"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

152 | gennaio 2018

9788894840308

Romeo e Giulietta d’après. Diario sull’osservare la danza, i corpi sfocati e il viaggio

A proposito di: Roberto Zappalà, Romeo e Giulietta 1.1 la sfocatura dei corpi

Stefano Tomassini

English abstract
Presentazione del libro con estratto dal testo

1 | Romeo e Giulietta d’aprés (2017).

Questo libro nasce come una vera e propria ricerca sul campo. Grazie alla possibilità di una residenza di studio presso Scenario Pubblico - Centro Nazionale di Produzione della Danza di Catania, tra luglio e agosto del 2016, l’autore ha potuto assistere al processo di ricostruzione di una coreografia di Roberto Zappalà, Romeo e Giulietta 1.1 la sfocatura dei corpi, dieci anni dopo il suo primo debutto. Ma lo scorrere del tempo non è mai neutrale, e quel difficile passaggio ha richiesto uno spostamento non solo ai processi di creazione del coreografo e ai corpi dei nuovi interpreti, ma anche agli strumenti, allo sguardo, al pensiero, financo al senso della presenza stessa del testimone.

Il libro contiene un dvd con entrambe le versioni, alcune riflessioni preliminari sul mestiere dell’osservare la danza, il diario “di esplorazione” dei primi giorni di prove del riallestimento della coreografia, un denso close reading delle due versioni poste in parallelo (2006 e 2016), e un’analisi conclusiva sulla vitalità di questo titolo shakesperiano in àmbito coreografico, nonché sul merito di questa versione. Ma niente di tutto ciò è rimasto tale e quale nel lavoro testimoniale del tempo produttivo. Così, le riflessioni sulla pratica e la ricerca sul campo hanno assunto il tono della confessione, il diario si è scritto in molte forme, secondo i diversi progetti di scrittura, e il commento con l’analisi hanno di gran lunga mancato i limiti dell’episteme.

Cosa, dunque, alla fine, è successo? In barba a ogni logica o ideologia ricostruttiva, a ogni politica del rifacimento, e a ogni economia restaurativa in danza, è risultato che la seconda versione della coreografia non ha potuto che essere la decostruzione della prima. Nel campo di un processo interpretativo del passato, dunque, quasi tutti gli schemi di gioco sono cambiati. Ma non in perdita. In termini, invece, più felicemente affermativi.

Il testo è edito per i tipi di Malcor D’, Catania 2017 (con DVD, collana ScenarioDanza, ISBN 9788897909422).

ESTRATTO

II. diario

Per distinguere una luce occorre sempre un’altra luce.
Quando si è completamente al buio e appare un punto di luce non è assolutamente possibile discernere l’origine della luce,
perché al buio non si può determinare nessun rapporto di spazio.
(Soeren Kierkegaard, Diario, 15 aprile 1834)

[fieldwork] Roberto Zappalà un giorno me ne ha parlato e subito ho deciso che avrei voluto esserci. Già dal primo momento. Sorvegliare la ripresa di una coreografia del passato fin dal primo istante delle prove in studio: il lavoro a tavolino con gli interpreti, se previsto. Fin dalle prime parole sulla pianificazione del disegno e del lavoro di ricreazione [1]. Confesso tutta la mia indifferenza per il mercato che si è imposto in questi ultimi anni sul rifacimento di una parte del repertorio della danza contemporanea italiana, a partire dagli anni 80 del secolo scorso: operazione di recupero culturale, e non lo credo, ma soprattutto fragile prodotto per un mercato senza identità storica né capacità di sistema [2]. Occorrerebbe un po’ più di sobrietà nel trattare coi cadaveri.

Odio le ricostruzioni e i miti che vi si costruiscono attorno, ed ecco che incomincio a testimoniarne una. Anche in tutta l’ambiguità e illusorietà di questo ruolo di testimone: ogni sguardo modella l’esperienza, e secondo precise esigenze formali che alla fine determinano la concettualizzazione dell’oggetto [3]. Il mio atto interpretativo credo sarà soprattutto quello di un testimone oculare: nessuna violenza dell’archivio né egemonia della scrittura presiederà il mio resoconto. Piuttosto, cercherò di interrogare l’archivio nelle sue intenzioni materiali: il futuro anteriore che decide del suo senso, e della sua esistenza, come ricordato da Derrida [4]. Per “essere trascinati entro un movimento fatto in parte di oblio e in parte di slancio verso l’avvenire”, come scrive Nancy [5]. Spero risulterà soprattutto come un corpo di tracce scritte, e che ha come progetto quello di volgere le immagini in parole [6]. Per promuovere una riflessione critica, sia su ciò che consideriamo passato e sia sui mezzi che utilizziamo per attingerlo. Tutto qui. Nella stessa situazione, ciò che qui a me è parso, a un altro parrà forse un’altra cosa.

