"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

181 | maggio 2021

97888948401

Pasolini fumettista

Un’analisi di La Terra vista dalla luna attraverso gli strumenti critici del racconto grafico

Daniele Comberiati

English abstract

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È il 1967 quando Pier Paolo Pasolini partecipa con l’episodio La Terra vista dalla luna al film collettivo Le streghe, progetto a cui collaborarono Luchino Visconti, Mauro Bolognini, Franco Rossi e Vittorio De Sica. Quella del film a episodi è una modalità piuttosto in voga all’epoca e alla quale Pasolini ha già partecipato: nel 1963, con La ricotta, aveva contribuito all’opera collettiva Ro.Go.Pa.G. mostrando un’attenzione particolare alla pittura e al disegno. Le esperienze del 1963 e del 1967 infatti si rivelano importanti per un’evoluzione della sua estetica e in generale per il suo rapporto con le arti visuali: in La ricotta vi era il riferimento al manierismo di Mantegna nella costruzione dell’immagine, La Terra vista dalla luna segna l’inizio dell’impiego del colore nel cinema, abbandonando il bianco e nero delle prime produzioni. In entrambi i casi ritroviamo una mediazione fra la sceneggiatura scritta e il film vero e proprio: in La Ricotta è il dipinto a porsi come filtro nel passaggio da un mezzo di espressione all’altro, nel film del 1967 è il fumetto, perché Pasolini, accanto ad un soggetto apparentemente più ‘classico’ aggiunge una sceneggiatura a fumetti, sorta di storyboard che però l’autore concepisce anche come opera autonoma, e dalla quale già si possono intravedere le sperimentazioni sul colore che saranno poi alla base delle innovazioni tecniche del cortometraggio.

Il ricorso allo storyboard da parte dello stesso regista non è certo una novità: lo aveva utilizzato Hitchcock al suo arrivo a Hollywood, una parziale innovazione nel contesto nordamericano dove vi era di solito una persona addetta a tale lavoro; d’altronde le scene ‘disegnate’ da parte del regista saranno una delle cifre stilistiche della Nuova Hollywood – Martin Scorsese agli esordi disegnava ogni singola scena dei suoi film –, atte ad esemplificare una nuova concezione di autorialità (Balzola, Pesce 2009). Non è una novità, nel senso autoriale, neanche in Italia, ma una precisa modalità di lavoro. Due anni prima dell’uscita di Le streghe, Federico Fellini insieme a Dino Buzzati e Brunello Rondi ultima la sceneggiatura di Il viaggio di G. Mastorna detto Fernet – l’ipotetico film annovera diversi titoli, fra cui Moraldo in città, Mastorna, Il viaggio di Mastorna –, opera mai realizzata che però proprio a partire da un’idea che potremmo definire ‘da storyboard’ vede la luce in forma di fumetto (Canosa, Fornaroli 2006). Per primo è lo stesso Buzzati ad inserire delle scene nel suo Poema a fumetti, mostrandone un frammento (Buzzati 1969), in seguito sarà Milo Manara a pubblicarlo come opera indipendente (Manara 2001). Se il testo di Fellini mostra un fumetto nato a partire da un progetto filmico mai realizzato – ma apparentemente in fase avanzata, visto che il regista aveva addirittura fatto costruire alcuni set per iniziare a girarlo (Mollica 2000) -, il lavoro di Pasolini è differente. Ci troviamo in tal caso all’interno di un’opera aperta, nella quale i testi – soggetto, fumetto, film – dialogano ma si propongono anche come elementi autonomi. Per tale ragione la sceneggiatura a fumetti di Pasolini può essere letta come testo a sé – farò infatti riferimento all’edizione Polistampa del 2010 (Pasolini 2010) –, utilizzando gli strumenti critici e teorici solitamente legati agli studi del comic e del romanzo grafico.

