"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

192 | giugno 2022

97888948401

Figura con testo

Nota su una possibile assonanza tra il Capitolo dell’Ingratitudine di Niccolò Machiavelli e la Calunnia di Apelle di Sandro Botticelli

Monica Centanni

English abstract

Sandro Botticelli, Calunnia di Apelle, Firenze, Gallerie degli Uffizi.

Fu d’Avarizia figlia, e di Sospetto:
Nutrita nelle braccia dell’Invidia;
De’ Principi, e de’ Re vive nel petto.
Quivi il suo seggio principal annidia;
Di quindi il cor di tutta l’altra gente
Col venen tinge della sua perfidia.
Onde per tutto questo mal si sente,
Perchè ogni cosa della sua nutrice
Trafigge, e morde l’arrabbiato dente.
E se alcun prima si chiama felice
Pel Ciel benigno, e suoi lieti favori,
Non molto tempo di poi si ridice;
Come e’ vede il suo sangue, e suoi sudori,
E che ’l suo viver ben sentendo stanco
Con ingiuria, e calunnia si ristori;

[…]
Mai non si spegne questo acerbo male;
Mille volte rinasce, s’una muore;
Perchè suo padre, e sua madre è immortale;
E, come io dissi, trionfa nel cuore
D’ogni potente, ma più si diletta
Nel cuor del popol, quando egli è signore.
Questo è ferito da ogni saetta
Più crudelmente; perchè sempre avviene,
Che dove men si sa, più si sospetta.
E le sue genti d’ogni invidia piene
Tengon desto il sospetto sempre, ed esso
Gli orecchi alle calunnie aperti tiene.
Niccolò Machiavelli, Capitolo dell’Ingratitudine, vv. 25-69 (ed. Martelli)

In questa breve nota presento l’ipotesi di una possibile influenza del dipinto di Botticelli su un passaggio del Capitolo dell’Ingratitudine dedicato da Machiavelli a Giovanni Folchi e datato, in base a dati interni al testo, tra il 1508 e il 1512 (Dionisotti 1980, 69). La datazione della Calunnia di Botticelli sulla base di uno studio recente è da spostare ai primi anni del ’500 (Agnoletto, Centanni 2022). Si tratta dunque di una “figura” e di un “testo” prodotti pressoché in contemporanea nella Firenze del primo decennio del Cinquecento, entrambe opere di due intellettuali che avevano in quegli anni, o avevano avuto in un passato molto prossimo, un ruolo importante nella vita culturale e politica della città. E, come vedremo, si tratta di due opere che muovono da una stessa sofferenza e da uno stesso desiderio: la percezione dolorosa che soffrono entrambi – l’artista e il pensatore – di una perdita di ruolo nella vita activa di Firenze e insieme la speranza, bella perché del tutto ingenua e illusoria, di poter tornare in gioco grazie all’impatto della loro opera.

L’allegoria che Botticelli, riconvertendo in pittura un testo di Luciano, prevede la presenza di diverse figure, tutte nominate nel testo dell’ekphrasis antica, alle quali però l’artista conferisce peso e ruoli diversi nell’impaginazione della sua opera: Ignoranza e Sospetto, le due cattive consigliere che incombono sul Principe seduto in trono e sussurrano nelle sue grandi orecchie asinine parole calunniose; Invidia/Phthonos/Livore che guida per mano Calunnia con il corteggio delle sue belle e ingannevoli ancelle, Insidia e Frode; il Calunniato trascinato davanti al Re-Giudice, rappresentato come in postura e in figura cristologica; e infine, a chiudere con l’auspicato lieto fine la fabula allegorica, Conversione/Rimorso che si volta verso il corpo nudo, splendente di un fulgore perfetto e venusiano, di Verità. La variegata compagine mette in scena gli atti di una psicomachia che puntano verso il trionfo di Verità e in quello culminano. Botticelli inventa una nuova struttura drammaturgica per l’opera – e sorvoliamo qui sul fondale istoriato che funziona come scenario e amplificatore, iconologico e semantico, dei temi messi in scena dal corteo in primo piano (sul punto si vedano Meltzoff 1987 e ora Agnoletto Centanni 2022). In questo senso sarà da notare che nella strategia compositiva dell’opera, Calunnia, pur perfettamente al centro della composizione, recede dal ruolo di protagonista che il testo antico le assicurava, sopraffatta, com’è, figurativamente dall’irruenza infiammata d’ardore dell’ancella in veste rossa (Insidia o Frode), dal peso figurale, importante e inquietante, di Livore/Invidia, dalla torsione decisiva della nera Metanoia/Conversione e, infine, icasticamente soverchiata dalla potenza di Verità, dalla luce che emana dal suo corpo splendido, dalla attrazione che la figura esercita in forza della sua stessa collocazione, strategicamente isolata nella sua posa statuaria rispetto all’affanno narrativo del resto del corteo.

