"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

Appunti dai materiali di Luminar 1. Una sintesi critica degli interventi

a cura della Redazione di Engramma

Convegno Luminar 1. Internet e Umanesimo | Fondazione Querini Stampalia, Venezia, 31 gennaio / 1 febbraio 2002
English abstract

Nel gennaio del 2002, con l'incontro seminariale di Luminar si inaugura un ciclo di appuntamenti annuali dedicati al tema ‘Internet e Umanesimo’.

L’idea da cui è nato Luminar è frutto della sinergia tra il seminario di Engramma e la Fondazione Querini Stampalia, che da tempo sta lavorando all’archiviazione on line e al sistema di ricerca sperimentale su Internet. Nel corso di Luminar 1/2002, abbiamo avuto occasione di dialogare sulle potenzialità del web con studiosi, esperti e tecnici nel campo della ricerca umanistica, persone che con modi ed esigenze differenti sono venute in contatto con una nuova realtà di lavoro e di studio costituita da Internet.

Gli intervenuti, che erano Giorgio Busetto, Monica Centanni, Claudia Cieri Via, Roberto Dadda, Diego Galizzi, Fabrizio Lollini, Noga Arikha, François Quiviger, Chiara Rabitti, Antonella Sbrilli, Babet Trevisan – oltre ad alcuni componenti della redazione di Engramma – mettendo a confronto le loro esperienze e portando esempi pratici delle molteplici possibilità di utilizzo del web per la ricerca e l’elaborazione di nuove forme di comunicazione del sapere, hanno permesso di mettere a fuoco alcuni nuclei fondamentali della nuova dimensione tecnica e teorica che con Internet si apre.

Ciascuno degli intervenuti si è trovato a fare i conti con questa nuova realtà destinata a influenzare modi, stile e oggetti della ricerca. Le potenzialità della ricerca umanistica risultano, in Internet, particolarmente esaltate; da qui nasce l’esigenza di comprendere quali fra i nuovi, proficuamente selettivi, meccanismi siano compatibili con le istanze di rigore metodologico, quali gli scarti incolmabili, quali gli strumenti che ci vengono offerti e quelli invece tutti da inventare.

Giorgio Busetto (Fondazione Querini Stampalia, Venezia)

Apre il seminario introducendo il tema. Internet è un nuovo linguaggio che ci impone di ri-configurare il nostro sistema di comunicazione e implica una profonda trasformazione della modalità di trasmissione del sapere; rappresenta perciò un’ulteriore tappa che segue ad altre invenzioni rivoluzionarie, come la stampa a caratteri mobili, la fotografia, la fotocopiatrice ecc.. I cambiamenti più rilevanti riguardano l’accelerazione dei tempi di comunicazione, la modificazione strutturale delle forme espressive del linguaggio, della sintassi della comunicazione e la nascita dell’ipertesto. C’è la consapevolezza di essere solo all’inizio di una fase innovativa e di un processo molto veloce; nel contempo, però, la rete risulta già una risorsa indispensabile e sostitutiva di altri strumenti innovativi tradizionali. I fruitori del sapere umanistico devono chiedersi come utilizzare Internet, di quali strumenti servirsi e in che misura modificare le metodiche di lavoro: la questione riguarda l’approccio filosofico del sapere oltre che le conseguenze pratiche. La creazione di uno spazio virtuale pone per esempio il problema della ridefinizione del territorio e del significato del territorio; nel nuovo spazio della rete, senza confini tradizionali, nasce il problema della riformulazione delle relazioni di potere e dell’utilizzo delle risorse al suo interno. Le riflessioni in quest’ambito investono inevitabilmente anche quello dell’umanesimo: uno dei problemi è quello della molteplicità degli accostamenti possibili, quelli tradizionali e quelli tecnologici, e della loro interazione reciproca. Uno dei possibili approcci è quello presentato in occasione di Luminar, frutto dell’incontro tra la Fondazione Querini Stampalia ed Engramma. Engramma è un esempio della coniugazione tra la ricerca sulla tradizione classica e il mondo della rete. In quanto forma sperimentale di sintesi di questi due mondi deve fare i conti con la meccanica di costruzione di una espressione che non è abituata a parlare il linguaggio della tecnologia.

