"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

193 | luglio 2022

97888948401

What a Time!

Il ritorno del passato tra shock e continuità in due copertine di “Time”

Francesco Giosuè

English abstract

Questo breve intervento si intreccia con le considerazioni svolte nel numero 190 della Rivista di Engramma “Figli di Marte 2022. Immagini in guerra”, che ha analizzato la problematicità dell’interpretazione critica delle immagini propagandistiche in periodo bellico, precisamente nel presente scontro Ucraina-Russia. È ora la copertina dell’edizione digitale di “Time” del 14 marzo, dedicata all’attacco russo all’Ucraina e intitolata “The return of History”, a innescare diversi interrogativi e imporre una serie di riflessioni sul senso della storia e del tempo. La correlazione con altre due copertine di “Time” – una passata, vera e una contemporanea, falsa – porta al centro della discussione la storia, presentata nella sua dimensione diveniente, e le immagini, sfruttate ai fini di una narrazione precisa che richiama il passato, e che dimostra come l’interpretazione storica trovi in esse una potente chiave di lettura. Si tratta di tematiche complesse, e lo sguardo critico sul presente si rende quanto mai necessario davanti alla tempesta mediatica a cui stiamo assistendo: una massiccia diffusione fatta di video, proclami, simboli e foto.

Analizzare i contenuti di una rivista come “Time”, celebre per il carattere critico con cui affronta i temi di attualità in una iconica veste provocatoria e di forte impatto data proprio dalle copertine, rappresenta un buon terreno su cui indagare le dinamiche della memoria storica, così come l’utilizzo dell’immagine a fini della sua narrazione. Tenendo presente l’insegnamento di Marc Bloch, per il quale la falsa analogia storica rappresenta un grave errore, il confronto costruito tra le copertine e gli articoli deve essere interpretato come uno strumento volto a dimostrare l’esistenza di alcune dinamiche della narrazione storico-politica ma anche dell’azione interpretativa e psicologica che cerca di addentrarsi nella profondità dei problemi (Bloch [1949] 1993, 53).

“Time”, 14 marzo 2022: The Return of History. How Putin Shattered Europe’s Dream

1 | Copertina dell’edizione online di “Time”, 14-21 marzo 2022, foto di Nanna Heitmann, Magnum photos.

Nell’analisi di figure e testi, è interessante partire dall’elemento principale della copertina ossia il titolo stesso della rivista. “Time”, “Tempo”: imponendosi in rosso e in alto, sembra interagire esplicitamente con il concetto di “Return of History” affermato nel titolo sottostante. L’idea è chiara: il tempo si muove, diviene, e drammaticamente – è un tempo di guerra.

Il nome della rivista, fondata nel 1923, trova motivo proprio nel “tempo” dell’uomo moderno, che scorre veloce e concitato, richiedendo un sistema di informazione rapido e di impatto. Una rivista popolare quindi, nata nei ruggenti anni Venti di Wall Street, adatta al ceto medio e imprenditoriale, il cui concetto del tempo – secondo Benjamin Franklin – era lineare e ascendente: “il tempo è denaro, […] ha una natura feconda e fruttuosa“. Un tempo capitalista (Weber [1904-1905] 1991, 72).

Ma le considerazioni sul Tempo e la Storia sono in realtà molto più complicate, e la rivista americana e i suoi editorialisti sembrano a volte non coglierle. L’impegnatissimo uomo moderno che legge il “Time”, alternando ciascun paragrafo a un nervoso sguardo all’orologio, non si rende conto dei due diversi orizzonti cronologici in cui è immerso: la linearità dello scorrere delle lancette e la circolarità del quadrante. Queste infatti sono le due fondamentali e parallele dimensioni temporali nella civiltà occidentale, scandita dal tempo lineare del capitalismo ma anche dal tempo circolare del calendario sia laico che religioso (Le Goff 1977).

Con la medesima semplicistica sicurezza con cui trent’anni fa, al crollo del Muro di Berlino – ossia nel momento del definitivo trionfo del capitalismo sul socialismo –, “Time” proclamava “Freedom!” sulla copertina del 20 novembre 1989, e Francis Fukuyama dichiarava “The End of History” (Fukuyama 1992), ora “Time” afferma nuovamente che quella storia non è mai finita. Il tono apocalittico del titolo e dell’articolo interno a cui si riferisce sembrano non considerare la complessità del reale: quale storia ritorna? Quale storia è finita? Quali sono i carnefici e quali le vittime?

