"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

186 | novembre 2021

97888948401

“Quis revolvet nobis lapidem ab ostio monumenti?”

Piccole mani e un pezzo di volto

Fabrizio Lollini

English abstract

Che la struttura grafica di un’iniziale predisposta a essere miniata (o di due iniziali consecutive, o delle prime due lettere di un lemma) suggerisca all’artista non solo un suo trattamento iconografico, ma anche determinate scelte formali, è fatto assai frequente, e indagato, nella storia della miniatura. Senza citare gli esempi prototipici dei vangeli o dei sacramentari (dal Xristi autem al Te igitur) la doppia ansa della S di Spiritus domini, per esempio, accoglie di buon grado la scena della Pentecoste, incentivandone la suddivisione tra cielo e terra, tra assoluto e contingente, dando modo agli artisti di sperimentare soluzioni più rigide o più fluide nel dispiegamento della narrazione della scena.

In questo breve intervento vorrei analizzare in parallelo due ritagli miniati attribuiti a Nerio, provenienti da altrettanti corali e conservati uno alla Fondazione Giorgio Cini di Venezia (n. 22025), e uno al Metropolitan Museum di New York (acc. n. 12.56.1). Illustrano entrambi gli eventi seguiti alla morte di Cristo e alla sua collocazione nel sepolcro, in relazione alla resurrezione della domenica di Pasqua, i cui testi, rispettivamente per la Messa (col graduale) e per le Ore (con l’antifonario), sono presenti, se pur frammentariamente, nella coppia di manufatti. Si tratta di una R di Resurrexi et adhuc tecum sum, e di una A di Angelus autem descendit de celo, in cui sono collocati quattro episodi evangelici, di cui uno presenta una variante sorprendente, e certo rara, che non dipende – lo vedremo – da esegesi sottili o dall’inaspettato ricorso a una fonte misconosciuta, ma fornisce la prova di una lettura curiosa ma fedele di testi che, per impiegare una locuzione tipica di certe forme procedurali della giurisprudenza, ‘non poteva non essere conosciuto’ dal miniatore.

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1 | Nerio, Cristo risorto nel sepolcro e Apparizione dell’angelo alle tre Marie, 1305-1310 ca., miniatura su pergamena, Venezia, Fondazione Cini, n. 22025.

2 | Nerio, Apparizione dell’angelo alle tre Marie e Noli me tangere (con le tre Marie), 1315-1320 ca., miniatura su pergamena, New York, Metropolitan Museum, acc. n. 12.56.1.

3 | Nerio, dettaglio della Fig. 2.

4 | Giotto, Gli angeli al sepolcro e Noli me tangere, 1303-1304 ca., affresco, Padova, Cappella Scrovegni.

5 | Neri da Rimini, Le Marie al sepolcro, 1310-1312 ca., miniatura su pergamena, Faenza, Cattedrale, corale n.n. [ma I], c. 1r.

Fu Alessandro Conti a notare la firma di Nerio nel ms. Lat. 8941 della Bibliothèque nationale de France, una delle non poi tantissime in questo periodo a essere riconducibili con certezza – dato il medium di stesura e la collocazione – a un artista di pennello in un manoscritto miniato. Nerio dovrebbe essere attestato già defunto nel 1320, e si può considerare formato nella Bologna del passaggio tra XIII e XIV secolo. Influenzato dal cosiddetto ‘secondo stile’ felsineo, debutta nel solco di una tradizione che guarda ai modelli bizantineggianti, e si apre poi alla lezione di Giotto, anche perché senz’altro attivo a Padova: per esempio, nel Decretum gratiani della Capitolare di Praga (ms. I, 1), o nell’altro codice giuridico civile parigino già menzionato. Gli sono stati riferiti numerosi codici liturgici (tra cui suoi interventi in volumi ora a Zara e a Gemona) e di studio, e molte iniziali figurate ritagliate, come quelle di cui ci occuperemo, o altre, come per esempio a Londra quelle alla British Library e al Victoria & Albert Museum (sull’artista si vedano innanzi tutto le aperture di Conti 1981, 63-74; in seguito, almeno, Bauer Eberhardt 1984, 69-72; Medica 1990, 112 n. 48; Mariani Canova 1992, 167-168; Todini 1993, n. 3, Bollati; Medica 2000, 137-138, 379-382; Medica 2004; Mariani Canova 2009; Toniolo 2010, 119-121; poi, i raggruppamenti di membra disiecta riconsiderati da Freuler 2018, 91-98; e – ora – gli aggiornamenti e lo status questionis di N.K. Turner, S. L’Engle, T. Kennedy, B. Keene, in Cat. Nashville 2021-2022, 31-33, 49-51, 64-65, 79-80, nn. 27-29, con altra bibliografia).

