"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

193 | luglio 2022

97888948401

Sogno e visione, secondo David Lynch

Presentazione di: Nicola Settis, Chi è il sognatore? Guida alla visione di Twin Peaks 3, Pisa 2022

a cura di Ilaria Grippa e Monica Centanni

§ Presentazione
§ Estratto dal volume

English abstract

I can’t answer why / I’m a blackstar / Just go with me / 
I’m not a filmstar / Imma take you home
I’m a blackstar / Take your passport and shoes/ 
I’m not a popstar / And your sedatives, boo
I’m a blackstar / You’re a flash in the pan / I’m not a marvel star / 
I’m the Great I Am.
David Bowie, Blackstar 2017 (citato in Chi è il sognatore?)*

Presentazione

Lo scorso dicembre 2021, Nicola Settis, classe 1997, pubblica il suo primo libro, frutto dei suoi studi presso il laboratorio di Digital Filmmaking all’University of California di Los Angeles (UCLA), la scuola Holden di Lucca, la Civica scuola di Cinema Luchino Visconti di Milano.

“Tracce Finestre Visioni”: questo numero di Engramma dedicato al rapporto tra testo e immagine in ambito contemporaneo – e al tema del confine del reale che le arti contemporanee continuamente sollecitano e interrogano – ospita la presentazione di Chi è il sognatore? Guida alla visione di Twin Peaks 3: il volume interseca, infatti, ambiti e filoni di ricerca che “Engramma” ama intercettare e frequentare con particolare cura e interesse.

Il corpus dello studio di Nicola Settis è costruito sulla trama della terza serie di Twin Peaks, Il Ritorno, e sui temi e le immagini del mondo di cui David Lynch è il demiurgo, prima che il regista. Ma nell’intrico volutamente spaesante della trama, lo studioso tiene sempre teso il filo del tema che appare nella domanda del titolo del volume – una domanda destinata a rimanere aperta a multiple risposte: Che cos’è la realtà? Che cos’è il sogno? Dove sta il confine? Scrive Settis:

Il Ritorno è un sogno che nasconde e/o conduce a una (o più) di queste stesse verità; un sogno complesso e frustrante come la vita, pieno di informazioni occulte e sentieri insondabili (Settis 2021, 198).

La stessa Twin Peaks è un sogno collettivo, “una messinscena di cose mai accadute neanche all’interno del proprio universo, perché tale universo è stato riscritto da capo” (Settis 2021, 292). Sogni “frammentati e ricomposti”:

Si potrebbe quasi dire che tutte le storie che si concatenano a Twin Peaks, diramandosi sempre di più verso rivoluzioni, metamorfosi o punti d’arrivo idilliaci, sono sogni frammentati e ricomposti, in relazione ai quali Il ritorno è un ritorno “inconscio” del mondo di Twin Peaks, un sogno collettivo creato dalla necessità di un compimento – anche se molto probabilmente, proprio come nei sogni, l’incompiutezza kafkiana finirà per regnare sovrana (Settis 2021, 254).

Il Ritorno – e tutta la cosmologia di Twin Peaks – confermano che “il tempo non è lineare, che non esistono progressioni sequenziali degli eventi, ma solo un perpetuo alternarsi di conferme e negazioni inscritte in una serie di andirivieni temporali illogici”; ma si tratta di “un mondo di sogni, e nei sogni non tutto è consistente, ma ogni cosa è irrimediabilmente collegata” (Settis 2021, 254 e 259).

Twin Peaks è dunque davvero un sogno, una messinscena di cose mai accadute neanche all’interno del proprio universo, perché tale universo è stato riscritto da capo (Settis 2021, 292).

Ed è in questo quadro che Gordon/Lynch nella Parte 14 affida a una incongrua e iconica Monica Bellucci la battuta: “We are like the dreamer, who dreams and then lives inside the dream. But who is the dreamer?” (Settis 2021, 215). 

In questa sorprendente e anomala ʻguidaʼ alla serie televisiva, dal punto di vista del metodo Settis svolge un’analisi che investe gli aspetti tecnici dell’opera mediante l’attenta osservazione del linguaggio di Lynch dal punto di vista artistico e sensoriale, tenendo presente quanto l’estetica sia affine e coerente alla formazione e al vissuto professionale del regista. Contemporaneamente, la lettura incrocia anche numerosi riferimenti letterari, artistici e poetici a cui David Lynch attinge: 

Lo scopo di questo testo non è solo quello di decodificare una linea narrativa, bensì quello di cogliere nessi culturali e ricorrenze formali o contenutistiche per capire innanzitutto cosa rappresenti la serie a prescindere, piuttosto che il suo contenuto. Le interpretazioni, ora forzate o ora concrete, saranno alternate a studi formali sulle tecniche usate (a livello registico, di scrittura, di montaggio e linguaggio), sulle citazioni, sulla ragnatela di connessioni interne ed esterne (Settis 2021, 31).