È in fondo Pasolini stesso a considerarla un’opera indipendente, parte di un ipotetico progetto a fumetti più imponente che non si realizzò mai. Ne parla esplicitamente in una lettera a Livio Garzanti del gennaio 1967 (Pasolini 1986, 625). È una di quelle lettere piene di progetti futuri, dei quali alcuni si realizzeranno, e che descrive un momento di particolare fervore creativo. Pasolini cita, fra le altre, delle idee concernenti Porcile, Empirismo eretico, Affabulazione, la Divina mimesis. Una lettera “summa”, dunque, in cui più generi sono interpellati e in cui il fumetto entra a pieno titolo nella negoziazione di un’opera globale che si vuole aperta e costantemente in fieri. Nomina la sceneggiatura La Terra vista dalla luna parlando dell’idea di un “fumetto a colori (ripescando certe mie rozze qualità di pittore abbandonate)”, che dovrebbe confluire in una serie di “una dozzina di episodi comici – molto colorati e espressionistici” (Pasolini 1986, 625). Se possiamo notare immediatamente un riferimento all’uso del colore che come detto costituirà una delle più evidenti novità estetiche del film, è interessante per il nostro discorso l’accenno, già in fase di concepimento dell’opera, al genere da utilizzare, quegli “episodi comici” che in effetti costituiscono la base di La Terra vista dalla luna e che mostrano un preciso percorso, con nessi testuali espliciti e impliciti, osservabile nella costruzione dei due personaggi principali del testo, Ciancicato e Baciù Miao.

Risulta particolarmente utile situare l’opera di Pasolini all’interno delle pubblicazioni fumettistiche coeve e precedenti, soprattutto se pensiamo all’impatto che ha avuto, all’interno della sua produzione ma anche all’esterno, la sua capacità di manipolare e trasformare i mezzi di espressione attraversati, dalla poesia al teatro passando per il cinema. Sarebbe dunque lecito chiederci da una parte che cosa avrebbe rappresentato il “romanzo a fumetti” di Pasolini se ultimato e pubblicato, ma dall’altra è forse più utile ragionare sui materiali esistenti, per scoprire come e in che misura presentino riscritture, riflessioni e trasformazioni di precise modalità di concepire la nona arte.

Claudia Romanelli nel suo accurato articolo sul lavoro pasoliniano, riprende le parole dell’autore stesso nel definirlo “una sceneggiatura a forma di fumetto” e traccia un ampio e condivisibile quadro dei riferimenti fumettistici presenti: si va chiaramente da Donald Duck (il nostro Paperino) e più in generale dall’influenza anche grafica dei tratti Disney, a Felix the Cat, che in Italia veniva incluso nel Corriere dei piccoli con il nome di Miao Mao (Romanelli 2017; Zabagli 2009). Al di là delle precise indicazioni che l’autrice fornisce riguardo alle varianti operate fra il soggetto del film, la sceneggiatura, il film vero e proprio e la sceneggiatura a fumetti di cui ci stiamo occupando – differenze che vedono varie ragioni, dai seppur lievi slittamenti cronologici all’uso consapevole dei diversi medium –, la parte più importante del suo saggio mi sembra racchiusa nel titolo di uno dei primi paragrafi – A Structure that Wants to Become Another Structure – che “svela” il processo dell’opera pasoliniana. Possiamo infatti definire il fumetto La Terra vista dalla luna un’opera “disseminata”, e non a caso Pasolini utilizza questa particolare forma di espressione – in un periodo in cui, seppur in evoluzione, tale linguaggio non aveva ancora raggiunto una completa legittimazione – per sfruttarne modalità di produzione e fruizione originali. Tale opera “disseminata” fa parte in realtà di un quadro concettuale estremamente preciso, all’interno del quale l’autore “nasconde” il fumetto dietro a una serie di testi all’epoca maggiormente legittimi e al tempo stesso legittimanti. Così facendo, invece di mostrarne una presunta debolezza, ne mette in rilievo la capacità di adattamento e la forza espressiva, ponendo inoltre al lettore questioni fondamentali sulla struttura stessa del mezzo (e dell’opera artistica in generale) e mostrando la capacità di giungere alla teoria attraverso esempi tratti anche dalla cultura popolare, in maniera non dissimile da quanto faranno alcuni anni dopo i protagonisti dei cultural studies nel contesto britannico e da quanto teorizzerà Mark Fisher (Fisher [2018] 2020).