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La R di Resurrexi eseguita dal nostro miniatore, per un graduale che includeva il tempo pasquale, e conservata a Venezia è purtroppo in condizioni non ottimali. Dovrebbe senza dubbio risalire alla prima fase dell’operatività dell’artista, quando ancora è molto vicino alla lezione del ‘Maestro della Bibbia latina 18’, e in contiguità al ‘Maestro del 1311’, in parallelo alle prove di debutto, appunto, del suo catalogo, come il citato intervento zaratino. Ospita due scene diverse, però ambientate, con efficacissima iterazione visiva che stimola la percezione di una sequenzialità temporale, in un’identica collocazione spaziale, una quinta rocciosa che ospita un sarcofago aperto di serpentino verde, posto in uno scorcio che non deve ancora molto alla spazialità giottesca (sul frammento esaustivo è Medica 2016, n. 90, Medica, con precedente bibliografia completa: ma dello studioso si attende un nuovo intervento sul celebre ritaglio; vi si aggiunga Freuler 2018, 91-93).

In alto, dal centro della tomba sorge un Cristo che esibisce le proprie ferite, trionfando sulla morte. A sinistra, un albero; a destra il gruppo delle guardie romane, bloccate in un’inerzia che le trasforma in un’entità indistinta, un tutto unico. Nella parte inferiore, come nello scorrimento narrativo di una moderna graphic novel, nello stesso luogo troviamo come figura principale l’angelo vestito di bianco, ma col manto trapuntato d’oro: non emerge dal suo interno, ma vi è comodamente seduto sopra. Il blocco dei militari rimane immutato a sé stesso come composizione e posizione, mentre la zona di sinistra raffigura le tre Marie (Maria Maddalena, Maria Iacobi, e Maria Salome), che, giunte al sepolcro per ungere il corpo di Gesù, incrociano lo sguardo e il dialogo, appunto, col divino messaggero, che comunica loro l’avvenuto miracolo della resurrezione.

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La storia della Pasqua si svolge in modo diverso nell’incipitaria di New York, proveniente dalla collezione Richter e giunta al Metropolitan nel 1912, senz’altro più tarda, ed eseguita in un antifonario come illustrazione del terzo responsorio del primo Notturno della domenica di Pasqua, con ogni probabilità per una sede agostiniana (nello specifico cfr. Cat. Katonah 1978, n. 12, Nostitz; Cat. New York 2008-2009, 37-38; Freuler 2018, 96-98; e Cat. Nashville 2021-2022, n. 64, Kennedy, e n. 27, in cui l’opera è riprodotta sia negli apparati divulgativi on line sia come back cover del catalogo, rendendo questo piccolo contributo – al di là delle sue intenzioni originarie – in qualche modo di attualità).

Il corpo della A non è interamente definito. Se ne vede il fusto delle due linee ascendenti, che terminano con altrettanti medaglioni decorati a lettere pseudocufiche, una vera e propria firma di Nerio, che troviamo molto di frequente nelle sue opere; l’arcatura in alto è invece assente, e viene delegata all’immaginazione dello spettatore. L’elemento orizzontale intermedio, bilobato, scompartisce l’immagine in due scene distinte. In quella superiore, dal contenuto iconografico analogo alla seconda sezione dell’iniziale della Cini, l’angelo alato e nimbato ‘vestito come la neve’ (pure qui il bianco è punteggiato da elementi decorativi dorati) indica il sarcofago aperto, vuoto perché Cristo è già risorto, alle tre pie donne che si stanno avvicinando alla grotta dove è collocato il sepolcro. Il solito gruppo indistinto dei soldati bilancia la scena a destra. Come già notato, le ali del messaggero di Dio sforano verso l’alto, quasi a contribuire allo smantellamento visivo della parte superiore della lettera, con un ovvio significato simbolico, di innalzamento e apertura verso il Cielo. Nella metà inferiore, invece, ancora le stesse figure femminili incontrano Gesù, benedicente e con lo stendardo rossocrociato, in una versione ampliata a tutte del Noli me tangere. Non è difficile leggere come in questa seconda grande iniziale figurata vi sia un andamento circolare nello sviluppo narrativo della vicenda; in alto, si va da sinistra verso destra, poi si scende in basso a continuare il senso orario, con le Marie a mo’ di fotogrammi separati e sequenziali di una pellicola: come se un unico personaggio si traslasse e si prostrasse.

