"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

190 | marzo 2022

97888948401

La crociata dei fanciulli

Materiali per una tavola warburghiana

a cura di Giorgiomaria Cornelio e Giulia Zanon

Anonimo olandese, La crociata dei bambini, incisione, ca. 1550-80, New York, The Metropolitan Museum of Art.

Incipit

Chiamiamo qui, in crociata e in incrocio, una raccolta di immagini e testi sulla guerra dei bambini, attraversando alcuni snodi tematici che montano insieme attualità e figure del mito. Il loro disordine è quello di un campo di battaglia, o di una stanza di giochi, dove si formano – per brevi lampi, per accenni, forse per accidente – intuizioni sul contemporaneo, volte a smantallare il mito dell’innocenza, e i suoi pericolosi arruolamenti.

I. Partenze

Nel giugno del 1212 un ragazzino di nome Etienne, nel villaggio di Cloyes, viene avvicinato da Dio nelle sembianze di un povero pellegrino che, dopo aver accettato da lui del pane, gli consegna una lettera da portare direttamente al Re di Francia. Alla partenza della sua missione il santo ragazzino viene seguito da una moltitudine di bambini. Trenta mila, da diverse parti delle Gallie, secondo le cronache di Laon, i quali, a chiunque chiedesse loro dove fossero rivolti, rispondono con una secca monosemia: “A Dio!” (Munro 2014). E Dio compiva miracoli attraverso Etienne, innumerevoli miracoli, fra i quali l’infatuazione collettiva che il pastorello sapeva suscitare tra i suoi coetanei:

Come infatuati da un influsso diabolico, abbandonati i padri e le madri, le nutrici e tutti gli amici, andavano cantando allo stesso modo del loro pedagogo. Né, cosa mirabile a dirsi, potevano trattenerli le serrature, né la persuasione dei genitori poteva farli tornare indietro, ma seguendo il loro maestro si dirigevano in processione, cantando in gruppi, verso il Mediterraneo quasi volessero passare sull’altra sponda (Matthieu Paris, Chronica Majora). 

La sua santità è tale che – messo egli su un carro e adornato del pallio vescovile – si trova alla mercé dei più bramosi di beatitudine che si protendono verso di lui per strappargli un filo del suo vestito o un capello, già profumati di divino. 

II. Presagi

Fotogrammi da un’inchiesta di NBC News, Ukraine’s Hyper-Nationalist Military Summer Camp for Kids a proposito dei campi estivi del Battaglione Azov.
Fotogrammi da un video celebrativo dell’armata cecena, con bandiere raffiguranti Ramzan Kadyrov e delle magliette che recitano: “quando eravamo bambini non ci hanno insegnato ad avere paura dei lupi, ci hanno insegnato a essere lupi”.

Con le stesse modalità, il mese successivo, un altro bambino – Nikolaus da Colonia – parte alla volta della Terra Santa per ordine di un angelo apparsogli in sogno: “egli avrebbe liberato Gerusalemme, recuperato la Santa Croce e marciato attraverso il mare come il popolo di Israele aveva fatto in passato” (Annales Scheftlarienses Maiores in Pallenberg 1983, 108) e con lui, di nuovo, orde di bambini che seguendolo cantavano la canzone:

Nycolaus, servo di Cristo, traverserà il mare
E insieme agli innocenti entrerà a Gerusalemme.
Con sicurezza camminerà sul mare a piedi asciutti,
E unirà castamente in matrimonio giovani e vergini.
[...]
Battezzerà i pagani e tutti i malvagi.
[...]
E glorificherà coloro che si riscattano con il sangue,
E incoronerà tutti i bambini di Nycolaus (Anonymi Chronicon Rhythmicum Austriacum, in Pallenberg 1983, 13).

Così come Etienne alla guida del corteo è circondato da guardie armate e ornato con gli attributi del vescovo o del papa, Nikolaus porta sopra di sé un segno di metallo avente la forma della lettera Thau (Gesta Treverorum continuata, in Pallenberg 1983, 16). Entrambi i condottieri sono ornati da simboli che indicano il loro potere e influsso rispetto alla brigata ma, soprattutto, legittimano la necessità suprema della loro impresa, suggellandone la sacralità (vedi, in questo stesso numero, In hoc signo). I segni, dunque, si moltiplicano, il sismografo del mondo oscilla, la terra è già da tempo allarmata per questa nuova crociata. Racconta San Menardo di Soissons che alcuni testimoni affermano che:

Prima di queste strane partenze di bambini, di dieci in dieci anni, pesci, rane, farfalle, uccelli erano partiti allo stesso modo, ognuno secondo la propria specie (Matthieu Paris, Chronica Majora).

