"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

157 | luglio/agosto 2018

9788894840520

El teatro de la mente. De Giulio Camillo a Aby Warburg

Corrado Bologna, con una presentazione di Victoria Cirlot

English abstract
Presentación de la edición española, de Victoria Cirlot*

El libro de Corrado Bologna, El teatro de la mente. De Giulio Camillo a Aby Warburg, ha aparecido recientemente en la colección “Árbol del Paraiso” de la editorial Siruela de Madrid. Reúne los trabajos que este gran estudioso, profesor de literaturas románicas medievales y modernas en la Scuola Normale Superiore de Pisa, ha dedicado a lo largo de treinta años a la fascinante figura de Giulio Camillo, a la que ha situado en una encrucijada de caminos y red de relaciones desde el siglo XVI al siglo XX, que hacen que sea confrontado con un Ignacio de Loyola, Carlo Emilio Gadda, Aby Warburg, Ernesto de Martino o Enrico Castelli, de modo que el proyecto de Camillo, el teatro de la memoria, alcanza en esta obra nuevos relieves y significados. Es por vez primera en lengua española que han visto la luz estos trabajos reunidos y revisados por Corrado Bologna para construir el libro.

Si bien es más que probable que el público italiano conozca algunos de estos artículos y los hallazgos que éstos contienen, que van desde el descubrimiento del manuscrito de Giulio Camillo en Manchester hasta el planteamiento del proyecto de la Galería Francesco I en Fontainebleu como ‘teatro de la memoria’ – por citar tan sólo dos ejemplos de muy distinta cualidad –, hay que destacar que la nueva forma alcanzada como libro intensifica el significado y la coherencia de esta investigación. Como el propio autor comenta

Ha sido estimulante e instructivo releerme al cabo de tanto tiempo, reconocer los nexos y nudos mentales, metodológicos y epistemológicos que fueron esclareciéndose de una investigación a otra para construir nuevas aportaciones, significados apenas intuidos al principio que fueron madurando solos.

En efecto, cuando el libro se forma no por una reunión arbitraria de estudios motivados sólo por un interés erudito y profesional, sino por una íntima necesidad de comprensión que ha orientado toda una vida, entonces “sucede como en una galaxia cuando se forman soles y planetas con sus satélites y todos rotan en armonía” para repetir el bello símil de Bologna, en el que resuenan como un eco versos dantescos. Las inquietudes intelectuales y vitales que han guiado la investigación de Corrado Bologna y que le han llevado necesariamente a una sistemática ampliación de horizontes alcanzan aquí una perfecta y rica expresión, justificándose además su continua errancia por las diversas disciplinas, pues es en virtud de ese incesante movimiento como han podido brotar nuevas interpretaciones y comprensiones de los temas de análisis.

* Directora de la colección “Árbol del Paraíso”.

Il sogno della mente universale. Prologo

Corrado Bologna

Un fantasma si aggira per l’Europa dell’età moderna. Non si tratta di un fantasma ossessivo, e di per sé non è neppure ideologicamente pericoloso. È, piuttosto, un sogno culturale ad occhi aperti, fantastico, utopico quanto tenace, elaborato da intellettuali e artisti, da poeti e filosofi, come progetto individuale, poi esteso a gruppi sempre più vasti, di plasmare e trasformare la propria interiorità fino a riuscire a ottenere un controllo sull’esteriorità: dalle parole alle cose, dalle idee ai gesti, dai progetti alle azioni.

Il sogno è di dar vita a una mente universale, a una macchina per pensare capace di cogliere, rappresentare, connettere tutte le parole, le immagini, le idee, le cose che popolano il tempo e lo spazio, tutto il mondo e tutta la storia umana. Nello sfondo c’è il progetto estremistico di divenire Dio, mente onnipresente e onnipotente, che ‘contiene’ ogni cosa reale e solo immaginata e la trasforma. Questa ‘deificazione’ può essere conquistata esercitando le potenze dell’anima a una pratica di metamorfosi: ma esiste anche una dimensione laica e molto riduttivamente pragmatica (chissà quanto diabolica), che prende sempre più piede, inavvertitamente, intridendo ogni momento del nostro pensare e agire.