In realtà nella copertina è possibile riconoscere tutte le contraddizioni sottese a questa lettura. Immagine, titolo e testo si muovono di pari passo, gli elementi visivo-spaziali e percettivo-temporali sono legati: il titolo e la grafica sono lineari come la strada percorsa dal blindato sullo sfondo, ma il significato delle parole dichiara l’opposto, ossia la circolarità del tempo stesso. Anche i colori giocano un ruolo chiave perché, sebbene la foto non sia in bianco e nero, i toni del grigio ricordano le immagini delle guerre del passato, mentre quell’ideale europeo di una pace eterna nel continente che si sperava fosse lineare sembra essersi disseccato come gli arbusti ritorti al bordo della strada.

L’articolo cui la copertina fa riferimento si intitola History returns to Europe ed è scritto da Bruno Maçães, segretario di Stato per gli affari europei del Portogallo, che inizia con una citazione da Eraclito: “War truly is the father of all and king of all, as Heraclitus said” (Maçães 2022, 39). Significativo è che la riflessione sugli effetti della guerra in Ucraina sull’Europa inizi da un autore vissuto tra VI e V secolo a.C in Grecia. Indagando l’origine della Realtà, Eraclito aveva individuato polemos – l’opposizione di contrari come legge universale, Πόλεμος πάντων μὲν πατήρ ἐστι, πάντων δὲ βασιλεύς (Eraclito, Fragmenta, 53). Seguendo la lezione di Emanuele Severino su Eraclito, è interessante come sia l’alternarsi degli opposti a stare alla base della Realtà: Panta rei, tutto scorre, si muove, e il “divenire” che sta alla base del reale è tanto il contrasto quanto l’unità delle cose (Severino [1984] 2004, 59). Sempre il divenire, ora in rapporto all’anima, si troverà espresso da Vico con la formula del verum ipsum factum, per la quale l’uomo può comprendere la storia perché è egli stesso a farla (Vico I, I,15). È possibile non solo comprendere la realtà storica in quanto costituita della stessa materia dell’uomo, ma comprendere anche come questa sia soggetta alla stessa legge del divenire (Severino [1984] 2021, 187).

Restando all’interno del pensiero greco, è interessante come, anche per lo storico Tucidide, guerra e movimento siano strettamente legati. Essa è intesa come kinesis, “movimento sconvolgente”: κίνησις γὰρ αὕτη μεγίστη δὴ τοῖς Ἕλλησιν ἐγένετο καὶ μέρει τινὶ τῶν βαρβάρων, ὡς δὲ εἰπεῖν καὶ ἐπὶ πλεῖστον ἀνθρώπων. “Questo sommovimento infatti fu grandissimo certamente per i Greci e per una parte dei barbari e per così dire anche per la maggior parte degli uomini” (Thuc. I,1.1). Lo storico, infatti, considerava la realtà umana come intellegibile, scandita da fasi di pace e di guerra, con quest’ultima intesa come svolta dinamica della storia, “sommovimento” in cui essa si manifesta nel suo volto più autentico (Ferrucci 2001). In relazione a questa intellegibilità, la lingua latina avrebbe poi indicato ante/davanti per intendere il passato, nel senso che solo ciò che sta prima è comprensibile mentre il futuro coincide con post/dietro, nel senso che è lontano dallo sguardo del presente e quindi non ancora comprensibile (Centanni 2013). Il fatto può essere indagato e successivamente interpretato solo in quanto conosciuto, e così, tornando a Vico, si direbbe che questo è possibile solo perché umano e storico coincidono e tale principio gnoseologico porta a considerare come sia solo nel momento in cui ne viene fornita una lettura che il fatto assume consistenza reale.

Sull’esigenza della narrazione del passato, è inoltre importante ribadire quanto detto da Sant’Agostino sulla soggettivizzazione del tempo:

Quod autem nunc liquet et claret, nee futura sunt nec praeterita, nec proprie dicitur: tempora sunt tria, praeteritum, praesens et futurum. sed fortasse proprie diceretur: tempora sunt tria, praesens de praeteritis, praesens de praesentibus, praesens de futuris. sunt enim haec in anima tria quaedam et alibi ea non uideo, praesens de praeteritis memoria, praesens de praesentibus contuitus, praesens de futuris expectatio (Agostino, Confessioni XX, 26).