Altri studiosi si sono soffermati sul fumetto pasoliniano: Daniele Fioretti per esempio si è concentrato sulle sperimentazioni tecniche presenti nell’opera – che in un certo senso confermano quanto affermato in precedenza, e cioè che a partire da La Terra vista dalla luna in Pasolini vi fu un tentativo, per quanto non concluso, di ripensamento del mezzo, che non era dunque un semplice arnese da lavoro “minore” –, in particolare sull’uso del colore, che a suo dire acquista anche una precisa valenza contenutistica e tematica, perché contribuisce ad allontanarlo dalle borgate e a farne evolvere l’immaginario (Fioretti 2015, 110).

Anche Nicola Catelli ha esaminato la tecnica utilizzata dall’autore per comporre il suo fumetto – una tecnica mista di pastelli, gessetti e penna biro su fogli da disegni, all’apparenza lontana dalla china utilizzata all’epoca ma vicina a esperienze più recenti (Barbieri 2010, 123) –, ragionando su come il mezzo gli abbia consentito di esplorare in maniera più profonda la particolare relazione fra vivi e morti che contraddistingue parte del racconto (Catelli 2015).

Diventa a questo punto interessante mettere in relazione ciò che Pasolini stava facendo – e ciò che aveva intenzione di fare – attraverso il fumetto con le dinamiche di innovazione e ripensamento del genere in atto in quegli anni in Italia e all’estero. Pasolini usa il fumetto come mezzo per spostare ulteriormente l’asse creativo all’interno della sua opera aperta, ma anche come nuovo frammento della sua autorialità performante: con la sequenzialità temporale e la riuscita e calibrata fusione di disegno e parole, colori e volti, il suo pensiero e la sua presenza si fanno concreti, “pesanti”. Gian Maria Annovi ha ragionato sulla performing autorship pasoliniana, rimarcandone, con un prestito teorico dall’hauntologia di Derrida, la funzione di “spettro”, che ancora disturba il nostro presente, attraverso il particolare posizionamento estetico, politico e culturale (Annovi 2017). L’opera pasoliniana e la sua riflessione sulla funzione dell’autore vanno dunque oltre il campo limitato degli studi di italianistica, ma investono sia altri linguaggi, sia un’idea diversa di produzione autoriale. Da anni infatti gli studi su Pasolini riguardano anche il rapporto fra testo e immagine, di cui La terra vista dalla luna è un caso fra i più interessanti: in tal caso lo “spettro” evocato da Annovi potrebbe celarsi proprio dietro l’assunzione di responsabilità e di autorialità diretta di un intellettuale “legittimato” nei confronti di un genere che non lo era ancora, rimettendo in discussione, al tempo stesso, l’idea di scrittore come veniva concepita all’epoca, la relazione gerarchica fra cultura “alta” e “popolare”, il rapporto fra scrittura e segno grafico.

Nel contesto nazionale, infatti, vi erano già stati tentativi di “legittimare” la nona arte: l’esempio più significativo verte probabilmente sulle strisce pubblicate nel Politecnico da Vittorini a partire dal 1946 (Stancanelli 2008); Vittorini che tra l’altro attingeva dalla stessa fonte pasoliniana, quel Corriere dei piccoli foriero di scoperte fondamentali per il genere. Con il lavoro di Vittorini entrano in ambito italiano i lavori più rappresentativi del fumetto americano: Popeye, Peanuts di Schulz. L’esempio, anche se non del tutto isolato, non generò però un cambio di paradigma immediato. Dobbiamo infatti attendere il 1965 per la nascita di Linus, prima rivista a considerare e a studiare il fumetto con gli strumenti della critica culturale.

Ma che il rapporto con il disegno fosse importante nella produzione pasoliniana è ormai comprovato (Zigaina 1978): non si tratta soltanto di una passione giovanile o passeggera, perché anche nell’ultima fase, durante la stesura difficile e ossessiva di Petrolio, l’autore continuò a dipingere e disegnare, tanto che Zabagli parla espressamente di un “poema delle forme” che avrebbe contraddistinto i progetti degli ultimi anni (Zabagli 2000, 11). Lo stesso Pasolini si era fatto costruire un atelier per dipingere nella sua residenza a Chiaia, nella quale era solito soggiornare negli ultimi anni per scrivere Petrolio.

