Marte tra Venere e Diana, disegno (penna e acquerello), 1490-1500, Londra, British Museum

A queste due epifanie della 'ninfa dormiente' nel contesto mantovano, va aggiunta quella recentemente rinvenuta da Giovanni Agosti (1992) in un disegno conservato agli Uffizi, assai simile all'incisione del Mocetto nell'impostazione generale, ma di inferiori dimensioni e differente nei dettagli dello sfondo. La ricorrenza del soggetto in dipinti, disegni e incisioni lascia presupporre quindi l'esistenza di un prototipo mantegnesco, oggi perduto, alla base di questa prolifica genealogia di immagini, che costituiscono un vero e proprio "enigma mantovano", come lo ha recentemente definito Giovanni Agosti.

Bottega di Andrea Mantegna, Scena Mitologica (Metamorfosi di Amymone), 1495-1500 circa, Firenze, Gabinetto disegni e stampe degli Uffizi

Anche il personaggio virile della tavola degli Uffizi attribuita al Leonbruno o al Correggio deriva da una fonte mantegnesca. Dobbiamo a Paul Kristeller (1909) l'identificazione di tale fonte nel Mercurio presente nell'incisione nota come Virtus Deserta. È questa un'incisione attribuita dalla critica a Giovanni Antonio da Brescia, facente parte, insieme alla cosiddetta Virtus Combusta, di una coppia di fogli entro i quali è divisa un'unica scena verticale, ideata con ogni probabilità dal Mantegna stesso.

Giovanni Antonio da Brescia (attr.), da Andrea Mantegna, Virtus combusta, incisione, 1500-1505 ca.

Giovanni Antonio da Brescia (attr.), da Andrea Mantegna, Virtus deserta, incisione, 1500-1505 ca.

Nell'opera si riconoscono molti personaggi già presenti in altre opere del maestro e della sua cerchia. Molte delle figure presenti nella 'doppia' incisione sono infatti riconducibili ai personaggi che animano il dipinto dello Studiolo di Isabella d'Este Pallade che scaccia i Vizi dal giardino di Virtù, e alle personificazioni del disegno di Mantegna della Calunnia di Apelle, come per esempio Ignoranza. Nella parte superiore dell'incisione Ignoranza incoronata è effigiata seduta su una sfera tenuta stabile da sfingi alate, mentre tiene fra le mani il timone. Ignoranza ha usurpato gli attributi di Fortuna, che sta dietro a lei bendata e affiancata da Invidia. in fianco a queste tre figure si consumano fra le fiamme gli ultimi rimasugli di un albero, sotto il quale è la scritta 'VIRTUS COMBUSTA'. Nel frattempo un uomo con le orecchie d'asino e un satiro demoniaco accompagnano un uomo bendato e una donna verso un baratro.

Andrea Mantegna, Minerva scaccia i Vizi dal giardino della Virtù, tempera su tela, 1502, Parigi, Louvre

Andrea Mantegna, Calunnia di Apelle, disegno, 1504-1506 ca., Londra, British Museum

Andrea Mantegna, Ignoranza, particolare da Minerva scaccia i Vizi dal giardino della Virtù, 1502

Andrea Mantegna, Ignoranza, particolare dalla Calunnia di Apelle, 1504-1506 ca.

Giovanni Antonio da Brescia (attr.), da Andrea Mantegna, Ignoranza, particolare da Virtus combusta, 1500-1505 ca.

