"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

169 | novembre 2019

97888948401

Immagini energetiche

L’energia come vettore di scenari territoriali alla scala del Mediterraneo

Lorenzo Fabian, Luca Iuorio*

English abstract
1. Il Mediterraneo ancora

Lo spazio geografico del Mediterraneo, dopo decenni in cui interessi economici internazionali hanno diretto i flussi delle proprie rotte in altre acque, sembra rioccupare una posizione strategica all’interno del quadro geopolitico mondiale. La corsa all’approvvigionamento energetico si impone come vettore fondativo delle relazioni socio-economiche che intercorrono tra l’Europa e le regioni a sud del Mediterraneo; i temi dell’energia, a cui si associa la crisi di un modello basato su fonti fossili, sono in grado di esplicitare una serie di tensioni in cui poterci riorientare nei prossimi anni come studiosi, architetti e cittadini.

Oggi, il mare tra le terre è oggetto di scambi e movimenti di cose e persone, i cui flussi ne evidenziano inevitabilmente le contraddizioni. Sul Mediterraneo si concentra circa il 7% dei consumi globali di energia a cui corrisponde il 6% delle emissioni di biossido di carbonio (Ome 2018); in contrasto, solo il 5% della produzione energetica mondiale si condensa, in maniera disomogenea, tra gli stati che vi si affacciano (Bartoletto, Malanima 2011, 3, 5-6). Dal 2018, i paesi della regione mediterranea complessivamente controllano il 4,2% e il 4,6% delle riserve mondiali di petrolio e gas, ed è stato stimato che, nonostante le importanti scoperte degli ultimi decenni, grandi giacimenti fossili, soprattutto nelle aree del nord Africa, siano ancora sotto esplorazione (Ome 2018). Inoltre, circa il 25% delle fonti energetiche del pianeta (gas e petrolio estratti in Russia e nei paesi del Golfo) transita all’interno del Mar Mediterraneo verso l’Oceano Atlantico (Bartoletto, Malanima 2011, 13), fondando, di fatto, una trading zone strategica alla scala globale. In questo quadro, non solo i punti nodali dell’infrastruttura energetica impongono un costante sforzo di cura e manutenzione in quanto scali sensibili, ma il Mar Mediterraneo stesso emerge come l’epicentro di una serie di tensioni geopolitiche che si manifestano tristemente con circa 18 mila migranti morti e dispersi tra il 2014 e il 2018 (Iom 2019). L’instabilità socio-economica che si riflette nei movimenti migratori e la costante crescita della popolazione di alcuni paesi diventano, quindi, dati capaci di condizionare ulteriormente gli equilibri geopolitici. Oggi, oltre 500 milioni di persone vivono in area Mediterranea (circa il 7% della popolazione mondiale) ed è stata stimata una crescita, entro il 2040, di circa 90 milioni. Alla luce di queste previsioni, è atteso un aumento della domanda complessiva di energia di oltre il 40% nei prossimi vent’anni (Ome, 2018).

Sembra che il Mediterraneo continui ad essere il mare descritto da Fernand Braudel (1949): crocevia di traffici e culture, un nucleo capace di riunire e organizzare attorno a sé, spesso in modo conflittuale, lo spazio civile e politico dei paesi che lo abitano. Il mediterraneo esiste, quindi, come unità geografica e l’energia e le tensioni geopolitiche che ne derivano sembrano essere in grado di costruire una vivida immagine del suo spazio e delle forze opposte che lo governano. Secondo Henri Lefebvre (2004, 93), storicamente l’equilibrio sociale e l’unità culturale tra i paesi mediterranei si sono fondati su “forme di alleanze tacite o esplicite” in quanto la vita quotidiana nella sua totalità si è organizzata attorno alle molteplici forme di scambio. Ai nostri occhi, alle porte della rivoluzione industriale – complice l’invenzione dell’elettricità a cui si abbina la scoperta del petrolio – le collettive forme di baratto di merci si radicalizzano, alla scala internazionale, in un’unica forma di scambio che pone al centro le fonti energetiche e la loro trasformabilità. Se con la caduta dell’Impero Romano il Mediterraneo cessa di essere interpretato come uno spazio unitario, è proprio a partire dall’energia che, all’inizio del XX secolo, si comincia a costruire una nuova immagine olistica del ‘mare in mezzo alle terre’. La prima mossa in questa direzione viene da Atlantropa, lo scenario progettuale elaborato nel 1931 dall’ingegnere tedesco Herman Sӧrgel (Sӧrgel 1929; Gebhardt, Sörgel 1932).