La Terra vista dalla luna è quindi un progetto che partecipa a una concezione più ampia di opera culturale, che incrocia linguaggi e sperimenta modalità narrative, ma anche un frammento di testo autonomo, a sua volta portatore di un’ibridazione interna fra (di)segno e parola. Partendo da strumenti teorici propri degli studi sul fumetto (Barbieri 2017), infatti, possiamo ritrovare, attraverso tre elementi distinti, delle specifiche modalità di utilizzo del mezzo – la rottura della “gabbia”, lo “sfaldamento” del segno, la contaminazione fra fonti alte e popolari – che evidenziano come Pasolini si mostrasse assolutamente contemporaneo al rinnovamento del genere a cui si assisteva in quegli anni e in alcune situazioni specifiche – tecniche, contenutistiche e legate in maniera più generale alla concezione stessa della tipologia di linguaggio – ne avesse anticipato le evoluzioni successive.

Il primo elemento che salta agli occhi dalla lettura del testo pasoliniano è la completa rottura della “gabbia”, ovvero il rettangolo virtuale che delimita lo spazio bianco attorno alle vignette e che crea fra le diverse scene una sorta di legame grafico con ovvie conseguenze sulla consequenzialità narrativa. La “gabbia” è stata e continua ad essere per molti fumettisti un simbolo di limitazione o comunque di negoziazione della propria creatività: nell’analisi socio-culturale che Staiano e Patrone hanno pubblicato nel 2011 e che si nutre di diverse interviste ad autori contemporanei, emerge quale uno dei parametri maggiormente condizionanti per i disegnatori (Staiano, Patrone 2011, 76): la maggior parte degli autori che lavorano per il fumetto seriale, in particolar modo per l’editore Bonelli, vede proprio nella difficoltà di uscire dalla “gabbia” bonelliana l’aspetto più limitante della propria inventiva. In La Terra vista dalla luna la “gabbia” è letteralmente esplosa: nel testo non si trovano due pagine consecutive in cui la struttura delle vignette rimanga la stessa; lo spazio bianco che dovrebbe fungere da confine invisibile nel quale incasellarle è costantemente messo in evidenza, sottolineato di volta in volta da tratti spessi di colore diverso, che vanno dal rosso al nero attraversando tra gli altri l’azzurro, il verde chiaro, il grigio e il rosa. Solo nella parte finale la delimitazione delle vignette appare meno marcata, ma rimane palese la scelta di Pasolini di utilizzarne la linea di demarcazione come mezzo grafico espressivo e con fini narrativi espliciti: ad esempio nella prima parte il colore rosso genera un effetto comico, accentuando quello già creato con il colore dei capelli di Ciancicato e Baciù, oltre che con il contenuto della conversazione fra i due protagonisti, che asseriscono di non volere assolutamente cercare una donna dai capelli rossi. Il seguente colore nero, d’altra parte, si lega cromaticamente e simbolicamente al personaggio della vedova, che Pasolini rappresenta per la prima volta come una sagoma nera scorta da lontano mentre è intenta a raccogliere fiori dietro al cimitero.

La rottura della “gabbia”, come anche altre innovazioni proposte da Pasolini nel testo – l’impiego del lettering a tale proposito è significativo, perché composto a mano, di dimensioni, forme e colori variabili e alternando corsivo e stampatello maiuscolo –, riprende alcune riforme all’interno del linguaggio del fumetto che proprio negli anni ’60 stavano vedendo la luce. In questo decennio infatti sono diverse le pubblicazioni (italiane, europee, statunitensi e giapponesi) che iniziano a mettere in discussione la struttura classica del genere e a rimodellare, dal punto di vista della forma e dei contenuti, le classiche strisce che imperversavano dagli anni ’40.