Anche il testo del Capitolo machiavelliano mette in scena un teatro allegorico nel quale Ingratitudine, che secondo il titolo dovrebbe essere la protagonista del poemetto, è attorniata da altre figure che rappresentano la sua genealogia, ovvero i suoi moventi, i suoi effetti, le sue facies. È un brutto quadro di famiglia quello che Machiavelli descrive: Avarizia e Sospetto, genitori “immortali” di Ingratudine che garantiscono vita imperitura, e innumerevoli possibilità di risorgenza, all’“acerbo male”; Invidia, la balia che la nutre al suo petto, insediata su un seggio. Ingiuria e Calunnia pronte a farsi avanti e dare (cattivo) ristoro laddove qualcuno si senta “stanco” del “Ciel benigno” e del “suo vivere ben”. Il motore principale del gruppo è Invidia, insediata nel suo seggio che con il suo “arrabiato dente” vive nel petto “De’ Principi, e de’ Re” ma da lì trafigge e morde il cuore “di tutta l’altra gente”, tingendolo con il veleno della sua perfidia.

Chi è vittima della potenza congiunta di questi sentimenti sono dunque certo i potenti, nel cui cuore i vizi trovano un buon terreno su cui impiantare il loro trionfo (“trionfa nel cuore / D’ogni potente”), ma il vizio trova un ottimo terreno in cui attecchire, anzi “più si diletta”, anche nel “nel cuor del popol / quando egli è signore”. Non è, pertanto, il potente solo al comando (com’era nella Calunnia di Apelle descritta da Luciano) il soggetto e l’oggetto di Ingratitudine e del corteggio di vizi che le stanno intorno, ma anche il popolo quando assume posizioni di comando. Evidente la stigmatizzazione delle correnti di tensioni negative che agitano strutturalmente la vita politica fiorentina e che negli ultimi anni della repubblica soderiniana produce il clima avvelenato intriso di accuse incrociate e di calunnie, che porteranno presto al collasso dell’esperimento repubblicano e alla espulsione dalla vita pubblica dello stesso Segretario (sul punto restano un riferimento Bertelli 1972 e Bertelli 1975). E Niccolò è il primo a subire, in prima persona, gli effetti di quella “peste” che mina l’armonia delle relazioni personali e politiche. Come noto, nell’incipit del testo, Niccolò Machiavelli dichiara di essere lui stesso “morso” da Invidia:

Giovanni Folchi, il viver mal contento,
Pel dente dell’Invidia, che mi morde,
Mi darebbe più doglia, e più tormento;
Se non fusse che ancor le dolci corde
D’una mia cetra, che soave suona,
Fanno le muse al mio cantar non sorde.
Capitolo dell’Ingratitudine, vv. 1-4

Solo nella poesia – in questa poesia del Capitolo sull’Ingratitudine – Niccolò trova un medicamento che lenisce il dolore e il tormento provocati dal “dente dell’Invidia”. Anche per questo motivo il testo poetico non è da svalutare come una invenzione estemporanea “che sa di improvvisazione” (come vorrebbe parte della critica): è invece, ci insegna Carlo Dionisotti, “composizione meditata dello stesso uomo che avrebbe scritto, di lì a qualche anno i Discorsi” (Dionisotti 1980, 70). Quel tormento è la scottante delusione della consapevolezza che Ingratitudine e Invidia “si dilettano” di trionfare anche “nel cuor del popol / quando egli è signore”:

Il testo del capitolo sull’ingratitudine presuppone il motivo personale di una persecuzione sofferta e in atto […]. Il motivo dell’evasione letteraria e l’ampio, industrioso sviluppo teorico del tema senza alcun riferimento personale sembrano piuttosto intesi a confermare l’immagine, che Machiavelli aveva già proposto di sé con la stampa del suo Decennale, di un uomo che, fedelmente servendo nell’impiego politico, non era però servo a qualunque costo dell’impiego e di una meschina e fatua ambizione, come gli avversari supponevano: aveva altre frecce al suo arco, altri e più disinteressati pensieri in mente (Dionisotti 1980, 71).