Questo fantasma, infatti, si aggira ancora oggi in tutto il mondo, sempre più camuffato, sempre più possente. È inavvertitamente presente nella nostra vita quotidiana, giacché circola nelle vene della civiltà digitale-informatica che ci aiuta a dominare i frammenti innumerevoli, apparentemente infiniti, di un sapere multiplo e sconfinato, ma nel contempo ci controlla, ci domina ininterrottamente in qualsiasi punto dello spazio e del tempo, esigendo che per esistere chiunque sia connesso. Ed essere connesso, connettersi, significa inserirsi in una rete di nessi, crearne altri nuovi, istituendo relazioni virtuali fra idee, immagini, parole, dunque anche fra le cose, virtualizzate anch’esse: in questo modo la macchina universale, che non a caso chiamiamo rete, inghiotte tutte le menti individuali, trasformandosi in una mente collettiva, cascame ultimo ed estremo dell’antica idea aristotelica della fusione definitiva fra intelletto agente e intelletto possibile, su cui duellarono per secoli averroisti e tomisti, filosofi e poeti.

La cultura induista chiamò sampad il rigoroso equilibrio insieme numerico e geometrico, fisico e mentale ottenuto nel raccogliersi della mente in una conoscenza di rapporti non deteriorabili, così forti e limpidi, così profondamente terapeutici da consentire la conquista di un ordine misurato, prudente ortopedia della vasta dispersione di ciò che vive e muore. Il sampad è la visione della mente che coglie un nesso, un legame cosmico fra ciò che ‘abbiamo dentro’ e ciò che ‘vediamo e facciamo fuori’: e quando lo vede, la mente lo vede per sempre. Lo fa suo, diviene lei stessa quella visione, quel legame.

Nella cultura raffinata, complessa, del Rinascimento europeo, nella civiltà di Amerigo Vespucci e di Niccolò Copernico, dell’Ariosto e di Michelangelo, di Erasmo da Rotterdam e di Ignazio di Loyola, di Tiziano e dell’Aretino, un umanista italiano amico di poeti e di medici, di pittori e di sovrani, Giulio Camillo, sognò un organismo artificiale infinito, una macchina mentale per afferrare le idee universali e radicali, facendone un teatro interiore (però anche realizzato come un piccolo anfiteatro di legno). Questa macchina-teatro era popolata da parole, immagini e idee possibili: era anche un’enciclopedia di tutti i saperi, una biblioteca sterminata di testi classici capace, mediante una combinatoria controllata e orientata dalla mente dell’operatore, di generare altri testi e altri saperi fondati su relazioni ordinate e visibili fra quelle idee, quelle immagini, quelle parole. Nato come modello in miniatura dell’universo, ostensione visiva di un’enciclopedia totalizzante fondata sulle relazioni tra idee, immagini, parole, il Teatro assunse presto la forma dell’Anfiteatro di Vitruvio riscoperto e edito da Giovanni da Verona, detto Fra Giocondo. E, quanto sembra, Camillo concretizzò un piccolo Teatro della Sapienza, realizzato come oggetto in legno intorno agli anni Venti-Trenta del Cinquecento, prima a Padova poi a Parigi. Sul fondo dello schema epistemologico volta per volta ripensato e ritoccato da Camillo ci sono, appunto, l’Enciclopedia e l’Anfiteatro, ma anche la Galleria, lo Studiolo dipinto, il Libro illustrato.