Nella preziosa Introduzione l’autore riassume in modo preciso e puntuale la storia della filmografia e della carriera cinematografica e artistica di David Lynch – a partire dai suoi primi lavori sul sonoro, corti di animazione, come Six Men Getting Sick (Six Times) del 1967 – punti di partenza fondamentali per poter analizzare e comprendere le prime due stagioni della serie tv Twin Peaks e riuscire a contestualizzare il motivo della lunga latenza e gestazione per la presentazione della terza stagione uscita nel 2017, dopo ventisei anni dall’ultimo episodio della seconda serie:

Il Ritorno rappresenta un viaggio incredibile e inimmaginabile, un nuovo film-cosmo della durata di diciotto ore, un disordinato e visionario (ma non illogico) lavoro meta-testuale ricco di simboli. La libertà ottenuta da Lynch nel creare questo lavoro tanto stratificato e complesso quanto irrisolto è un unicum nella storia della televisione, e stupisce il fatto che il regista sia riuscito a rendere popolare un’opera tanto avanguardistica nella storia della serialità moderna. Resta il fatto che Il Ritorno mette in campo una serie di tecniche narrative, registiche, stilistiche e di montaggio che rivoluzioneranno non solo lo stile di Lynch dopo un silenzio di oltre dieci anni, ma anche l’assetto generale della televisione moderna (Settis 2021, 31).

In questo senso, Il Ritorno è presentato come un’opera strategica per l’esperienza filmografica e artistica di David Lynch: non è solo il mondo dove sogno e realtà, ritmo dello spazio e del tempo si condensano. È il luogo in cui precipitano e si intrecciano i fili immaginativi della poetica del regista. Con un bel cortocircuito, citando Kubrik, Settis celebra il coraggio di Lynch rilanciando e riscattando il tema della superbia di Icaro:

[L’ottava puntata, come tutta la serie,] invece che dare risposte crea nuove domande; nell’immaginario è un unicum, che per Lynch rappresenta la massima essenza di una complessità troppo spesso scambiata per irrazionale e data per scontata, forse la scelta più estrema di tutta la sua ricca ed emblematica ricerca immaginifica, una decisione molto coraggiosa che ci ricorda la lettura di Kubrick del mito di Icaro: se c’è la possibilità di fallire conviene costruirsi ali più resistenti (Settis 2021, 137).

Nel corpo del volume, dedicato ai diciotto episodi della serie Il Ritorno, l’autore decide di intitolare ogni capitolo con il ‘motto’ dei singoli episodi della serie più che un vero e proprio titolo ‘ufficiale’, una tag-line – ispirato dal linguaggio di Showtime per attirare gli spettatori. In questo modo Settis illumina ed estrapola una frase-chiave divenendo il Leimotiv, forma e contenuto di ogni capitolo.

In chiusura troviamo la conclusione, che dovrebbe fare chiarezza, ricapitolando la trama e ricostruendo l’intreccio, e infine la “Lista dei personaggi”. I due capitoli finali si ripropongono, evidentemente, l’obiettivo di ‘mettere in ordine’ storie e personaggi, ma in realtà denunciano il senso vertiginoso di perdita del centro in cui il regista si allontana, e chiama a disorientare i suoi spettatori. Così lo stesso David Lynch:

“Stare nell’oscurità e nella confusione per me è interessante. Ma da dietro puoi sovrastarle e vedere le cose per come sono davvero. Che c’è qualche sorta di verità per l’intera faccenda, e se si potesse solo arrivare al punto in cui si può vedere, vivere, sentire… Penso che sia una lunga, lunga strada. Nel frattempo, ci sono sofferenza e oscurità e confusione e assurdità, ed è come se le persone girassero come in cerchio. È fantastico. È uno strano carnevale: c’è un sacco di divertimento, ma c’è un sacco di dolore” (citato in Settis 2021, 314).

Quindi… Chi è il sognatore? Con questo libro, Nicola Settis, tenta di esplorare, trovare e intercettare interrogativi, simboli e collegamenti interni dell’opera aperta Twin Peaks, focalizzando in particolar modo l’attenzione sulle dimensioni emotive, sui rituali che coinvolgono i credo, lo spirito e la coscienza umana. In questo modo è in grado di riportare in superficie tutti quegli avvenimenti e quei momenti di continua evoluzione, talvolta anche di involuzione, che inevitabilmente rigurda ognuno di noi. 