Quel dolore che tra il 1508 e il 1512 è ancora vissuto come un male che può trovare rimedio nelle “dolci corde” della cetra poetica, diventerà acutissimo nella lettera a Vettori, il famoso manifesto dell’esilio dalla vita politica, nel quale il ristoro intellettuale rappresenta ancora un rifugio ma ripiegato e triste, e potrà riscattarsi solo con il ritorno a Firenze e alla vita activa, nella stagione inquieta ma per Niccolò felicissima – non solo intellettualmente e poeticamente, ma esistenzialmente felicissima – dell’incontro con i giovani amici degli Orti Oricellari (sul tema si veda, in Engramma, Nanni 2016; Centanni, Nanni 2016).

Le differenze tra i due teatri allegorici nelle opere di Botticelli e di Machiavelli sono evidenti: il set dei personaggi è diverso, non foss’altro perché i due protagonisti attorno a cui sono costruite le due drammaturgie sono allegorie diverse – Calunnia per l’uno; Ingratitudine per l’altro. Una diffrazione significativa è anche nella personificazione di Invidia: maschile, in osservanza del testo lucianeo (e del genere del greco phthonos) in Botticelli; femminile, secondo il genere latino di invidia e per il suo ruolo di nutrice (alimentatrice e fomentatrice) di Ingratitudine in Machiavelli. Ma le assonanze, tematiche e compositive, tra il testo di Machiavelli e la Calunnia di Botticelli sono altrettanto importanti e significative. Tematicamente: in entrambe le opere, l’evidente – esplicito nell’incipit Capitolo; leggibilissimo nell’assimilazione del pittore all’Apelle calunniato nella Calunnia – spunto narrativo sono invidia e calunnie delle quali sono fatti oggetto i due autori, che per questi attacchi si risolvono a mettere in forma poetica, ciascuno con la sua propria techne, il loro dolore, la loro delusione e insieme la speranza di un ristabilimento della giustizia. Compositivamente: l’adozione della prosopopea delle personificazioni allegoriche e la drammatizzazione della loro azione. E gli attori in scena nei due casi in gran parte coincidono: stessi nomi nel testo del Capitolo e nella ekphrasis da cui Botticelli trae l’inventio della sua opera hanno Invidia e Sospetto, e in entrambi i testi serpeggiano figure e nomi della frode, dell’inganno, della disconoscenza/ignoranza.

Non esistono prove certe di una frequentazione tra Botticelli e Machiavelli, anche se sarebbe ben poco verosimile ipotizzare che nel corso dei trent’anni che corrono tra gli anni ’80 del Quattrocento e il primo decennio del Cinquecento Sandro e Niccolò non avessero avuto occasione di conoscersi e frequentarsi. Ma esiste un documento in cui la critica ha riconosciuto la compresenza di Machiavelli e di Botticelli: è il ms Laur. XLI 33, un codice – importantissimo da molti punti di vista – che contiene poesie di Lorenzo di Pierfrancesco de' Medici, di Niccolò Machiavelli, di Angelo Poliziano e di Lorenzo il Magnifico, copiato da Biagio Buonaccorsi, amico e collega di Machiavelli, e illustrato con una serie di disegni che sono stati attribuiti a Botticelli (Martelli 1971; Dionisotti 1980, 61-68).

Dunque, tornando alla relazione tra “figura” e “testo” il punto di massima prossimità tra i versi del Capitolo e il dipinto di Botticelli è il passaggio in cui Machiavelli rappresenta l’azione di Sospetto che tiene le orecchie aperte alla calunnia: l’immagine appare prossima al dettaglio del dipinto in cui Sospetto e Frode sussurrano le loro falsità al Re-giudice, procurando di tenere bene aperte le sue orecchie asinine (Capitolo dell’Ingratitudine, vv. 1-4: “E le sue genti d’ogni invidia piene / Tengon desto il sospetto sempre, ed esso / Gli orecchi alle calunnie aperti tiene).

Sandro Botticelli, Calunnia di Apelle, Firenze, Gallerie degli Uffizi (particolare).

L’opera di Botticelli, se pure probabilmente realizzata dall’artista in autonomia, senza una specifica committenza, era verosimilmente destinata a Lorenzo di Pierfrancesco, patrono e committente dell’artista fin dagli anni ’80 del Quattrocento che, per la centralità che aveva nella vita culturale cittadina, e poi per il ruolo assunto nella vita politica fiorentina a cavallo tra la fine del XV secolo e l’inizio del XVI, era per il pittore la figura di riferimento – colui che poteva garantire una sua riabilitazione e, dopo un periodo di marginalità, un suo ritorno al centro della vita intellettuale e artistica fiorentina. L’opera con tutta probabilità non fu consegnata al destinatario a causa della morte di Lorenzo di Pierfrancesco, intervenuta nel 1503, ma possiamo pensare con buona ragione che il dipinto, frutto di tanta erudizione e di tanto lavoro da parte dell’artista, fosse visibile a Firenze nel primo decennio del Cinquecento, fino alla morte di Sandro quando l’opera, come sapeva già Vasari, approda nella casa del notaio e imprenditore Antonio Segni.