Mentre passeggiava con un potenziale allievo iniziatico nel teatro di memoria edificato realmente attraverso il modellino ligneo, Camillo usava definire con strane formule quel suo ‘luogo’ intimo e stregonesco, spirituale e artistico, colmo di parole e di dipinti disposti in un ordine combinatorio perfettamente previsto e controllato. Lo chiamava “mens humana”, “animus fabrefactus”, “animus fenestratus”: mente umana dotata di ‘finestre’ sul mondo sterminato della memoria, mente e animo ricostruiti con l’artificio e con l’arte; e diceva che “tutto ciò che la mente dell’uomo pensa e crea, ma che non può esser visto con gli occhi del corpo, può invece venire espresso attraverso un’attenta, complessa attività di riflessione e concentrazione mentale e quindi con segni corporei, di modo che ciascuno possa immediatamente vedere con i propri occhi tutto ciò che è sommerso nelle profondità della mente umana”.

Il sogno prese così la forma di un’arte spirituale, nella quale svolse un ruolo centrale la mirabile cultura di Agostino e degli agostiniani del Medio Evo, soprattutto, nel XII secolo, il monaco Ugo, priore del monastero parigino di San Vittore, il quale nel De archa Noe descrisse un edificio spirituale da costruire nell’interiorità concentrando la propria mente su un modello virtuale ‘esterno’. E forse anche Dante lo lesse e studiò mentre concepiva la Commedia, libro dell’universo. Sicuramente alle mnemotecniche spirituali del Medio Evo si richiamò Ignazio di Loyola quando, nel 1528, incominciò a scrivere i suoi Ejercicios spirituales, proprio nella Parigi in cui (altra coincidenza emozionante) Giulio Camillo incominciava a collaborare con i pittori e gli stuccatori italiani convocati a Fontainebleau per illustrare come un libro e scandire come un complesso, articolato percorso iniziatico la Galleria ideata dal ‘re cristianissimo’ Francesco I, desideroso di esaltare le proprie virtù di sovrano illuminato, difensore dell’unità dello stato e della protezione dell’ortodossia.

Il grande sogno è dunque così riassumibile: mutare la propria mente e quella di ogni uomo in un edificio interiore in perenne crescita, in una stupenda macchina organica di memoria e di creatività in grado di compiere una metamorfosi di sé e contemporaneamente del mondo attraverso la concentrazione, l’esercizio spirituale, il dominio dell’abissale rete della Sapienza, trasferendola nella concretezza della vita degli individui, e perfino delle collettività e degli Stati.

Ai primi del Novecento, studiando anche le opere di Camillo, Aby Warburg, storico dell’arte, formidabile erudito e antropologo, elaborò una straordinaria “scienza senza nome” che oggi è divenuta soprattutto un metodo di ricerca sul rapporto fra immagini e testi, collegati da quelli che con una formula magnifica Warburg chiamava “guardiani dei confini”: non sentinelle che impediscono i passaggi, ma ponti che li agevolano e li inducono, invitando a sconfinare da una disciplina all’altra, da un tempo e una civiltà ad altri lontani e diversi. Nel suo teatro della memoria, la Biblioteca su cui campeggiava l’iscrizione Mnemosyne, e costruita secondo il modello di Vitruvio e di Camillo a cui si ispirò l’architetto Schumacher, Warburg raccoglieva libri intrecciati fra loro da un mirabile dinamismo epistemologico e immagini di un atlante delle forme in movimento che il pensiero umano ha secolarmente ideato e trasposto in arte: in questo modo intendeva costruire “un corpo di pensiero vivente”, proteso in “una battaglia per la vita contro le forze delle tenebre e dell’inferno”.

Warburg, infatti, cercava nell’arte e nei testi di ogni età le tracce dinamiche (il dinamogramma) dell’immaginario, i segni e i gesti sepolti nell’oblio della storia umana, per restituirli a vita attraverso quella che Vjačeslav Ivanov ed Ernst Robert Curtius, molto interessato al lavoro Warburg, definirono memoria iniziatrice. Mai come dopo la guerra che spazzò via, a metà del Novecento, interi mondi e sistemi di sapere, il valore terapeutico della memoria attiva divenne il fulcro della metamorfosi di una civiltà. Grazie a questa potente maga del risveglio che scioglie l’incantesimo perverso da cui tutto è reso maceria, rovina, nella waste land del dopo-il-diluvio, dice Curtius pensando a Eliot, “un mondo sommerso è stato risvegliato a vita nuova”.