Nel contesto italiano abbiamo già accennato a Linus che, pur continuando a presentare un approccio storico-critico, iniziava a proporre proprio in quegli anni autori quali Crepax che ragionavano su una possibile apertura del fumetto seriale e un’autorialità più marcata. In Giappone il manga con i lavori di Osamu Tezuka stava assumendo la forma narrativa con il quale è poi giunto nei paesi occidentali, ma la grande capacità riformatrice del fumetto in quegli anni in Europa si deve, secondo Boltanski (Boltanski 1975) a quattro fattori principali: innanzitutto alla presenza di una nuova generazione di autori figli della classe media, che avevano di solito iniziato a lavorare come pittori, disegnatori o illustratori e possedevano un’istruzione generalmente più alta di quella della generazione precedente; ai nuovi autori si accompagnava un pubblico maggiormente scolarizzato, con un buon bagaglio di conoscenze all’interno e al di fuori del campo fumettistico; cambiava in tal modo anche l’approccio da parte degli editori, riscontrabile nella qualità grafica e dei materiali per le pubblicazioni (l’esempio della Marvel negli anni ’50, con pubblicazioni in formato economico, seriale, ma a colori e di qualità, era già divenuto un modello da seguire); in ultimo entravano nel fumetto pratiche intellettuali portate da altri campi (in particolare dalla sociologia e dalla letteratura), come confermavano in Italia e in Francia i casi di Umberto Eco e Edgar Morin.

Pasolini con la sua opera dialoga dunque con un contesto in grande fermento, e lo fa mostrandosi perfettamente coevo all’evoluzione del linguaggio e in alcuni casi anticipandone i percorsi. Valga come esempio, sempre rispetto a questa apertura della “gabbia” e all’impiego narrativo di elementi altrimenti considerati meramente tecnici come il lettering, ciò che stava accadendo all’interno del gruppo di autori a cui era affidato il Topolino italiano (Favari 1996). Normalmente la Disney subappaltava il personaggio all’editore che ne deteneva i diritti nelle aree geografiche specifiche, imponendo però di rispettarne rigorosamente le caratteristiche grafiche e legate al contenuto. In Italia la pubblicazione di Topolino aveva già causato tensioni durante il fascismo (Gori, Lama 2011), ma se i problemi precedenti erano di natura prettamente politica, legati alla censura, all’embargo dopo l’aggressione all’Etiopia e all’alleanza italiana con la Germania, ciò che accadde negli anni ’60 fu rivelatore del nuovo percorso che stava intraprendendo il fumetto. Un gruppo di autori (fra cui Romano Scarpa, Gian Battista Carpi e un giovane Giorgio Cavazzano) utilizzarono infatti Topolino per portare avanti le proprie sperimentazioni linguistiche, fra cui un uso personale del lettering (che nelle pubblicazioni della Disney è estremamente sobrio e controllato) e una disposizione diversa della “gabbia” e delle vignette. Non sarà forse per casualità che, all’inizio degli anni ‘80, l’Italia diverrà il primo paese europeo nel quale la Disney gestirà direttamente le proprie pubblicazioni, ricomprando i diritti a Mondadori.

La sensibilità di Pasolini nell’impiegare un mezzo per lui comunque nuovo è notevole, tanto che come abbiamo visto tale qualità lo fa dialogare a posteriori con le istanze più innovative del fumetto italiano e internazionale. Oltre agli elementi strutturali che compongono la tavola, però, vi è un’altra caratteristica di La Terra vista dalla luna che rende il testo così contemporaneo: l’impiego di tecniche tipiche dell’arte contemporanea a scopo narrativo. Tale pratica rappresenta il secondo elemento di analisi del nostro discorso, e forse dal punto di vista tecnico è maggiormente anticipatoria, almeno nel contesto nazionale, della rottura della “gabbia” e dell’uso narrativo del lettering.