Viceversa, questa di Roberto Zappalà, mi è sembrata la più giusta occasione per capire meglio di che si trattava: per osservare, direttamente sul campo, il ritorno di ciò che è già stato [7]. Per scrutare il mutarsi delle intenzioni del coreografo. I pudori dei corpi che apprendono, le resistenze esecutive nei confronti di ciò che è già stato interpretato. Insomma, il senso più spoglio e scoperto del rifare una coreografia.

Liberamente. Senza obbligo di scrittura: questi erano i patti. Una residenza di studio, ospite della Compagnia Zappalà Danza a Catania, con una modalità di restituzione casomai da negoziare al termine dell’esperienza. Tutto è avvenuto davvero così, nel modo più franco e immediato. Roberto è uomo d’istinto, non di contrattazione.

[presente singolare] Il progetto che si avvia con questo rifacimento è quello di creare una vera e propria antologia di lavori del passato della Compagnia Zappalà Danza che per il coreografo non meritano l’oblio. Il termine antologia (dal greco ἄνϑος ‘fiore’ e λέγω ‘raccolgo’; in latino: florilegium) contiene due differenti ipotesi di azione che concorrono alla stessa risoluzione dinamica: quella contemplativa, del fiore e del giardino, e quella attiva, del raccogliere e del riunire. Si tratta di una stretta su ciò che c’è di più bello, per avvolgerlo in una nuova unità capace di trascendere ogni autonomia o completezza, ogni individualità. A favore di uno spazio dell’accumulo e dell’ospitalità. Parziale e ospitale è, dunque, ogni antologia. Mai neutrale. E la cui legittimità è data non dall’ingenuo riconoscimento di ciò che ritorna e che di nuovo si afferma. Ma dalla fatale necessità di ciò che in essa è, invece, per sempre sparito. Non c’è più. Non c’è mai entrato, non incluso, non compreso. Un’antologia è tale anche per le sue sparizioni. Il lavoro sull’archivio vivente di un repertorio di danza, allora, nelle forme di una antologia delle sparizioni non coincide con una rivendicazione del passato, né con la pretesa della detenzione della sua interpretazione. Una antologia di danza non si inscrive nella presunta verità della storia cui fa appello. Si tratta invece più di una supplica, di una esposizione (se non proprio di un esposto) che non è ingiunzione o comando imperativo, ma soltanto incessante interrogazione su ciò che dal passato più affiora e che può essere ancóra trattenuto e fermato e trasformato, sempre in una tensione etica della responsabilità. È il presente che si sta negoziando: i gesti e le azioni conservano i loro valori come figure di spettri. Più precisamente, si tratta allora della responsabilità di dare finalmente corpo a un desiderio di costruzione della propria memoria.

Il primo titolo del suo repertorio che Roberto Zappalà ha voluto per questo progetto antologico è Romeo e Giulietta (la sfocatura dei corpi) del 2006 [8]. Si tratta di un duo. Lei e lui. Nessuna voluta trasgressione, poiché è già nel testo di Shakespeare la volontà di idealizzare e ironizzare simultaneamente sul romantico amore eterosessuale dei due adolescenti [9]. Soltanto loro, dunque. L’indicazione, almeno dal punto di vista coreografico, anche di un luogo comune. La storia tragica dei due amanti ricorre in danza in modo addirittura esemplare se pensiamo alla disponibilità formale del passo a due, scuola del partnering e arte della coppia per eccellenza. Anton Dolin non esitava a considerare tale arte, “a mystic business” [10]. Nel duo di Zappalà, la differenza di genere è inscritta più come una virtù estetica piuttosto che politica: l’amore qui è un progetto di conflitto che si inscrive nei corpi a partire dall’indefinito temporale, dalla distanza spaziale, dal fuori-fuoco della visione. Nel suo reading di questo play shakespeariano, Jacques Derrida scrive che “Romeo e Giulietta è la messa in scena di tutti i duelli/duali” perché l’unica certezza assoluta «è il fatto che l’uno deve morire prima dell’altro”; il ripetuto contrattempo (la lettera, il veleno etc.) che produce tale certezza “è l’anacronia esemplare, l’impossibilità essenziale di qualsiasi sincronizzazione assoluta” [11]. Ma quella della sincronizzazione della coppia, in danza, è luogo comune frequente in termini anche più genericamente tematici, come, per un esempio fra i tanti possibili, quasi sempre nei balletti di Balanchine: “the man and woman face the world—separete but joined” [12]. La coppia come messa in scena di un duello (“Ogni amante è guerrier”) è speculare all’idea dello scontro perpetuo che si instaura tra la copia e il suo modello: amare come rifare comporta sempre un sacrificio, una perdita. Non è che si tratta solo di questo. Ma che intanto si deve partire proprio da qui.