In questa Primavera Sacra, vediamo muoversi vari animali mitici. Mitici sono anche i bambini arruolati nelle moderne guerre che irrompono a incrinare la tiepida idea di un Occidente in pace. Smolny, nove anni, parla guardando in camera: “È stata una mia decisione”. Si riferisce al campo estivo del battaglione Azov. Lo vediamo cantare di fronte a un fuoco una canzone, insieme ad altri bambini: “Giovani aquile, ragazzi! Noi siamo giovani falchi nazionalisti!” E, ancora, nel bestiario simbolico si aggiungono i giovani nazionalisti ceceni: “Quando eravamo bambini non ci hanno insegnato ad avere paura dei lupi, ci hanno insegnato a essere lupi” – recitano le magliette indossate per un video propagandistico, riprendendo il lupo, animale totemico della Cecenia. 

III. Dallo scoutismo alla guerra di igiene

Fotogrammi da The Ogre, regia di V. Schlöndorff, 1996.
Fotogrammi da un’inchiesta di NBC News, Ukraine’s Hyper-Nationalist Military Summer Camp for Kids a proposito dei campi estivi del Battaglione Azov.

C’è un’atletica dell’igiene, un atletismo vigoroso che viene allenato – ed eccitato – attraverso le immagini. Il corpo che risulta da questo allenamento è totalmente investito dal potere, potere che a sua volta investe nella disciplina del corpo: didattica, salute, allenamento. Il corpo sano è il corpo che serve allo Stato e che si guadagna così il proprio certo posto, la propria piena autorealizzazione.

La padronanza, la coscienza del proprio corpo non si sono potute raggiungere che per effetto dell’investimento del corpo da parte del potere: la ginnastica, gli esercizi, lo sviluppo muscolare, la nudità, l’esaltazione del bel corpo… tutto questo è nella linea che conduce al desiderio del proprio corpo attraverso un lavoro insistente, ostinato, meticoloso ce il potere ha esercitato sul corpo dei bambini, dei soldati, sul corpo in buona salute (Foucault [1971-1976] 1977, 138).

Se si è potuto costruire un sapere sul corpo, è stato 

attraverso un insieme di discipline militari e scolastiche. È solo a partire da un potere sul corpo che un sapere fisiologico, organico era possibile (Foucault [1971-1976] 1977, 141).

Lo sport è anche metafora per trasmettere e comunicare il conflitto, costituendo intrinsecamente una “interfaccia culturale attraverso la quale la guerra entra nella vita civile”. Così, nella retorica giornalistica, termini trafugati dalle cronache sportive, sono utili – se non necessari – a comunicare l’indicibile e anestetizzare lo sguardo del “cittadino-spettatore”: 

Functioning between body and body politic, sports provide a symbolic microcosm for playing out the prevailing vectors of force that imbue war and international relations with meaning. As a cultural interface through which war discourse enters civilian life, sports play a vital part in structuring the civic relationship to war. This relationship is dynamic. [...] In the rituals that dominate the experience of war at the end of the twentieth century, the relationship moved beyond generating fit bodies for fighting and into the sphere of televised consumption and the citizen-spectator, especially with regard to many the rituals surrounding the two interventions in Iraq (Stahl 2010, 54).

Pagine di Захист вітчизни (Proteggi la tua patria): libro di testo distribuito nelle scuole ucraine, all’undicesima classe (corrispondente circa ai 16 anni). Il manuale contiene principi di tattica militare: dal primo soccorso all’utilizzo di armi.

IV. Diabolici in tutta innocenza

Fotogrammi da The Ogre, regia di V. Schlöndorff, 1996.
Fotogrammi dal servizio Yunarmy, l’esercito dei bambini voluto da Putin; bambini nel campo estivo del Battaglione Azov.

Dapprima reclutati nel miracoloso, i bambini di Etienne si ritrovano vittime di un terrible rovesciamento di senso: il diavolo ha teso loro un tranello e morrano per mare e per terra come punizione dell’essere caduti nel suo menzognero quanto soave richiamo. Vincent de Beauvais (Speculum historiale, XXX, 5) cita il “Vecchio della montagna”, capo della “Setta degli assassini”: scrive che il Vecchio aveva imprigionato due chierici cismarini e in cambio della libertà si era fatto solennemente promettere che gli avrebbero portato i bambini del regno di Francia. Quei bambini sarebbero stati indotti a farsi crociati “con false dicerie di visioni e con promesse” (Pellenberg 1983, 65). Visioni e promesse che, a loro volta, rispondono a una vocazione che sorpassa i tempi, e somiglia a quella del pifferaio di Hamelin, che più tardi, nel XIX secolo, ispirerà versi e fiabe:

Tosto si videro teste di bimbi guardare giù dalle finestre, volgersi verso il pifferaio, poi un ragazzino uscì dalla casa e guardò con entusiasmo l’uomo che suonava. A lui si unirono due, tre compagni e tutti guardavano come affascinati il suonatore. E questi non smise di suonare, anzi la sua musica diventò più dolce e persuasiva e nella mente dei bambini faceva nascere visioni di città tutte balocchi, di città tutte dolci, senza scuole, senza adulti che volevano comandare ad ogni ora del giorno. E la schiera ingrossava sempre più e tutti i componenti erano felice e ridevano, e tenendosi per mano cantavano seguendo sempre più affrettatamente il pifferaio. Ed ecco i genitori rincorrere quella schiera di gioiosi figlioli che se ne andavano con l’omino così, come i topi che […] Intanto il suonatore si avviava verso la grande montagna che si trovata proprio alle spalle della città. I bimbi dietro cantavano: erano così felici di seguire quell’omino che nessuno li avrebbe distolti dal loro proposito. Giunsero così a metà montagna: al suono del piffero questa si aprì e tutti, pifferaio in testa, entrarono nella fenditura che si richiuse ermeticamente dietro l'ultimo della fila. […] Dei bambini non c’era più traccia e nessuno seppe mai ciò che ne fosse stato (Fratelli Grimm, Leggende germaniche, 1816-1818).

“Infine, visto che si trattava di una macchinazione del vecchio impostore Satana, o in terra o in mare tutti perirono” afferma in maniera lapidaria Matthieu Paris nella Chronica Majora (Pallenberg 1983). Eppure, non vi è bisogno di Satana, né tantomeno di orchi o musici infernali, per poter parlare di un’infanzia diabolica. Parliamo semmai di un’infanzia truccata di diabolica innocenza. 

V. Innocenza diabolica

Fotogrammi da Il nastro bianco, regia di Michael Haneke, 2009.

Cos’è, dunque, il bambino? Come indagare nel profondo questa figura così strana, questa “invenzione tardiva che chiamiamo infanzia” (Hillman [2007] 2014, 70). Se i bambini “adulterati dal nostro bisogno di avere qualcuno che si faccia portatore di un regno immaginale” (Hillman [2007] 2014, 73) – soprattutto quando l’immaginale è impiegato nella costruzione di un’ideologia – vengono liberati dall’onere di rispondere al loro ruolo di innocenti ‘a prescindere’, come è possibile rapportarsi all’immagina della loro ritrovata ferocia?

Prendiamo The White Ribbon (Il nastro bianco) del regista Michael Haneke: una sconcertante fiaba sul bambino truccato di diabolica innocenza, e un’archeologia del giudizio medico.Nel villaggio in cui il film è ambientato, vergogna, frustrazione, senso di colpa, sono le conseguenze di un regime proibitivo, che converte la natura fisica di un impulso in un discorso morale e religioso. Vi è una sequenza dove il pastore del villaggio e suo figlio – una delle figure centrali del film – si confrontano attorno all’obbligo dell’innocenza. Haneke imposta la scena sul parallelismo con un uccello in gabbia, parallelismo che viene poi rovesciato attraverso l’uccisione dell’animale perpetrato dalla figlia del pastore – un’altra delle protagoniste della pellicola. La società descritta da Haneke ne Il Nastro Bianco è una società ancora rurale, religiosa, influenzata dai ritmi del raccolto: la violenza contro l’uccello è una violenza rituale, che si rivolge a una vittima surrogata e che concentra su se stessa la costellazione di frustrazioni e proibizioni di cui si è appena parlato. Vi è di più: la figura del pastore è direttamente intrecciata con quella del dottore, e col regime dell’igiene: attraverso la scienza medica l’impulso viene convertito in discorso patologico. Non è un caso allora che ne Il nastro bianco la violenza dei bambini ha come prima vittima proprio il dottore del villaggio. Violenza che, a sua volta, innesca e prefigura una crisi assai più ampia. L’‘ordine originale’ del villaggio non potrà mai essere ripristinato: la Prima guerra mondiale è già iniziata.

Non possiamo non leggere una sconsolata ironia nella domanda di Blake alla tigre nelle foreste della notte: “Chi l’agnello creò creò anche te?”. Blake aveva elogiato “le tigri dell’ira” in uno dei Proverbi infernali e certamente riconosceva nell’Agnello dell’Apocalisse una forza sterminatrice della terra, anche quando si traveste da agnellino di peluche. La “agghiacciante simmetria” di Tigre e Agnello, Ira e Amore, Satana e Cristo, Vendetta e Giustizia, Violenza e Redenzione diventa ipocrisia se viene adorato soltanto l’Agnello, mentre la sua Ira è ignorata. Che è ciò che avviene. Richiesti di indicare la caratteristica che meglio descrive il loro Dio, sette americani su dieci scelgono “l’amore”. L’ipocrisia dell’ignoranza volontaria ratifica la violenza innocente e l’innocenza violenta. Agnelli di terribile amore pieni di ira. In una civiltà cristiana, la cruda realtà della guerra ricompone l’immagine completa dell’Agnello, che include la sua Ira, rendendo la guerra ancora più intollerabile per i cristiani, perché essa rivela la presenza di Ares al fondo della loro fede (Hillman [2004] 2005, pp. 240-241).