A mia conoscenza nessun commento, neppure da parte di chi ha analizzato esemplarmente “the letter as a stage set”, ha evidenziato a sufficienza una presenza curiosa, che si affianca alle singolarità di certi soggetti e alle ‘abbreviazioni visive’ di alcuni personaggi che ritroviamo nel corpus del miniatore: dietro il sepolcro aperto, contro il fondo nero del buio della grotta si distingue pur nelle minimali dimensioni una figurina umana, che si sforza di spingerlo. Ne scorgiamo tutte e cinque le dita della mano sinistra, in verticale, solo quattro della destra, in orizzontale; e uno scorcio schiacciato – inconsapevolmente buffo – del volto, ribaltato un po’ all’indietro con una visione ancora embrionale dello spazio (ci mancherebbe, a queste date): quasi solo un nasone, e due grosse labbra, proprio gli elementi che caratterizzano in senso morelliano tutti i visi di Nerio, con una tipicissima soluzione della giunzione bocca / piramide olfattiva che emerge anche in questo frammento.

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L’annuncio della resurrezione da parte dell’angelo alle pie donne pare un’immagine scontata, quasi banale. In realtà si sedimenta nelle arti visive e nella coscienza devozionale popolare a fronte di quattro narrazioni del tutto differenti da parte dei vangeli.

L’angelo che annuncia la resurrezione compare in Mt 28, 2-8: inviato da Dio e annunciato da un terremoto, “descendit de caelo et accedens revolvit lapidem et sedebat super eum”; il suo aspetto è “sicut fulgor”, candida “sicut nix” è la sua veste.

Prae timore autem eius exterriti sunt custodes et facti sunt velut mortui. Respondens autem angelus dixit mulieribus: “Nolite timere vos! Scio enim quod Iesum, qui crucifixus est, quaeritis. Non est hic: surrexit enim, sicut dixit. Venite, videte locum, ubi positus erat. Et cito euntes dicite discipulis eius: ‘Surrexit a mortuis et ecce praecedit vos in Galilaeam; ibi eum videbitis’. Ecce dixi vobis.

Non è questa però la fonte testuale principale di Nerio (che poi continua con l’uscita dal sepolcro, e l’apparizione di Cristo, che, per questo come per gli altri vangeli, non riprendo in modo letterale). Le figure femminili, qui, sono infatti due, “Maria Magdalene et altera Maria”, quest’ultima non specificata.

In Luca le Marie appaiono invece tutte e tre, e assieme vedono “lapidem revolutum a monumento”, senza trovare il corpo di Cristo. Sono accolte però da “duo viri [...] secus illas in veste fulgenti” (Lc 24, 2-5), evidentemente angeli, che annunciano loro di non cercare tra i morti colui che vive.

Giovanni si concentra sulla sola Maddalena. È lei a constatare la rimozione della pietra (Gv 20, 1), a correre da Pietro e Giovanni per annunciare loro la scomparsa del sacro cadavere, e ad accompagnarli sul sito (20, 2-10). Ancora lei: 

stabat ad monumentum foris plorans. Dum ergo fleret, inclinavit se in monumentum et videt duos angelos in albis sedentes, unum ad caput et unum ad pedes, ubi positum fuerat corpus Iesu. Et dicunt ei illi: “Mulier, quid ploras?”. Dicit eis: “Tulerunt Dominum meum, et nescio, ubi posuerunt eum”. Haec cum dixisset, conversa est retrorsum et videt Iesum stantem; et non sciebat quia Iesus est (Gv 20, 11-14).

Segue il dialogo col Risorto che le si rivela. Tout court due angeli, quindi, ma come protagonista dell’apparizione menziona la sola Maddalena; è appena il caso di ricordare che nella tradizione ebraica e paleocristiana una donna da sola aveva scarso valore testimoniale, e la moltiplicazione delle Marie si spiega anche e soprattutto con questo problema di genere.