Nel labirinto, a tratti infernale a tratti estatico, di una materia così complessa e affascinante, emerge e colpisce la cifra della scrittura del giovane studioso: un modo brillante, sobrio e preciso, uno stile scientificamente fondato e allo stesso tempo gradevole e leggibile nell’affrontare un’analisi stilistica, artistica e critica dei lavori di David Lynch, non solo dal punto di vista della storia del cinema, ma con la capacità di attivare uno sguardo iconologico e ricostruendo una prospettiva storico-culturale a tutto tondo.

*“David Bowie, consapevole della gravità della propria malattia, declina l’offerta di tornare a interpretare Phillip Jeffries preferendo impegnarsi nelle registrazioni del suo ultimo album, Blackstar, ma acconsentirà al riutilizzo di alcuni filmati di repertorio” (Settis 2021, 30). A Bowie è dedicata la puntata 14 della serie televisiva.

Ali più resistenti per Icaro

da Nicola Settis, Chi è il sognatore? Guida alla visione di Twin Peaks 3, Djinn Editore, Pisa 2021

1 | «I’m dead, yet I live» (“Sono morta, eppure vivo”), Laura Palmer si spoglia del proprio volto rivelando di indossare una maschera sotto la quale appare un lampo di luce bianca, in Nicola Settis, Chi è il sognatore? Guida alla visione di Twin Peaks 3, Parte 2: L’occhio che uccide, 52. 

2 | Maya Deren e Alexander Hammid, surreale uomo incappucciato dal cui volto riflette una luce bianca, citato in Nicola Settis, Chi è il sognatore? Guida alla visione di Twin Peaks 3, Parte 2: L’occhio che uccide, 52-53.

Introduzione (5-31)

Il 22 febbraio 1989, nella città fittizia di Twin Peaks, stato di Washington, muore Laura Palmer. È un personaggio di finzione, ma nella serie che gira attorno a lei – e che prende appunto il nome dall’omonima cittadina – riecheggia una domanda da oltre trent’anni: quanto di ciò che vediamo è finzione, quanto è sogno e quanto è realtà? Il regista e co-ideatore della serie statunitense David Lynch, nato nel 1946 nel Montana, sembra porsi continuamente questo interrogativo, con un approccio alla narrazione che appare tutt’oggi ancora inedito e inimitabile.

Twin Peaks nasce nel 1989 come frutto di una collaborazione con lo sceneggiatore e regista Mark Frost, a partire da un coraggioso episodio pilota che sfida i limiti del mercato televisivo dell’epoca, dando vita alla cosiddetta “tv d’autore” – un concetto che, almeno negli Stati Uniti, in questo momento è al limite dell’incomprensibile, in particolare a decenni di distanza da Alfred Hitchcock Presents. Twin Peaks propone un’idea fino a quel momento inedita nel mondo del piccolo schermo (se escludiamo prodotti europei sui generis come Heimat o Berlin Alexanderplatz), decretando così una vera e propria rivoluzione televisiva, quella rivoluzione che avrebbe influenzato la nascita di serie come The X-Files, Lost, The Sopranos e innumerevoli altre che negli anni a seguire avrebbero surclassato il cinema nell’immaginario di milioni di spettatori.

Ma in cosa consiste l’autorialità di Twin Peaks? Se non basta riconoscere in Lynch il nome di un regista complesso – di cui si sono occupati filosofi, intenditori e critici italiani (Roberto Manzocco) e stranieri (Slavoj Žižek) – è perché la serie va studiata da un punto di vista strettamente artistico e sensoriale. Del resto Lynch inaugura la propria carriera come pittore, ispirato da Edward Hopper, René Magritte e in particolare Francis Bacon. Più volte, in molteplici interviste, il regista racconta un aneddoto secondo il quale l’ispirazione per lavorare nel cinema sarebbe nata da una folata di vento entrata di colpo nella stanza dove dipingeva, colpevole di aver mosso le sfumature verdi del quadro a cui stava lavorando. Questo avrebbe influenzato la sua filmografia, abbondantemente costituita da immagini e suoni particolari, in cui spicca una notevole cura per il silenzio, gli effetti sonori e le scelte musicali.

I primi lavori di Lynch sono corti di animazione, e il più esemplare è Six Men Getting Sick (Six Times) del 1967, un loop di immagini disturbanti e quasi immobili di uomini grotteschi e malati, accompagnato dall’assillante suono di un’ambulanza; uno studio viscerale sull’effetto nausea creato dalla ripetitività e dalla malattia.