Nel 2006, gli interpreti erano Daniela Bendini e Wei Meng Poon. La sfocatura del sottotitolo era qui letteralmente messa in scena con pareti in plastica trasparente che chiudevano un largo rettangolo, interno al perimetro del palcoscenico, mentre quest’ultimo era posizionato tra due tribune disposte, quindi, una di fronte all’altra. La contrapposizione delle due famiglie era qui intensificata dal complesso impianto visivo, e spazializzata attraverso questo dispositivo di natura metateatrale. I due interpreti incarnavano perfettamente questa situazione ibrida da smisurato acquario che poi viene giù, improvvisamente, e inonda le coscienze degli astanti. Come se la sfocatura fosse soprattutto una questione interiore, e che sotto la pelle, oltre questo margine della contrapposizione fra le due famiglie, qui dunque fra le due tribune di pubblico, vi fosse potenzialmente un conflitto culturale ben più radicale. Conflitto che investe il rapporto tra il dentro e il fuori, tra ciò che è incluso e ciò che è, invece, escluso. Il problema dell’istituzione, della norma, della legge. La scelta di questo Romeo dai lineamenti asiatici in fondo intensificava la scelta di mezzo, il continuo processo d’ibridazione, prima di tutto spaziale, di ciò che invece pretenderebbe di essere percepito come definitivo, dunque normativo; penso a qualcosa di analogo, per esempio, alla Maria Vergine mulatta di Angelin Preljocaj (Annonciation, 1995) o al Cristo africano di Alain Platel (Pitié, 2009), ma ancóra la Juliet asiatica di Mark Morris (2008) o il Romeo latino nella recente versione di Mats Ek (2013). I caratteri, in questa prima edizione di Romeo e Giulietta coreografati da Zappalà, dunque, erano rafforzati da una conclamata incompiutezza e inadeguatezza rispetto allo stereotipo rappresentato dall’istituzione (famiglia, parenti, matrimonio, etc.), e che rivendicava attenzione.

Per la ripresa della coreografia, Roberto Zappalà ha previsto oggi un doppio cast. Alle prove i quattro nuovi interpreti sono sempre presenti. Maud de la Purification in coppia con il francese Antoine Roux-Briffaud, corpi dalle linee lunghe e marcate, danzeranno per primi al nuovo debutto previsto al Festival Orizzonti di Chiusi. Gaetano Montecassino con Valeria Zampardi, più minuti ma entrambi con una forte presenza espressiva, vi si alterneranno nel tempo della tournée. Coppie estremamente diverse: per dinamiche ritmiche, economie delle energie, forze della presenza, etc. Nessuna trasparenza né reversibilità coreografica potrà dunque omologare le due interpretazioni, perché si tratta di due cast diversi, e complementari. Bisognerà vederli entrambi.

Il diario delle prove e del debutto, rivelatosi doppio, con frammisto qualche nota di viaggio, che ho steso secondo non uniformi progetti di scrittura (di ricerca, di formazione, di esplorazione, etc.), privilegia esclusivamente il campo di ricerca prescelto. È centrato prevalentemente sull’oggetto che lo giustifica. Per questo è limitato al tempo strettamente necessario allo studio dell’oggetto in questione negli attuali tempi di produzione della danza. Nessun intimismo è stato volutamente programmato in questo mio diario, già da subito steso nella tensione di essere reso pubblico, ed essere letto, considerato, magari condiviso, oppure disapprovato, frainteso anche biasimato. Tuttavia, quando ho creduto di dover ripiegare, ritrarmi per riflettere su ciò che vedevo, l’ho fatto senza esitare. In fondo, l’idea più scoperta, senz’altro esile ma schietta, di questo strumento che sto costruendo “è di realizzare una storia del presente, a partire da una singolarità” [13].

Ciò che non ho scritto, vuol dire che non si è fermato. Date, giorni e numeri non sono per me, nell’economia di questi appunti, importanti: non ho utilizzato nessuna terminologia convenzionale per fermare il tempo e lo spazio a cui ho preferito invece il flusso sempre aperto e disgiunto, l’effetto di enumerazione continua e di coordinamento infinito delle relazioni, flusso garantito quasi sempre dal punto e virgola. E per non far prendere mai fiato al lettore, soprattutto. Nel suo saggio sul play di Shakespeare, Jacques Derrida spiega molto bene la natura di questa trappola dei calendari: quella del contrattempo [14].