[Un fatto è ora limpido e chiaro: né futuro né passato esistono. È inesatto dire che i tempi sono tre: passato, presente e futuro. Forse sarebbe esatto dire che i tempi sono tre: presente del passato, presente del presente, presente del futuro. Queste tre specie di tempi esistono in qualche modo nell'animo e non le vedo altrove: il presente del passato è la memoria, il presente del presente la visione, il presente del futuro l’attesa.]

Il tempo può ritornare solo in chiave di interpretazione, e può essere trasmesso nella storia attraverso immagini, simboli, testi. Ma nel caso del numero di “Time” di marzo si ritorna al concetto di storia definito da Bloch negli “Annales d’histoire économique et sociale” come “histoire événementielle”: un’ininterrotta “rerum gestarum narratio” (Ugo da San Vittore), che, nel caso specifica, allaccia gli eventi bellici del presente a un passato di guerra che torna in Europa dopo un’imprecisata assenza. La sensazione che gli editori del “Time” hanno voluto evocare è una sorta di “rinvenimento” dal torpore occidentale nel quale a molti sembrava di vivere: un torpore – secondo Maçães – nato dopo la Seconda guerra mondiale.

Il salto è netto, diretto, sebbene si accenni al conflitto jugoslavo, si parli di indizi (τεκμερια in Tucidide) che avrebbero potuto rivelare il possibile scoppio di una guerra, come il riconoscimento delle autoproclamate repubbliche del Donbass da parte della Russia. Ciò che emerge è una sorta di soggettivo stato di shock, quasi una vicinanza alle persone del 1914 o del 1939, per il senso di angoscia e di impotenza dinnanzi agli eventi correnti. Il riferimento al passato è costante quanto imprecisato: le truppe russe sono presentate come “discendenti” “in the mad spectacle of Putin’s troops descending upon Kyiv to execute his macabre plan. The complete barbarization of Ukraine will be played daily on our screens, a spectacle from which there is no redemption”, quasi barbari calanti su un ordine europeo che avrebbe dovuto evitare un nuovo conflitto. La struttura stessa dell’articolo si presenta in modo circolare, tanto da chiudersi nuovamente con una riflessione sui conflitti: “there was a vital lesson in the contrast. Peace and enjoyment do not survive on their own but need to be combined with struggle and sacrifice” (Maçães 2022, 39).

Questa lettura, tuttavia, non considera un contesto europeo ben più complesso: il pacifico torpore occidentale, rassicurato dal crollo del muro di Berlino e dall’ala paternalistica della NATO, non è esito di una cesura, ma di una rimozione. Semplicemente, i conflitti si sono spostati, i “megiste kìnesis” sono ora spinti oltre i confini europei, in Medio Oriente o in Africa. La storia che ritorna senza mai essere sparita è ben più vicina, e sarà un’altra copertina a richiamare un’altra invasione.

“Time”, 30 agosto 1968: A savage challenge to détente

1 | Copertina di “Time” del 30 agosto 1968, Vol. 92, No. 9.

Sulla copertina di “Time” del 30 agosto 1968 che affronta l’invasione sovietica della Cecoslovacchia, un carro armato sovietico sovrasta, quasi schiacciandolo, il piccolo titolo “Invasion”, possibile allusione al destino ormai segnato della resistenza cecoslovacca. Incredibile somiglianza – ma citazione non voluta - con la copertina dedicata al presente conflitto ucraino. L’articolo della redazione “A savage challenge to détente” parla esplicitamente della “distensione” che, negli anni Sessanta, Stati Uniti e Unione Sovietica cercarono di stabilire, e lo shock provocato dal violento atto dell’Urss. Nell’analisi dei fatti di Praga, emerge in primo piano l’emozione per l’accaduto, si tratta principalmente di un senso di estraniazione per un evento “inaspettato”:

It was an instant of fear and incredulity. The event, though discussed and weighed as a possibility, had seemed unlikely. After all, it was 15 years after Stalin’s death, twelve years after Hungary. The West had come to accept the “new maturity” of Russia’s leaders. The relative liberalization of Soviet society and the increasing autonomy of Moscow’s erstwhile satellites in Eastern Europe had also been taken for granted as an irreversible reaction to the harsh rigidities of the Stalinist past. The softening of Communism (“They are getting more like us, and we are getting more like them”) had become one of the dubiously hopeful clichés of the day. In one brutal night’s work, Moscow undercut, if it did not erase, all such assumptions (A savage 1968, 16).