Il primo lungometraggio arriva però dieci anni dopo, con il cult Eraserhead, la cui lavorazione durerà anni a causa di problemi di budget, che avrebbero portato Lynch a vivere e spesso a dormire sul set, pagando le spese di tasca propria con soldi guadagnati consegnando giornali. Eraserhead, girato in un bianco e nero sporco e suggestivo, sarebbe stato definito dal regista “un film su Philadelphia” e “il [suo] film più spirituale”; all’epoca, difatti, l’autore si era trasferito in città dopo un deludente viaggio in Europa di tre settimane insieme all’amico scenografo Jack Fisk, con l’obiettivo di seguire gli insegnamenti del pittore espressionista austriaco Oskar Kokoschka. In America avrebbe invece frequentato la Pennsylvania Academy of The Fine Arts, dove avrebbe cominciato a lavorare ai suoi primi cortometraggi, spesso insieme a Fisk, e dove avrebbe sposato una studentessa, Peggy Reavey, con cui presto avrebbe dato alla luce Jennifer Lynch, regista televisiva e cinematografica e collaboratrice al progetto Twin Peaks.

Nonostante Eraserhead sia talmente pregno di surrealismo da risultare per molti inintelligibile, le sue tematiche appaiono ben chiare nel momento in cui si viene a conoscenza dei retroscena della vita del regista a Philadelphia: il problema della paternità, la paura del vivere in una città sconosciuta e piena di pericoli (in cui Lynch e Reavey erano stati più volte derubati e avevano assistito a un omicidio), e la necessità di soffocare quella paura – tematiche che sarebbero state riprese e rappresentate iconograficamente nel film.

Il protagonista è Henry Spencer (interpretato da Jack Nance, uno degli attori-feticcio di Lynch) una specie di biblico Giuseppe che scopre che la sua ragazza, Mary, è incinta di un bambino non suo. Il padre putativo, interpretato da Fisk, è identificabile con un uomo deforme chiamato “Man in the Planet”, figura demiurgica e semidivina che non pronuncia una parola, guarda soltanto fuori dalla finestra e aziona leve che portano alla genesi del grottesco figlio di Mary, un’orrenda creatura a metà tra un girino e un vitello. Bloccato in un contesto industriale soffocante, Henry ha come unica consolazione una donna minuscola dalle guance sformate che abita nel suo radiatore, e canta melodie ambigue quanto ammalianti: “In heaven everything is fine”.

L’aspetto spirituale del film è probabilmente tutto in questa specie di conglomerato di dimensioni religiose, tra il paradiso visto come elemento risolutivo, la paura da sconfiggere per raggiungere l’estasi e l’allegoria biblica del rapporto di coppia. La complessità nel linguaggio del film e nel ripetersi dei suoi simbolismi, tra finestre che svelano muri e tristi amplessi che sprofondano nel fumo, rivela tuttavia un mondo incredibilmente variegato, i cui fili rossi rimangono ossessioni costanti nell’opera omnia dell’autore, insieme alle influenze del Luis Buñuel di Un chien andalou e L’âge d’or, e del Georges Franju di Le sang des bêtes.

Il successo di Eraserhead nei cinema di mezzanotte è paragonabile a quello di pochi altri film dei circoli underground dell’epoca, insieme a El Topo del cileno Jodorowsky e Pink Flamingos di John Waters. Tutti e tre i registi, del resto, partono da un cinema del tutto inadatto al pubblico mainstream, e ben presto vedono aumentare la propria popolarità tanto da potersi dedicare a progetti ad alto budget, anche grazie all’apprezzamento di figure di spicco dell’ambiente culturale e pop dell’epoca.

El Topo diventa il film preferito di John Lennon, che finanzia l’ambizioso e costoso successivo film di Jodorowsky, La montaña sagrada, mentre Waters sbarca a Hollywood con una serie di film caricaturali sullo star system e sull’immaginario cinematografico collettivo. Eraserhead, invece, colpisce Stanley Kubrick, che proietta più volte il film al cast di Shining per illustrare l’effetto di inquietudine di cui avrebbe avuto bisogno durante le scene di maggiore tensione; ma soprattutto, il film impressiona il regista, sceneggiatore e attore comico Mel Brooks, che pensa subito a Lynch per un film biografico su Joseph Merrick, l’uomo elefante affetto da sindrome di Proteo, e oggetto di svariati esperimenti durante il breve arco della sua vita, nel secondo Ottocento.