2. Atlantropa e altri scenari del Mediterraneo

Il progetto, sorto in epoca immediatamente pre-nazista, presupponeva una singolare combinazione tra colonialismo e cooperazione dei popoli che avrebbe cambiato il destino dell’Europa e dell’Africa. L’idea di fondo era quella di trasformare il Mediterraneo in un lago immenso attraverso la realizzazione di due gigantesche dighe sugli stretti di Gibilterra e Dardanelli a cui associare una fitta rete di infrastrutture come ponti, autostrade, ferrovie, porti e una serie di impianti idroelettrici secondari. La massiccia produzione di energia che ne seguiva sarebbe stata necessaria a rendere autosufficiente l’Europa. Secondo Sӧrgel, inoltre, il livello del mare si sarebbe abbassato di circa 160 centimetri l’anno facendo emergere nuove terre abitabili e vaste potenziali riserve di cibo. L’Adriatico e l’Egeo sarebbero scomparsi, le isole della Corsica e della Sardegna si sarebbero unite, ugualmente sarebbe scomparso lo stretto di Messina: la Sicilia sarebbe stata connessa, da un lato all’Italia, dall’altro all’Africa per mezzo di una diga-ponte – la diga della Tunisia.

Atlantropa, misurandosi con l’inevitabile dipendenza dall’energia, propone un’immagine unitaria del Mediterraneo nella dimensione più ovvia che interpreta la connessione fisica tra continenti come la premessa per una nuova alleanza fra i popoli africani ed europei. Tralasciando un commento di ordine antropologico (vedi Voigt 1998; Christensen 2013; Guerrieri 2019), Atlantropa sembra essere uno scenario che, a partire dai temi dell’approvvigionamento, risponde all’esigenza di visualizzare, alla scala dell’intero Mediterraneo, le conseguenze spaziali di scelte di medio e lungo periodo: ogni visione del mondo ha specifiche e vivide ricadute nello spazio.

Dopo la morte di Sӧrgel il progetto verrà completamente abbandonato, ma le ipotesi e le idee in esso contenute avranno una forte eco nel dibattito tra ingegneri, progettisti e istituzioni nel corso del Novecento. Infatti, mutuato al territorio dalle discipline economiche, militari e dell’analisi strategica, la prefigurazione e il ‘racconto del futuro’ rappresenteranno a partire dagli anni 50 del XX secolo una necessità di valenza sociale e politica, oltre che tecnica. Atlantropa, dal nostro punto di vista, rappresenta una prima e grande immagine sinottica entro la quale poter collocare tutto il lungo processo di trasferimento delle tecnologie (estrazione, raffinamento, produzione) che, pur con presupposti completamente differenti, nel corso del Novecento costruisce, nella sua dimensione più fisica (reti di distribuzione), l’utopia della connessione (e dell’autonomia) energetica tra il nord e il sud del Mediterraneo. A partire dalla seconda metà del XX Secolo, l’esperienza di alcune agenzie europee dell’energia in nord Africa, come l’Eni in Italia e la Total in Francia, si traduce nella realizzazione di un sistema tecnologico complesso e interdipendente capace di mettere in relazione rotte del petrolio, gasdotti, siti di stoccaggio, centrali a combustione, stazioni di pompaggio, dighe. Nel 1978, a seguito di un accordo tra Italia e Algeria, inizia la costruzione del gasdotto Transmed, un’opera dell’ingegneria che allaccia la macchina energetica Italiana al più grande giacimento Africano di gas (Hassi R’Mel). Spesso conosciuto come gasdotto Mattei, questo tracciato, che si inabissa fino a 600 metri lungo il canale di Sicilia, materializza la connessione tra Europa e Africa incorporando un forte valore simbolico e diplomatico. In poche parole, il progetto politico e spaziale dell’energia diventa il principale connettore di relazione intercontinentali.

Tutti i sistemi energetici utilizzano spazio, capitale e tecnologie per costruire le proprie geografie del potere ed inscrivere il proprio ordine tecnologico come un possibile modello di organizzazione sociale, economico e di relazioni politiche (Ghosn 2010, 7).

