"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

Nietzsche e Arianna

Nota su un incontro a Roma (maggio/giugno 1883)

Seminario Mnemosyne, a cura di Anna Fressola

Appendice | 1883. Diario romano di Friedrich Nietzsche, via Burckhardt

Già le percezioni dei sensi sono azioni:
affinché qualcosa possa venir percepito,
deve già essere in funzione una forza attiva che raccoglie lo stimolo,
lo lascia agire, lo adatta a sé e lo modifica in quanto tale.
È un dato di fatto che qualcosa di assolutamente nuovo si genera in continuazione.
Friedrich Nietzsche, Frammenti Postumi VII, I, 7 [64]

Linee. L’Arianna/Dioniso dei Musei Capitolini

Testa di Dioniso, esecuzione del 117-138 d.C. copia di età adrianea da un originale di metà del IV sec. a.C., marmo, Roma, Musei Capitolini, Sala del Galata. Fotografia del 1887.

Riccioli sinuosi, trattenuti sulla fronte da una benda, ricadono sulle spalle e incorniciano un volto leggermente inclinato in avanti, in obliquo, dai lineamenti morbidi, pieni di grazia, labbra semiaperte: è di un Dioniso più femmineo che efebico il volto dell’opera di tarda età adrianea, che segue l’iconografia del ‘Dioniso giovane’ (prevalente a partire dal V secolo a.C., v. Isler-Kerényi [2011] 2012). Esposto nella Sala del Galata ai Musei Capitolini di Roma a partire dal 1816, è “una delle più belle teste dell’antichità” – così scrive Jacob Burckhardt nel suo Der Cicerone: Eine Anleitung zum Genuss der Kunstwerke Italiens.

Significativo che Burckhardt descriva la statua del dio in una pagina dal titolo Ariadne, in cui sottolinea come non esistono statue isolate di una ‘Arianna dionisiaca’ senza Dioniso, e che nella testa, identificata in vario modo dagli studiosi, per lungo tempo si era riconosciuta una Arianna (v. Dodero, Presicce 2018). Così Burckhardt:

[...] Arianna, la quale, una volta ammessa nella cerchia dionisiaca, necessariamente doveva essere raffigurata simile a lui. Statue a sé stanti di questa Arianna dionisiaca probabilmente non esistono; tuttavia per lungo tempo è stata battezzata per tale una delle più belle teste dell’Antichità, esposta nel Museo Capitolino, nella Sala del Gladiatore Morente, finché studiosi più recenti credettero di potervi riconoscere un Dioniso nella sua primissima gioventù. Comunque, gli occhi, le guance e la bocca rendono con indescrivibile lievità quel carattere, che costituisce la massima dolcezza e la massima bellezza dell’immagine di Bacco (Burckhardt [1855] 1992, 517).

L’errore degli archeologi e degli storici dell’arte antica del XIX secolo risulta, in Burckhardt, una positiva conferma dell’interscambiabilità dell’immagine del dio con quella della sua sposa. Arianna, accolta nella cerchia di Dioniso, assume i caratteri fisici di Dioniso, in particolare nella dolcezza lieve di lineamenti che fa oscillare ogni nettezza di profilo, e oblitera il principio di individuazione, esprimendo al meglio la natura del dio dell’ebbrezza.

Guide. Roma 1882, 1883: ricordo delle tante cose belle viste (e non viste)

Nel corso del primo soggiorno romano, organizzato all’improvviso e dominato dall’incontro con Lou von Salomé, Nietzsche non vide altro che San Pietro, dove incontrerà per la prima volta la giovane intellettuale russa, e Villa Mattei, come testimonia una lettera di Malwida von Meysenbug alla figlia Olga Monod-Herzen (Buddensieg [2002] 2006, 123).

Il secondo soggiorno, che si protrae per più di un mese dal 3 maggio al 14 giugno del 1883, fu sollecitato inizialmente da Malwida Meysenbug che gli aveva prospettato la conoscenza di una giovane russa – Lou Salomé. La preparazione data almeno dal 1 febbraio 1883 ed è assai incerta ed esitante. Come testimonia la sua copia di Theodor Gsell-Fels, Italien in sechzig Tagen (1878), che si preoccupò di farsi inviare da Franz Overbeck in vista del viaggio (v. le lettere a Franz Overbeck riportate in Appendice), Nietzsche programmava un intenso programma di visite, a dimostrazione di un desiderio di conoscere la città. Dalla “tabella giornaliera per le possibili visite alle più importanti collezioni d’arte” ricaviamo il programma di visita delle seguenti gallerie: il lunedì Villa Pamphili, il martedì Villa, Parco e Museo Borghese e la Galleria Doria, il mercoledì Villa Wolkonsky, il giovedì Villa Borghese, il venerdì Galleria Doria e Villa Pamphili, il sabato nuovamente Villa Borghese e Villa Wolkonsky, e il sabato ancora una volta Villa Borghese (solo il Parco). Vi sono poi anche dei segni in corrispondenza dell’indicazione: a Palazzo Sciarra, il “capolavoro di Flaminio Ponzio (1600), un tardivo frutto dell’autentico Rinascimento” (Buddensieg [2002] 2006, 129).