Proprio da qui nasce The Elephant Man, secondo lungometraggio di Lynch, che segna il suo definitivo approdo a Hollywood: budget importante, attori di spessore (John Hurt nel ruolo di Merrick, nel film chiamato erroneamente John, e Anthony Hopkins nel ruolo del dottor Frederick Treves), otto nomination agli Oscar. Conveniente da un punto di vista anche economico, The Elephant Man serve a Lynch per esprimere il proprio stile, anche a scapito di progetti laterali come l’ipotetico terzo lungometraggio non ancora abbandonato, Ronnie Rocket, poi accantonato a causa di svariati problemi produttivi e commerciali. Ciò non toglie che il film sia un esperimento coraggioso e inusuale, grazie a una serie di scelte anticonformiste nell’approccio all’immagine: alcuni tra i momenti più strazianti sono filmati da lontano; Merrick diventa l’effettivo protagonista dopo una buona parte di girato, durante il quale Treves occupa lo schermo per la maggior parte del tempo; svariate sequenze toccano la sfera dell’onirico e addirittura del cosmico, e il tutto è girato in un bianco e nero che rimanda all’Espressionismo tedesco. In un’epoca in cui la New Hollywood sta entrando in crisi (a causa di flop commerciali come Sorcerer di William Friedkin, New York, New York di Martin Scorsese, Heaven’s Gate di Michael Cimino o One from the Heart di Francis Ford Coppola) Lynch è forse l’unico regista a distinguersi con il suo stile originale e iconoclasta, e a diventare un “artista rinascimentale” (come lo avrebbe definito Jason Ankeny), capace di destrutturare i dogmi del cinema passato e recente con classe e coerenza.

Dopo la conquista del botteghino e della critica avvenuta con The Elephant Man, le offerte di lavoro per Lynch cominciano a piovere dal cielo. Ne arriva una persino da George Lucas, che gli avrebbe volentieri affidato la regia di Return of the Jedi (poi diretto da Richard Marquand nel 1983). La fantascienza è in effetti il genere che Lynch affronta in quegli anni con Dune, rischioso e infatti commercialmente disastroso adattamento dell’omonimo romanzo di culto di Frank Herbert del 1966. Ma la sceneggiatura, spesso ambiziosa e caotica, oscura il talento di Lynch, che nel tempo avrebbe disconosciuto l’opera, che pure porta la sua inconfondibile firma in molte delle sequenze che la compongono. In quel momento, però, la casa di produzione di Dune (la De Laurentiis) viene travolta dalla bancarotta. La disgrazia finanziaria va di pari passo con una sempre più sensibile carenza di fiducia da parte della critica: gli estimatori di Eraserhead, che avevano accettato l’apertura hollywoodiana di The Elephant Man, non accolgono bene questo tuffo nel mondo dei blockbuster, e il film resta un’operazione commerciale sulla tendenza delle space operas che la trilogia di Star Wars aveva reso popolari. Nonostante tutto, Dune consentirà a Lynch di incontrare attori con cui avrebbe collaborato anche in futuro: Jürgen Prochnow, Brad Dourif, Dean Stockwell, Everett McGill, Alicia Witt, e soprattutto Kyle MacLachlan.

Quest’ultimo, in particolare, due anni dopo diventa protagonista di Blue Velvet, che segna la rinascita di Lynch e rappresenta forse il suo lavoro più controverso e psicologicamente complesso, con Dennis Hopper e Isabella Rossellini come co-protagonisti insieme a Laura Dern, ma anche, in ruoli minori, i succitati Dourif, Stockwell e ovviamente Nance. Blue Velvet si afferma come prodotto rivoluzionario non solo per l’autonomia del regista, che da lì in poi avrebbe avuto un ruolo sempre più importante nella produzione e nella distribuzione dei propri film, ma anche per la percezione della sua opera da parte del pubblico e della critica, tanto negli Stati Uniti quanto in Europa, e in particolare in Italia.

[…]

Il ritorno e la svolta

 EVENTO CHIAVE #3, Il controcampo funebre e il controcampo irreale, in Nicola Settis, Chi è il sognatore? Guida alla visione di Twin Peaks 3, 89.

Con il Leone alla carriera a Venezia del 2006, Lynch entra in uno iato creativo, almeno da un punto di vista cinematografico: si dedica di più alla musica collaborando con la cantante Chrysta Bell, ma anche registrando due album solisti; continua a lavorare alla David Lynch Foundation, scrive libri, produce video musicali e cortometraggi, continua a dipingere e a lavorare a progetti più intimi e casalinghi, si sposa una quarta volta (con Emily Stofle, già nel cast di INLAND EMPIRE) oltre a minacciare di lasciare il cinema durante svariate interviste.