Ne emerge che l’energia – standardizzata, centralizzata, accessibile – è un continuum socio-spaziale in grado di costruire, alla scala mediterranea, un paesaggio nuovo e omologante. Tuttavia, a fronte della realizzazione di tale infrastruttura globale, lo spazio energetico mediterraneo non è mai stato omogeneo: le relazioni internazionali di dipendenza dalle risorse mostrano anche i conflitti latenti che si celano dietro la trama apparentemente isotropa delle sue reti.

Abbandonati i miti del grande produttore di idroelettricità, il Mediterraneo energetico oggi appare fondato su un paradigma fossile e la dicotomia produzione/domanda esplicita un paradosso: da un lato, oltre i due terzi delle fonti (92,2% petrolio e 87,6% gas) vengono estratti nei paesi del nord Africa, dall’altro, i paesi dell’area latina (Italia, Francia e Spagna) consumano complessivamente più del 50% dell’energia totale (50% petrolio e 57,9% gas) (Energy Center, Politecnico di Torino, Srm 2019, 15). In questa cornice, la dipendenza energetica chiarisce le interrelazioni culturali e i complessi legami geopolitici che intercorrono tra paesi a nord e sud del Mediterraneo. Inoltre, a partire dal 2010, il bilancio energetico di tutta l’area ha iniziato a registrare consumi nettamente superiori alla produzione complessiva, esacerbando ulteriormente il problematico quadro civile, economico e politico. Braudel sostiene che “l’unité essentielle de la Méditerranée, c’est le climat, un climat très particulier, semblable d’un bout à l’autre de la mer, unificateur des paysages et des genres de vie” (Braudel 1985, 23). Oggi, a quasi un secolo dall’Atlantropa di Sӧrgel e le mutazioni del clima, insieme ai temi della scarsità delle risorse, gettano le basi per ripensare a un nuovo progetto unitario per il Mediterraneo proprio a partire dall’energia. Le sfide poste dal cambiamento climatico, infatti, sono le premesse che spingono l’European Climate Foundation (con Oma) e il Club di Roma a immaginare, alla scala mediterranea, scenari energetici basati su risorse rinnovabili.

3. Roadmap 2050: l’energia come sistema socio-tecnico di cooperazione

Roadmap 2050 è un progetto di ricerca del 2010, elaborato dall’European Climate Foundation (Ecf) con lo scopo di individuare i processi, le strategie e le trasformazioni necessari al raggiungimento degli obiettivi di riduzione, entro il 2050, dell’80% delle emissioni di gas a effetto dell’Unione Europea. Scopo dello studio è individuare il percorso per perseguire gli obiettive dell’Ue in materia di contenimento delle emissioni entro uno scenario evolutivo che deve tuttavia essere di prosperità economica, mantenendo o rafforzando le condizioni di autonomia ed efficienza energetica del continente (Ecf et al. 2010).

Il focus del progetto è sull’energia elettrica, assunta a fonte prevalente e su cui costruire il nuovo modello. Se i primi due volumi dello studio analizzano rispettivamente le implicazioni politiche ed economiche dello scenario energetico, il terzo volume, elaborato da Oma (Office for Metropolitan Architecture), contiene gli scenari, i diagrammi, le immagini e le mappe delle trasformazioni spaziali e territoriali necessarie alla realizzazione della vision, sintetizzata nel neologismo Eneropa. Come evidenziato nelle premesse, la tecnica adottata nello studio è quella dello scenario normativo laddove “lo stato finale è stipulato piuttosto che derivato” (Ecf et al. 2010). In questo senso, attraverso una tecnica di backcasting, la previsione auspicata nella vision – un’Europa prospera a basso tenore di carbonio – diventa normativa, istituendo un percorso che dal punto di vista della logica temporale procede dal futuro al presente;

lo scenario normativo anticipa l’immagine di un possibile stato futuro alternativo alla condizione evolutiva che, nel presente, può apparire come più ‘naturale’ per il contesto territoriale in esame. Tale scenario induce a interrogarci su quali fattori presenti possano concorrere a determinarlo e ad esaminare, attraverso un procedimento a ritroso, la sua fattibilità e le sue condizioni di realizzazione, qualora si tratti di un futuro auspicabile; oppure le condizioni utili a scongiurarlo, qualora si tratti di un futuro non auspicabile (Fabian et all. 2008, 30).

