"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

150 | ottobre 2017

9788894840261

Tradizioni, immagini, identità

Alberto Ferlenga

English abstract

Accade per l’identità ciò che accade per la tradizione: che la si scambi erroneamente per qualcosa di necessariamente immobile, da proteggere, conservare e riprodurre nelle forme in cui ci è stata tramandata o come l’abbiamo, ad un tratto, percepita. Ma per l’identità, come per la tradizione, non si può parlare di stati di fissità bensì, piuttosto, di percorsi mutevoli e articolati, che, proprio dal loro continuo mutare e sdoppiarsi, traggono l’essenza della loro natura e le ragioni della loro utilità le quali risulterebbero, al contrario, falsate da una permanenza eccessiva in forme costrette a una innaturale immobilità.

Per entrambe – identità e tradizione – piuttosto che di andamenti unici e lineari, si dovrebbe parlare, come ha scritto Dimitris Pikionis, di presenze multiple e discontinue, legate talvolta da relazioni di dipendenza ma più spesso contrapposte. Di tradizioni, cioè, che sono contemporaneamente in azione, e di identità che si intersecano e non di rado risultano in contrasto tra loro. Si dovrebbe, poi, considerare sia l’esistenza di tradizioni comuni ad ogni luogo e ad ogni tempo – quelle costruttive, ad esempio – sia delle loro variegate articolazioni in tempi e luoghi specifici così come l’esistenza di identità globali e di identità locali che convivono intrecciandosi – ad esempio nelle città.

Accade anche, di frequente, che si considerino immagine e identità come sinonimi, espressioni sovrapponibili del lato visibile delle cose. Ma l’immagine, ad esempio l’immagine ambientale, come nota Kevin Lynch (The Image of the City, 1960): "[...] è il risultato di un processo reciproco tra l’osservatore e il suo ambiente". In altre parole, l'immagine tende ad assumere, nella maggior parte dei casi, un valore soggettivo anche se non è detto che questo accada. L’identità, invece, i cui percorsi di formazione affondano nel tempo le loro radici e sono il frutto di lunghi processi di sedimentazione, comporta sempre il progressivo affermarsi di forme di condivisione. Condivisione a cui è legato, a sua volta, il manifestarsi di una riconoscibilità oggettiva che rende possibile, nel caso di un paesaggio o di un centro abitato, la messa in evidenza di quei caratteri distintivi che li contraddistinguono, e che costituiscono per qualunque luogo il più importante dei patrimoni. Caratteri, che, pur modificandosi, alimentano una presenza insopprimibile in grado di resistere anche alle trasformazioni più radicali.

Si può tralasciare, qui, il discorso sulla tradizione, frequente oggetto, in campo architettonico, di considerazioni importanti contenute negli scritti di architetti del '900 come Theodor Fischer, Dimitris Pikionis, Hassan Fathy e molti altri, il cui pensiero non è così noto come meriterebbe. Più interessante, invece, è rivolgere l’attenzione verso quegli aspetti che riguardano il nodo immagine-identità, nell’ambito specifico della costruzione fisica dell’ambiente dal momento che esso ha assunto, nella nostra epoca, un peso fondamentale, specie se lo si considera in relazione a fenomeni di attualità come il degrado ambientale, il turismo invasivo o la competizione tra città.

Prepotenza delle immagini e degrado delle identità: in questa epoca, che ha attribuito alle immagini un posto di primo piano e che lamenta costantemente l’affievolirsi delle molteplici identità che riguardano la vita dell’uomo, sembrerebbe di poter rilevare un diretto rapporto tra il rafforzarsi delle une e il disperdersi delle altre. In realtà le cose non stanno sempre così, essendo i due aspetti uniti da molti legami al punto che anche il dilagare delle immagini costituisce una delle manifestazioni più evidenti dell’identità contemporanea in ogni settore. Ci sono, però, conseguenze evidenti di questo rapporto che riguardano alcuni ambiti – l’architettura, la città, il paesaggio – in cui il progressivo crescere dell’importanza delle immagini incide negativamente sulla fitta trama di rapporti che tradizionalmente determinano identità.

Conseguenze che influiscono direttamente sul modo in cui si riproducono le forme e i valori che determinano l’ambiente fisico in cui si svolge la vita umana, e sul modo attraverso cui si afferma l’appropriazione e il riconoscimento di un luogo da parte di chi lo abita o lo frequenta – vale a dire su come si manifesta la qualità dei luoghi in cui viviamo e su come essa viene percepita.

