"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

69 | gennaio 2009

9788898260140

 Giulia Bordignon, Alessandra Pedersoli
(Università IUAV di Venezia)

'Dioniso architetto'
Materiali dall'archivio INDA per una storia della scenografia contemporanea nei teatri antichi

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Dal 1914 l'Istituto Nazionale del Dramma Antico presenta al Teatro greco di Siracusa i drammi dell'antichità, sottraendo l'edificio teatrale al suo destino di rovina archeologica, e riconsegnandolo alla sua originaria, vitale, funzione: quella di spazio aperto alla rappresentazione.
 
Se il teatro è innanzitutto 'spazio della rappresentazione', uno dei principali problemi nella messa in scena degli spettacoli è quello di connotare questo spazio: di creare cioè un ambiente non solo per l'azione dei personaggi, ma anche per lo sguardo degli spettatori, mediante la scenografia. Si tratta di un'operazione tanto più complessa per le rappresentazioni contemporanee del dramma antico, in cui lo spazio scenico deve anche essere in grado di 'costruire' il tempo, di 'sincronizzare' l'antico con il moderno. Il contesto archeologico del teatro all'aperto costituisce una facilitazione solo apparente: può portare, a seconda delle sensibilità, alla rievocazione 'all'antica' oppure all'attualizzazione; alla valorizzazione del paesaggio naturale oppure al contrasto di un'ambientazione tutta artificiale.
 
La documentazione e i materiali teatrali conservati dall'archivio INDA – bozzetti, plastici, costumi, frammenti di scenografie, carteggi, fotografie, documenti audio-video – testimoniano le variazioni del gusto e dell'estetica negli allestimenti del dramma antico che si sono avvicendati a Siracusa dal secolo scorso ai nostri giorni: un patrimonio inestimabile per ricostruire la storia della scenografia del teatro classico in Italia.


1914-1930: dalla "maniera archeologica" al "grembo scenico"

Agli inizi del Novecento imperversa nell’allestimento dei drammi antichi la vague archeologizzante. ‘All’avanguardia’ sono le ambientazioni che richiamano l’arte micenea: gli scavi di Schliemann avevano rivelato, alla fine del XIX secolo, “una Grecia barbarica, inaspettata, diversa dalla Grecia di Pericle”, come scrive Duilio Cambellotti, scenografo degli spettacoli INDA fino al 1948. Le prime ambientazioni siracusane alludono infatti esplicitamente all’architettura palaziale di Micene o di Tirinto. Ma l’artista romano si emancipa progressivamente dall’iniziale “maniera archeologica”, compiendo un’oculata selezione dei dettagli ‘all’antica’ nelle scenografie degli anni '20. Cambellotti giunge alla creazione di scene capaci di resistere non solo alle ‘seduzioni’ dell’archeologia, ma anche a quelle della bellezza paesaggistica del teatro all’aperto, raccogliendo lo spazio in un “grembo scenico” chiuso alla visione dello sfondo naturale.
 
1933-1948: la "maniera architettonica" del dramma

Negli anni Trenta Cambellotti prosegue il suo percorso di ricerca: l’ambiente che l’artista intende ricreare sulla scena è l’“architettura spirituale” propria dei testi tragici. La scenografia deve contrarre la distanza storica che separa la contemporaneità dalla narrazione mitica, al fine di instaurare un contatto più immediato tra il pubblico e “le cose eterne ed universali del dramma”. Le scene di questi anni non hanno più nulla di archeologico: sono ambientazioni audacemente antimimetiche – debitrici nel linguaggio formale delle più attuali esperienze dell’architettura e della scenografia modernista, da Craig ad Appia (come dimostra anche la scenografia del 1939 ideata da Pietro Aschieri) – tutte volte a enfatizzare, mediante scalinate e piani inclinati, i movimenti scenici di attori e coro. Luoghi totalmente simbolici, in cui anche la citazione della Porta dei leoni di Micene, realizzata per Orestea 1948, è inserita quasi come un ‘cameo’ in una architettura pienamente contemporanea.
 