Monica Centanni (Iuav, Università di Venezia)

Dà ragione la scelta di intitolare l’incontro seminariale con il termine 'Luminar': il Luminar è un’immagine letteraria e, precisamente, è l'oggetto, mai dettagliatamente descritto, che compare nel romanzo di Ernst Jünger Eumeswil (1977) come ultima anticipazione, in ordine cronologico, dello strumento Internet. Protagonista del romanzo è Martin Venator, di notte stewart alla corte del Tiranno, di giorno storico presso l’Università della città di Eumeswil: in un mondo ambientato in un medievaleggiante futuro, annebbiato dall’egemonia di un tiranno, lo storico-cortigiano trova il modo di aprire la via a una nuova dimensione del sapere e della libertà proprio attraverso il grande schermo interattivo del Luminar, su cui all’archiviazione di dati segue la visualizzazione di tutte le informazioni relative in forma animata o di testo. Nel romanzo la tecnica viene presentata come strumento di liberazione dalla tirannia del potere, il mezzo sofisticato che permette di trarre dal ‘sottosuolo’ della memoria una serie di suggestioni, immagini, idee che permettono di costruire una proiezione, fantasmatica all’inizio, ma poi realizzabile nel presente. Così scrive Jünger:

“La tecnica possiede un sottosuolo, sta diventando inquietante per se stessa, si approssima alla realizzazione diretta degli déi come suole avvenire nei sogni, sembra mancare solo un piccolo passo ancora. Così potrebbe saltare fuori qualcosa dal sogno stesso come nello specchio una porta non deve più essere mossa, si apre da sé, ogni luogo desiderato è raggiungibile in un attimo, un mondo qualsiasi può essere ricavato dall’etere o come nel Luminar dal sottosuolo. I fatti sono abbastanza remoti e si può dire che non se ne curerebbe più nessuno; nel Luminar tuttavia ho reperito io stesso una sterminata quantità di immagini e di titoli. Come ogni lavoro la cosa principale con quell’apparecchio è centrare i punti chiave”.

Luminar rappresenta per l’autore la possibilità di recuperare frammenti di memoria che devono però essere messi in relazione tra di loro per poterli rendere ‘parlanti’; l'attrito che nasce da questo contatto passa per un filtro tecnico che permette di far riemergere e poi di catturare pezzi di memoria. È evidente l’affinità di Luminar con le pratiche di recupero della memoria che hanno avuto grande riscoperta e utilizzo in epoca rinascimentale e che in altra forma riemergono con l’avvento di Internet. Uno dei problemi che sorge però con l’impiego di questa tecnica è nel contempo anche una delle sue caratteristiche più suggestive: la disponibilità di un repertorio di immagini sterminato, ma contemporaneamente indiscreto e indifferenziato. La metodologia che lo studioso applica affinando via via il suo lavoro e configurandolo in relazione al mezzo concorre alla creazione di una rete che deve consentire l’individuazione dei nessi (i ‘punti chiave’) per capire dove stanno gli snodi tra un frammento di sapere e un altro e per poter cogliere le sinapsi tra differenti conoscenze.

È in virtù di questi significati che si è colta l'affinità tra Luminar e l'attuale apertura dell'orizzonte dell'umanesimo tecnologico. In questo ambito di sperimentazione la spinta che ha dato vita a Engramma e ne ha alimentato l'evoluzione teorica e pratica sono gli studi di Aby Warburg concretizzatisi nell'Atlante della Memoria del 1929, opera che, mai pubblicata anche a causa delle intrinseche difficoltà tecniche di edizione, trova invece una possibilità di resa 'fedele', di visualizzazione e un funzionamento soddisfacente nella traduzione in testo telematico. L’oggetto privilegiato della ricerca di Warburg è la tradizione classica, disciplina che per eccellenza si caratterizza per la sua costitutiva complessità, non riducibile a meccanismi semplici e univoci. La scoperta dei nessi avviene grazie alla individuazione di parole, segni, immagini che si combinano in vari modi e che si prestano continuamente a nuove interpretazioni: Internet si presenta come lo strumento ideale per questo tipo di ricerca.