Il ritorno ai tempi precedenti è sottolineato anche qui, anche se gli stessi sviluppi del mondo in orbita sovietica verso una progressiva occidentalizzazione vengono definiti con l’aggettivo “irreversibile”: l’aggettivo impone pertanto una cesura drammatica, che sottende lo scorrere lineare del tempo.

L’articolo del 24 marzo 2022 sull’invasione dell’Ucraina usa parole simili:

In late February, Europeans were still debating COVID-19 and hoping for an end to the pandemic. In Brussels, conversations turned to the latest ideas for the regulation of digital platforms or to the Green Deal. Then the world changed, seemingly overnight. In reality, it was not that fast. On Monday, Feb. 21, Russian President Vladimir Putin discussed the recognition of the occupied provinces in eastern Ukraine. In the early hours of Thursday, Feb. 24, the first bombs fell on the capital and many other Ukrainian cities. War had returned to Europe (Maçães 2022, 39).

In entrambi i casi, al sopraggiungere della sventura che causa uno shock in un momento di pace e prosperità, segue il confronto con gli eventi drammatici precedenti. Si tratta di un tòpos letterario classico, derivante dalla tragedia greca e mutuato dalla storiografia: alla storia intesa come mero elenco di grandi gesta, si aggiunge l’elemento patetico, emotivo. La violenza del presente rompe l’idillio e porta il discorso sui binari di una narrazione tragica. Il punto d’inizio sta inevitabilmente nella Poetica di Aristotele, ritrovata nel XV secolo e base per la storiografia cinquecentesca promulgata dall’ambiente dell’aristotelismo padovano. Secondo Aristotele, “è necessario un rovesciamento non dalla sfortuna alla fortuna ma al contrario dalla fortuna alla sfortuna”, e un inizio di pace apre il varco all’evento improvviso che il greco chiama “nodo” (Po. XVIII, 24).

Tucidide aveva iniziato la sua Guerra del Peloponneso allo stesso modo (Tuc. I.1.1), così come Guicciardini aveva fatto nelle Storie d’Italia: “Ma le calamità d’Italia cominciarono con tanto maggior dispiacere e spavento negli animi degli uomini quanto le cose universali erano allora più liete e felici” (Guicciardini, Storie d’Italia, I,1).

Sebbene nell’articolo dello scorso marzo 2022 l’emergenza sanitaria non si possa considerare come un periodo di tranquillità, l’autore presenta un’Europa che ha ormai assimilato la condizione pandemica e sta tentando di lasciarsela alle spalle, vivendo comunque da molti anni in una situazione di pace. Analogamente, l’invasione del 1968 è apparsa tanto più destabilizzante dopo che nel corso dello stesso anno si erano allungati i passi della distensione, come dimostrano l’accordo sul soccorso reciproco degli astronauti sovietici e americani e il trattato di non proliferazione nucleare dopo le crisi di Berlino e Cuba. Nonostante ciò, lo spettro di Budapest si ripresentava, e dopo l’invasione sovietica dell’Ungheria nel 1956, ora, è la storia stessa viene interpellata direttamente dagli autori.