1950-1968: sperimentazioni monumentali

La lezione di Cambellotti lascia un segno profondo nell’opera degli scenografi che lavorano a Siracusa dopo la seconda guerra mondiale: in particolare, il rapporto ‘polemico’ con la mimesi naturalistica e con il paesaggio viene mantenuto fino alla fine degli anni ‘60. Tuttavia la grandiosità monumentale delle scene (come per Baccanti e Persiani 1950), la ricreazione in chiave totalmente artificiale di elementi naturali (è il caso di Ecuba 1962), e il gusto per la ripresa di forme architettoniche antiche in versione post-modern (come per Elettra 1968), sono indizi di una sperimentazione che cerca di svincolarsi dalla tradizione scenica degli anni precedenti. Si tratta della ricerca di un linguaggio nuovo che risente, anche nelle ambientazioni, della contemporanea moda cinematografica dello stile peplum, e che giungerà a maturazione solo in un momento successivo.

1970-1980: orizzonti minimalisti

È un orizzonte minimalista ed eccentrico quello che contraddistingue le scenografie proposte nei primi anni ‘70. L’artista che per primo abbatte il fondale scenico e apre lo spazio è Emanuele Luzzati: l’ambientazione che ricrea per Elettra di Sofocle nel 1970 è limitata a soli elementi orizzontali e a un intreccio di praticabili. Per Medea, dopo soli due anni, lo stesso Luzzati realizza invece un complesso e fantasioso agglomerato di materiale metallico. La scena di Tullio Costa per Ifigenia in Aulide nel 1974 segna invece un ritorno la scena verticale con costruzioni solide e strutturate. Giorgio Panni ripropone la scena orizzontale per Le Rane nel 1976: un piano circolare lucido allude alle acque della palude dell’Acheronte. Il solo piano dell’orchestra, scevro da elementi verticali, ma sprofondato in un cratere fumante, è invece la scena per Baccanti realizzata da Vittorio Rossi nel 1980.

1982-2000: natura et ars

La contrapposizione tra natura e artificio diviene una costante nelle scene degli anni ’80 e ‘90. L’inclusione dell’elemento naturale, riaccolto in scena, si alterna all’illusione architettonica che spesso scivola nella citazione. Le scene per Antigone realizzate da Vittorio Rossi nel 1986 si rifanno alla muraglia cambellottiana del 1924. Lorenzo Ghiglia per la messa in scena di Medea di Seneca a Segesta nel 1989 utilizza la struttura architettonica come diaframma che si apre sulla natura retrostante, mentre Enrico Job nel 1996 ricrea un ampio spazio mediterraneo, contrappunto di ulivi, per Medea. Con Luciano Damiani si giunge invece alla jungla metropolitana per ambientare Baccanti nel 1998.

2002-2007: spazi della memoria

Dal 2001 gli spettacoli sono a cadenza annuale e registrano ogni anno diverse accezioni dell’uso spettacolare della scena, legati soprattutto a una lettura dello spazio in chiave storicistica e memoriale. La scena è ampia e ariosa, caratterizzata da elementi evocativi come la monumentale statua di gusto neoclassico nell’allestimento di Margherita Palli per il ronconiano Prometeo Incatenato del 2002. Una massiccia costruzione d’ispirazione ottocentesca viene invece presentata da Bruno Bonincontri per Eumenidi nel 2003. La scena si annulla sino a scomparire nuovamente nel 2004 con l’ampia piattaforma scura, da ‘catastrofe pompeiana’, di Piero Guicciardini per Edipo Re, sino allo spettacolare crollo luminoso ideato da Ferdinand Wögerbauer per Medea diretta da Peter Stein. La carena arrugginita di una nave evoca invece la polis sotto assedio, così come concepita da Jean-Paul Chambas per i Sette a Tebe del 2005.

 

(I documenti e i materiali riprodotti in questo saggio sono conservati presso l'Archivio Fondazione Inda - AFI - di Siracusa)