Nel più ampio quadro dell’analisi di scenario, ovvero dell’insieme di tecniche e metodologie con cui, a partire dagli anni ‘60 del XX secolo, sono state realizzate immagini del futuro a supporto della decisione e del progetto territoriale, la tecnica di backcasting assume un ruolo importante fra la fine degli anni ‘70 e ‘80 nell’ambito della pianificazione in contesti di sviluppo sostenibile e in particolare delle risorse idriche e energetiche (Robinson 1982; Bibri 2018), Roadmap 2050: A practical guide to a prosperous, low-carbon Europe utilizza esplicitamente la tecnica come supporto alle scelte politiche della comunità europea che nel 2009 stabiliscono l’obiettivo della riduzione dell’80% delle emissioni di gas a effetto serra entro il 2050.

The methodology is known as “backcasting” to differentiate it fundamentally from forecasting: the end-state is stipulated, that is, rather than derived. A back-casting approach can help to highlight where momentum must be broken and re-directed in order to achieve future objectives, while forecasting tends to extend current trends out into the future to see where they might arrive (ECF et al. 2010).

Circa le possibili concrete ricadute all’oggi delle ipotesi avanzate per l’anno 2050, sebbene l’ECF sia una fondazione privata indipendente dalla Commissione Europea, nel 2012, l’UE pubblica il documento “Energy Roadmap 2050” che richiama gli scenari sviluppati da attori rilevanti e fa esplicito riferimento agli studi dell’ECF (EU 2012, 4). Sempre la Commissione Europea pubblica nel 2018 la “2050 long-term strategy” nel cui documento di riferimento, A European strategic long-term vision for a prosperous, modern, competitive and climate neutral economy (EU 2018), a partire dal titolo, sono ribaditi molti degli elementi contenuti nello studio iniziale dell’ECF.

Assunta la prospettiva inevitabile della fine del ciclo del petrolio, gli obiettivi di Roadmap 2050 si realizzano a partire dalle condizioni del continente laddove, nell’idea di Oma, le risorse saranno intrinsecamente legate alle geografie dei luoghi. L’esercizio narrativo si rende esplicito nel ‘mosaico delle risorse energetiche’ che sono a sostegno di Eneropa: una mappa in cui i territori europei dell’energia ridisegnano nuovi confini a partire dalle specificità geografiche. Così, nello scenario immaginato, l’Europa orientale diventa Biomassburg, le catene montuose di Italia, Francia e Spagna sono Hydropia, l’Europa centrale è Geothermalia, i territori che si affacciano sul mare del Nord sono le Isles of Wind, le terre del sud sono Solaria. Nell’ipotesi avanzata, il superamento degli stati nazionali non è tuttavia solo frutto di un esercizio narrativo: senza una reale cooperazione fra le regioni e i territori, infatti, non si potrebbero realizzare gli obiettivi attesi di indipendenza energetica.

Pur nell’inevitabile retorica euro-centrica che caratterizza il progetto, lo spazio di Solaria – fondamentale al raggiungimento della prosperità ed autonomia previsti – non si può tuttavia realizzare senza estendere lo sguardo (e la cooperazione) verso l’Africa settentrionale e oltre i confini stessi dell’Europa: le immagini territoriali di Oma si concludono collocando il campo argomentativo ad una scala sovracontinentale in cui il Mediterraneo assume una nuova posizione centrale. A rendere esplicita la necessità del riposizionamento, alla fine del volume, è la mappa dell’European Energy Grid che si estende al Sahara settentrionale e, nella nuova geografia tracciata, ricalca come uno specchio riflesso Desertec, il progetto elaborato nel 2003 dal Club di Roma, nel quale il potenziale dell’energia solare sprigionata dal deserto gioca un ruolo primario.

4. Desertec: il progetto moderno, di nuovo

Quarant’anni dopo il celebre studio sui Limiti dello sviluppo (Meadows et al. 1972), di fronte alle nuove sfide poste dal cambiamento climatico, il Club di Roma pubblica Desertec, uno scenario sulla “più potente ma meno sfruttata energia sulla terra, la radiazione solare dei deserti, e su come essa potrebbe essere messa a servizio dell’energia, dell’acqua e della sicurezza climatica per i paesi del bacino del Mediterraneo” (Knies, Möller, Straub 2007, 1). Il White Paper, pubblicato nel 2007, riassume il lavoro della Cooperazione Trans-Mediterranea per le Energie Rinnovabili (Trec) che comprende fin dalla sua fondazione, oltre il Club di Roma, il Jordanian National Energy Research Center (Nerc) e la Hamburg Climate Protection Foundation (Hkf). Grazie allo sforzo congiunto dell’Europa, delle regioni del Medio Oriente e del Nord Africa (Eu-Mena region), l’obiettivo dello scenario è il raggiungimento rapido della sicurezza climatica, energetica e idrica entro il 2050.