Marco, infine, cita il gruppo delle tre devote; ma, soprattutto, mi pare sia il solo a riferire in modo diretto ed esplicito del dubbio del gruppo: “Quis revolvet nobis lapidem ab ostio monumenti?” (Mc 16, 1, 3). Non solo e non tanto, dunque, registra un evento, ma riferisce un dialogo che lo riguarda. Non è chiarito se, come espone Matteo, sia lo stesso angelo ad aprire il sepolcro. In ogni caso, sappiamo che

respicientes vident revolutum lapidem; erat quippe magnus valde. Et introeuntes in monumentum viderunt iuvenem sedentem in dextris, coopertum stola candida, et obstupuerunt. Qui dicit illis: “Nolite expavescere! Iesum quaeritis Nazarenum crucifixum. Surrexit, non est hic; ecce locus, ubi posuerunt eum. Sed ite, dicite discipulis eius et Petro: “Praecedit vos in Galilaeam. Ibi eum videbitis, sicut dixit vobis” (Mc 16, 4-7).

Parrebbe ovvio dal senso globale che l’autore della rimozione su cui si erano interrogate sia stato il missus a deo, ma non c’è una diretta identificazione dell’angelo come revolvens: si passa da “quis revolvet?” a “revolutum”. In ogni caso la presenza di cui si parla è singola – a differenza, come detto, che in Luca e in Giovanni.

Il doppio angelo, per gli artisti della generazione e del milieu stilistico di Nerio, viene canonizzato qualche anno prima della sua miniatura da Giotto, nella cappella Scrovegni. Qui, i due messaggeri di Dio sono seduti sul bordo del sarcofago, con le guardie già annichilite. A destra, nello stesso riquadro, la sola Maddalena è già proiettata alla sequenza narrativa successiva del Noli me tangere (questa definizione, tra l’altro, è riportata dal solo Giovanni, che dovrebbe essere la base testuale dell’affresco padovano). È interessante in questa sede notare che il sublime episodio del maestro toscano fu certo un’ottima fonte per gli artisti del libro dal punto di vista, diciamo così, stilistico-compositivo: ne è ben nota la ripresa quasi immediata di Neri da Rimini nei corali per la cattedrale di Faenza, che tutti gli studiosi hanno letto appunto come prova del continuo riferimento del miniatore romagnolo, ai limiti del plagio, a Giotto e alla pittura giottesca; la miniatura qui in fig. 5 viene datata circa al 1310-12, in quanto  probabilmente eseguita subito dopo l’acquisto delle pergamene necessarie per realizzare la serie, citate da un documento del 1309 (in questa sede basta il riferimento ai globali Cat. Rimini 1995, e Dauner 1998; di recente, cfr. Alai 2019, con un ricco percorso bibliografico; in ogni caso, per le raccolte in cui si ritrovano ritagli di Neri, si vedano per esempio quella della Cini – su cui cfr. Medica, Toniolo 2016, nn. 71-80b, Medica – o altre catalogate in questi ultimi decenni con frequenza sempre crescente, come nei casi particolarmente significativi di Cat. Cleveland-San Francisco-New York 2003-2004, 15-51, Freuler 2013, 214-227, e Freuler 2018, 132-135; sulla questione delle firme si veda Bosi 2008).

Questa situazione – per così dire – nettamente derivativa da modelli alti concorre, a mio modo di vedere, a rendere talvolta arduo fissare un discrimine secco e sicuro tra le prove autografe del miniatore e quelle della sua ‘bottega’ (non nei casi chiaramente identificabili, come il cosiddetto Maestro del Fulget); e fors’anche tra le figure di Neri e l’intervento presunto di un pittore – nel caso, su cui ho molti dubbi, l’indiziato più quotato sarebbe Giovanni da Rimini – che sarebbe impiegato in tal caso come suo ‘aiuto funzionale’ in modo delimitato e cruciale, nel foglio Cini 2030 datato 1300 (vedi ora a confronto il caso del ms. Harley 2928 nella riconsiderazione di Chiodo 2019, dove la studiosa propone di riferire le miniature, sullo scorcio del Duecento, a Neri, su suggerimento di Andrea De Marchi: qui le stesure facciali sono di pienezza modulata e pastosa, differente da quelle di molti personaggi del ritaglio veneziano appena ricordato, che gli sarebbe posteriore).