Dall’Epistolario che riferisce di questo soggiorno emerge un atteggiamento decisamente ambivalente nei confronti della città: accanto alla ripetuta convinzione che Roma non sia un posto adatto a lui, scrive di essere contento di trovarvisi, di vedere le cose; sente che il soggiorno gli “ricrea il corpo e l’anima”, è felice del riposo, dell’“allegra compagnia” e del suo appartamento all’ultimo piano di Piazza Barberini, 56, dove si sposterà dopo alcuni giorni trascorsi nella rumorosa camera di Via Polveriera, 4. Gli appunti e segni sulla guida Gsell-Fels testimoniano una attenzione a gallerie, ville e musei, e in generale alla città. Rispetto alle tante attrattive artistiche e mondane che la città offre, Nietzsche, in una lettera del 20 maggio, confessa a Overbeck il suo sentimento ambivalente:

Roma è stata una buona idea… una grande città è addirittura tutto l’opposto di quello che occorre per me. Sono troppo poco preparato per tutto quello che Roma offre, o meglio: sono stato troppo occupato a prepararmi per cose di altro genere perché mi resti ancora la voglia di avere a che fare con tante cose nuove e sconosciute (Epistolario IV, 357).

E benché la testa antica di Epicuro, quella di Lucio Giunio Bruto del Museo Capitolino e tre paesaggi di Claude Lorrain gli abbiano dato “motivo di riflettere”, non ha ancora riconosciuto “in niente il linguaggio di uno spirito a me affine e amico” (Epistolario IV, 357). In una lettera a Heinrich Köselitz del 1 luglio, da Sils-Maria ritornerà sulla testa di Epicuro confessando che era stata proprio questa opera che l’aveva spinto a tornare ai Musei Capitolini:

Nella Sua ultima lettera c’erano pensieri bellissimi, di cui le sono molto grato! Dopo sono andato a guardarmi un’altra volta il busto di Epicuro: in questa testa la forza di volontà e la spiritualità raggiungono il massimo grado di espressione (Epistolario IV, 367).

Che la città sul Tevere abbia suscitato nell’“esitante visitatore le impressioni e sensazioni più diverse” è messo in luce anche da Buddensieg che osserva come su uno sfondo “apparentemente negativo si manifestano in Nietzsche, a Roma, nascoste percezioni assolutamente positive”. Percezioni, queste, da distinguere “da un interesse per Roma di tipo correntemente turistico o umanistico [...] e riportarle invece sul suo girovagare e percepire e inventare” (Buddensieg [2002] 2006, 130). Ma anche, sottolinea Carlo Gentili, è da cogliere quella che sarà una “elaborazione e stratificazione simbolica” dell’esperienza romana (Gentili 2015). Lo stesso Nietzsche, in una lettera alla sorella inviata da Sils-Maria il 10 luglio 1883, confiderà come questo viaggio, in relazione alla seconda parte dello Zarathustra appena terminata, assuma un “nuovo significato” e abbia lasciato positivi influssi benefici:

Basta l’avere terminato questa 2a parte per giustificare l’intero anno, soprattutto il viaggio in Engadina; e perfino il viaggio a Roma assume ora un nuovo significato: in questo soggiorno romano mi sono profondamente rilassato; e anche nella confusione e nel rumore della mia abitazione c’era per l’appunto qualcosa di utile, così come nella storta al piede, sul treno e nello stomaco sempre sottosopra e nelle notti insonni. Tutto mi impediva di lavorare e di riflettere; eppure è difficilissimo distogliermi da me stesso. Da questi benefici negativi di Roma potrei ora passare a quelli positivi – ma ho gli occhi mal ridotti, e ho anche altro da scrivere (A E. 10.7.1883, da Sils-Maria, Epistolario IV, 372-373).