Nell’estate del 2014 esce un cofanetto Blu-ray, Twin Peaks – The Entire Mystery, composto da dieci dischi contenenti entrambe le stagioni della serie [le due stagioni 1989 e 1990], Fire Walk with Me, alcune scene eliminate (un’ora e mezza di riprese tagliate da Fire Walk with Me, che compongono un lungometraggio a parte intitolato The Missing Pieces), documentari e interviste. Nel settembre dello stesso anno, al Festival del Cinema di Lucca, Lynch riceve un altro premio alla carriera, e di fronte a una domanda del pubblico su una possibile terza stagione di Twin Peaks, di cui si mormora da un po’, si mostra esitante, per poi affermare con la consueta ironia: “Tricky question. There’s always a possibility. And you’ll just have to wait and see”, “È una domanda difficile. C’è sempre una possibilità. Dovreste aspettare e stare a vedere”. Passato meno di un mese, il canale televisivo statunitense Showtime annuncia di aver messo in produzione una mini-serie di nove episodi con la sua regia e la co-sceneggiatura di Frost. Problemi di budget rallentano però il processo di pre-produzione, causando addirittura un momentaneo forfait da parte di Lynch stesso, finché un accordo non sancisce la resurrezione del progetto, con una durata doppia rispetto al programma iniziale: diciotto episodi.

Bisogna tenere in considerazione che l’annuncio della serie risale appunto al 2014, venticinque anni dopo l’anno in cui è morta Laura Palmer ed è ambientata la serie originale, un dato che riporta subito alla mente gli annunci profetici e misteriosi del tempo che Cooper avrebbe dovuto trascorrere nella Loggia, presenti sia nell’episodio pilota europeo sia in quello conclusivo della seconda stagione. La terza stagione di Twin Peaks, che sarebbe stata poi distribuita con vari titoli commerciali (tra i quali Twin Peaks: The Return), viene da subito annunciata come un diretto seguito della serie originale, ambientata ai giorni nostri e focalizzata proprio su quel lasso di tempo già profetizzato da Lynch, con tutte le conseguenze del caso.

Per la terza stagione il cast torna alla sua struttura originaria, a esclusione di pochi nomi: nessuno ricopre i ruoli di Donna, Harry Truman, Josie, Catherine Martell, Evelyn, Dick Tremayne, Leo Johnson e soprattutto del nano (a causa di una lite con Michael J. Anderson, che, considerandosi insostituibile, aveva chiesto di essere pagato più di quanto Lynch e Showtime potessero permettersi). Inoltre bisogna considerare che molti attori erano scomparsi nel periodo di stacco tra la seconda e l’ultima stagione: Frank Silva, Don S. Davis, Frances Bay e Jack Nance. A questi si aggiungono però molti altri, tra i quali molti attori che avevano già collaborato con Lynch in altri film: Rebekah Del Rio, Naomi Watts, Chrysta Bell, Balthazar Getty, Robert Forster, Nae Yuuki, Scott Coffey, Brent Briscoe, Frank Collison e, soprattutto, Laura Dern. Tra gli altri spiccano Jim Belushi, Eamon Farren, Michael Cera, Tim Roth, Jennifer Jason Leigh, Matthew Lillard, Amanda Seyfried, Caleb Landry Jones, Tom Sizemore, e Ashley Judd. Insomma un cast all-star per un progetto la cui trama rimarrà top secret fino alla pubblicazione ufficiale, avvenuta dopo una prolungata sessione di riprese e una lunga post-produzione, nel 2017 (a venticinque anni dall’uscita di Fire Walk with Me).

Se il tempo non era stato clemente con Twin Peaks, le cose non miglioreranno con Il ritorno. Alcuni degli attori verranno a mancare proprio durante le riprese o nel periodo immediatamente successivo, come accade a Catherine E. Coulson, la Signora Ceppo, uno dei simboli dell’opera di Lynch; o altri attori importanti come Warren Frost e Miguel Ferrer. David Bowie, consapevole della gravità della propria malattia, declina l’offerta di tornare a interpretare Phillip Jeffries preferendo impegnarsi nelle registrazioni del suo ultimo album, Blackstar, ma acconsentirà al riutilizzo di alcuni filmati di repertorio e all’utilizzo del proprio personaggio, doppiato da Nathan Frizzel, un giovane attore texano. Meno di due settimane dopo la fine della serie scompare anche Harry Dean Stanton, tornato a recitare in un ruolo più importante rispetto a Fire Walk with Me, tristemente seguito da Brent Briscoe, Peggy Lipton, Clark Middleton e Robert Forster.