Giovanna Pasini (Fondazione Querini Stampalia, Venezia)

In qualità di membro della redazione della rivista on line Engramma, ha discusso il valore dell'uso esclusivo del linguaggio web nell’ideazione della rivista. È l’esperienza della rivista che ha stimolato gli incontri di Luminar, come luogo in cui riflettere sulla fertile fusione tra tecnologie e studi umanistici continuamente sperimentata nell'attività redazionale. Engramma infatti nasce l’8 marzo 2000 dal Seminario di Tradizione Classica e di Iconologia dell'Università Ca' Foscari di Venezia con il fine di proporre i risultati delle sue ricerche attraverso le possibilità offerte da Internet. La decisione di non produrre una distribuzione cartacea della rivista va di pari passo con la volontà di sfruttare pienamente le potenzialità dell'ipertesto, che ha la possibilità di passare istantaneamente, come per i meccanismi della mente umana, da una pagina all'altra, inseguendo i link, le curiosità, gli approfondimenti, i rimandi.

Engramma si articola in una Rivista, in una sezione Aby Warburg e in un’altra detta ‘Laboratorio’, a loro volta strutturati in vari percorsi; viene proposta inoltre ogni mese la lettura di una tavola di Mnemosyne, l’Atlante della Memoria. Mnemosyne, l'ultimo grande progetto di Aby Warburg, è costituito da una serie di pannelli su cui sono appuntate fotografie di opere e documenti studiati dallo storico tedesco nel corso della sua carriera. È un’opera difficile da afferrare e costringere dentro una struttura fissata quale quella cartacea; attraverso le nuove tecnologie informatiche, le sequenze complesse e non lineari delle tavole dell'Atlante appaiono come un esempio ante litteram di disposizione ipermediale di un percorso nella storia delle immagini. I mezzi telematici si sono rivelati un supporto e strumento metodologico unici nel poter conferire al lavoro una forma non fissata ma in evoluzione. Un ipertesto è composto di spezzoni individuali uniti da collegamenti elettronici: le relazioni, che nelle forme di testo precedenti rimanevano puramente mentali, hanno un proprio modo di essere formulate e vengono rese esplicite. L'ipertesto rende quindi visibili alcuni dei riferimenti culturali cui sempre un autore rimanda in modo implicito o esplicito e permette al lettore di muoversi liberamente attraverso i percorsi prestabiliti.

Babet Trevisan (Fondazione Querini Stampalia, Venezia)

Analizza l’utilizzo di Internet nella realizzazione di siti web per musei, tracciando una panoramica della situazione dal 1997 al 2002. I siti dei musei sono risultati anzitutto strumento di comunicazione e promozione, oltre che strumento di ricerca, e queste due finalità sono state valorizzate diversamente nel corso del tempo. I dati relativi alla condizione dei siti museali nel 1997, in un campione di 30 siti italiani, rivelano come tutte le informazioni riguardanti la comunicazione e la promozione, quindi ad esempio la segnalazione dell’indirizzo, o degli orari o dei prezzi, scarseggiassero; la situazione viene invece rovesciata nel 2002, nella piena consapevolezza che Internet è uno strumento fondamentale di promozione. Lo stesso può essere affermato per le informazioni on line relative alle attività didattiche o alle iniziative future del museo. Se nel ’97 era garantita un’informazione basilare per le informazioni sull’istituzione museale, erano molto scarse quelle relative alle mostre presenti o future e lo stesso valeva per i link alla città o ad altri enti correlati e soprattutto link di approfondimento. Se nel 2002 tutte le informazioni relative alla comunicazione e promozione sono garantite, lo stesso non si può dire dell’utilizzo del web come strumento di ricerca, a parte qualche caso esemplare di sito come quello dell’Istituto e Museo di Storia della Scienza a Firenze (Museo Galileo) e del Museo Archeologico di Bologna (Museo Civico Archeologico). Relativamente all’ambito della ricerca un caso indicativo è l’analisi di quanto si può trovare nel web a proposito di Carlo Scarpa: lo scarso risultato denuncia come in Internet l’informazione approfondita per lo studioso o il ricercatore sia ancora insufficiente.