Se Roadmap 2050 si ispirerà con evidenza a questi studi concentrando tuttavia l’attenzione sulla dimensione narrativa a sostegno delle ipotesi di progetto, Desertec è uno scenario teso a individuare le tecnologie, le conseguenze industriali della loro applicazione, analizzando i costi e i tempi di realizzazione. Non è un caso che a sostenere lo sviluppo di Desertec, nel 2009, sia stata costituita a Monaco un’iniziativa industriale (Dii, Desertec Industrial Initiative) cui hanno aderito importanti società come Abb, Siemens, Deutsche Bank, Enel, Terna e Unicredit, per citare solo le più note (Dii 2009). La razionalità progettuale mobilitata è pragmatica, rigorosamente organizzata a partire dalla realizzazione di grandi opere dell’uomo che alla scala geografica, attraverso la mobilitazione di capitali eccezionali, celebrano le nuove possibilità della tecnologia e la cultura moderna del progetto a servizio della salvezza del pianeta. Interconnesse a una super-rete di trasmissione a corrente continua di portata intercontinentale, nel deserto si situano le gigantesche centrali termiche a concentrazione solare, sulla costa gli impianti di desalinizzazione per rendere coltivabili le terre della Mena, in Europa gli impianti a biomassa e, ancora più a nord, i campi eolici che si estendono per ettari nel Mare del Nord. Sebbene lo scenario contempli la cooperazione fra le regioni del Mediterraneo per la messa a sistema delle diverse forme di energia rinnovabile, in Desertec il solare, e le tecnologie a esso connesse, assumono un ruolo dominante:

utilizzando gli impianti termici a concentrazione solare, da ogni km² di terra del deserto può essere raccolta [...] una quantità di energia 250 volte superiore a ciò che può essere prodotto per km²dalla biomassa o 5 volte di più di quanto possa essere generato dai migliori siti eolici e idroelettrici disponibili. Ogni anno, ogni km² di terra in Mena riceve una quantità di energia solare equivalente a 1,5 milioni di barili di petrolio greggio. Un campo di collettori solari a concentrazione delle dimensioni del lago Nasser in Egitto (Assuan) potrebbe raccogliere energia equivalente all’attuale produzione petrolifera di tutto il Medio Oriente (Knies, Möller, Straub 2007, 27).

La prima centrale solare esplicitamente ricondotta a Desertec nasce nel 2016 a Ouarzazate nel sud del Marocco con una potenza installata di 160 Mw (è previsto diventino 580 entro il 2020). Frutto della collaborazione con la Germania, il complesso ad alta tecnologia, che combina solare fotovoltaico e solare a concentrazione, si estende per decine di ettari ai limiti settentrionali del deserto del Marocco, ridisegnando la morfologia del territorio con apparati ausiliari di mantenimento come strade di accesso e dighe, canalizzazioni, e bacini idrici per il raffreddamento degli impianti. Con Desertec, la cooperazione fra le due sponde del Mediterraneo ripercorre concettualmente quella stessa circolazione di culture, competenze e risorse fra chi detiene il capitale tecnologico (l’Europa) e chi detiene il capitale energetico (la Mena region) che, pur partendo dalle risorse fossili, aveva già caratterizzato tutto il XX secolo.