Il ritorno viene sfruttato da Showtime per sperimentare la distribuzione in streaming, portando risultati decisamente favorevoli e risultando una delle serie di maggior successo per il canale, nonostante gli effettivi numeri di audience non paragonabili ai milioni di spettatori ottenuti da ABC negli anni Novanta, né alla media di audience delle serie tv drammatiche odierne. I primi due episodi vengono proiettati al Festival di Cannes il 25 maggio 2017 con grande successo di critica e di pubblico: per l’occasione vengono montati in sequenza come un film di due ore senza i titoli di coda della prima puntata a metà montaggio, nonostante fossero usciti in televisione il 21 (e, per un errore di Sky solamente in Italia, molti fan e telespettatori avessero potuto scaricare le due su My Sky addirittura il giorno prima). Il 22 maggio la terza e la quarta puntata vengono pubblicate sul sito streaming di Showtime, per poi essere trasmesse ufficialmente sul canale il 28. Dal 4 al 25 giugno le puntate sono distribuite con un ritmo di un episodio alla settimana, eccetto una pausa di due settimane attorno al 4 luglio, per poi ricominciare con lo stesso ritmo il 9, dalla nona puntata della serie. Anche le ultime due puntate escono lo stesso giorno, il 3 settembre.

Il ritorno rappresenta un viaggio incredibile e inimmaginabile, un nuovo film-cosmo della durata di diciotto ore, un disordinato e visionario (ma non illogico) lavoro meta-testuale ricco di simboli. La libertà ottenuta da Lynch nel creare questo lavoro tanto stratificato e complesso quanto irrisolto è un unicum nella storia della televisione, e stupisce il fatto che il regista sia riuscito a rendere popolare un’opera tanto avanguardistica nella storia della serialità moderna. Resta il fatto che Il ritorno mette in campo una serie di tecniche narrative, registiche, stilistiche e di montaggio che rivoluzioneranno non solo lo stile di Lynch dopo un silenzio di oltre dieci anni, ma anche l’assetto generale della televisione moderna. Nei capitoli seguenti si cercheranno di analizzare motivazioni di quest’operazione, considerando tutte le riflessioni trasversali che possono scaturire dal confronto di ogni singola sequenza del Ritorno con altri film, opere letterarie o pittoriche. Tra interpretazioni narrative anche legate ai libri di Frost, The Secret History of Twin Peaks e The Final Dossier, commenti critici ed effettivi studi sulle dinamiche di regia e sui riferimenti culturali, Il ritorno offre allo spettatore innumerevoli spunti di discussione. Lo scopo di questo testo non è solo quello di decodificare una linea narrativa, bensì quello di cogliere nessi culturali e ricorrenze formali o contenutistiche per capire innanzitutto cosa rappresenti la serie a prescindere, piuttosto che il suo contenuto. Le interpretazioni, ora forzate o ora concrete, saranno alternate a studi formali sulle tecniche usate (a livello registico, di scrittura, di montaggio e linguaggio), sulle citazioni, sulla ragnatela di connessioni interne ed esterne.

Nel testo d’analisi che segue verrà fatto più volte riferimento alla cronologia complessa e alla quantità disorientante di personaggi della serie. A causa di ciò, in fondo al testo, dopo i 18 capitoli dedicati alle rispettive puntate, vi saranno un elenco dei personaggi e un riassunto in ordine cronologico di tutti gli eventi (con quelli considerati “chiave” nella terza stagione sottolineati), come una legenda da ri-consultare quando ci si perde. Entrambi i riepiloghi implicano la visione di tutte e tre le stagioni e del film.

Ogni episodio del Ritorno ha un titolo non ufficiale, una tag-line usata da Showtime per incuriosire gli spettatori, che riporta una frase pronunciata all’interno dell’episodio. Useremo dunque per ogni capitolo la citazione inglese che compone il titolo degli episodi, e un sottotitolo esemplificativo del contenuto sostanziale della puntata, da cui si svilupperà il discorso.

EVENTO CHIAVE #18, PARTE 18: La disgregazione del reale mediante il sognatore, “l’eliminazione dell’elettricità”, in Nicola Settis, Chi è il sognatore? Guida alla visione di Twin Peaks 3, 291-292.

