"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

L’americana scalza. Un inedito di Aby Warburg su Isadora Duncan

Linda Selmin

English abstract
 

Den Abend voher habe ich übringens mit Mayern die Duncan tanzen gesehen; sehr netter Anfang einer Erfrischung der Balletmimik, aber nicht grosses, sondern nur sehr was feines, gesucht anständiges; eigentlich zu anständiges; denn richtig im Stil ist sie wenn sie vergügt wird und wie ein vergnügtes kanninchenfräulerin herumhoppelt: bei den ernsteren sachen revocirt sie sich [?] immer offiziell durch einen schmerzlichen Gesichtausdruck oben ihre neckten Beine da unten. Ausserdem müsste sie doch mit mehreren zusammen mimen, dieses alleinige Herumgerasse gegen Papcoulissen ist doch zu dum.

La sera prima sono andato con Mayern a vedere la Duncan ballare; molto gradevole questo inizio di rinnovamento della mimica del balletto, ma niente di eccezionale, soltanto qualcosa di molto delicato, affettatamente decoroso, davvero troppo decoroso: lei è veramente nella parte quando si diverte e saltella qua e là come una coniglietta: quando interpreta cose più serie appare sempre impostata con un’espressione del viso dolorosa e sotto le sue gambe nude. Inoltre sarebbe meglio che lei danzasse insieme ad altri: il suo agitarsi da sola davanti ai tendaggi è davvero troppo sciocco (WIA, GC, Aby Warburg a Mary Hertz, 17.11.1903).

Aby Warburg invia questa lettera alla moglie nel novembre 1903 dopo aver assistito a una rappresentazione della danzatrice americana Isadora Duncan. Il testo fa parte della corrispondenza privata dello studioso e si presenta come un dattiloscritto, legato a un codice di comunicazione familiare del tutto informale. Perché dunque prendere in esame questo documento?

Già Ernst Gombrich nella Biografia intellettuale prendeva in esame il testo e, implicitamente, sottolineava il valore di questa testimonianza. Gombrich inserisce infatti un rapido accenno al giudizio di Warburg su Isadora Duncan nel capitolo dedicato alle ricerche fiorentine e in particolar modo alla figura della Ninfa e al carteggio con André Jolles; l’autore della Biografia però non specifica che si tratta di una fonte epistolare e non riporta direttamente le parole di Warburg:

I vecchi manuali di comportamento diffidavano le signorine dall’alzare le braccia oltre le spalle e dal sollevare i gomiti: e va da sé che un rapido movimento dei piedi era considerato disdicevole. Perciò, a cavallo del secolo, i settimanali leggeri potevano considerare una ragazza in biciclo o una giovane che giocava a tennis un argomento piacevolmente risqué. Presto, comunque, le ardite esibizioni di Isadora Duncan in abiti fluenti e a piedi scoperti si sarebbero imposte come il manifesto del nuovo codice di comportamento (GOMBRICH [1970, 1983] 2003, 103).

Gombrich collega dunque l’episodio alla temperie sociale e culturale dell’epoca a cavallo fra Otto e Novecento e, relativamente a Warburg, iscrive opportunamente l’episodio nel clima mentale che proprio in quegli anni induceva lo studioso e amico Jolles a progettare un romanzo epistolare sulla Ninfa. Ma per comprendere appieno la reazione di Warburg allo stile di Duncan andranno anche tenuti in conto gli interessi dello studioso e i temi delle sue ricerche.

Isadora Duncan, la danzatrice americana arrivata nel 1900 in Europa, intraprendeva tra il 1902 e il 1903 la sua prima importante tournée in Germania, Francia e Italia scegliendo come luoghi delle sue rappresentazioni – secondo un’intelligente strategia di differenziazione rispetto alle altre ballerine dell’epoca – gallerie d’arte, salotti intellettuali e teatri.