Per altro Nietzsche non camminerà per Roma senza compagnia né la visiterà senza scorta: se la Gsell-Fels è la sua guida materiale durante questo soggiorno, è Burckhardt a introdurlo alla città con le osservazioni di Der Cicerone. Per Nietzsche è questa la vera guida non solo di Roma ma anche delle altre città italiane che aveva fino allora visitato. Più volte ribadisce che il Cicerone è fondamentale per chi voglia recarsi in Italia e questa sorta di guida dovrebbe accompagnare ogni visitatore nell’arco dell’intera giornata. Come scrive in una lettera del 18 ottobre 1872 a Carl von Gersdorff, il quale stava programmando un viaggio in Italia per la fine dell’anno, si tratta di un libro che non solo educa alla comprensione artistica, ma che è anche capace di stimolare una viva fantasia:

Poi mi sembra che ci si debba alzare e andare a letto con la lettura del Cicerone di Burckhardt: esistono pochi libri che stimolano in tal modo la fantasia ed educano alla comprensione artistica (Epistolario II, 371-372).

E in effetti, il 5 luglio, appena arrivato a Sils-Maria, commissiona alla madre di acquistare per la sorella l’ultima edizione del libro di Burckhardt. Il 6 luglio comunica ad Elisabeth che si tratta di un libro forse più istruttivo di un soggiorno nella stessa Roma:

Ho dato incarico che il Cicerone di Burckhardt, di cui una volta dicesti che desideravi l'ultima edizione, si trovi sul tuo tavolo di compleanno; si tratta veramente di uno dei libri che più vale la pena di possedere, ed è quasi più istruttivo di un soggiorno a Roma; per noi due però questo libro deve servire come ricordo delle tante cose belle che abbiamo visto (e non visto) là insieme – ivi compresi i piaceri di altro genere, per es. le trattorie.

ll volume di Burckhardt è un deposito di memorie ma anche uno stimolo a invenzioni di pensiero, a immagini filosofiche. Numerosi riflessi delle pagine di quell’opera sono rintracciabili in diversi appunti, aforismi e capitoli degli scritti Nietzsche (si veda, sui passi del Cicerone ripresi da Nietzsche, Vivarelli 2015; v. anche Buddensieg [2002] 2006). Uno fra tutti, l’aforisma §145 di Umano, troppo umano (MA, KSA II; tr. it. OFN IV, 2, 121), ove Nietzsche parla di:

Un tempio greco come quello di Paestum [...] come se un mattino un dio avesse costruito giocando, con enormi blocchi, la sua casa; altre volte, come se, per magia, un’anima fosse stata improvvisamente trasformata in un masso e ora volesse parlare attraverso di esso.

Il riferimento è alle pagine ove Burckhardt descrivendo il tempio di Paestum parla delle pietre come esseri viventi:

Non sono soltanto pietre brute, quelle che l’occhio scorge qui e in altre costruzioni greche, ma esseri viventi; e noi dobbiamo seguirne attentamente l’intima essenza e lo sviluppo… anche nella colonna le linee non sono di una durezza matematica, ma un leggero rigonfiamento rappresenta nel modo più appropriato la vita che in essa respira (Burckhardt [1855] 1992, 10).

E il tempio su cui Nietzsche scrisse durante i giorni trascorsi a Sorrento, forse lo conobbe soltanto attraverso la lettura delle pagine iniziali di Der Cicerone (Buddensieg [2002] 2006, 31-33).

A partire dal soggiorno romano, tra le cose belle “viste e non viste”, c’è anche Arianna. Due, in particolare, sono le Arianne presenti a Roma di cui Burckhardt tratta nel Cicerone, ed entrambe appaiono trasposte nel progetto e nell’elaborazione filosofica che Nietzsche fa della coppia mitica.

Contorni. Incontro con Arianna

L’immagine di Arianna nell’opera di Nietzsche prende corpo a partire dal 1883 (v. la selezione di testi su Arianna e Dioniso nelle opere di Nietzsche in Cirlot, Fressola 2020, e l’Introduzione di Victoria Cirlot – Cirlot 2020a e Cirlot 2020b). Da questo momento in poi Arianna entrerà in scena più volte in dialogo con Dioniso e con lo stesso Nietzsche. Nel passo, risalente all’estate del 1883, Nietzsche immagina Dioniso su una tigre, accompagnato dai suoi dionisiaci animali:

Dioniso su di una tigre: il cranio di una capra: una pantera. Arianna che sogna: “abbandonata dall’eroe, sogno il super eroe”. Tacere del tutto Dioniso! (NF, KSA 10; tr. it. OFN VII, 1/2, 92).

All’inizio dell’estate, Nietzsche era tornato dal suo secondo viaggio a Roma. Ed è proprio qui che è conservata la più celebre Arianna addormentata, vale a dire l’Arianna nella Galleria delle Statue dei Musei Vaticani (Valeri 2019). Che il soggiorno romano risuoni nei moltissimi testi pubblicati postumi e scritti dalla primavera all’estate 1883 alla seconda parte di Così parlò Zarathustra, è sottolineato da Buddensieg (Buddensieg [2002] 2006, 123-152; v. anche Gentili 2015 che rinviene echi della elaborazione filosofica della città anche nel libro V della Gaia Scienza pubblicato nel 1887), il quale si discosta da quanto scritto da Curt Paul Janz nella sua biografia dove si legge che Nietzsche aveva trascorso giornate “tranquille, in piacevole conversazione, giornate che non avevano lasciato dietro di sé tracce rilevanti” (Janz [1978-79] 1980, 174).