Sommario del volume

5      INTRODUZIONE
        Gli esordi: costruendo le fondamenta di una nuova estetica 
        Immagini evocative per penetrare nell’America più cupa 
        Un posto bellissimo e strano
        La Palma d’Oro e il conflitto tra l’autore e il medium 
        Rivalsa e dichiarazione d’intenti 
        Storie di oggetti e simboli 
        Strade dell’inconscio e mondi cinematografici alternativi 
        Verso il film-cosmo: meditazione e linguaggio digitale
        il ritorno e la svolta

33     PARTE 1 | MY LOG HAS A MESSAGE FOR YOU                            
         Venticinque anni dopo
         Evento chiave #1 

47    PARTE 2 | THE STARRS TURN AND A TIME PRESENTS ITSELF    
        L’occhio che uccide 

65    PARTE 3 | CALL FOR HELP 
        Il pericolo della frammentazione
        Evento chiave #2 

83    PARTE 4 | BRINGS BACK SOME MEMORIES 
        Il controcampo funebre e il controcampo irreale
        Evento chiave #3
        Evento chiave #4

99    PARTE 5 | CASE FILES 
        L’oscurità estetica e lo sguardo verso l’alto

111   PARTE 6 | DON’T DIE 
        La ricerca della luce che irraggia dentro l’uomo 
        Evento chiave #5
        Evento chiave #6

123  PARTE 7 | THERE’S A BODY ALL RIGHT 
        L’orrore laterale 

137  PARTE 8 | GOTTA LIGHT?
       Il fuoco, la genesi e l’allucinazione 
       Evento chiave #7 
       Evento chiave #8

157  PARTE 9 | THIS IS THE CHAIR 
       La potenza del racconto

167  PARTE 10 | Laura IS THE ONE 
       Lo specchiarsi e il diramarsi del male 

177  PARTE 11 | THERE’S FIRE WHERE YOU ARE GOING 
        Il superamento delle dicotomie

191   PARTE 12 | LET’S ROCK
         Il gioco di pazienza

201   PARTE 13 | WHAT STORY IS THAT, CHARLIE? 
         L’assenza di riconoscimento 

213   PARTE 14 | WE ARE LIKE THE DREAMER 
         Il sogno e la visione 
         Evento chiave #9 

231   PARTE 15 | THERE’S SOME FEAR LETTING GO 
         Il ciclo emotivo e la morte del simbolo 
         Evento chiave #10 
         Evento chiave #11

249   PARTE 16 | NO KNOCK, NO DOORBELL
         Il linguaggio del Dharma e la compenetrazione nel nostro reale
         Evento chiave #12 

261   PARTE 17 | THE PAST DICTATES THE FUTURE
         La vita nel sogno oltre il tempo 
         Evento chiave #13 
         Evento chiave #14 

277  PARTE 18 | WHAT IS YOUR NAME? 
         La disgregazione del reale mediante il sognatore
         Evento chiave #15 
         Evento chiave #16 
         Evento chiave #17 
         Evento chiave #18 

299   CHI È IL SOGNATORE?
         Ipotesi 
         Sovrastruttura
         Ultimi spunti 
         Conclusione 

315  LISTA DEI PERSONAGGI 

326  OPERE CITATE 

English abstract

This review presents the new book by Nicola Settis, Chi è il sognatore? Guida alla visione di Twin Peaks 3 [Who is the Dreamer? A Guide to Watching Twin Peaks 3]. The young author, a scholar of cinema and media studies, offers a brilliant reading of director David Lynch's latest season of Twin Peaks, an enigmatic television series watched all around the world. Through a narrative and visual approach adapted to the contemporary, Twin Peaks 3, The Return constitutes a new device, a still unexplored object that produces endless questions and that never stops involving the spectator in reflective and sensorial mechanisms. “Who is the Dreamer?” investigates the symbols and internal connections within this open work which expresses both the director's personal vision and sensibilities, and the human boundary between dream and reality.

keywords | David Lynch; Twin Peaks, David Bowie; Nicola Settis.

Per citare questo articolo: Ilaria Grippa, Monica Centanni, Sogno e visione, secondo David Lynch. Presentazione di: Nicola Settis, Chi è il sognatore? Guida alla visione di Twin Peaks 3, Pisa 2022, “La Rivista di Engramma” n. 193, luglio 2022, pp. 243-260 | PDF di questo articolo
To cite this article: Silvia De Min, La memoria di un gesto che raccoglie il visivo in un segno. I taccuini della storia dell’arte. Recensione del volume: Emanuele Pellegrini, La memoria in tasca, De Luca, Roma 2021, “La Rivista di Engramma” n. 193, luglio 2022, pp. 243-260 | PDF of the article

doi: https://doi.org/10.25432/1826-901X/2022.193.0014