Il secondo fattore che cattura l’attenzione, legato all’uso del colore, è infatti il progressivo “sfaldamento” del segno, con corpi e volti deformati – vicini alle caricature che Pasolini già immaginava menzionando i propri modelli contenutistici ed estetici – che fanno spesso fuoriuscire il colore dai margini rendendolo l’elemento più importante o comunque il più immediatamente riconoscibile della vignetta. Romanelli ha giustamente messo in luce le similitudini fra il Pasolini disegnatore e fumettista (Romanelli 2017, 19), dal punto di vista stilistico e concettuale. In effetti ne ritroviamo qui alcuni aspetti, come l’impiego del carboncino, più raramente del pennello, e in generale una sensazione quasi materica, solida, nei punti in cui il colore si concentra (alcune didascalie, vestiti, capelli). Già nella sua pittura le influenze di Masaccio e Carrà erano evidenti, e lo stesso Pasolini aveva affermato in un appunto databile al 1970 di essere stato influenzato dai due artisti, che in effetti sono pittori materici, ma di essersi disinteressato alla pittura per almeno quindici anni, dall’astrattismo alla pittura pop, che invece tanta importanza ha avuto nello sviluppo del fumetto degli anni ’70 e ’80 (Pasolini 2000). Certo non possiamo definire il Pasolini di La Terra vista dalla luna come “astratto”, eppure ritroviamo in alcuni momenti una tale rarefazione di segni e forme – negli sfondi, nei fiori che la devota tiene in mano, nei capelli di Ciancicato – da pensare che il tratto realista tipico della maggior parte dei fumetti di quegli anni si stia trasformando in qualcosa di diverso.

Pasolini infatti si mostra particolarmente abile a mescolare alcune convenzioni “classiche” del disegno a strisce con innovazioni personali e tratte dal contesto della pittura. Valga come esempio la rappresentazione onomatopeica dell’esplosione atomica, dove ai comuni colori rosso, azzurro e nero l’autore associa una didascalia gialla in basso a destra, rompendo le consuetudini narrative ed estetiche della narrazione fumettistica del tempo. Vi è inoltre una vignetta precisa in cui possiamo capire facilmente fino a che punto Pasolini sia riuscito a far confluire nel suo fumetto innovazioni provenienti da esperienze artistiche e pittoriche coeve. Si tratta di una delle ultime scene, quando Ciancicato, al termine della propria questua, decide di sposare Caì. La tavola è divisa in tre vignette orizzontali, di cui la seconda occupa la metà in basso mentre le prime due si spartiscono la parte alta del foglio. Il rosa dei contorni delle vignette è usato in maniera narrativa, come spesso accade nel testo, ma non è certo l’elemento che salta agli occhi nella breve sequenza: dopo una prima vignetta più “classica”, in cui Ciancicato accetta di sposare Caì, l’autore inserisce una vignetta completamente bianca. La terza in basso, che dovrebbe seguirla concettualmente e cronologicamente, è anch’essa quasi del tutto bianca, se si eccettua un punto marrone al centro. Nella tavola successiva la vignetta è invasa dalla didascalia rosa su sfondo giallo, che però Pasolini usa in modalità più consuete, annunciando un’ellissi temporale. Nelle due vignette vuote della tavola precedente abbiamo così assistito ad una pratica di arte concettuale che, parzialmente anticipata dal suprematismo sovietico e influenzata dal minimalismo americano, iniziava ad essere utilizzata in quegli anni e che sarà sempre più comune nel decennio successivo. Il fumetto attenderà ancora un decennio prima di impossessarsi e riutilizzare in modo così sfrontato gli strumenti più innovativi provenienti dalle pratiche dell’arte astratta e concettuale – in Italia lo vedremo con chiarezza nel fumetto underground, con l’esempio magnifico di Ranxerox (Pincio 2012, 23) – e Pasolini dimostra qui una grande capacità di trasportare il mezzo verso linguaggi e forme che prenderà di lì a poco.