D’altra parte proprio a Burckhardt, “il più profondo conoscitore” della civiltà greca, Nietzsche afferma di dovere il suo incontro con Dioniso nel Crepuscolo degli idoli:

Fui il primo che, per comprendere l’antico istinto ellenico, ancora ricco e addirittura straripante, considerai seriamente quel meraviglioso fenomeno chiamato col nome di Dioniso: esso è spiegabile unicamente in base di un eccesso di forza. Chi si è tutto dedicato allo studio dei Greci, come il più profondo conoscitore della loro civiltà che sia oggi vivente, come Jacob Burckhardt di Basilea, ha compreso subito che con ciò qualcosa era stato fatto: Burckhardt inserì nella sua Civiltà dei Greci un capitolo speciale sul fenomeno in questione. (GD 3, §5, KSA 6, 77; tr. it. OFN VI, 3, 158).

Molto probabilmente, a Roma Nietzsche aveva visto il Dioniso/Arianna descritto da Burckhardt ai Musei Capitolini (dove, peraltro, come abbiamo visto, Nietzsche era tornato due volte). E sebbene non vi siano prove che egli abbia visto l’Arianna vaticana, questa immagine sembra lo accompagni, anche perché ne parla Burckhardt nel capitolo “Cleopatra Vaticana” del Cicerone:

Alle figure di Ninfe vestite di tipo robusto dobbiamo aggiungere una statua, che è l’unica del suo genere: la Cleopatra Vaticana, ossia – più esattamente – l’Arianna dormiente (Vaticano, Galleria delle Statue). Già l’Antichità ha adoperato questo motivo – come dimostrano le piccole repliche esposte lì presso – per ambedue i soggetti; però quello di Arianna è quello originario e basta un’occhiata per convincersi che si tratta di una dormiente, non di una moribonda. (È vero però che essa è troppo inclinata in avanti, il che dà, soprattutto al braccio destro appoggiato sopra la testa, un aspetto troppo pesante e falsa un poco l’aspetto di tutto l’insieme). Come motivo del riposo, quest’opera dominerà in eterno la scultura. Non è possibile far distendere una donna, amabile nella sua grandiosità, e farla assopire con maggiore maestà. Non si potrà giammai ammirare abbastanza né il modo con cui, per mezzo della posizione delle braccia, il capo viene messo nel massimo valore, né la straordinaria dignità della posa delle gambe ed infine l’irraggiungibile magnificenza dei motivi del panneggio, nonché il sapiente modo con cui si susseguono. Il tipo del viso è ancora di una bellezza severa che ci permette di riconoscervi una Arianna che non è stata ancora accolta nel cerchio del suo salvatore, Dioniso. La sua raffigurazione posteriore, di tipo bacchico, c’interesserà più in là. (Burckhardt [1855] 1992, 499).

Mentre scrive lo Zarathustra, ben si avverte che Nietzsche ha il Cicerone aperto sul tavolo, alla pagina in cui si legge che l’Arianna dormiente “non è stata ancora accolta nel cerchio del suo salvatore”, e che presta la sua posa – “il braccio appoggiato sulla testa” – al riposo di Teseo.

Col braccio appoggiato sulla testa: così dovrebbe riposare l’eroe, così dovrebbe egli superare anche il suo riposarsi.
Ma proprio per l’eroe la bellezza è di tutte le cose la più ardua. Irraggiungibile è la bellezza per ogni volontà violenta.
[…]
Stare in piedi coi muscoli rilassati e con la volontà staccata: questa è la cosa più ardua per voi tutti, o sublimi!
Quando la potenza diventa clemente e scende giù nel visibile: un tale scendere giù, io lo chiamo bellezza.
E da nessun altro come da te, o possente, io voglio appunto la bellezza: la tua bontà sia il tuo supremo sopraffare te stesso.
So che sei capace di ogni malvagità: perciò da te voglio la bontà.
Davvero, spesso ho riso dei rammolliti che si credono buoni perché non hanno artigli!
Alla virtù della colonna aspira! – più bella essa diventa e sempre più delicata, ma di dentro più dura e più robusta, quanto più ascende.
Sì, o sublime, per te verrà il momento di essere anche bello e di specchiarti nella tua stessa bellezza.
Allora l’anima ti rabbrivedirà di brame divine; e persino nella tua vanità sarà adorazione!
Questo infatti è il segreto dell’anima: solo quando l’eroe l’ha lasciata, le si avvicina, in sogno, – il super-eroe.
(AsZ, KSA 4, tr. it. OFN VI, 1, 129-130)

Dunque: solo dopo, “quando l’eroe l’avrà lasciata”, Arianna sarà pronta per accogliere colui che va oltre l’eroe, cioè Dioniso.

