"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

150 | ottobre 2017

9788894840261

La sopravvivenza della tradizione classica nella geografia medievale

Alessandro Scafi

English Abstract

Dèi, miti ed eroi che già nell’antichità classica avevano vissuto una varietà di stagioni, nelle epoche successive sono stati ravvivati in forme nuove e in contesti diversi. Con il suo celebre studio su La sopravvivenza degli antichi dei, Jean Seznec ha dimostrato che non è vero che dopo l’antichità dèi e semidèi siano caduti nell’oblio e che solo nel Rinascimento essi siano, appunto, rinati (Seznec 1981). Per Seznec non si è trattato di un’improvvisa rinascita rinascimentale, ma di una prolungata sopravvivenza medievale. Secondo la sua ricostruzione, gli dèi antichi e i miti classici sono sopravvissuti durante il Medioevo cristiano, ovviamente in forme diverse dal loro aspetto originario. I personaggi mitologici erano appena riconoscibili come tali, in alcuni casi trasmessi in Occidente sfigurati, attraverso la mediazione araba, ispirata a tipi babilonesi; per esempio Perseo poteva portare la testa di un demone barbuto al posto di quella della Medusa, come appare in un manoscritto arabo duecentesco; oppure Giove come dio planetario poteva essere rappresentato come un monaco (come fece negli anni Quaranta del Trecento Andrea Pisano, per esempio, nel Campanile di Santa Maria del Fiore a Firenze) (Seznec [1940]1981, 181, 184-85 e Fig. 60 e 63). I vari modi in cui, durante il Medioevo, erano interpretati gli dèi antichi, si possono dividere secondo Seznec in quattro cosiddette tradizioni: la tradizione storica, per cui gli autori cristiani adottavano l’idea (evemeristica) che gli dèi dell’antichità non erano che uomini divinizzati dai loro contemporanei; la tradizione fisica, che perpetuava il riferimento agli dèi antichi riferendo le loro caratteristiche ai corpi celesti; la tradizione morale o allegorica per la quale gli dèi dell’antichità potevano divenire allegorie di qualità morali. La tradizione enciclopedica combinava le precedenti tre.

Con questa nota ribadisco la mia proposta di aggiungere alle varie tradizioni indicate da Jean Seznec come veicoli di sopravvivenza delle antiche divinità nel contesto cristiano la tradizione geografica (Scafi 2014). Riferimenti alla mitologia classica sono infatti sopravvissuti nel Medioevo cristiano nella definizione cartografica dei luoghi. In molti mappamondi medievali troviamo vestigia dell’eredità culturale del mondo classico, visto che le storie e le geografie dei Greci e dei Romani continuavano a ispirare i cartografi. Troviamo segnate sulle carte del Medioevo città come l’antica Troia in Asia Minore e Leptis Magna e Cartagine in Nord Africa, mentre sono tracciati i confini delle province dell’impero romano, come la Gallia, la Germania, l’Acaia, la Macedonia; segnati sono anche il Giardino delle Esperidi, le Isole Fortunate, l’oracolo di Apollo a Delfi (spesso situato, erroneamente, nell’isola di Delo), il labirinto di Minosse a Creta, gli accampamenti e le imprese di Alessandro Magno (Scafi 2007, 77-78 e 105-106).

1 | Hans Sebald Beham, Gaditanas Columnas statuit Hercules, 1545.

Consideriamo per esempio come il mito di Ercole sia sopravvissuto durante il Medioevo cristiano in forma cartografica. Ercole ha avuto una brillante carriera nell’arte e nel pensiero cristiano: Ercole nel Giardino delle Esperidi è stato associato ad Adamo nel Giardino dell’Eden; Ercole è stato paragonato a vari personaggi biblici, a Sansone per esempio, e ovviamente a Cristo, per quanto riguarda l’episodio della Discesa agli Inferi (vedi, per esempio, Simon 1955; Jung 1966; Orgel 1984, 25-47; Nees 1991; Mastrocinque (a cura di) 1993; Kray e Oettermann (a cura di) 1994). Ma un aspetto di questa fortuna che finora non è stato considerato con la dovuta attenzione è proprio il posto dell’eroe greco nella cartografia medievale. Ci sono personaggi mitologici ‘semplici’ come Narciso o Sisifo, resi celebri da un solo mito, e personaggi mitologici più complessi come Orfeo e Ulisse, che figurano in vari miti e presentano spesso un carattere complicato e versatile. Un autore, un artista, nel nostro caso, un cartografo, generalmente sceglie tra tutte le possibilità che gli si presentano. Raramente riesce a servirsi di tutte le caratteristiche del personaggio mitologico complesso. Secondo Karl Galinski Ercole è un eroe complesso. Ercole è l’eroe delle dodici fatiche, di tante altre avventure, di vari amori (Galinsky 1972). Un singolo aspetto della sua vicenda eroica e semidivina è stato ravvivato, e trasformato, dai cartografi del Medioevo cristiano: l’imposizione delle Colonne d’Ercole, limite estremo del Mediterraneo greco-romano [Fig.1, Fig.2, Fig.3].