Durante una visita a Firenze la danzatrice rimase a tal punto colpita dalla Primavera di Botticelli che creò una coreografia ispirata a quell’opera, una composizione nella quale lei stessa interpretava varie figure del quadro, ripetendone e rielaborandone i gesti, dal gesto della ninfa Flora al cenno enigmatico di Venere. I programmi degli spettacoli di Duncan fra 1902 e 1903 portano tutti il titolo generico di Tanzidyllen e prevedono come brano di apertura una composizione intitolata Primavera. Tanz nach einem motiv von Sandro Botticelli (Primavera. Danza su un motivo di Sandro Botticelli), indicando come il dipinto rinascimentale avesse un ruolo particolare nella rappresentazione e costituisse la premessa al nuovo stile inaugurato dalla danzatrice.

Considerato il programma che Duncan in quegli anni portava in giro per i teatri d’Europa, è probabile che Warburg abbia assistito proprio a una di queste performance botticelliane. All’epoca infatti la danzatrice riscuoteva notevole successo e aveva già acquisito notevole visibilità: la stampa infatti era in genere molto colpita dalle sue esibizioni, che venivano descritte come un’occasione per avere “un’idea di ciò che gli scultori greci videro così meravigliosamente durante le loro feste” STORK [1903] 1987, p. 24). L’artista portava in scena la sua idea di ritorno dell’antico, in uno stile impostato a una “forte dipendenza dai precedenti classici” (DALY [1994] 1997, p. 15).

Duncan si riprometteva di elevare la danza dalla dimensione di intrattenimento leggero a fatto artistico culturalmente riconosciuto e in questo progetto giocava un ruolo chiave il riferimento ‘colto’ all’antichità greca. Il riferimento alla Grecia è presente nell’arte di Isadora dall’inizio della sua carriera, fin dai primi anni europei, e trova espressione in vari elementi: i costumi, le musiche e il vocabolario gestuale. Nel corso della carriera della danzatrice queste suggestioni si preciseranno e si raffineranno progressivamente, ma nei primi anni erano basate su una conoscenza dell’antichità piuttosto superficiale e parziale: la danzatrice aveva un’idea della ‘Grecia’ del tutto letteraria e fantastica, alimentata in quegli anni dalla lettura de La nascita della tragedia di Nietzsche e da un primo viaggio in Grecia nel 1904 dal quale era tornata con un coro di giovinetti che per qualche tempo la accompagneranno nelle sue tournée.

Duncan affermava di voler restituire al movimento la sua originaria libertà attraverso il ritorno all’arte e in particolar modo alla coreutica dell’antica Grecia, e la scelta di danzare scalza e indossare pepli leggeri corrispondeva a questa istanza. Le immagini e le parole di quei primi anni mettono però in luce l’ingenuità e il dilettantismo interpretativo della danzatrice, che identificava lo stile antico con l’armonico e il grazioso e indicava come modello di armonia un immaginario “Ermes dei Greci rappresentato come se volasse nel vento” (secondo quanto affermato dalla stessa Duncan in una conferenza tenuta in Germania nel 1903 e pubblicata quello stesso anno, sempre in Germania, con il titolo Der Tanz der Zukunft (La danza del futuro): DUNCAN 1903, p. 5).

Possiamo dunque ipotizzare che Warburg, che dieci anni prima aveva discusso la sua tesi di laurea su la Primavera e la Nascita di Venere di Botticelli, si fosse recato allo spettacolo dei Tanzidyllen botticelleschi di Isadora con un certo carico di aspettative.

Nella lettera alla moglie si legge che lo studioso riconosce alla danzatrice il tentativo di rinnovare la mimica del balletto, una notazione che rivela la sensibilità di Warburg e il suo aggiornamento sul dibattito che investiva le teorie coreutiche in quegli anni. D’altra parte il suo giudizio non è certo indulgente nei confronti della danzatrice, ma non si tratta di un giudizio sommario e liquidatorio. Warburg infatti muove critiche molto precise: la danzatrice gli appare scomposta nella leggerezza, ridicola nella serietà, poco sincera nell’assumere un’aria ispirata, fuori luogo per lo sgambettio delle gambe nude. Gli aggettivi usati dallo studioso per descrivere Duncan stigmatizzano un modo stilistico esclusivamente decorativo ed esteriore; quei movimenti “delicati e affettatamente decorosi” e il divertito saltellare simile a quello di una “coniglietta” irritano Warburg.