Il testo di Burckhardt feconda la pagina dello Zarathustra, nel segno di Arianna, ma anche il famoso Klage der Ariadne (1889) nei Ditirambi di Dioniso (DD, KSA 6, 399; tr. it. OFN VI, 4, 49). Non importa che Nietzsche abbia visto l’Arianna vaticana. Al filologo Nietzsche “studioso senz’occhi” (la definizione è di Giorgio Pasquali a proposito di Warburg) non servono le immagini: bastano le parole. E così Nietzsche leggeva in Burckhardt:

Dopo che l’Arte lo ebbe rappresentato per lungo tempo come un dominatore barbaro, ai tempi di Scopa e di Prassitele gli fu largita la più soave giovinezza, ed il suo seguito, che sino ad allora era stato un seguito da burla (vedi le scene sui vasi più antichi), fu dotato di una ricca sfumatura di tratti caratteristici, sino alla bellezza pura. Di questa folla numerosa e varia (il tiaso) egli costituiva il centro ed il tono fondamentale; ed a lui fu largita una bellezza, che per essere completa accoppiava forme maschili e femminili. Nacque così quel mirabile tipo di felicità indefinita e senza mèta, il cui tratto più profondo è costituito, come in Afrodite, da un lieve desiderio (Burckhardt [1855] 1992, 514-555).

Questa Arianna/Dioniso tratteggiata da Burckhardt trova eco nell’immagine che Friedrich Nietzsche ci restituisce nei suoi scritti della coppia mitica e dell’estetica dionisiaca. Sarà, d’altra parte, lo stesso Nietzsche in Ecce Homo a intrecciare la figura di Arianna con l’esperienza romana e il “Canto della notte” che compare nella Parte seconda di Zarathustra. Nel paragrafo 4 del capitolo dedicato allo Zarathustra, Nietzsche riferirà di aver composto in una loggia che dà su Piazza Barberini il “solitario” Canto della notte (AsZ, KSA 4, tr. it. OFN VI, 1, 350) che riporterà per intero nel paragrafo 7, invitando ad ascoltare come “Zarathustra si parla, prima che il sole ascenda” (AsZ, KSA 4, tr. it. OFN VI, 1, 355-357):

Niente di simile è stato mai poetato, mai provato, mai sofferto: così soffre un dio, un Dioniso. La risposta a un ditirambo come questo, dell’isolamento solare nella luce, sarebbe Arianna … Chi, all’infuori di me, sa cos’è Arianna! … Mai finora qualcuno ha conosciuto la soluzione di tutti questi enigmi, e dubito che qualcuno abbia mai anche solo visto degli enigmi in tutte queste cose (AsZ, KSA 4, tr. it. OFN VI, 1, 358).

L’esperienza di salire e scendere i gradini della sua casa al sesto piano della piazza “diventa un’esperienza fisica e metaforica della distanza dalla vita della città [Roma], la solitudine innalzata al di sopra di ogni legame sociale” (Buddensieg [2002] 2006 135):

Quanto in alto abito io? Non ho ancora mai contato – mentre salivo – le scale fino a me: ma questo so della mia altezza: ho casa e tetto che comincia là dove terminano tutte le scale (FP, KSA 10, tr. it., OFN, VII, I, 1, 98).

In particolare il divenir lieve delle cose emerge nel capitolo “I sette sigilli. (Ovvero: il canto ‘sì e amen’)”, che precedentemente aveva per titolo “Dioniso”, e che è scritto parallelamente a “Del grande anelito”, che portava come titolo “Arianna” (AsZ, KSA 4, tr. it. OFN VI, 1, 463). La lievità di caratteri è in opposizione al precipitare di tratti identificativi, al “serio, radicale, profondo, solenne” spirito di gravità:

E quando ho visto il mio demonio, l’ho sempre trovato serio, radicale, profondo, solenne: era lo spirito di gravità – grazie a lui tutte le cose cadono (AsZ, KSA 4, tr. it. OFN VI, 1, 39).