I processi che portano alla formazione di valori universalmente riconoscibili – la rinomanza di un paesaggio, il carattere di una città, l’importanza di un edificio – hanno generalmente bisogno di tempi lunghi e di condizioni particolari per affermarsi. È in questi tempi e in queste condizioni che anche le specifiche forme di un’architettura, di un settore urbano o di una porzione di territorio trovano – come parti di insiemi fisici, culturali e sociali – il loro radicamento e la loro accettazione collettiva. L’accentuarsi del peso dell’immagine e il suo rendersi autonoma da qualsiasi altra relazione incide profondamente in questo meccanismo, modificando tempi e modalità di questa, come di altre, costruzioni identitarie.

La modifica più evidente riguarda l’indebolimento di quella rete di rapporti, consolidatisi nei secoli, che hanno contribuito a legare l’idea stessa di identità a variegati fattori o luoghi variamente connessi tra loro. Quando ogni significato tende a concentrarsi alla superficie, là dove è più facile coglierlo e dove sembra che esso possa coincidere con un’unica immagine, è inevitabile che relazioni non più sollecitate, rispetto alla loro tradizionale capacità di produrre identità, e sostituite in questo stesso ruolo da espedienti di più rapido consumo – le immagini, appunto – perdano progressivamente la loro evidenza e la loro necessità.

Si determina, così, uno spostamento d’asse e di importanza nel formarsi dell’identità: un insieme di azioni collegate, viene, a poco a poco, sostituito da pochi eventi appariscenti e sostanzialmente isolati. Ma è ancora Lynch a ricordare come, considerando l’ambiente fisico, non sia mai possibile parlare della presenza di eventi isolati dal momento che il modo stesso in cui esso si riproduce rende inevitabile la creazione di legami e interazioni tra tutto ciò che contribuisce a dargli forma, non fosse altro per il ruolo connettivo costantemente esercitato da chi vive al suo interno.

Tornando alla natura dell’identità, per come sino ad oggi si è determinata negli ambiti cui ci si riferisce, si può affermare che essa è il frutto dei movimenti incessanti che si sviluppano lungo una trama di percorrenze per lo più invisibili che si sovrappongono a quelle palesi, seguendo traiettorie di varia estensione spaziale e temporale. È a questa somma di percorsi, non sempre evidenti, perché per lo più fatti di idee, di modelli, di convenzioni, che si deve la trasformazione di un territorio in un paesaggio – ovvero di un frammento di natura che, come molti altri, precipita in un concentrato di qualità e di valori legati da nessi inestricabili con la vita di chi ci vive o ci ha vissuto – in un borgo o in una città – cioè di un semplice assemblaggio di luoghi di residenza o commercio, nella più geniale macchina di moltiplicazione di simboli e significati che l’uomo abbia mai saputo inventare.

Lungo questi tragitti scorrono i processi evolutivi, transitano senza sosta, significati, rappresentazioni, impressioni nel loro rimbalzare continuo da edificio a edificio, da spazio a spazio. La loro esistenza è garanzia della sopravvivenza di un luogo e il movimento che la anima coinvolge fatti fisici, eventi naturali, idee. Quando questo movimento perde forza, quando scompaiono le tracce evidenti della sua presenza o si oscurano i legami tra l’immateriale e il materiale, anche ciò che appartiene al mondo visibile si indebolisce nella sua capacità di riverberare valori attorno a sé, pur amplificando, talvolta a dismisura, l’evidenza della propria immagine.

È dunque, in fondo, la diversa intensità ed evidenza di un movimento a definire la differenza tra un’identità complessa e una basata esclusivamente su immagini; mentre la prima, infatti, non può che nutrirsi del moto delle sue componenti e dell’intensità delle sue relazioni, la seconda tende a riprodurre se stessa in un sistema sostanzialmente statico, autoreferenziale e potenzialmente autodistruttivo. Ne costituisce una prova, in campo urbano, ciò che accade in luoghi storici coinvolti nel circuito del turismo planetario: da Venezia a Granada, da Nimes a Cuzco, a molte altre città del mondo, quando un’identità articolata e composita lascia il posto a un’altra basata sulla ripetizione di immagini tendenti a riconfermare – e a vendere – se stesse, senza variazioni che possano turbare convinzioni universalmente acquisite.