L’ultimo elemento di rottura del fumetto pasoliniano riguarda ugualmente la commistione di fumetto e narrazioni grafiche di alto livello, che abbiamo già potuto osservare nel punto appena analizzato, ma che si dipana in tal caso, in maniera anche teorica, come una riflessione sulle interazioni fra le culture cosiddette popolari e la cultura “alta”. Siamo in un periodo in cui, in Italia ma non solo, la discussione sul fumetto come arte popolare o intellettuale è molto accesa: le relazioni con il cinema si fanno sempre più strette (Stefanelli, Maigret 2012), sia per quanto riguarda i teorici che se ne occupano (Umberto Eco, Edgar Morin) che per quanto riguarda gli stessi autori, come sarà evidente nel decennio successivo con i lavori di Will Eisner e le sue innovazioni nel campo della sequenzialità. Quello che però sta venendo alla luce è che la relazione fra cinema e fumetto non è unidirezionale: Rickman ad esempio analizza con acutezza i debiti che il cortometraggio dei fratelli Lumière L’arroseur arrosé detiene con le strisce che i giornali pubblicavano al tempo, così come rimarca quanto lo slapstick sia stato ispirato ad alcune situazioni dei baloons (Rickman 2008, 14). Se pensiamo all’influenza del cinema muto e in particolare di Buster Keaton in La Terra vista dalla luna, notiamo come Pasolini abbia di fatto riutilizzato una fonte che parzialmente proveniva proprio dal linguaggio fumettistico.

I generi più in voga allora erano il fumetto di avventura e il comico, e Pasolini riscrive e ristruttura quest’ultimo, contribuendo a proporlo a un pubblico più colto. Nel 1968 la rivista statunitense “Zap Comix”, tramite l’editore Charles Plymell, propose fumetti ad uso esclusivo di un pubblico adulto e intellettuale. Si tratta certo di una provocazione, che però è un segno di quanto la ricerca di una nuova fascia di lettori sia diventata un’esigenza impellente, per un mezzo che vuole sdoganarsi dalla riduzione a prodotto per ragazzi o esclusivamente di intrattenimento. Anche in Italia la riflessione sulla natura “intellettuale” del fumetto è fervida negli anni ’60: vi è la prima ondata di ritorno degli autori dall’Argentina e dalla Francia, e in generale si crea una polarizzazione, in parte riscontrabile ancora oggi, fra fumetto “d’autore” e fumetto “popolare” (Comberiati 2018). Pasolini, utilizzando fonti provenienti da testi considerati popolari – Topolino, Peanuts di Schulz, ma anche il Sor Pampurio di Carlo Bisi, tanto che il personaggio di Ninetto Davoli si chiamava proprio Pampurio nel progetto iniziale –, rinegoziate però all’interno di una poetica d’autore, proponeva già nel 1965 una rottura di tale artificiale dicotomia, anticipando una questione che sarà cruciale per la critica (e in parte anche per le strutture editoriali e per le scelte degli autori) in Italia nei decenni successivi.

Abbiamo visto come questi tre elementi – l’impiego inusuale e anticipatorio di alcuni elementi del linguaggio fumettistico, l’ibridazione con le esperienze artistiche del periodo e la rimessa in discussione della gerarchia fra culture “popolari” e “alte” – contribuiscano a fare del fumetto pasoliniano un’opera innovativa, anche alla luce delle evoluzioni della nona arte negli ultimi decenni del ventesimo e nei primi del ventunesimo secolo. Tale punto di vista è confermato dalla “spore” che La Terra vista dalla Luna ha lasciato e dalle influenze che ha avuto su alcuni autori contemporanei. Tralasciamo in questa sede la possibilità di un’analisi esaustiva sulle opere fumettistiche ispirate a Pasolini o ad alcune sue opere specifiche, lavoro comunque auspicabile (Toffolo 2006; Maconi 2008; Costantini-Stamboulis 2015; Origa 1976; Rotundo-Dufaux 1993), per concentrarci su un’unica opera, anzi su un frammento di essa. Nel suo lavoro dedicato all’intellettuale friulano, infatti, Davide Toffolo riproduce alcune tavole della sceneggiatura a fumetti pasoliniana (Toffolo 2006). Parliamo giustamente di “riproduzione” e non di riscrittura, perché i disegni e i testi di Pasolini sembrano dialogare perfettamente con lo stile moderno e variegato di Toffolo. Il libro, concepito come un dialogo ipotetico tra i due autori, vede proprio nella riproposizione delle tavole originali il punto d’incontro più intenso: è il Pasolini fumettista che Toffolo sente maggiormente prossimo, o comunque è anche il Pasolini fumettista – come autore di fumetti tout court, e non considerandoli dunque come appendice più o meno utile per altri più importanti testi – quello con cui vuole dialogare. Anche il modo in cui Pasolini è ritratto, in un bianco e nero inframezzato dal rosso acceso, sembra riprendere l’estetica della sua sceneggiatura a fumetti, tanto che il Pasolini toffoliano assomiglia ad un personaggio di un suo film o, appunto, di La Terra vista dalla luna. Un segno di quanto lo stile fumettistico pasoliniano, pur solamente abbozzato e non portato a termine nel progetto di libro originario, sia foriero ancora oggi di ispirazione nel campo. Che a rendere fertili tali spore sia un progetto non realizzato o ‘fallito’ è forse poco importante, o piuttosto rientra in una nuova prospettiva sul rapporto di lettori e critici con Pasolini (Belpoliti 2010): uscire dal suo mito per confrontarsi realmente con la sua opera. E, come già aveva notato Cortellessa (2017), sono spesso le sue opere visuali a racchiudere meglio tali possibilità.