Il giudizio di Warburg sulla ballerina americana si iscrive perfettamente nelle coordinate teoriche che in quegli anni egli stava affinando, e in particolare nell’analisi delle forme artistiche anche contemporanee in cui, secondo l’ipotesi dello studioso, sono rintracciabili indizi di una permanenza di formule espressive antiche. La permanenza che interessa Warburg non è solo una ripresa formale, mimetica, dell’antico, non è riproduzione letterale e pedante di figure e gesti, ma piuttosto una comprensione tanto profonda di quei gesti e figure da provocarne la riemersione. Nell’analisi dei dipinti botticelliani Warburg si era chiesto quale fosse l’origine e il motivo degli “accessori in movimento” che segnano lo stile rinascimentale, arrivando a comprendere come la scelta di quel tratto da parte di Botticelli fosse motivata da una opzione culturale – la ripresa di modelli anticheggianti – e insieme da una profonda necessità espressiva: la resa del corpo in movimento.

Lo studioso vedeva dunque nei movimenti decorativi e graziosi della danzatrice americana una parodia di quella mimica intensificata che, a partire dalle ricerche su Botticelli e poi nei successivi studi sull’arte rinascimentale, aveva individuato come engramma riemergente dell’antico. Lo spirito del paganesimo, mobile e inquietante, che in quegli stessi anni Warburg aveva scoperto nelle Ninfe ingredienti, appariva ora ridicolizzato nelle movenze affettate della danzatrice scalza. In questo senso anche i riferimenti alla nudità di Isadora che Gombrich interpretava come indizio di una certa rigidità puritana del maestro acquistano tutt’altro significato. La critica pare colpire infatti l’effetto poco credibile che risulta dall’incoerente connubio tra lo sgambettio della ballerina, lo svolazzare dei veli leggeri, e i suoi atteggiamenti ispirati e sublimi.

L’esibizione della nudità pare dunque, nel contesto, non già scandalosa ma risibile, in quanto indice di un atteggiamento superficiale, pura imitazione esteriore di un dettaglio che fa antico, senza una reale comprensione del fatto espressivo. Un diverso giudizio sulla danzatrice ci viene da un’altra lettera conservata presso l’Archivio Warburg; si tratta questa volta di una missiva indirizzata a Warburg da Max Hertz nel 1913:

Daß der nach der Prinzip der Duncan trainierte Körper sich im Ausdruk antiken Formen nähert, liegt in der Natur der Sache. Ein Rückschluss auf Nachahmungen ist vollständig verfehlt. In dem Moment wäre alles Lebendige beim Teufel. Il fatto che il corpo allenato secondo i principi della Duncan si avvicini nell’espressione alle forme antiche è nella natura delle cose. Dedurne che si tratti di imitazioni sarebbe del tutto sbagliato. Se si trattasse di questo, tutta la vitalità se ne andrebbe al diavolo (WIA, GC, Max Hertz ad Aby Warburg, 13.02.1913).

Nel rivolgersi all’amico, Hertz ribadisce la consapevolezza che la teoria espressiva e la ricerca tecnica di Duncan tendessero all’espressione delle forme antiche ma, secondo Hertz, non si tratta di una mera imitazione di quelle forme. Il giudizio positivo è determinato probabilmente dal fatto che nel 1913, quando Hertz la vide, Isadora Duncan esprimeva uno stile più maturo, legato all’antichità con maggiore consapevolezza. Quello che inizialmente era stato per lei solo un espediente per conferire alla danza uno statuto di arte elevata, diventò successivamente una ricerca autentica, che contemplava, accanto allo spirito armonico dell’antico, quell’impeto dionisiaco che Warburg non aveva percepito in lei e che sarà invece uno dei nuclei della riflessione della danzatrice sul senso della danza e della rappresentazione scenica.

  

Dalla lettera di Max Hertz si evince anche che nel circolo di Warburg e dei suoi amici e corrispondenti vi era uno spiccato interesse per le nuove forme della danza, che alimentava una sensibilità raffinata per le teorie e pratiche in voga al tempo.

Nel dibattito culturale del tempo l’interesse per la danza non era affatto marginale o ozioso, in quanto toccava una disciplina artistica all’interno della quale stavano avvenendo numerosi cambiamenti e il cui sviluppo si legava a idee filosofiche, a progressi scientifici e a mode sociali che stavano cambiando la percezione del corpo e delle sue possibilità espressive.