Entrambi gli articoli si concentrano sul rapporto Usa-Russia: già a partire dalle settimane precedenti lo scoppio della guerra, l’intervento russo in Ucraina è stato legato all’allargamento della NATO in paesi che la Russia considera nella sua sfera di influenza, paesi che tuttavia hanno legittimamente aderito all’Allenza. L’articolo dell’agosto ’68 discuteva invece della legittimità dell’intervento americano in Vietnam e nella Repubblica Domenicana, comparandolo a quello sovietico in Cecoslovacchia. Altro punto di connessione molto interessante è che il “Time” nel 1968 riportava come i Sovietici avessero presentato la vicenda cecoslovacca quasi come un aspetto della loro politica interna, e che il Cremlino avesse accusato Dubček di reprimere i lavoratori filosovietici. Non si può non riflettere sulle parole pronunciate da Putin pochi mesi fa nel suo discorso “storico”, in cui ha negato il riconoscimento dell’Ucraina come stato indipendente, in quanto corrotto e venduto alle potenze occidentali che vogliono espandersi a oriente. Lo stesso articolo di “Time” del ’68 è seguito dal lungo saggio “What a Year!”, introdotto dalle parole del famoso storico britannico Arnold Toynbee, “History is just one damned thing after another”, che apriva una lunga riflessione su quanto avvenuto nel corso di quell’anno, in cui la successione convulsa di episodi critici davvero poteva solo portare a chiedersi “What next?”.

Ritorno al presente: la memoria e la copertina falsa di “Time”

1 | Copertina dell’edizione online di “Time”, 14-21 marzo 2022, foto di Nanna Heitmann, Magnum photos.

Una delle dinamiche interpretative più importanti è anche il concetto di “memoria”, che emerge evidente nella terza copertina di nostra analisi: un falso realizzato in due versioni nel mese di marzo 2022, raffigurante Putin con i baffi di Hitler nella prima versione, e Putin con gli occhi di Mussolini nella seconda. Interessante è che si mantenga il titolo originale del numero di “Time”, ma che nel “meme” ironico di propaganda filo-ucraina il tema di The Return of the History sia del tutto sviato.

Come si è detto sopra, la memoria – definita da Sant’Agostino come “presente del passato” – è uno strumento soggettivo, mobile, manipolabile al fine di veicolare una certa lettura degli eventi. La memoria storica non è quindi storia, perché essendo il frutto dell’unione della componente individuale con la componente collettiva, si differenzia dalla storia perché sottolinea la prossimità e la continuità del legame fra passato e presente, mentre “storico” è sinonimo di separazione e di distanza (Le Goff 1979).

Per i cecoslovacchi del 1968 il nazismo non era Storia, ma memoria, e infatti, nel raccontare del terribile autunno di Praga – azione che ricordiamo essere stata condotta dalle truppe del Patto di Varsavia e non solo da quelle sovietiche –, gli editori di “Time” raccontano come le truppe della Germania Est dovessero nascondersi agli occhi dei cecoslovacchi:

The occupation force was largely in place: twelve Russian mechanized divisions, one division of troops from Poland and one from East Germany, along with token units from Hungary and a few from Bulgaria that had been brought in ships to Russia across the Black Sea. The Germans were prudently kept out of sight in the countryside, because Czechoslovaks remember all too vengefully the last visit by German troops in 1939 (A savage 1968, 23).

Il popolo in Piazza San Venceslao aveva memoria delle ultime truppe tedesche viste sul loro territorio ventinove anni prima, e vedendo la contraerea sovietica accanto alla statua di Jan Hus, portava in campo anche l’elemento simbolico della storia disegnando svastiche sui carri armati sovietici.

C’è da chiedersi se la copertina fake in cui Putin è sovrapposto a due dei grandi dittatori del Novecento racconti di come i totalitarismi del secolo scorso non possano ancora essere considerati “storia” tout court, ma siano ancora “memoria”; oppure se si sia voluto compiere un’analogia istantanea suggerita dal mondo dei social, e indirizzata primariamente a un popolo che ha subito sia l’occupazione nazi-fascista che quella sovietica, oggi accostata alla figura del russo Putin. D’altra parte, questi “errori o oblii” – come disse lo storico francese Ernest Renan – costituivano un fattore essenziale nella creazione dell’identità culturale (Renan [1882] 1993, 7-8).