2 | Carta del mondo anglo-sassone o cottoniana, Canterbury, Inghilterra, c. 1025—50. Londra, British Library, Cotton ms. Tiberius B. V., fol. 56v, dettaglio con le Colonne d’Ercole.

Le Colonne che l’eroe pagano divinizzato aveva posto all’imboccatura del Mediterraneo per segnare i limiti del mondo umano sono divenuti il riferimento cristiano all’incontro finale e definitivo dell’umanità con Dio perché annunciavano la pienezza dei tempi, segnando l’ultimo limite degli spazi. A differenza delle nostre carte moderne che offrono della terra una semplice riproduzione statica e geografica, i mappamondi medievali associavano il luogo all’evento, inserendo una dimensione dinamica e temporale e trasformando la geografia in teatro della storia, la proiezione spaziale in una modalità dello sviluppo temporale (Brincken 1968; Woodward 1985; Edson 1997; 1999; Scafi 2007). La presenza di un toponimo a ricordo di una delle imprese di questa figura mitologica alludeva sui mappamondi medievali all’imminente fine della storia.

3 | Carta del mondo dal Polychronicon di Ranulf Higden, Ramsey, Inghilterra, c. 1350. Londra, British Library, Royal ms. 14.C.IX, fols 1v—2r, dettaglio con le Colonne d’Ercole.

L’idea di una geografia come estensione spaziale della storia è stata spiegata nel XII secolo da un autore che gli storici considerano importante per lo sviluppo della cartografia medievale, Ugo da San Vittore (Gautier-Dalché 1988, 81-86; Lecoq 1989). Il teologo medievale scriveva che Dio, creatore e redentore del mondo, operava per ripristinare l’umanità nella sua perfezione secondo un piano sviluppato nel tempo e distribuito nello spazio, con una sequenza di avvenimenti storici ordinati geograficamente. Ugo sviluppava l’idea tradizionale di un processo preordinato di trasferimento del potere imperiale (translatio imperii) e dell’eccellenza culturale (translatio studii) che, ripercorrendo il corso quotidiano del sole, andava da oriente verso occidente, attraverso l’Assiria, la Macedonia, Cartagine e Roma, nei termini più espliciti di una ‘teologia della geo-storia’. Secondo Ugo il tempo storico era cominciato in oriente, dove si trovava il paradiso terrestre, e il baricentro della storia, cioè l’importanza degli eventi da un punto di vista globale, stava procedendo da oriente verso occidente ((Ugo da San Vittore, De Archa Noe, IV.9, 111-112; Gautier Dalché 1988, 109-111). L’inizio del tempo era in oriente e la sua fine in occidente: il fatto che il corso della storia fosse giunto alla fine del mundus (del mondo nella sua estensione spaziale), significava che sarebbe presto finito anche il saeculum (il mondo nel suo sviluppo temporale).

L’idea di una progressione storica da oriente a occidente è centrale nella costruzione e nella concezione dei mappamondi medievali, che raffiguravano il paradiso terrestre nel margine orientale dell’Asia (a segnare l’inizio del tempo) e mostravano i luoghi più importanti dove Dio era intervenuto nel corso della storia umana, secondo un percorso che dal suo margine orientale conduceva a Gerusalemme, al centro della carta, e al Mar Mediterraneo, attraverso le sei età del mondo (da Adamo a Cristo) e i quattro imperi universali (dai primi regni nelle regioni orientali fino all’impero romano). Gerusalemme, l’ombelico del mondo, segnava la fine della quinta età e l’inizio della sesta, la fase presente e finale della storia, il tempo dell’attesa, che dunque coincideva con il bacino del Mediterraneo. Nella parte più bassa della carta lo Stretto di Gibilterra e le Colonne d’Ercole, che segnavano il confine geografico dell’estremità occidentale del mondo, di quel mondo indicavano anche la fine imminente.

Riferimenti bibliografici
English abstract

According to Jean Seznec, the ancient gods survived through the Christian Middle Ages as historical figures transformed into gods, as symbols of cosmic forces, as allegories. This paper suggests the importance of the geographical tradition for this survival. Because of the continued influence of Graeco-Roman geographies and histories on medieval learning, world maps of the period included several references to classical lore. On medieval mappae mundi there are Roman settlements, the boundary lines of Roman provinces like Gallia, Germania, Achaea and Macedonia, or towns such as ancient Troy in Asia Minor, and Leptis Magna and Carthage in North Africa. A case in point is the myth of Hercules, recorded in classical sources, which had a Christian afterlife in medieval cartography.

keywords | Medieval cartography; Geographical tradition; Classical tradition. 

Per citare questo articolo / To cite this article: A. Scafi, La sopravvivenza della tradizione classica nella geografia medievale, “La rivista di Engramma” n. 150 vol. 2, ottobre 2017, pp. 407-412 | PDF

doi: https://doi.org/10.25432/1826-901X/2017.150.0078