Il modello di Warburg non è molto distante da quello messo a punto da Carl Gustav Jung. Compito della ricerca non è per Warburg, come per Jung, riconoscere e classificare una storia delle forme archetipiche, ma individuare in ogni gesto culturale un sintomo collettivo rivissuto dagli individui. Come ha ben visto Georges Didi-Hubermann, lo scioglimento delle immagini-sintomo warburghiane rappresenta la ricostruzione di un immenso Atlante della Memoria, edificio-libro che è anche un’ermeneutica storica della civiltà umana ed ha un’alta potenza terapeutica.

Il Libro-Teatro-Galleria dell’anima fra Cinquecento e Novecento si trasformano adattandosi agli schemi epistemologici che mutano: ma si fondano su una medesima struttura operativa, la dispositio coordinata di immagini, parole, idee, nell’edificio-contenitore che è la mente umana. Appunto: il teatro della mente.

Il libro. Teatro della mente

Questo libro condensa una serie di ricerche da me condotte negli ultimi trent’anni intorno a temi molto diversi, cinquecenteschi e novecenteschi, storici, storico-artistici, storico-letterari, antropologici, che a poco a poco si sono incrociati e talvolta fusi, fino ad assumere una forma coerente, come in una galassia nella quale si formino dei soli e dei pianeti con i loro satelliti che ruotano in armonia. È emozionante ed anche istruttivo rileggersi tanto tempo dopo, e riconoscere i nessi e i nodi mentali, metodologici, epistemologici che da una ricerca all’altra si sono chiariti e hanno costituito aggregazioni nuove, significati appena intuiti all’inizio, e maturati quasi da soli.

Si scopre che la mente è attraversata da correnti sotterranee, simili ai fiumi del Carso che si inabissano in montagna e riemergono lontano, quasi irriconoscibili. E ci si accorge che la forma simbolica più adeguata a un libro di questo tipo, scaturito quasi spontaneamente dal confluire sinfonico di tanti temi e variazioni scandite nel ritmo del tempo, è proprio quella del teatro della mente, di cui il libro stesso parla. La forma-libro trasforma le idee, le parole e le immagini dei singoli studi originari e imprime una metamorfosi radicale non solo ai contenuti, ma proprio al loro formarsi in un discorso continuo e coerente attraverso i frammenti di un pensare unitario ma interrotto, ripreso e riplasmato volta per volta intorno ad aree culturali e a dettagli anche lontanissimi, apparentemente eterogenei.

Solo a libro finito, quando si colgono gli sconfinamenti e le arcate della memoria, si capisce davvero che cosa si intendeva dire, si intuisce che cosa si ricercava nell’andare e venire, come nella Brocéliande dei cavalieri erranti, in quel teatro della mente che, curiosa, lanciava reti, acciuffava minuzie e le componeva in sistema, anche ad anni di distanza. La mente stessa è cambiata, e coglie ora, come nel sampad degli induisti, il senso del sistema. In questo momento si desidera semplicemente offrire al lettore, quasi come dono umanistico, il risultato di questa lunga quête che ci ha appassionati e trasformati, sperando di appassionare e magari anche un poco di trasformare persone che non si conosceranno forse mai, ma con le quali si intreccia da lontano una relazione sottile e silenziosa, affidando loro il ‘testimone’ da trasmettere ad altri, nel futuro.

I ringraziamenti, come sempre, dovrebbero essere tanti. Io, invece, voglio limitarmi ad uno solo: senza l’intelligente generosità e la tenacia paziente di Victoria Cirlot questo libro non avrebbe, nel pieno senso della parola, ‘visto la luce’. Se qualche luce riesce oggi ad emanare, molto è dovuto a lei.