Nessun contrattempo con il lettore, allora: la pratica della lettura può avere il suo corso, e spero che qualche trappola potrà essere disinnescata. Sebbene, confesso, avrei voluto scrivere un diario più arido, senza alcuna narrazione né familiarità, magari più affrettato e sciatto, malfatto, quasi senza contenuto, per non condividere né convincere alcuno delle mie emozioni. Avrei voluto accontentarmi di viverle.

Note

1 Anche la bibliografia sulla questione è ormai importante: per una impostazione storica e teorica si vd. almeno i saggi in Preservation Politics. Dance Revived Reconstructed Remade, a c. di Stephanie Jordan, London 2000, e in Recréer/Scripter. Mémoires et transmissions des œuvres performatives et chorégraphiques contemporaines, a c. di A. Bénichou, Dijon: Les presses du réel, 2015.
2 Il punto più recente si legge ora in E. Pitozzi, Comporre secondo la logica del corpo: un affresco della scena coreografica italiana, “Culture Teatrali”, 25, Annale 2016, 94-107.
3 Cfr. R.H. Wax, The Ambiguities of Fieldwork, in Contemporary Field Research. A Collection of Readings, a cura di R. M. Emerson, Prospect Hights: Waveland Press, 1983, 191-202.
4 J. Derrida, Le futur antérieur de l’archive, in Question d’archives, a cura di Nathalie Léger, Paris 2002, 43.
5 J-L. Nancy, Dov’è successo (2011), intervista di N. Léger, ed. it. a cura di I. Pelgreffi, Tricase: Kainós, 2014, 3.
6 Sulla tensione tra il ruolo del testimone e l’abito dello storico, si vd. P. Burke, Testimoni oculari. Il significato storico delle immagini (2001), Roma 2002 e 2005, sopr. 183-95.
7 Per una definizione del concetto di fieldwork nelle scienze sociali, si vd. Robert M. Emerson, Contemporary Field Research. Perspective and Formulations, Prospect Hights: Waveland Press, seconda ed. 2001.
8 La coreografia ha debuttato il 18 novembre 2006 a Catania, nella sede di Scenario Pubblico, come quinta tappa del progetto Corpi incompiuti, prodotta dalla Compagnia Zappalà Danza, Scenario Pubblico in collaborazione con As Palavras e Le Mouvement Mons Festival (B).
9 C. Freccero, Romeo and Juliet Love Death, in Shakesqueer. A Queer Companion to the Complete Works of Shakespeare, a cura di M. Menon, Durham – London 2011, 302.
10 Cfr. A. Dolin, Pas de deux. The Art of Partnering, London: Adam and Charles Black, 1950, 60.
11 J. Derrida, L’aforisma in contrattempo (1986), in Psyché. Invenzioni dell’altro, Milano 2009, vol. 2, risp. 158 (§ 16) e 155 (§ 11).
12 R. Maiorano, V. Brooks, Balanchine’s Mozartiana. The Making of a Masterpiece, New York 1985, 45.
13 J. Morvillers, Il Diario di Esplorazione (2005), Roma: Sensibili alle foglie, 2011, 51. Sulla singolarità, in danza e nella performance, come critica del tempo presente, si vd. André Lepecki, Singularities. Dance in the Age of Performance, New York - London, 2016.
14 J. Derrida, L’aforisma in contrattempo, cit., 156 (§ 11): “Le date, i calendari, i catasti, i toponimi, tutti i codici che proiettano sul tempo e sullo spazio come reti per ridurre o dominare le differenze, per fissarle, determinarle, sono anche trappole a contrattempo”.

English abstract

In the book Romeo e Giulietta 1.1 la sfocatura dei corpi, Stefano Tomassini wrote a meticulous fieldworks notebook, in which he retraces ten years after the first debut of the show, the days he spent in Catania at Scenario Pubblico (Centro Nazionale di Produzione della Danza), attending to the recreation of the choreography by Roberto Zappalà, inspired by the great William Shakespeare classic Romeo and Juliet, in the meantime travelling for Sicily and assisting to a double debut in Chiusi.

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Per citare questo articolo: Romeo e Giulietta d’après. Diario sull’osservare la danza, i corpi sfocati e il viaggio. A proposito di: Roberto Zappalà, Romeo e Giulietta 1.1 la sfocatura dei corpi, a cura di S. Tomassini, “La Rivista di Engramma” n. 152, gennaio 2018, pp. 129-136 | PDF dell’articolo 

doi: https://doi.org/10.25432/1826-901X/2018.152.0004