In ogni caso, già molti altri studiosi avevano collegato gli apici stilistici neriani in concomitanza con le trascrizioni letterali da Giotto, proprio come nel caso della scena a Faenza (su Giovanni vedi ora Cat. Rimini 2021, e in specifico Benati 2021, che – 25-26, 41-42 n. 14, con bibliografia – non si mostra convinto di questa parcellizzazione attributiva). Ciò non impedisce però all’artista un trattamento iconografico del tutto differente: la ripresa puntuale del sepolcro, della coppia di angeli e dei militari (davvero clonati dall’affresco padovano), così come l’eliminazione del Noli me tangere, si combina con l’inserimento, a sinistra della composizione ma fuori dall’iniziale, del gruppo delle tre Marie: un trucco narrativo di grande effetto che Neri conosce e applica molto bene, quello delle figure marginali, che detiene valori semantici davvero importanti, e ora sempre più indagati secondo un’angolazione semiotica (sugli inserti a latere, un argomento che vorrei approfondire rispetto a Neri, Volpera 2020).

Torniamo dunque al ritaglio di New York, e nello specifico al dettaglio che ho indicato. Potrebbe relazionarsi a una raffigurazione contestuale di due momenti in sequenza, come tipico della mentalità medievale: chi spinge da dietro è lo stesso angelo prima di sedersi; seguendo in questo caso le parole esplicite di Matteo, l’antifona che ne deriva, e che viene direttamente illustrata dalla miniatura di Nerio “Angelus autem domini descendit de celo et accedens revolvit lapidem, et sedebat super eum, alleluia, alleluia”, e, ma solo in modo implicito, il testo di Marco. Oppure, i due angeli chiamati in causa da Luca e Giovanni sono raffigurati entrambi, come appunto talora avviene, e quello che vediamo sbucare dal buio del fondo è l’altro, rispetto a quello in primo piano. Mi pare in ogni caso davvero impossibile si tratti di una figurina ludica e casuale, per quanto un’intentio in qualche modo ironica non è forse del tutto da escludere.

In ogni caso, nella ricerca di una ‘prova’, univoca e inequivoca, la glossa visiva ad verba deve sempre essere relazionata a un nesso fattuale di conoscenza e di diffusione; in questo caso, come dico in apertura, i testi dei Vangeli sono ovviamente tra i pochi che dovevano essere patrimonio comune a qualsiasi fedele cristiano, e quello dell’antifona figura in modo fisicamente adeso all’oggetto artistico, che ne diviene – per così dire – un evidenziatore. Due situazioni che determinano una situazione ben diversa dalle letture piene di riferimenti elevati ed elitari che pure vengono talvolta applicate a certa produzione medievale; pure, il nostro imbarazzo a risolvere il dubbio deve tener conto che, sulla spinta magari di singoli lemmi o frasi, o di una tradizione devozionale a più voci che mette insieme e combina fonti differenti, la soluzione finale può non essere scontatamente derivativa.

Così come non sempre l’artista, al di là della sua consapevolezza culturale (per noi difficile da tarare nel singolo caso specifico) avrà voluto penetrare le pieghe più complesse dell’esegesi sacra.

*Un ringraziamento a Gianluca del Monaco, a Fabio Massaccesi e a Massimo Medica. Questo piccolo contributo nasce da un’osservazione di Andrea Moretti.

Bibliografia
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English abstract

This study analyzes two illuminated cuttings attributed to the Bolognese artist Nerio (end XIII – beginning XIV century); both describe the scene of the visit of the ‘three Marys’ to the tomb of Jesus Christ, according to the different versions we can find in the four Gospels. More in particular, the analysis focuses on a very tiny – and almost hidden – character, who can perhaps find an explanation in our written sources.

keywords | Nerius; Bolognese Illumination; The Three Marys at the Sepulchre.

La Redazione di Engramma è grata ai colleghi – amici e studiosi – che, seguendo la procedura peer review a doppio cieco, hanno sottoposto a lettura, revisione e giudizio questo saggio.
(v. Albo dei referee di Engramma)

Per citare questo articolo / To cite this article: F. Lollini, "Quis revolvet nobis lapidem ab ostio monumenti?" Piccole mani e un pezzo di volto, “La Rivista di Engramma” n. 186, novembre 2021, pp. 73-84 | PDF 

doi: https://doi.org/10.25432/1826-901X/2021.186.0010