Questo l’elenco dei saggi originari, che nel libro sono stati rivisti, spesso riscritti, ampliati, aggiornati, fino a sistemarsi ordinatamente come i pezzi di un puzzle che evidentemente doveva essere già da sempre composto, in qualche luogo della mente.

Primera parte | El Theatro della Sapientia de Giulio Camillo

  • 1 | La memoria como iniciación y metamorfosis
    Iniziazione e metamorfosi nel Theatro di Giulio Camillo, in Tradizione letteraria, iniziazione, genealogia, a cura di C. Donà e M. Mancini, Milano-Trento 1998, 152-165.
  • 2 | El Arca de la Mente
    L’Arca della Mente. Iniziazioni spirituali nel Theatro della Sapientia di Giulio Camillo, in Cenacoli. Circoli e gruppi letterari, artistici, spirituali (=Viridarium, 4), a cura di F. Zambon, Milano 2007, 177-198.
  • 3 | Ejercicios de memoria: Giulio Camillo e Ignacio de Loyola
    Esercizi di memoria. Dal Theatro della Sapientia di Giulio Camillo agli Esercizi spirituali di Ignazio di Loyola, in La cultura della memoria, a cura di L. Bolzoni e P. Corsi, Bologna 1992, 169-221.

Segunda parte | Una galería espiritual

  • 1 | El retorno de los dioses antiguos
    Le retour des dieux anciens: Giulio Camillo et Fontainebleau, “Italique” 5 (2002), 109-138.
  • 2 | Giulio Camillo en Fontainebleau
    Giulio Camillo e il progetto della Galleria Francesco I come Teatro della Memoria, in Le noyau et l’écorce. Les arts de l’allégorie XV-XVIII siècles, sous la direction de C. Nativel, Paris 2009, 189-208.

Tercera parte | El teatro de la memoria como reescritura del mundo

  • 1 | Imágenes de la memoria
    Immagini della memoria. Variazioni intorno al “Theatro” di G. Camillo e al “Romanzo” di C.E. Gadda, “Strumenti critici” III/1 (gennaio 1988), 19-68.
  • 2 | La supervivencia de las imágenes
    La sopravvivenza delle immagini, in Per un sapere dei sensi. Immagini ed estetica psicoanalitica, a cura di D. Chianese e A. Fontana, Roma 2012, 215-239.
  • 3 | Mnemosyne, el teatro de la memoria de Aby Warburg
    Mnemosyne, el “Teatro della Memoria” de Aby Warburg, in Lo sguardo di Giano. Aby Warburg fra tempo e memoria, a cura di di B. Cestelli Guidi, M. Forti, M. Pallotto, Torino 2004, 277-304.
  • 4 | Documento y hermenéutica: el papel de la imagen
    Documento e ermeneutica: Warburg, De Martino, Castelli, in Aby Warburg e la cultura italiana. Fra sopravvivenze e prospettive di ricerca, a cura di C. Cieri Via e M. Forti, Milano 2009, 275-294.
English abstract

Presentation edited by Victoria Cirlot of the first Spanish edition of El teatro de la mente. De Giulio Camillo a Aby Warburg by Corrado Bologna. The book condenses a series of research conducted by the scholar in the last thirty years around different themes that are based on the same operative structure: the coordinated dispositio of images, words, ideas, in the building-container that is the human mind: the theater of the mind.

keywords | Aby Warburg; Spanish edition; Corrado Bologna; The theater of the mind. 

To cite this article: C. Bologna, El teatro de la mente. De Giulio Camillo a Aby Warburg, con una presentazione di V. Cirlot, “La Rivista di Engramma” n. 165, luglio/agosto 2018, pp. 109-117 | PDF

doi: https://doi.org/10.25432/1826-901X/2018.157.0007