5. Verso utopie reali

Esiste più di un filo rosso che connette Atlantropa, Roadmap 2050 e Desertec; non solo l’essere scenari normativi, che a partire dall’energia interrogano il futuro per guardare all’oggi, o il fatto di riposizionare il Mediterraneo al centro dei destini della regione dell’Eu-Mena, ma anche l’essere tutti, seppure in modi diversi, delle ‘utopie reali’. Pietro Maria Toesca utilizza l’espressione per parlare di quelle “utopie che si sono realizzate nell’atto stesso in cui sono state formulate” (Toesca 2006), come Atlantropa che, nel suo esplicitare un possibile spazio mediterraneo dell’energia, immagina possibile ciò che alcune società, come Eni, avrebbero comunque di lì a poco realizzato; o Desertec che, nell’idea stessa di imprigionare l’energia libera del sole, costruisce la cornice di senso entro cui si collocano i progetti delle assolutamente concrete mega-centrali poste in Marocco e in Tunisia e, insieme ad esse, i paradossi tecnologici che queste incarnano; o ancora Roadmap, che nel descrivere il Mediterraneo come spazio del libero scambio energetico annulla i confini politici e concettuali su cui ancora oggi, nonostante la necessità della circolazione di merci, uomini ed energie, si reggono faticosamente gli stati nazionali e continentali. Secondo Toesca le utopie reali per diventare tali usano specifici strumenti, come ‘immaginazione’, ‘contestazione’ e ‘progetto’, che i tre scenari, pur in modi e con razionalità differenti, incarnano con grande precisione. Le utopie reali infine mobilitano alcuni concetti come la ‘storia’ e l’‘ecologia’ e per questo possono essere storie del futuro, scenari che hanno una grande capacità di orientare lo sguardo progettuale al futuro, costruendo forse i presupposti di una nuova circolazione di modelli cognitivi del progetto.

L’argomentazione principale dell’ecologia è quella relativa alle energie rinnovabili e alla loro necessaria conservazione: si tratta di una considerazione che collega direttamente il passato con il futuro, la conservazione con lo sviluppo [...]. Per procedere bisogna mantenere: l’opportunità della vita futura dipende da condizioni che solo il presente può predisporre (e soprattutto non eliminare) (Toesca 2006, 89).

Il conseguimento degli obiettivi di contrasto al cambiamento climatico, il tema dell’energia e dell’esaurimento delle fonti fossili, la mitigazione del rischio idrogeologico suggeriscono una stretta relazione fra le scelte da compiere oggi e le conseguenze per un futuro di medio-lungo periodo. Molte sono le traiettorie evolutive potenziali che si dipartono dal presente; ognuna di esse dipende dal peso attribuito alle variabili considerate. In fondo, come osservava Sant’Agostino, quando “si dice di vedere il futuro, non si vedono le cose, ancora inesistenti, cioè future, ma forse le loro cause o i segni, già esistenti”. Lo sguardo al futuro che è implicitamente contenuto negli scenari qui richiamati ci riporta tuttavia allo spazio e alla storia, alla natura geografica dei luoghi, considera il territorio Mediterraneo come un “palinsesto” (Corboz 1983), un grande deposito di segni e tracce che raccontano una storia di lungo periodo e a volte, attraverso inerzie, latenze e possibilità, esprimono anche una disponibilità implicita alla trasformazione.

* Questo testo è frutto della collaborazione tra gli autori che ne condividono i contenuti, le immagini e l’impostazione generale, tuttavia esso è stato redatto da Lorenzo Fabian per i paragrafi “1. Il Mediterraneo ancora”, “3. Roadmap 2050: l’energia come sistema socio-tecnico di cooperazione ”, “5. Verso utopie reali” e il testo di commento alla tavola 2 “Mediterraneo: tensioni”; è stato redatto da Luca Iuorio per i paragrafi “2. Atlantropa e altri scenari del Mediterraneo”, “4. DeserTec: il progetto moderno, di nuovo”, i testi di commento alle tavole 1 e 3: “Mediterraneo: fossile” e “Mediterraneo: rinnovabile”. I contenuti del saggio riprendono e sviluppano le riflessioni elaborate in occasione della ricerca CAMU (Circulation et adaptation des modèles d’urbanisme en Méditerranée, XXe et XXIe siècle) finanziato dal Ministère de la Culture Française, 2018-2019 che con gli autori ha coinvolto per l’Università IUAV di Venezia, Fernanda De Maio, Marco Ferrari e Daniela Ruggeri.

Tavole

1 | Mediterraneo: fossile.