VI. La carica d’odio dell'infanzia

L’infanzia, dunque, è sopravestita di innocenza: raramente si accetta di svelare l’autentica carica d’odio che le appartiene, una volta spogliata della sua mitologia. “La guerra non fa che riprodurre su scala colossale le brutture rimosse e la carica di odio dell’infanzia”, scrive a proposito Hillman. Il bambino “sovreccitato” incarna lo spirito del moderno guerriero di Thanatos: “egli conosce la morte dall’inizio” ed è libero di giocarvi – allentando tutti i freni della civiltà. 

Siamo più vicini anche a comprendere i peggiori comportamenti in guerra, dove tutti i freni della civiltà sono allentati e noi possiamo agire con la libertà assoluta del bambino sovreccitato. "Ci sentivamo come ragazzini scatenati" scrive un soldato americano a proposito della distruzione di un'installazione giapponese nelle Filippine. “Dopo avere innaffiato tutto in giro di benzina… ci mettemmo a scorrazzare intorno, accostando un fiammifero qua, un fiammifero là, come matti” (Hillman [2004] 2005, 175).

“Cos’è meglio: avere delle leggi e andare d’accordo, o andare a caccia e ammazzare?” urla Ralph, uno degli iconici bambini sopravvissuti nel Signore delle mosche di Golding, braccato da un’altra feroce massa di fanciulli:

— Cos’è meglio, la legge e la salvezza o la caccia e la bestialità?
Adesso gridava anche Jack, e la voce di Ralph venne inghiottita dal frastuono. Jack indietreggiò, spalleggiato nel mezzo della tribù, e tutti insieme si trasformarono in una massa coesa, minacciosa, irta di lance. Si faceva strada in loro l’idea di una carica; l’eccitazione montava, e presto sull’istmo avrebbero fatto piazza pulita. Ralph li fronteggiava, un po’ di lato, la lancia in pugno. Piggy era in piedi accanto a lui; innalzava ancora il talismano, la fragile, risplendente bellezza della conchiglia. Su entrambi si abbatteva una tempesta di clamori, un incantesimo di odio (Golding [1954] 2016).

Infanzia celebrata solo quando tradita, privata della sua verità e trasformata in sciocco infantilismo:

Gli americani, per quanto brutale o vuota possa essere stata nei fatti la loro infanzia, adorano l’idea dell'infanzia. La mente e il cuore americani trovano così irresistibili sia l’infantilismo sciocco (condannato dalla Bibbia) sia l’innocenza fanciullesca (esaltata dalla Bibbia), che è lì che finiscono per rimandare tutti i problemi, alla ricerca della loro immaginaria origine e della loro risoluzione. […] La violenza e la crudeltà della guerra sono la ripetizione di crudeli pratiche educative. La guerra non fa che riprodurre su scala colossale le brutture rimosse e la carica di odio dell’infanzia. Facciamo ad altri quello che è stato fatto a noi, e due, tre volte dì più, perché tanto a lungo l’abbiamo tenuto dentro. […] Come se non nascessimo ciascuno nel peccato originale, con la consapevolezza cosmica dell’inclinazione archetipica alle malvagità elencate nei dieci comandamenti e nei sette peccati capitali e della necessità della loro repressione. Io quel che di “tenero e dolente” che scioglie il corpo lo immagino non come il bambino inferiore, ma come l’anima interiore del corpo, l’anima che conosce la morte dall’inizio in quanto parte del suo sapere innato; il corpo, strumento della morte. Immagino che il rimosso, che ritorna attraverso lo scompaginamento del corpo, sia il principio universale di Thanatos, un’irruzione nella coscienza del Principe della Morte come verità ultima (Hillman [2004] 2005, 88).

VII. Impotenza armata, armati di impotenza

Fotogramma da The Ogre, regia di V. Schlöndorff, 1996.
Un bambino, con maglietta e cappello del campo estivo del Battaglione Azov, impugna un kalashnikov AK 74.
Un bambino impugna un kalashnikov AK 47.

La macchina ideologica dell’innocenza produce un duplice mito: da un lato si arma il bambino e lo si eleva a figura di ciò che, nell’eccezionalità della guerra, si può sacrificare al suo gioco “molto prima della chiamata alle armi”, come un necessario, ‘patetico’ anticipo sull’età adulta. 

La guerra si nutre di immaginazione ed è alimentata dall'immaginazione. Molto prima della chiamata alle armi, il terreno è preparato dalle immagini della propaganda bellica e dai giochi dei bambini. E quando è finita, la guerra diventa letteratura e cinema; anzi, già mentre infuria è rivestita di immagini in poesie, racconti e riflessioni. L'occhio non può fare a meno di vedere (Hillman [2004] 2005, 144-145).