Se questo fenomeno ha una storia già lunga e provoca effetti negativi evidenti anche attraverso pratiche di conservazione e di uso distorte di luoghi appartenenti al patrimonio dell’umanità, più recente è il caso di altre città, meno favorite dalla storia, che hanno delegato a 'monumenti contemporanei' il compito di rappresentarle. Da Sidney a Bilbao ciò ha comportato il passaggio da un’identità articolata ma ritenuta debole per ragioni diverse, alla sua sostituzione con l’immagine di un unico edificio – l’Opera House di Utzon o il Gugghenheim di Gehry – che, assurgendo al ruolo di icona assoluta, assicura visibilità e ruolo mondiali. In entrambi i casi, messo in ombra il movimento continuo che fa evolvere le città e la loro stessa complessità, si concentra l’attenzione su pochi eventi, appartenenti al passato o alla contemporaneità; ci si affida alla diffusione invariata di parti della propria immagine per consolidare o affermare la propria presenza nel mondo. Conseguenze nefaste e vantaggi immediati di queste scelte sono evidenti; meno evidenti sono, forse, i rischi a lungo raggio insiti in una metamorfosi dell’identità da processo a maschera.

Dunque, pur trattandosi di una delle manifestazioni più evidenti del mondo contemporaneo e quindi, in qualche misura, anche della sua identità, il prevalere dell’immagine sulle altre componenti che determinano la specificità di un luogo o di un edificio o di un territorio è quantomeno il segnale, e non di rado la causa, del progressivo rallentamento di quell'indispensabile movimento, di quella coazione tra molti fatti, che dà profondità e senso alle cose.

Dei percorsi interrotti, delle relazioni spezzate rimane però costantemente traccia e questa sorta di memoria involontaria rappresenta una delle specificità che ogni luogo possiede e che lo rende diverso da altri. Malgrado le immagini influenzino ogni impressione, le scie di tali percorsi non si disperdono mai del tutto ma lasciano indizi evidenti della loro esistenza. Può trattarsi di presenze più volatili, come quelle che legano un’architettura a chi ne fa uso, o di presenze più stabili, come quelle determinate dalle responsabilità e dai ruoli assunti da edifici nei confronti dei contesti in cui sorgono. Ma la loro esistenza è un dato ineliminabile.

In sostanza, con il prevalere delle immagini sui processi identitari più complessi si determina il formarsi di una sorta di doppia anima che riguarda i fenomeni fisici di cui ci stiamo occupando, e che li accompagna fino a che un intervento, un progetto, un piano non rimetta in contatto mondi separati, riaccendendo la scintilla delle mutazioni benefiche che presiedono al progresso dei luoghi.

Se immagini assolute e identità complesse partecipano, dunque, in ogni caso insieme, anche se con diversi gradi di evidenza, alla costruzione dell’ambiente fisico, l’equilibrio, la distanza o il rapporto che si determina tra di loro hanno un ruolo determinante nell’affermarsi o meno di qualità e differenze. E la consapevolezza di questo processo dovrebbe essere patrimonio di chiunque si occupi di questo tipo di trasformazioni.

English abstract

“Identity” as well as “Tradition” are wrongly misunderstood as necessarily immobile; to be protected, preserved and reproduced in the same forms they have been handed down to us. In neither case, "identity" or "tradition", should one refer to states of fixity, but, rather, to changing and articulated paths, which, from continuous mutations and switchings, draw the essence of their nature. On the contrary, excessive permanence of forms forced into unnatural immobility, misrepresents their most intimate raison d'être. Neither identity nor tradition are qualifiable in unique and linear paths; rather, they consist of multiple and discontinuous behaviours, operating simultaneously, intertwining or at variance with each other.

The prevalence of the image over other components that determine the specificity of a place – or building or territory –causes a progressive slowdown of that indispensable movement, of the collaboration between many factors, which give everything depth and meaning. However, we can grasp some traces of those interrupted paths, of those broken relationships: they never entirely vanish. This kind of involuntary memory is one of the properties that every site has within itself, and makes it unlike any other.

keywords | Identity; Tradition; Images.

Per citare questo  articolo / To cite this article: A. Ferlenga, Tradizioni, immagini, identità, “La rivista di Engramma” n. 150 vol. 1, ottobre 2017, pp. 571-576 | PDF

doi: https://doi.org/10.25432/1826-901X/2017.150.0041