Roberto Dadda (SIA SPA, Politecnico, Milano)

Si sofferma sul fenomeno della dequalificazione globale dell'ipertesto che procede di pari passo allo sviluppo delle tecnologie soprattutto per quel che concerne la grafica. Internet nacque nel 1969, il web nel 1989, solo l’ipertesto può vantare una tradizione molto antica come dimostra il testo della tradizione ebraica del Talmud nel quale ogni pagina del Libro è concepita come una sorta di homepage. Oggi si è giunti al database nato per connettere dei dati attraverso i link che costituivano la vera natura dell’ipertesto, che con la recente diffusione del web è venuta meno.

Così se negli anni ’60 il SGML (standard generalized mark-up language) aveva lo scopo di definire dei link veri e motivati, oggi questi ultimi hanno subito una notevole perdita di materiale che li rende poveri e determina dunque una più difficile trattazione delle informazioni. Con la nascita degli HTML (hypertext mark-up language) si è dunque verificata una crisi dei motori di ricerca che non solo non sanno più rispondere alle esigenze di una indagine mirata, ma che inoltre non riescono a leggere i testi Flash percepiti dal programma come immagini. La soluzione a questi problemi è data dal XML, linguaggio simile all’HTML, ma con caratteristiche differenti che permette sia di definire in modo specifico il contenuto della parola e la natura di una informazione sia di ottenere dei link che consentono di scindere il contenuto della cosa dalla sua rappresentazione.

Antonella Sbrilli (Università La Sapienza, Roma)

Presenta il linguaggio del web come nuovo strumento a disposizione dello storico dell'arte, per quale Internet non è mezzo inerte ma mutevole e produttivo di volta in volta a seconda dell'uso che ne viene fatto. Se il lavoro dello storico dell’arte di rintracciare gli ascendenti e i discendenti delle immagini, degli stili e dei significati in precedenza poteva essere fatto solo in sequenza e per giustapposizioni, oggi, grazie a Internet, può essere reticolato, può essere cioè creata una rete di elementi che si richiamano, rivelando significati inaspettati. In questo senso è interessante lo studio dell’uso della riproduzione delle immagini digitali nell’ambito dei beni culturali e, in particolare, gli esempi di ‘immagini dense’ – nuovi strumenti per una storia interattiva dell’arte – sviluppate con gli allievi dei corsi attivi all'Università La Sapienza di Storia dell’arte contemporanea e di Informatica applicata ai beni culturali. L’aspetto fondamentale che emerge è che la riproduzione digitale di un’opera d’arte, qualunque essa sia, è un’immagine e la riproduzione si allontana in maniera esponenziale all’originale, perché è un vero e proprio codice che si presta alle più diverse manipolazioni: può diventare musica, testo. La digitalizzazione ci permette di entrare dentro all’immagine che invece nell’originale è intoccabile, cristallizzata manifestazione del genio individuale. La modificabilità delle riproduzioni digitali permette di creare ipermedia ricchi di collegamenti, costruzioni sintetiche di connessioni tra le immagini: l’immagine è interfaccia di se stessa, superficie sensibile e attiva. All’interno dell’immagine è possibile addirittura inserire elementi estranei per aiutare il lettore/navigatore a capire e riconoscere gli influssi delle altre correnti artistiche su di un autore. Grazie all’applicazione delle tecnologie all’ambito umanistico sarà possibile fare esperimenti ipermediali sulla storia dell’arte e arrivare a uno standard della conoscenza che sia in sintonia con i nuovi mezzi di comunicazione.