Allo stesso tempo l’innocenza del bambino resta un attributo da sbandierare nel conflitto mediatico: egli è armato della propria impotenza, della propria indisponibilità a partecipare ai discorsi dei grandi, da cui resta escluso pur essendovi gettato. Eppure, tale indisponibilità è fittizia: “per secoli, nella società occidentale i bambini sono stati immaginati come intrinsecamente cattivi e perversi, tanto da rendere necessaria ogni sorta di riti e misure disciplinari per traghettarli dal loro stato di ribelle selvatichezza alla condizione civile”. Leggiamo ancora in Hillman:

La violenza, dicono, genera violenza. Forse è vero che la violenza genera violenza; quello che è certo è che la violenza innocua, in cui nessuno si fa del male, genera innocenza, che letteralmente significa “inoffensività”. Il maggior danno procurato dalle immagini televisive violente consiste nel fatto che esse contribuiscono alla violenza americana “indirettamente”, vale a dire mantenendo intatta la nostra endemica malattia nazionale: l’ignoranza del lato d’ombra della vita, anzi il rifiuto ossessivo di conoscerlo, l’innocenza come droga. (Ben diverso è il modo in cui prendono coscienza della violenza i bambini della Palestina, della Cambogia, della Bosnia, dell’Africa o anche del South Central a Los Angeles!). È perché incoraggia l’innocenza che la violenza televisiva contribuisce alla violenza americana. L’americano innocente è l’americano violento (il che è come ci percepiscono di solito le altre nazioni). Quelli che se la prendono soprattutto con la televisione (e con il cinema e con Hollywood in generale) insistono particolarmente sul fatto che è male esporre senza limiti i bambini a spettacoli di sesso e violenza. Ma prima di affrontare questo problema è necessario fare chiarezza tra i suoi molteplici risvolti. Innanzitutto, è poi vero che i bambini sono così ingenui e ignari come amano credere i loro difensori? Per secoli, nella società occidentale i bambini sono stati immaginati come intrinsecamente cattivi e perversi, tanto da rendere necessaria ogni sorta di riti e misure disciplinari per traghettarli dal loro stato di ribelle selvatichezza alla condizione civile. Più significativo, tuttavia, è l’abbinamento, molto americano, di sesso e violenza: come mai vengono abbinati? Significa forse che il sesso è una forma di violenza, essenzialmente una sopraffazione, come lo stupro? O vengono collegati perché sono entrambi “vizi” per adulti, comportamenti passionali inadatti alle ridotte possibilità dei bambini? (Hillman [2004] 2005, 163-164).

La creazione dell’innocenza è dunque un qualcosa che oltrepassa il campo di guerra e riguarda la quotidiana battaglia che attorno al bambino si alimenta nel chiuso trincerato di ogni casa, di ogni famiglia nucleare – a partire dalla “polarità stabilita” fra la camera degli adulti e quella dei loro figli:

La separazione degli adulti e dei bambini, la polarità stabilita fra la camera dei genitori e quella dei figli (che è diventata canonica nel corso del secolo, quando si sono cominciate a costruire le abitazioni popolari), la segregazione relativa dei ragazzi e delle ragazze, le consegne rigorose di cure da somministrare ai neonati (allattamento materno, igiene), l’attenzione risvegliata sulla sessualità infantile, i pretesi pericoli della masturbazione, l’importanza accordata alla pubertà, i metodi di sorveglianza suggeriti ai genitori, le esortazioni, i segreti e le paure, la presenza ad un tempo valorizzata e temuta dei domestici, tutto ciò fa della famiglia, anche ridotta alle sue più piccole dimensioni, una rete complessa, satura di sessualità multiformi, frammentarie e mobili (Foucault [1976] 2013, 67-68).

VIII. Il grande gioco della guerra

America’s Army, videogioco sviluppato e finanziato dall’esercito statunitense appositamente per incentivare il reclutamento.
Due bambini stringono uno degli episodi della saga Call of Duty, videogioco sparatutto di ambientazione bellica.
Messaggio “Russi, fermate Putin” disegnato da un giocatore del videogioco online Grand Theft Auto.
Soldati americani si esercitano su una piattaforma di simulazione – in tutto e per tutto un videogioco.

Nel comunicato stampa durante le ore finali della guerra in Iraq, il generale Norman Schwarzkopf disse ai giornalisti che non si trattava di una “Guerra Nintendo”, perché reali vite erano messe in pericolo. Schwarzkopf dichiarò questo perfettamente consapevole che ogni militare era arrivato lì dopo aver completato un addestramento su Simnet – una vasta area simulata, costellata da veicoli e da combattimenti in tempo reale: carri armati, elicotteri e aerei in un campo di battaglia virtuale. Non sorprende allora sentire la storia di Jamie, 19 anni, giocatore assiduo di Call of Duty – serie di videogiochi sparatutto di ambientazione militare – che senza alcun addestramento ufficiale, arruolatosi come foreign fighter, si è recato al fronte ucraino, volando con un passaporto da minore. A commento, si giustifica: “Non c’entra il combattere, volevo mettere un sorriso sulla faccia di qualcuno” (Call of Duty Obsessed Teenager Fighting Russia with No Experience). La grottesca realizzazione di ciò che profeticamente scrive Hillman riguardo il mantenimento della Pax americana

Lo smanettone fanatico, che passa tutto il tempo libero nella sua cameretta davanti al computer, la punta delle dita guizzante come la lingua di un serpente, si trova già al centro addestramento reclute e, benché non scenda mai “in strada” o non abbia mai visto una ferita sanguinante, ha un enorme vantaggio sui ragazzini dei paesi disperati che si addestrano nella loro particolare marca di terrorismo tirando pietre o appostandosi dietro i muri con un bazooka sulle gracili spalle. La guerra vera è condotta virtualmente e la Pax americana sarà garantita da smanettoni diventati adulti (Hillman [2004] 2005, 163).