Una suggestione possibile, dunque è che l’immagine del corteo dei vizi che accompagnano Calunnia e che animano il quadro di Botticelli abbia indotto in Machiavelli la suggestione per creare il suo proprio corteo allegorico in un’operetta come il Capitolo dell’Ingratitudine che, pur nelle differenze, è immersa nello stesso immaginario e nello stesso clima culturale dell’opera di Botticelli. Certo, Machiavelli potrebbe avere anche letto direttamente il volgarizzamento del testo di Luciano che circolava a Firenze in diverse versioni manoscritte e poi a stampa, ma, conoscendo l’agenda del Segretario, in quel periodo tanto fitta di impegni dentro e fuori Firenze, è difficile pensare che potesse dedicarsi alla lettura diretta della fonte lucianea. Sarà invece più verosimile ipotizzare che negli anni del primo decennio del Cinquecento, Sandro esibisse la Calunnia nella cerchia degli intellettuali della città, anche in cerca di una nuova destinazione per la sua opera; e che Niccolò, in quella Firenze attraversata da forti tensioni politiche e intellettuali, possa aver visto il dipinto dell’artista e da esso abbia tratto ispirazione per la vivida allegoria del suo teatro dell’Ingratitudine.

Riferimenti bibliografici
  • Agnoletto, Centanni 2022
    S. Agnoletto, M. Centanni, La Calunnia di Apelle, Roma 2022 (in corso di stampa).
  • Bertelli 1972
    S. Bertelli, Machiavelli e la politica estera fiorentina, in Studies on Machiavelli, ed. M.P. Gilmore, Firenze 1972, 31-72.
  • Bertelli 1975
    S. Bertelli, Machiavelli and Soderini, “Renaissance Quarterly” 28,1 (1975), 1-16.
  • Centanni, Nanni 2016
    M. Centanni, P. Nanni, Machiavelli, Gli Antichi e noi, “La Rivista di Engramma” 134 (marzo 2016), 7-18.
  • Dionisotti 1980
    C. Dionisotti, Machiavellerie, Torino 1980.
  • Martelli 1971
    M. Martelli, Preistoria (medicea) di Machiavelli, “Studi di Filologia italiana” XXIX (1971), 377-405.
  • Meltzoff 1987
    S. Meltzoff, Botticelli, Signorelli and Savonarola: Theologia Poetica and Painting from Boccaccio to Savonarola, Firenze 1987.
  • Nanni 2016
    P. Nanni, “Cattivi maestri”: Machiavelli e i classici, “La Rivista di Engramma” 134 (marzo 2016), 229-247.
English abstract

The article highlights the possible relationship between the iconography of the ‘characters’ used by Botticelli in his Calumny – where he transposes Luciano’s ekphrasis – and the personae from Machiavelli’s Capitolo dell'Ingratitudine [Chapter of Ingratitude], where allegorical figures related to Envy and Suspicion seem to be very close to those in the painting. Both works were realised in the first decade of the sixteenth century in Florence, whose political and intellectual tensions could have had a strong influence on both written and painted works of art.

keywords | Botticelli; Calumny of Apelles; Machiavelli

La Redazione di Engramma è grata ai colleghi – amici e studiosi – che, seguendo la procedura peer review a doppio cieco, hanno sottoposto a lettura, revisione e giudizio questo saggio.
(v. Albo dei referee di Engramma)

The Editorial Board of Engramma is grateful to the colleagues – friends and scholars – who have double-blind peer reviewed this essay.
(cf. Albo dei referee di Engramma)

Per citare questo articolo: M. Centanni, Figura con testo. Nota su una possibile assonanza tra il Capitolo dell’Ingratitudine di Niccolò Machiavelli e la Calunnia di Apelle di Sandro Botticelli, “La Rivista di Engramma” n. 192, giugno 2022, pp. 51-59 | PDF di questo articolo
To cite this article: M. Centanni, Figura con testo. Nota su una possibile assonanza tra il Capitolo dell’Ingratitudine di Niccolò Machiavelli e la Calunnia di Apelle di Sandro Botticelli, “La Rivista di Engramma” n. 192, giugno 2022, pp. 51-59 | PDF of the article

doi: https://doi.org/10.25432/1826-901X/2022.192.0004