Claudia Cieri Via (Università La Sapienza, Roma)

Presenta un progetto, nato alla fine degli anni ’80 e ancora in corso, nell’ambito della disciplina ‘Iconografia e di Iconologia’, finalizzato alla creazione di un repertorio iconografico di soggetti mitologici. L'intenzione che ha guidato la realizzazione del progetto è stata quella di attuare un connubio tra arte e tecnologia che consentisse una ricerca più veloce, più ampia nell’accumulo di dati sistematizzati, e nello stesso tempo di ragionare in termini di iconologia contestuale, secondo la lezione di Aby Warburg. Si è quindi pensato a un repertorio che non fosse solo una raccolta di immagini, ma interrelazioni di immagini con i testi. Il testo utilizzato come punto di partenza di questo progetto, le Metamorfosi di Ovidio, raccoglie la maggior parte dei miti e delle relative storie mitologiche. L’opera presenta due caratteristiche importanti che la rendono il testo ideale per questo progetto: contiene storie che presentano legami non logici, ma ‘poetici’, e offre la possibilità di navigare dentro il testo, cioè creare una interrelazione continua nei rapporti tra testo e immagini. La struttura del progetto parte dalla disposizione dei miti elencati alfabeticamente e, una volta scelto il mito che interessa, vi è la possibilità di collegarsi a un passo preciso delle Metamorfosi oppure con il testo per intero. È individuabile inoltre una lista di miti che hanno specifici legami con quello scelto e con i temi che caratterizzano il mito. All’interno di ogni tema mitologico la ricerca può avvenire attraverso la selezione di un termine, di tutti i termini o di una frase precisa, garantendo un vaglio esauriente tra testi e immagini. In una sezione dedicata agli approfondimenti la ricerca può essere attuata secondo gli elementi caratterizzanti le storie mitologiche: personaggi, attributi e contesti ambientali. La catalogazione delle immagini si divide in antiche e rinascimentali fino a tutto il ’600: esse sono ingrandibili e tutte collegate mediante link a una scheda che riporta i dati essenziali dell’opera.

François Quiviger (The Warburg Institute, London)

Illustra alcuni aspetti della digitalizzazione della Biblioteca Warburg. La creazione della biblioteca warburghiana risale agli inizi del 1900, ma viene organizzata solo tra gli anni ’10 e ’20 da Warburg e Saxl. Nel 1991 la biblioteca venne informatizzata e questa nuova disposizione telematica del materiale si è rivelata subito utile per effettuare ricerche, ma anche per attuare dei collegamenti tra opere, secondo quello che era l’obiettivo principale di Warburg, ovvero il tentativo di organizzare il sapere umano. La classificazione è organizzata per soggetto: azione, orientamento, parole e immagini. La biblioteca è pensata come teatro della storia in cui tutte le fonti non sono organizzate in modo alfabetico, ma in ordine cronologico per avere un quadro generale dello sviluppo delle idee. Il fine principale è quello di realizzare uno strumento di ricerca che permetta non solo di trovare dei testi ma soprattutto di seguire delle idee. Il settore delle ‘azioni’ comprende: numero di piano all’interno della biblioteca; rubriche; organizzazione della biblioteca; contenuto degli scaffali; collegamenti a Internet; testi classici on line. Tutto questo aiuta nell’approccio allo studio di un’opera e permette di fare dei collegamenti interdisciplinari.

Diego Angelo Galizzi (Università di Bologna)

Propone un originale utilizzo delle tecnologie nell'ambito della ricerca umanistica e in particolare nella valorizzazione del materiale codicologico miniato. Un risultato rilevante è la creazione di un ipermedia che consente di consultare le miniature affiancate dalla descrizione codicologica. Il prodotto ha il vantaggio di poter essere destinato sia a una consultazione on line, sia ad una consultazione off line che dà anche la possibilità all’utente di creare un proprio percorso e comporta la preservazione dall'usura del materiale librario originale. Naturalmente la digitalizzazione delle miniature comporta qualche svantaggio, come la riduzione della qualità dell’immagine a causa della ‘pesantezza dell'immagine stessa nel web e la doverosa tutela del copyright sulle immagini, che digitalizzate in Internet possono essere facilmente riprodotte o addirittura clonate. L’uso dei nuovi mezzi, tuttavia, consente anche di eseguire un restauro virtuale delle eventuali cadute di colore subite nel tempo dalle miniature, permettendo una diversa fruizione dell’immagine stessa e consentendo la visione di una maggiore quantità di materiale rispetto a quanto solitamente esposto in una mostra.