Militainment è il neologismo che, dal 2003, risulta nei dizionari anglofoni per indicare una “forma di intrattenimento che prende in considerazione, o celebra, l’esercito”. È però necessario interrogarsi su fino a che punto l’intrattenimento sia fine a se stesso. Molto spesso, questo genere di giochi rappresentano uno metodo di reclutamento, un metodo estremo di rendere l’inattività, di fatto, attiva. 

AWE (Asymmetric Warfare Environment) in 2004, a “virtual Afghanistan” that linked thousands of PCs for 24-hour training on a virtual battlefield. That same year, the US Joint Forces Command, a division of the Department of Defense began testing of “Urban Resolve,” a $195,000 effort that joined two mammoth supercomputers for training in urban combat situations (Stahl 2010, 93-94).

L’ambiguità di questi dispositivi è – quasi comicamente – palesata nella legislazione. Nel 2000 gli uffici doganali del Giappone arrivano a richiedere, da parte dei distributori, una particolare licenza alla piattaforma per videogiochi PlayStation 2 assimilabile alla licenza richiesta per il trasporto di armi: 

In March of 2000, the release of Sony’s new PlayStation 2 hit a minor snag. The Japanese government classified the game console as a “general purpose product related to conventional weapons” on the grounds that it was powerful enough to be used as an actual missile guidance system. Accordingly, the government applied export controls on the PlayStation requiring that a special license be obtained by distributors. This was the first time the Foreign Exchange and Foreign Trade Control law had been used to regulate a game console. Meanwhile, the US military was in the process of designing the “Dragon Runner”, a small, unmanned, remote control reconnaissance truck whose controller was modeled after the PlayStation 2. This design decision was reached under the practical assumption that incoming soldiers would already be partially trained to use it (Stahl 2010, 91).

E, ancora, il ritorno d’onda – dal bellico al ludico – che vede, nel corso degli ultimi trent’anni, la messa in commercio di una serie di giochi virtuali sviluppati a partire da tecnologie di simulazione militare:

Sega adapted Lockheed simulators such as Desert Tank (1994) for commercial release. The popular commercial helicopter simulator Apache: Longbow (1996) was first developed, according to Herz, “in the heart of North Carolina contractor country, right down the road from Fort Bragg” with the meticulous help of McDonnell Douglas.14 The trend continued through the decade. In 1997, defense contractor OC, Inc. developed a military strategy simulation game entitled Joint Force Employment for the Joint Chiefs of Staff designed to teach “joint doctrine” or the coordination of military branches. The simulator featured real-time strategy (RTS) control of military forces in the field from a god’s-eye perspective. Designers naturally took the simulator’s premise straight from US foreign policy, presupposing the hypothetical existence of the Independent Liberation Army (ILA), a terrorist group with access to a Russian-style arsenal. Taking on the role of the US or the ILA, players engage in conventional warfare as well as psychological operations (leaflet-dropping), propaganda, and media campaigns. Eventually, game designers realized it could be a hot home video game title and prophetically scheduled its commercial release for September 11, 2001, under the name Real War (Stahl 2010, 94).

L’iperstizione – profezia autoavverante del videogioco Joint Force Employment, magnifico universo di realizzazione del grande gioco della guerra, programmato sugli scaffali statunitensi per l’11 settembre 2001 e, per il luterano “buon gusto” postergato – è la chiusa perfetta di questo movimento di rovesciamento: una reticenza pronta, ancora, ad essere rumorosamente contraddetta. Verso nuove simulazioni, verso nuove armi.