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    C. Romanelli, A Screenplay in the Form of a Comic Strip: Pier Paolo Pasolini’s Drawings for La terra vista dalla luna, “Italian Studies” 72 (2017), 292-308.
  • Rotundo, Dufaux 1993
    M. Rotundo, J. Dufaux, Pasolini: Pig! Pig! Pig!, Grénoble 1993.
  • Stancanelli 2008
    A. Stancanelli, Vittorini e i balloons. I fumetti del “Politecnico”, Acireale 2008.
  • Stefanelli, Maigret 2012
    M. Stefanelli, E. Maigret (a cura di), La bande dessinée: une médiaculture, Paris 2012.
  • Toffolo 2005.
    D. Toffolo, Pasolini, Padova 2005.
  • Zabagli 2000
    F. Zabagli, I dipinti e i disegni di Pier Paolo Pasolini all’Archivio Contemporaneo del Gabinetto Vieusseux, in P.P. Pasolini, Dipinti e disegni dall’Archivio Contemporaneo del Gabinetto Vieusseux, Firenze 2000.
  • Zigaina 1978
    G. Zigaina (a cura di), I disegni di Pier Paolo Pasolini (1941-1975), Milano 1978.
English abstract

It was 1967 when Pier Paolo Pasolini contributed the episode La terra vista dalla Luna to the anthology film Le streghe, a project in which Luchino Visconti, Mauro Bolognini, Franco Rossi and Vittorio De Sica also participated. Pasolini, alongside an apparently more ‘classic’ subject, adds a comic script, a sort of storyboard that the author also conceives as an autonomous work. The experiments with color that will be the basis of technical innovations in the short film, can also already be glimpsed. Pasolini’s comic script can be read as a text-in-itself using the critical and theoretical tools usually linked to the studies of comics and graphic novels. The author himself considers it an independent work, part of a hypothetical more impressive comic project that never took place. It is particularly useful to situate Pasolini's work within contemporary and previous comic publications, especially if we think of the impact that his ability to manipulate and transform media has had, both within his production, but also outside of expressions crossed, from poetry to theater through cinema. In the article, La Terra vista dalla Luna is discussed as a project that participates in a broader conception of cultural work that crosses languages and experiments with narrative methods, but that also exists as an autonomous fragment of text, in turn the bearer of an internal hybridization between sign and word. Starting from theoretical tools typical of studies on comics, we can find the specific methods of use of the medium through three distinct elements: the breaking of the ‘cage’; the ‘flaking’ of the sign; and the contamination between legitimated and popular cultural productions. These elements show how Pasolini was absolutely contemporary to the renewal of the genre witnessed in those years and, in some specific situations – technical, content-related and linked in a more general way to the very conception of the type of language – anticipated subsequent evolutions.

keywords | Pasolini; Italian comics; Graphic novel; Cultural studies.

Per citare questo articolo/ To cite this article: Daniele Comberiati, Pasolini fumettista. Un’analisi di La Terra vista dalla luna attraverso gli strumenti critici del racconto grafico, “La Rivista di Engramma” n. 181, maggio 2021, pp. 265-280. | PDF dell’articolo

doi: https://doi.org/10.25432/1826-901X/2021.181.0014