Parlare di infrastruttura energetica in area Mediterranea significa avere a che fare con una storia relativamente recente: a seguito della rivoluzione industriale, infatti, con il trasferimento tecnologico dell’elettricità e dei motori a combustione, e successivamente con l’espansione dell’industria petrolifera, lo spazio mediterraneo si trasforma in una complessa macchina territoriale per la produzione di energia. Abbandonati gli sforzi quotidiani per l’approvvigionamento di legna da ardere, la mappa spazializza il sistema tecnico che oggi anticipa il democratico diritto di accesso alla corrente elettrica. La serie di piattaforme per gas e petrolio, miniere di carbone, dighe idroelettriche, stazioni nucleari, oleodotti, gasdotti e rotte del greggio sembra incarnare il paradigma moderno. Oltre l’80% delle fonti energetiche ha origine fossile (31% petrolio, 27,1% carbone, 22,1% gas) (Energy Center, Politecnico di Torino, Srm 2019, 11) e le geografie che si evidenziano tra chi estrae tali risorse (in turchese) e chi le consuma (in ocra) fanno emergere interdipendenze storicizzate. Circa il 65% dell’energia prodotta nel Mediterraneo è consumata in Italia, Francia, Spagna e Portogallo dove vive complessivamente il 35% della popolazione. L’estrazione di gas e petrolio si concentra, invece, nei paesi a sud del Mediterraneo (Algeria, Libia, Egitto) facendo presupporre, quindi, una serie di flussi che si diramano verso nord. Nonostante la presenza di grandi giacimenti di gas e petrolio e la circolazione interna delle risorse, circa un terzo dei consumi energetici complessivi è alimentato da importazioni (Bartoletto, Malanima 2011, 20): il ‘Mediterraneo fossile’ non è un sistema energetico autosufficiente.

Mappa elaborata dagli autori, 2019. Gis: Confini amministrativi: GADM Maps and data, World Borders Dataset, 2018. Miniere, siti estrazione carbone, gas, petrolio: United Nations Environment Programme Mediterranean Action Plan, 2012. Dighe: Global Reservoir and dam database (GRanD), 2011. Maggiori rotte commerciali: United Nations Environment Programme/Mediterranean Action Plan, 2012. Oleodotti, gasdotti: Harvard University Geoserver, 2013. Dati: Consumo energetico pro capite per paese, mappa consumi totali per paese, percentuali consumi per settore, percentuali produzioni per fonte (2009): elaborazione dati International Energy Agency, 2010.

2 | Mediterraneo: tensioni.

Come richiamato nelle prime righe di questo scritto, in questi ultimi anni, una stretta relazione fra i temi energetici, le instabilità politiche e le dinamiche dell’economia ha pervaso e rimesso al centro lo spazio Mediterraneo. Nella tavola 1 sono evidenziati i divari, nella produzione e nel consumo dell’energia, tra nord e sud del Mediterraneo che inevitabilmente si riflettono in uno scenario geopolitico complesso da cui emerge sensibilmente il contemporaneo tema delle migrazioni. Proprio a partire dalla capacità dell’energia di incorporare questioni a carattere sociale, politico, economico, ambientale, la tavola 2 vuole costruire un panorama sul Mediterraneo ulteriormente problematizzato. Il grafico in basso mostra il trend di crescita della popolazione; l’aumento previsto al 2050 in circa 90 milioni di persone in aree urbane (soprattutto nei paesi del nord Africa) sembra essere un dato cruciale perché a questo corrisponderà immancabilmente un incremento della domanda di energia. Scenari standard run, elaborati a partire dall’attuale capacità tecnologica di produrre energia, prevedono che il fabbisogno energetico in area mediterranea, nei prossimi 20 anni, sarà ancora fortemente vincolato a un modello di produzione da fonti fossili (grafico in alto a sinistra). Ne segue un aumento del livello di emissioni di CO² nell’atmosfera (grafico in basso a sinistra) che aggraverà il preoccupante quadro climatico. In una cornice di questo tipo, un progetto energetico alla scala mediterranea sembra mobilitare problemi interconnessi le cui tensioni si possono allentare attraverso la transizione a un modello ‘durabile’.

Mappa elaborata dagli autori, 2019. Gis: Ecoregioni: Resolve, 2017. Concentrazione Diossido di Azoto: European Spatial Agency, 2018. Principali rotte migratorie: Reuters Graphics, Europe’s Migration Crisis, the Network, 2016. + 5 metri livello medio marino registrato durante il Periodo Eemiano: Paleocoastlines GIS Dataset, 2016. Dati: Trend crescita popolazione: World Bank, 2015. Trend capacità energetica per risorsa; emissioni CO²: Medener, Observatoire Méditerranéen de l’Energie, 2016.

3 | Mediterraneo: rinnovabile.