Il racconto prosegue nella seconda incisione, che costituisce la scena inferiore: al centro si vede il fondo del baratro nel quale si affollano corpi umani ammassati uno sull'altro. In fianco a loro, fra rovine, rovi e macerie, cresce una pianta dalle fattezze femminili - forse Dafne - al collo della quale pende una tabula ansata con l'iscrizione 'VIRTUS DESERTA'. Sulla destra della composizione, si riconosce inginocchiato Mercurio, con ali ai piedi e caduceo, mentre aiuta gli uomini a rialzarsi e salvarsi dall'abisso. Un'ultima iscrizione compare nell'incisione, chiarendone il significato: 'VIRTUTI S.A.I.', interpretata come abbreviazione del motto latino 'VIRTUTI SEMPER ADVERSATUR IGNORANTIA', che ricorre nella corrispondenza fra Mantegna e Francesco Gonzaga, e che è forse leggibile anche nel cartiglio retto dalla vecchia che cavalca il tritone nella Zuffa degli dei marini.

Giovanni Antonio da Brescia (attr.), da Andrea Mantegna, Virtus deserta (part.), 1500-1505 ca.

Andrea Mantegna, 'Virtus deserta', particolare da Minerva scaccia i Vizi dal giardino della Virtù, 1502

Andrea Mantegna, Invidia, particolare da Zuffa degli dei marini, ante 1494

Giovanni Antonio da Brescia (attr.), da Andrea Mantegna, Mercurio, particolare da Virtus deserta, 1500-1505 ca.

Lorenzo Leonbruno o Antonio Allegri detto il Correggio, Mercurio, particolare da Ninfa dormiente, olio su tavola, 1515-1520 circa, Firenze

Modificando i suoi attributi, la figura di Mercurio presente in questa complessa scena allegorica è stata ripresa dall'autore della tavola degli Uffizi. Il 'Mercurio' del dipinto attribuito a Leonbruno pare quasi ulteriormente 'moralizzato': rivestito di lorica, di elmo alato, di un caduceo divenuto 'pastorale', resta però perfettamente sovrapponibile nella postura al dio 'classicamente' nudo che aiuta gli uomini a sollevarsi dal baratro dell'ignoranza. Lo stesso è accaduto anche per la ninfa dormiente - spesso identificata come Amymone - presente, come s'è detto, in diverse opere legate allo stesso ambito culturale e alla medesima cerchia di maestranze: la casta ninfa della fonte è ora una 'malinconica' figura con sfera.

Nel creare una scena di nuovo significato, l'autore del dipinto degli Uffizi ha quindi estrapolato dal loro contesto due diversi elementi di due composizioni evidentemente assai diffuse e note in quegli anni e in quegli ambienti, unendole per creare una nuova scena allegorica. Lasciando il loro habitat, le due immagini si sono spogliate dei vecchi significati, dei vecchi contesti e dei vecchi attributi, assumendo identità nuove.

Mercurio e Amymone sono così diventati un uomo e una donna, come si evince da un inventario del 1680 della Collezione Farnese dove il quadro è descritto in questo modo: "Donna ignuda che dorme distesa sul suolo con panno giallo, viene adorata da un uomo armato, tiene il ginocchio diritto in terra, tiene nella destra una palma e nella sinistra un pastorale, in capo la berretta rossa con le ali di Mercurio, et pennacchio".

Peduccio pensile in terracotta proveniente dalla Casa di Andrea Mantegna, fine del XV secolo

Nell'ecfrasi contenuta nell'inventario secentesco è andata oramai perduta la connotazione mitologica che improntava le figure mantegnesche, e pare sfumato anche il significato allegorico: la ninfa è divenuta, genericamente, una "donna ignuda che dorme", adorata da un "uomo armato" che veste, come in una mascherata, il copricapo di Mercurio con pennacchio. Proprio mediante le manipolazioni subite dai 'repertori' di forme dei grandi maestri, come notava Aby Warburg nella Tavola 55 di Mnemosyne, è venuto il tempo in cui gli dei sono caduti sulla terra a prestare le loro forme al narcisismo tutto mondano degli umani, e l'ambientazione en plein air è oramai il paesaggio sostitutivo dello scenario mitico. Come recita il motto che troviamo ripetuto più volte nella dimora mantovana di Andrea Mantegna: 'AB OLYMPO'.