Quello della lievità è un tema largamente diffuso nello Zarathustra, opera che lo stesso Nietzsche, in una lettera a Koselitz in cui comunicava all’amico di aver appena ricevuto da Naumann le bozze della seconda parte del libro, definiva “una vittoria non trascurabile sullo ‘spirito di gravità’” (lettera a H. Koselitz, fine agosto 1883, Epistolario IV, 418). Il soggetto che balza “con ambedue i piedi in un’estasi d’oro e smeraldo” chiama alla “bellezza smeraldina” che è la manifestazione di Dioniso che anela all’eternità, ma richiama anche l’anello, l’anello del ritorno. Ancora non ha trovato una donna che gli abbia fatto desiderare dei figli e afferma come il proprio “Alfa e Omega” sia il divenir lievi delle cose grevi, che tutti i corpi diventino danzanti:

Se la mia virtù è la virtù di un danzatore, e spesso io balzai con ambedue i piedi in un’estasi d’oro e smeraldo:
Se la mia cattiveria è una cattiveria ridente, che soggiorna tra pendii di rose e cespugli di gigli:
– Perché nella risata si trova adunata tutta la cattiveria, ma santificata e assolta dalla sua stessa beatitudine: –
E se il mio Alfa e Omega è che tutte le cose grevi divengano lievi, tutti i corpi danzanti, tutti gli spiriti uccello: e davvero questo è il mio Alfa e Omega! –
Come non dovrei anelare all’eternità e al nuziale anello degli anelli, – l’anello del ritorno!
Ancora non trovai donna da farmi desiderare figli, se non questa donna, che io amo: perché ti amo, Eternità!
Perché ti amo, Eternità! (AsZ, KSA 4, tr. it. OFN VI, 1, 264-265)

Come nota Gilles Deleuze, Arianna è colei che né negando né compiendo dialetticamente ma affermando l’asserzione dionisiaca “porta a compimento l’insieme delle relazioni che definiscono Dioniso e il filosofo dionisiaco” (Deleuze [1965] 1997, 35). Ed è grazie all’incontro con Arianna che Nietzsche diventa – che finalmente è – Dioniso.

Linee, guide, contorni: la traccia che congiunge Nietzsche ad Arianna, e che passa per Burckhardt, si compie a Roma, dove il filosofo, tra maggio e giugno del 1883, non si riconcilia con la sorella e non ritrova, ovviamente, neppure Lou: incontra però Arianna a cui Dioniso già nel paragrafo “Che cos’è aristocratico” di Al di là del bene e del male aveva dichiarato il suo amore:

‘In certi momenti io amo l’uomo’, – e con ciò alludeva ad Arianna che era presente (JGB §295, KSA 5, 249; tr. it. OFN VI, 2, 205).

Appendice | 1883. Diario romano di Friedrich Nietzsche, via Burckhardt

Il secondo soggiorno a Roma di Nietzsche è collegato al primo ed è sollecitato, ma solo in ultima istanza, dalla sorella Elisabeth allora ospite dell’amica Malwida von Meysenbug, ai fini di una riappacificazione conseguente dissapori dovuti ai progetti di convivenza e “trinità” che Nietzsche aveva condiviso con Lou von Salomé e Paul Rée. Nietzsche si era recato a Roma la prima volta nell’aprile del 1882, provenendo da Messina, per incontrare la giovane intellettuale russa che, come gli avevano fatto sapere sia Rée sia Malwida von Meysenbug, doveva assolutamente conoscere (lett. della Meysenbug a Nietzsche del 27 marzo 1882, Nietzsche, Salomé, Rée [1970] 2011, 86). Questo primo breve soggiorno era stato però, diversamente dal secondo, un viaggio deciso all’improvviso e inaspettato per gli stessi Meysenbug e Rée, convinti che Roma non fosse una città adatta alle condizioni di salute di Nietzsche (ibid. 87). Le giornate sono segnate dall’incontro e dalla figura di Lou von Salomé che vede per la prima volta a San Pietro: Nietzsche mi apparve “un po’ compassato, o più esattamente un po’ solenne, già al nostro primo incontro, che ebbe luogo nella basilica di San Pietro, dove Paul Rée, sul gradino di un … confessionale, si occupava … dei suoi appunti di viaggio … Le prime parole che mi rivolse furono: ‘Da quali stelle siamo caduti qui insieme?’” (Janz [1978-79] 1980, vol. II, 122 ss.) La Basilica vaticana insieme a Villa Mattei sembra siano stati gli unici monumenti che aveva avuto modo di visitare, come testimonia una lettera di Malwida von Meysenbug alla figlia Olga Monod-Herzen, datata presumibilmente al 28 aprile:

Ieri pomeriggio Nietzsche è stato di nuovo da me per tre ore. Abbiamo conversato piacevolmente; fa stupire e commuovere come il suo spirito rimanga fresco e spumeggiante nonostante le sue sofferenze. Ha passato a letto tutto il tempo che è rimasto qui, e di Roma non ha visto altro che la Villa Mattei e San Pietro (Nietzsche, Salomé, Rée [1970] 2011, 410).