Explicit. Vi sono grandissimi delitti. Vi sono grandissime eresie

Vi sono grandissimi delitti. Vi sono grandissime eresie. Innocenzo III, nell’immaginazione di Marcel Schwob, vagheggia, ponendosi le stesse domande con le quali noi abbiamo interrogato le immagini:

Lontano dall’incenso e dalle pianete, in questa camera disadorna del mio palazzo, posso parlare a Dio più facilmente. Qui vengo per pensare alla mia vecchiaia, senza nessuno che mi sorregga per le braccia. Durante la messa il cuore s’innalza e il corpo si irrigidisce; lo scintillio del vino sacro mi abbaglia gli occhi e il pensiero è lubrificato da oli preziosi; ma in questo remoto luogo della mia basilica posso curvarmi sotto il peso della stanchezza terrestre. Ecce homo! Oh, non certo nella pompa delle encicliche e delle bolle il Signore intende la voce dei suoi preti; senza dubbio non ama la porpora, né i gioielli, né le immagini; ma avrà forse pietà di me che imperfettamente balbetto in questa cella angusta. Signore, sono molto vecchio, ed eccomi vestito di bianco davanti a te, e il mio nome è Innocenzo, e tu sai che non so niente. Perdonami il mio papato, perché è stato istituito e io lo subisco. Gli onori non sono stato io a volerli. Amo di più il tuo sole attraverso questa finestrella tonda che non filtrato dalle mie vetrate magnifiche. Lasciami gemere come un qualsiasi altro vecchio e rivolgere verso di te il viso pallido e vizzo che a fatica sollevo sopra i flutti, appena fuori del buio eterno. Gli anelli mi scivolano lungo le dita smagrite e sfuggono come i miei ultimi giorni Mio Dio! sono il tuo vicario quaggiù, e tendo verso di te una mano scavata, colma del puro vino della tua fede. Vi sono grandi delitti. Vi sono grandissimi delitti. Noi non possiamo assolverli. Vi sono grandi eresie. Vi sono grandissime eresie. Noi dobbiamo punirle senza pietà. Ma una grande angoscia mi stringe, Signore, mentre mi prostro qui, vestito di bianco, in questa cella disadorna, perché non so se delitti ed eresie siano reali soltanto nella sfera pomposa del mio pontificato, o anche in questo piccolo cerchio di luce dove un vecchio congiunge, semplicemente, le mani. Sono anche inquieto per il tuo sepolcro. Ancora lo avvolgono popoli infedeli. Non siamo riusciti a riconquistarlo. Nessuno ha guidato la tua croce verso la Terra Santa, e noi siamo caduti nel torpore. I cavalieri hanno deposto le armi, e i re non sanno più comandare. E io, Signore, mi accuso e mi percuoto il petto: sono troppo vecchio e troppo debole. Ascolta ora, o Signore, il tremulo bisbiglio che sale da questa piccola cella della mia basilica, e dammi consiglio. Strane nuove hanno portato i miei servitori dai paesi di Fiandra e Germania sino alle città di Marsiglia e di Genova. Sette mai conosciute stanno nascendo. Si sono viste dentro le città donne ignude che non proferivano parola. Quelle mute impudiche indicavano il cielo. Molti folli hanno annunciato sulle piazze la rovina. Tra eremiti e chierici vaganti nascono grandi vociferazioni. E non so quale sortilegio ha attirato fuori dalle case più di settemila bambini. In settemila portano la croce e il bastone del pellegrino. Non hanno da mangiare; non hanno armi; sono impotenti e ci fanno vergogna. Ignorano tutto della vera religione. I miei servitori li hanno interrogati. Rispondono che vanno a Gerusalemme per conquistare la Terra Santa. I miei servitori hanno detto loro che non sarebbero riusciti ad attraversare il mare. Hanno risposto che il mare si aprirà e si asciugherà al loro passaggio. I buoni genitori, pii e saggi, si sforzano di trattenerli. Ma di notte i chiavistelli vengono infranti e le mura scavalcate. Molti sono i figli dei nobili e dei cortigiani. Cose simili destano grande pietà! Signore, tutti questi innocenti verranno abbandonati al naufragio e agli adoratori di Maometto. Vedo che il sultano di Baghdad già li ha adocchiati, dal suo palazzo. Temo che i marinai si impadroniscano dei loro corpi, per venderli. Signore, permettetemi di parlarvi secondo le formule della religione. Questa crociata dei bambini non è un’opera santa. Non potrà restituire il Sepolcro ai cristiani. Accrescerà il numero di coloro che errano sul margine della fede autorizzata. È una frontiera che i nostri preti non possono difendere. Noi abbiamo l’obbligo di credere che il Maligno possieda queste povere creature. Corrono in gregge verso il precipizio come i porci sulla montagna. I bambini sono buona caccia per il Maligno, come voi sapete, Signore. Un tempo egli prese l’aspetto di uno sterminatore di ratti per trascinarsi dietro tutti i bambini della città di Hameln con la musica del suo piffero. Quegli sventurati annegarono nel fiume Weser: così raccontano alcuni; altri dicono che vennero imprigionati nel fianco di una montagna. Temete dunque che Satana faccia cadere tutti i nostri bambini tra le mani degli infedeli, e che siano suppliziati! Signore, voi sapere che non è buona cosa rinnovare la fede. Si era appena manifestata nel roveto ardente, e voi la faceste nascondere in un tabernacolo. E quando sfuge dalle vostre labra sul Golgotha, ordinaste che fosse chiusa nei cibori e negli ostensori. Questi piccoli profeti schianteranno l’edificio della vostra Chiesa. Noi dobbiamo impedirlo. È forse in disprezzo di quelli che si consacrarono a voi, che nel vostro servizio consumarono camici e stole, e per ottenere voi duramente repressero ogni tentazione, che voi accogliete coloro che non sanno quello che fanno? Dobbiamo lasciare che i bambini vengano a voi, ma lungo la strada della vostra fede. Signore, io parlo nello spirito delle vostre istituzioni. Questi bambini periranno. Non fate che vi sia sotto Innocenzo un’altra strage degli Innocenti. Perdonami ora, mio Dio, per averti chiesto consiglio sotto la tiara. Il tremito della vecchiaia mi riprende. Osserva le mie povere mani. Sono un uomo molto vecchio. La mia fede non è più quella dei bambini. L'oro che copriva queste pareti è stato consumato dal tempo. Sono bianche. Il cerchio del tuo sole è bianco. Bianca è anche la mia veste, e il mio cuore inaridito è puro. Ho parlato secondo la tua regola. Vi sono delitti. Vi sono grandissimi delitti. Vi sono eresie. Vi sono grandissime eresie. La mia testa vacilla per debolezza: forse non bisogna né punire né assolvere. È il passato che ci fa esitare in ogni decisione. Non ho mai visto un miracolo. Illuminami. Di un miracolo si tratta? Che segno hai dato loro? I tempi sono forse venuti? Vorresti che un uomo vecchio come me fosse simile, nella sua bianchezza, a quei bambinelli candidi? Settemila! Il mio nome è lnnocenzo: Signore, sono innocente come loro. Non mi punire alla fine della vita. Lunghi anni mi hanno insegnato che questa turba di bambini non può riuscire. E tuttavia Signore, dimmi: è un miracolo? La mia cella resta quieta, come durante altre meditazioni. Non c'è bisogno di invocarti perché tu ti manifesti; ma io, dall’alto di questa mia enorme vecchiezza, dall’alto del mio papato, ti supplico: istruiscimi perché non so. Signore, ti ho parlato dei tuoi piccoli innocenti. E io, Innocenzo, non so niente, niente (Schwob 1896, 27-31).