L’interesse di Warburg per l’argomento era inoltre, come si è visto, particolarmente motivato poiché la danza era una disciplina artistica direttamente coinvolta nelle elaborazioni teoriche che lo studioso stava maturando in quegli anni. È questo il periodo, infatti, in cui Warburg lavora intorno al concetto di Pathosformel. L’elaborazione di questa idea, che segna un momento fondamentale delle ricerche di Warburg, risale proprio a quel torno di anni: il termine infatti è utilizzato per la prima volta nel 1905 all’interno del saggio Dürer e l’antichità italiana.

La formula emotiva, come è concepita da Warburg e precisata nel corso degli anni, non è solo un gesto o una posizione, ma un movimento che coinvolge tutto il corpo e che lo investe di un pathos intensamente espressivo. Le formule che lo studioso individua non sono mai semplici situazioni “mimiche” ma gesti di eloquenza più complessa che richiedono un’analisi che consideri insieme l’esito formale e il pathos che lo genera.

Nel periodo in cui assistette all’idillio danzato, Warburg era impegnato nello studio delle permanenze di formule espressive antiche nella gestualità, attraverso il Rinascimento e fino all’età contemporanea, e certo nei movimenti graziosi e decorosi di Duncan, nella sua gestualità enfaticamente mimetica poteva rintracciare la versione caricaturale, non l’essenza dell’antica Pathosformel.

Il frammento epistolare attesta dunque, una volta di più, l’attenzione di Warburg per il contemporaneo e in particolare per le forme artistiche ed espressive generalmente considerate secondarie. La danza, il teatro e le forme intermedie – studiati da Warbug nei suoi saggi – erano probabilmente oggetto di attenzione continua da parte dello studioso. Egli, infatti, nel 1928 ricevette una lettera da parte di Albrecht Knust, coreografo e danzatore in una delle più importanti scuole di Amburgo. Nella missiva Knust spiega a Warburg quali sono i principi della tecnica coreutica da lui utilizzata e li assimila a motivi di danze antiche e rinascimentali che lo stesso Warburg aveva avuto modo di conoscere attraverso lo studio dell’arte e della cultura del Rinascimento italiano.

È più che verosimile, dunque, che Warburg, mentre stava seduto a teatro a vedere le evoluzioni di Isadora Duncan in veste di botticelliana Primavera, non potesse deporre completamente i suoi ‘occhiali’ di studioso ed effettuasse quindi anche su quella espressione artistica contemporanea un riscontro critico (in questo caso negativo) dei modelli teorici e metodologici che contemporaneamente applicava alle sue ricerche sulla permanenza dell’antico.

Bibliografia

DALY [1994] 1997
Ann Daly, Isadora Duncan e la “distinzione della danza”, già in “American Studies” 35, n. 1, 1994; ora in “Teatro e Storia” 19, a. XII, 1997, pp. 11-36 

DUNCAN 1903
Isadora Duncan, Der Tanz der Zukunft, Leipzig 1903 

GOMBRICH [1970, 1983] 2003
Ernst H. Gombrich, Aby Warburg. Una biografia intellettuale, [1970] tr. it. Milano [1983] 2003 (2^ edizione)

STORK [1903] 1987
Karl Stork, Ganz ohne Cancan, [1903] “Tanzdrama” 1, 1987, p. 24

WIA
Warburg Institute Archive
(GC: General Correspondence)

English abstract

Isadora Duncan, the American dancer who arrived in Europe in 1900, undertook her first major tour in Germany, France and Italy between 1902 and 1903. As we can read in a letter the scholar sent to his wife, Warburg attended one of his Botticellian performances. His judgment is certainly not indulgent towards the dancer, but it is not a hurried and liquidatory judgment.

 

keywords | Warburg; Isadora Duncan; Dance; Choreography; Gombrich; Botticelli.

Per citare questo articolo: L. Selmin, L’americana scalza. Un inedito di Aby Warburg su Isadora Duncan, “La Rivista di Engramma” n.34, giugno/luglio 2004, pp. 67-75 | PDF

doi: https://doi.org/10.25432/1826-901X/2004.34.0015