Chiara Rabitti (Fondazione Querini Stampalia, Venezia)

Ha analizzato l’applicazione delle tecnologie al mestiere del bibliotecario. La rivoluzione apportata da Internet in questo ambito è stata soprattutto quantitativa, strumentale: è aumentata cioè la capacità di registrare le informazioni e la figura del bibliotecario ha mantenuto le sue funzioni: è rimasto il ‘cartografo dell’informazione’, un reale creatore di ipertesti e di percorsi di conoscenza e il traduttore delle informazioni in conoscenza. Questo ha naturalmente comportato un cambiamento nei modi di procedere e soprattutto nell’attuazione e applicazione delle regole di catalogazione, che in passato erano sempre state finalizzate ad una economicità di lavoro; la tecnologia ha restituito al bibliotecario la libertà nella costruzione di percorsi di conoscenza che non era consentita precedentemente. È aumentata la divaricazione tra i concetti duali di supporto e informazione, con la definitiva scomparsa del supporto e la continua trasformazione e inevitabile instabilità delle informazioni che navigano in Internet.

Noga Arika (The Warburg Institute, London)

Ha presentato il primo convegno interamente virtuale dedicato all'impatto di Internet sul testo scritto. Si tratta di un progetto sostenuto dalla Bibliothèque publique d'information - Centre Pompidou, finalizzato allo studio dell’effetto di Internet sulla testualità e realizzato dall'Associazione Europea per lo Sviluppo dell’Insegnamento Superiore e della Ricerca su Internet (EURO-EDU). È attivo da ottobre e realizzato in tre lingue e avrà la durata di 6 mesi; ogni due settimane uno dei dieci autori invitati – ricercatori e operatori delle nuove tecnologie – pubblica sul sito un testo di riflessione critica sul tema della scrittura. Durante le due settimane seguenti la pubblicazione il testo viene sottoposto alla discussione on line di un gruppo di circa quaranta persone, i dieci autori e trenta altri partecipanti invitati: la discussione è animata dagli organizzatori.

Chi desidera seguire regolarmente il convegno può iscriversi, ricevere i testi per posta elettronica e partecipare a un forum. Il tutto è sponsorizzato da società di distribuzione digitale delle opere in formato e-book. Lo strumento che ne risulta ha la caratteristica della fluidità, infatti il confine tra scrittura e oralità risulta molto sottile, e quello che viene realizzato è di fatto una nuova forma di scrittura; c’è la libertà di intervenire quando lo si preferisce e su che cosa si preferisce, si può leggere quando si vuole selezionando quello che si vuole; non ci sono limiti temporali e si annullano anche le distanze spaziali tra i dialoganti. L’esperimento ha avuto molto successo e c’è stato un altissimo numero di partecipanti, oltre a quelli che sono direttamente intervenuti con l’inserimento di un testo.

English abstract

In this article, there are exposed what it was told in Luminar, a weekly seminar. It was about ‘Internet and Humanism’ and who was invited to present it, scholars, teachers and people who have a big knowledge in this area, used their time to talk about some specific arguments of this field. It was told how Internet changed the work of some figures, such as art historians or librarians; how Engramma itself uses the Internet to publish its researches about art and how Eumeswil, the city which was talked about in Jünger’s book, can be seen as an anticipation of the Internet, which was invented in 1969, and of the web, in 1989. Babet Trevisan, for example, explained how this influenced museums, which now have a new method to spread informations even about new exhibitions and cultural events, and Giorgio Busetto how a new way to spread knowledge is born.

keywords | internet; humanism; Luminar; Engramma; museums; hypertext; digitization.

Per citare questo articolo / To cite this article: Redazione di Engramma (a cura di), Appunti dai materiali di Luminar 1. Una sintesi critica degli interventi, “La Rivista di Engramma” n. 23, febbraio/marzo 2003, pp. 7-16 | PDF 

doi: https://doi.org/10.25432/1826-901X/2003.23.0003