Alla fine di questa crociata di immagini, si legge come l’innocenza del bambino non sia mai un dato naturale ma un fatto istituito, istruito, arruolato nel terribile gioco della guerra. Disarmare l'innocenza significa costringersi allo smantellamento di un mito fondativo, figlio della contemporaneità, ma intrecciato con molteplici passati. Significa complicare l'immaginazione dell'infanzia oltre ogni radicale semplificazione. Restituire l’Ira all’Agnello. Salvare il bambino non dal canto del diavolo, ma dal pericoloso reclutamento dello sguardo.

Riferimenti bibliografici
  • Foucault [1971-1976] 1977
    M. Foucault, Microfisica del potere, Torino 1977.
  • Foucault [1976] 2013
    M. Foucault, Storia della sessualità, Milano 2013.
  • Golding [1954] 2016
    W. Golding, Il signore delle mosche, Milano 2016.
  • Grimm [1816] 
    J.L. Grimm, W.K. Grimm, Saghe germaniche, Milano 1997.
  • Hillman [2004] 2005
    J. Hillman, Un terribile amore per la guerra, Milano 2005.
  • Hillman [2007] 2014
    J. Hillman, Figure del mito, Milano 2014.
  • Huizinga [1939] 2002
    J. Huizinga, Homo Ludens, Torino 2002.
  • Munro 1914
    D.C. Munro, The Children's Crusade, “American Historical Review” vol. 19 n. 3 (April 1914).
  • Pallenberg 1983
    C. Pallenberg, La Crociata dei bambini, Milano 1983.
  • Schwob [1896] 2004
    M. Schwob, La crociata dei bambini, Milano 2004.
  • Stahl 2010
    R. Stahl, Militainment, Inc. War, Media and Popular Culture, New York 2010.
Sitografia
Filmografia
  • Haneke 2009
    M. Haneke, Il nastro bianco [The white ribbon], 2009.
  • Schlöndorff 1996
    R. Schlöndorff, The Ogre, 1996.
English abstract

These scattered notes, texts and images are gathered with the aim to collect some materials for a Warburgian panel on The Children Crusade. Starting from a reading of Schwob’s novel, this contribution questions the role of childhood during martial times and how innocence is mistakenly portrayed in propaganda.

keywords | Children; War; Innocence; Violence; Schwob; Hillman. 

Per citare questo articolo: G. Cornelio, G. Zanon, La crociata dei fanciulli. Materiali per una tavola warburghiana, ”La rivista di Engramma” n.190, marzo 2022, pp. 71-90 | PDF dell’articolo

To cite this article: G. Cornelio, G. Zanon, La crociata dei fanciulli. Materiali per una tavola warburghiana, ”La rivista di Engramma” n.190, marzo 2022, pp. 71-90 | PDF of the article

doi: https://doi.org/10.25432/1826-901X/2022.190.0009