In ultima analisi, l’accostamento delle copertine di “Time” ci porta a riflettere su cosa si debba chiedere a una storia intesa come scienza degli uomini nel tempo e come accostarsi a una conoscenza del passato che “è cosa in evoluzione, che senza posa si trasforma e si perfeziona” (Bloch [1949] 1993, 47). Si tratta di una domanda imbarazzante, perché potremmo essere portati a considerare la storia come conoscenza disinteressata del passato, non finalizzata a una sua utilizzazione immediatamente strumentale e ideologica nel presente, mentre l’osservazione empirica ci mette sotto gli occhi una storia sfruttata a fini politici o ideologici da più parti. Un altro possibile modo per accostarci all’analisi delle dinamiche esposte fa riferimento alla storia come indagine che, aumentando lo spettro dell’esperienza umana, è “un esercizio pratico, una bussola per i labirinti del destino” dove, come dice Felix Gilbert in riferimento a Francesco Vettori, “l’uomo può imparare non già regole di condotta, ma a conoscere la varietà della fortuna” (Gilbert [1965] 2012, 175), mitigando quindi l’angoscia causata dal divenire. Noi dobbiamo essere disposti a un doppio movimento, che consiste da un lato nell’affinare l’analisi critica delle fonti, e dall’altro nel constatare che è inevitabile guardare agli ultimi tre anni e chiedersi “What next?”.

Riferimenti bibliografici
  • A savage 1968
    A savage challenge to détente, “Time” 92, 9 (30 agosto 1968), 16-82.
  • Bloch [1937] 2014
    M. Bloch, Che cosa chiedere alla storia [Que demander à l'histoire?, Conférence par Marc Bloch, Paris, 29 janvier 1937], Roma 2014.
  • Bloch [1949] 1993
    M. Bloch, Apologia della storia o Mestiere di storico [Apologie pour l’Histoire ou métier d’historien, Paris 1949], a cura di L. Febvre, Torino 2009.
  • Centanni 2013
    M. Centanni, Il cambio di paradigmi e di percezione del tempo dalle grammatiche classiche al nostro presente, in E. Laszlo e P. M. Biava (a cura di), Il senso ritrovato, Milano 2013, 163.
  • Ferrucci 2001
    S. Ferrucci, Tucidide, in M. Bettalli (a cura di), Introduzione alla storiografia greca, Roma 2010, 67-96.
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    F. Fukuyama, La fine della storia e lultimo uomo [The End of History and the Last Man, New York 1992], Milano 1992.
  • Gilbert [1965] 2012
    F. Gilbert, Machiavelli e Guicciardini: pensiero politico e storiografico a Firenze nel Cinquecento [Machiavelli and Guicciardini: Politics and History in Sixteenth-Century Florence, Princeton 1965], Torino 2012.
  • Le Goff 1977
    J. Le Goff, Tempo della Chiesa tempo del mercante [Pour un autre Moyen Âge. Temps, travail et culture en Occident. 18 essais, Paris 1977], Torino 1977.
  • Le Goff 1979
    J. Le Goff, Memoria, in Enciclopedia Einaudi, Torino 1979, vol. 8, 1068-1109.
  • Maçães 2022
    B. Maçães History returns to Europe, “Time” 199, 9-10 (14 aprile 2022), 39.
  • Renan [1887] 1993
    E. Renan, Che cos’è una nazione [Qu’est-ce qu’une nation, Paris 1887], Roma 1993.
  • Severino [1984] 2004
    E. Severino, Filosofia antica e medievale, Milano 2004.
  • Severino [1984] 2021
    E. Severino, La filosofia moderna, Milano 2021.
  • Weber [1904-1905] 1991
    M. Weber, L’etica protestante e lo spirito del capitalismo [Die protestantische Ethik und der Geist des Kapitalismus, “Archiv für Sozialwissenschaft und Sozialpolitik” 20-21, 1904-1905], Milano 1991.
English abstract

The essay compares the “Time” cover dedicated to the 2022 conflict between Russia and Ukraine with another wartime cover from the same magazine published in 1968. The relationship between text and image triggers reflections on the meaning of history and time: which “history” returns? Which “history” is over?

keywords | “Time”; Ukrainian War; History; Memory.

Per citare questo articolo: Francesco Giosuè, What a Time! Il ritorno del passato tra shock e continuità in due copertine di “Time”, “La Rivista di Engramma” n. 193, luglio 2022, pp. 207-217 | PDF di questo articolo
To cite this article: Francesco Giosuè, What a Time! Il ritorno del passato tra shock e continuità in due copertine di “Time”, “La Rivista di Engramma” n. 193, luglio 2022, pp. 207-217 | PDF of the article

doi: https://doi.org/10.25432/1826-901X/2022.193.0015