Nietzsche aveva visitato Villa Mattei con Malwida (ibid. 410). Il soggiorno del 1883 sarà invece ben preparato. Già il 1 febbraio Nietzsche comunica a Köselitz che è sua intenzione di recarsi a Roma su invito di Malwida, che aveva trovato per lui una camera e una persona disposta a scrivere per un paio d’ore al giorno sotto dettatura la prima parte dello Zarathustra. L’amica era infatti convinta che la permanenza a Roma avrebbe giovato alla solitudine di Nietzsche:

Ma torniamo a Lei e alla Sua solitudine, che mi addolora. Pensavo, perché non viene qui? Adesso qui c’è la cugina del povero Brenner, di gran lunga meno intelligente di Lou von Salomé, ma per nulla limitata, è colta e dotata di tutto quel cuore e quell’abnegazione che Lou von Salomé non ha. Sarebbe disposta a scrivere per Lei parecchie ore al giorno. Accanto alla sua abitazione affittano una bella camera per 35 lire al mese; nella stessa casa abitano una brava vecchia tedesca e un tappezziere tedesco, persona squisita, che mi è di aiuto e di conforto. Qui Lei sarebbe vicinissimo al Pincio, dove la mattina si possono fare belle passeggiate in solitudine. Per il pomeriggio si possono trovare altri itinerari ombrosi, ad esempio la villa dove siamo stati insieme. Se poi Le venisse voglia di vedere gente, potrebbe trovare qualcuno con cui parlare, in particolare certi norvegesi, splendide persone che le andrebbero proprio a genio. Ci pensi su. Il clima qui non è peggiore che in altre parti d’Italia, e se l’anno scorso Lei credette di soffrirne, si trattava certo di una suggestione (Epistolario IV, 748).

Nietzsche progetta la partenza per la prima metà di febbraio, nonostante la preoccupazione per il clima e il fatto che non considerasse la città un “luogo ideale” (v. le lettere a H. Köselitz e alla Meysenbug del 1.2.1883, Epistolario IV, 301 e 303). In vista del viaggio, forse sollecitato dalla stessa Meysenbug che gli scriveva di come avrebbe potuto passare il pomeriggio a percorrere itinerari ombrosi, chiede all’amico Overbeck di inviargli quanto prima il volume di Theodor Gsell-Fels Italien in 60 Tagen, uscito a Lipsia nel 1878:

Ora, sono già alcune settimane che Malwida Meysenbug mi ha proposto di andare da lei a Roma: mi ha trovato una camera, ma non basta: mi ha trovato anche qualcuno che è disposto a scrivere per me un paio d’ore al giorno (e cioè la signorina Horner, che abita nella casa accanto). Roma non è il mio luogo di elezione, ma attualmente non conosco scelta migliore. Ho appena confermato il mio arrivo per la metà di febbraio. – Ora vorrei pregarti di spedire piuttosto in fretta, ancora al mio indirizzo attuale, il denaro (i 400 franchi, se possibile in valuta italiana) e anche un libro (sotto fascia) che ho lasciato a casa tua, L’Italia in 60 giorni di Gsell-Fels (1° febbraio 1883, Epistolario IV, 304).

Il 10 febbraio scrive a Overbeck annunciando inizialmente che ha deciso di copiare lui stesso il manoscritto (“Roma mi fa paura, e non so decidermi. Chissà quali tormenti mi aspettano laggiù! Così mi sono accinto a fare il copista di me stesso”, Epistolario IV, 307). L’indomani, a testimonianza che la ragione del programma romano non si annidava unicamente nella possibilità del lavoro sullo Zarathustra, gli chiede notizie sulla spedizione del volume Gsell-Fels, rammaricandosi di non averlo ancora ricevuto (riceverà il libro il 9 marzo, Epistolario IV, 321).

Il 14 comunica di aver completato la copiatura del manoscritto ribadendo di non essersi ancora deciso di recarsi a Roma (Epistolario IV, 307, 309). La notizia della morte di Wagner avvenuta il 13 febbraio e il successivo crollo delle sue condizioni di salute spingono Nietzsche a sospendere il progettato soggiorno romano (v. la lettera di Nietzsche a Malwida von Meysenbug del 21.2.1883, Epistolario IV, 314), a cui comunque non sembra rinunciare definitivamente. Il 27 aprile riceve dalla sorella la proposta di ritrovarsi a Roma per una riconciliazione e decide di partire il 3 maggio (v. le lettere da Genova del 27 aprile a Koselitz ed Elisabeth in Epistolario IV, 346 e 347-348; a Overbeck il 29 aprile in Epistolario IV, 349), seppur mantenendo una certa refrattarietà verso la città. Lo stesso atteggiamento ambivalente è registrato nelle lettere che scriverà durante il soggiorno romano:

Veramente è importante in tutte le cose ‘vedere in carne ed ossa’; anch’io sono molto contento di essere venuto a Roma a correggere i miei giudizi e quelli degli altri su di me, e di ‘essere stato visto in carne ed ossa’ ... Roma non è il posto che fa per me – questo è fuor di dubbio. Mi adatto a passarvi questo mese in quanto sento che mi ricrea il corpo e l’anima e rappresenta un riposo. Non mi sono mai trovato così bene come in questo appartamento; mi accade ora per la prima volta che l’avermi ospite venga considerato e sentito un onore: e naturalmente è stata una famiglia svizzera a farmi oggetto di tanta distinzione (a Heinrich Köselitz del 10.5.1883, 353; v. anche le lettere alla madre del 13.5.1883, 354, e a H. Köselitz del 20.5.1883, 356).

Prospetta un programma di visite che, come abbiamo visto sopra, è rintracciabile grazie agli appunti apposti sulla sua guida Gsell-Fels. Ma quel che a Roma Nietzsche farà veramente, sarà finire di scrivere lo Zarathustra, che invierà prontamente a Burckhardt, “una delle POCHE persone con cui mi trovo davvero bene” (a Overbeck 6 aprile 1883, 338). E al suo “maestro di civiltà greca” invierà puntualmente tutte le sue opere, fino all’ultima sua lettera:

[Burckhardt resta] il suo “grande, grandissimo Maestro”. E nulla aveva mai oscurato quella sua incontrollabile fiducia verso l’uomo a cui invierà da Torino l’ultima lettera della sua vita (Ghelardi 2002, 60).

Già nel 1869 Nietzsche dichiarava, in una lettera a Erwin Rohde, come si sentisse in sintonia con il “geniale ed eccentrico” Burckhardt, con il quale scopriva “una singolare concordanza” su comuni “paradossi estetici”:

Fin da principio ho avuto relazioni più strette con Jacob Burckhardt, uomo di spirito non comune; e questo mi fa sinceramente piacere, perché scopriamo una singolare concordanza nei nostri paradossi estetici (Epistolario II, 12-13).

Ma si veda anche lettera a Elisabeth Nietzsche del 29 maggio 1869: “Chi frequento molto è Jacob Burckhardt, un noto storico dell’arte e studioso di estetica …, Epistolario II, 11). Pur in una relazione non sempre fluida Burckhardt resta per Nietzsche il suo principale riferimento come studioso. Prova ne è la commovente e spasmodica attesa per i suoi riscontri e per le sue lettere:

Ora però vorrei chiederLe ancora una cosa che mi sta a cuore: mi sono state spedite a Roma alcune lettere, per esempio da Jacob Burckhardt; ... sono lettere che non vorrei perdere (a Malwida von Meysenbug, primi di novembre 1883, 429).

E a Overbeck da Nizza, il 7 aprile del 1884:

Ti ho mai mostrato la lettera di Jacob Burckhardt, che mi ha fatto toccare con mano “la storia universale”? (Epistolario IV, 471).

Osserva Maurizio Ghelardi:

[Si nota] soprattutto nei frammenti del 1873-1876, quella che percepiva essere la comune concezione della cultura che lo legava a Burckhardt contro la forza semplificatrice del “cesarismo” artistico (Wagner) e politico (Napoleone III e Bismarck) (Ghelardi 2002, 61).

Infine – per concludere queste brevi e incompiute annotazioni – si leggano le righe della lettera da Roma del 24 maggio a Karl Hillebrand (358):

Egli ama udire più di ogni altra cosa, la verità, qualsiasi verità? Tra i viventi conosco soltanto Lei e Jacob Burckhardt che potrebbero rendermi questo servigio ...

Bibliografia
Sigle delle opere di Friedrich Nietzsche secondo l’edizione Colli-Montinari

During his Roman stay, between May-June 1883, Friedrich Nietzsche completed Zarathustra in which the figures of Dionysus and Ariadne appear backlit in the text, between the lines and the titles of the chapters of the book. In the work of the philosopher, the first traces of Ariadne's name and myth date from this same period. In this article the team of Seminario Mnemosyne search for tracks of an 'encounter' in Rome of Nietzsche with Ariadne, which could have taken place through the mediation of the text of Jacob Burckhardt’s The Cicerone.

keywords | Friedrich Nietzsche; Ariadne; Dionysus; Jacob Burckhardt.

Per citare questo articolo: Anna Fressola (a cura di), Seminario Mnemosyne, Nietzsche e Arianna. Nota su un incontro a Roma (maggio-giugno 1883), “La Rivista di Engramma” n. 173, maggio-giugno 2020, pp. 215-232 | pdf dell’articolo

doi: https://doi.org/10.25432/1826-901X/2020.173.0025