A seguito delle riflessioni sostenute nei commenti alle tavole precedenti, questa mappa prova a dare forma a un possibile (e auspicabile) processo di territorializzazione dell’energia alla scala mediterranea. Evidentemente suggestionati dalle esperienze, concrete, ideali, attuabili o utopiche, di Roadmap 2050 e Desertec, due sono le tipologie fisiche di oggetti tecnologici scelti per visualizzare l’infrastruttura cooperativa di produzione energetica: la rete di trasmissione e i potenziali impianti di produzione. Se il Mediterraneo è uno spazio stratificato in divenire, un ‘palinsesto’ permanente in cui, soprattutto nel Novecento, l’energia ha imposto il proprio pattern attraverso un sistema tangibile di macchine, l’attuale griglia di trasmissione sembra configurarne un limite geografico, un territorio-insieme. Nonostante il paradigma fossile sia di fronte alla fine del proprio ciclo, un modello alternativo non potrà mai emanciparsi completamente dalle forze passate senza reimpiegarne le accumulazioni a proprio beneficio. Nella mappa, quindi, l’attuale rete tecnologica di distribuzione dell’elettricità, potenziata con alcuni progetti di interconnessione (Med-Tso 2012), è utilizzata come veicolo materico del collegamento tra regioni. Un progetto durabile dell’energia, dal nostro punto di vista, non solo dovrà fare i conti con l’eredità moderna, ma dovrà necessariamente misurarsi con i limiti dello sviluppo incorporati dai luoghi in cui si depositano i progetti stessi. Con tale premessa, guardare al futuro del Mediterraneo attraverso la lente dell’energia, apre le porte a un ventaglio di possibilità ancora non completamente esplorate. Queste alternative – tracciate in cinque geografie nella mappa – si traducono in infrastrutture capaci di costruire un paesaggio distintivo, una ‘nuova’ superficie in cui le connessioni tra uomo e risorse naturali si manifestano attraverso architetture tecnologiche a supporto della vita sociale e culturale.

Mappa elaborata dagli autori, 2019. Gis: Rete trasmissione elettrica: Med-TSO, Mediterranean Transmission System Operators, 2018. Potenziali aree e fonti energetiche, idroelettrico, solare, geotermico, eolico, biomassa: Knies G., Möller U., Straub M., (eds) 2007, 33; Ecf et al., 2010, Visuals, 25. Immagini: Grafici rendimento elettricità per fonte: Knies, Möller, Straub (eds) 2007, 27.

Riferimenti bibliografici
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English Abstract

Several major infrastructure projects and energy scenarios, developed in the Mediterranean basin between the 20th and 21st centuries, are described in this essay in the belief that it is difficult to discuss about circulation and adaptation of urban models regardless of the technological models which slowly and gradually materialized establishing, on the Earth surface, a comprehensive energy supply infrastructure. In the first part, it is argued how, today, the Mediterranean, starting from the energy issue, has acquired a new pivotal role in the world geopolitical framework. The second part takes a step back, it examines the capacity of Atlantropa – a 20th century colossal energy project – to build a single and integral imaginary around the Mediterranean. After World War II, the global and unitary perspective of the Mediterranean physically developed thanks to the infrastructural investments sponsored by disparate energy companies, such as Eni or Total. During the last century, these European agencies built, at the Mediterranean scale, a massive fossil-fueled energy production machine which, today, appears to be at the end of its cycle. Describing and reviewing two recent renewables energy scenarios (Desertec and Roadmap 2050), latest paragraphs of the essay question our future reflecting on the need of envisioning it through the project and its tools, and on the sense of a new and possible cooperation between regions in the Mediterranean.

keywords | Mediterranean Sea; Atlantropa; Desertec; Roadmap 2050.

La Redazione di Engramma è grata ai colleghi – amici e studiosi – che, seguendo la procedura peer review a doppio cieco, hanno sottoposto a lettura, revisione e giudizio questo saggio.
(v. Albo dei referee di Engramma)

Per citare questo articolo / To cite this article: Lorenzo Fabian, Luca Iuorio, Immagini energetiche. L’energia come vettore di scenari territoriali alla scala del Mediterraneo, “La Rivista di Engramma” n. 169, ottobre 2019, pp. 205-223 | PDF dell’articolo

doi: https://doi.org/10.25432/1826-901X/2019.169.0013