"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

193 | luglio 2022

97888948401

abbecedari architettonici di Sergio Polano (Ronzani, 2022)

Una presentazione e un estratto del volume

a cura di Beppe Cantele

Presentazione

Beppe Cantele

Sergio Polano, abbeccedari architettonici, Ronzani 2022. i lettori Engramma possono usare il codice promozionale Engramma2022 per acquistare questo volume con il 15% di sconto.

Prima di andarsene lo scorso giugno, Sergio Polano ha voluto dare alle stampe un suo denso lavoro di ricognizione su un particolare filone della ricerca architettonica, quello legato al disegno di edifici in forma di lettere dell'alfabeto.

“L’architecture commença comme toute écriture. Elle fut d’abord alphabet” – proclama Victor Hugo nel celebre capitolo di Notre Dame de Paris intitolato Ceci tuera cela. Questa affermazione posta da Polano in esergo al suo scritto sintetizza l’interesse che periodicamente almeno dal XV secolo architetti o artisti rivolgono all’abbecedario architettonico. Polano raccoglie in un ricco regesto visivo gli episodi che costellano questo particolare settore del variegato complesso che si suole chiamare abbecedario, inserendo in prospettiva storica i singoli episodi, che non hanno un apparente legame tra loro. “Emergenze intermittenti” e “impulsi discontinui” sono dunque proposti in ordine cronologico, offrendo notizie circostanziate sugli autori così da offrire vividi contesti alle imprese grafiche.

È così che dai tratti decisi di quello che è ritenuto il primo esempio di architetture disegnate in guisa di alfabeto, le Lettres Fantastiques del Champfleury di Geoffrey Tory del secondo Quattrocento, si giunge a balzi a episodi maggiori nella storia delle lettere «architettate» dal loro disegno. Dapprima segnali, come le two letters in un frammento dell’opera di John Thorpe (ca. 1563-1655?), poi contributi più corposi come quello di Thomas Gobert (ca. 1630-1708). Nel disegnare planimetrie letterali, l’Architecte des Bâtiments du Roi si ingegna a trovare articolate soluzioni per ricondurre a simmetria le lettere. Introducendo Douze desins d’Eglises…, tutti rimasti sulla carta, spiega: “Je me suis attaché a conserver la forme des lettres, leur Iregularité n’estant pas facille a reduire, on pouroit apeler cet ouvrage un jeu d’esprit en architecture”. Ancora, circa un secolo più tardi, l’eccezionale Architektonisches Alphabeth del 1773-74 di Johann David Steingruber (1702-87) è un tentativo sapiente di por regola all’arbitrarietà delle forme alfabetiche. Il secolo XIX sembra offrire la maggiore quantità di episodi, a partire da Antonio Basoli (1774-1848) che descrive il suo Alfabeto Pittorico, steso dal 1821 al 1847, come un «alfabeto in calembour del genere di prospettiva o sia tante lettere». Quasi contemporanei sono l’Alphabet Pittoresque di Giovanni Battista delle Piane, pubblicato nel 1844 da Leopold Müller in un volume di cromolitografie e The Landscape Alphabet disegnato nel 1831 da Miss L.E.M. Jones secondo il britannico gusto spiccatamente pittoresco.

Negli ultimi cento anni, osserva Polano, “una sottile fascinazione per gli abbecedari architettonici (e per la promessa di trasgressività delle edificazioni letterali) è tornata a serpeggiare” e si è “vieppiù diffusa nei pressi immediati dell’attualità”: ne sono prova gli abbecedari fotografici che individuano le lettere negli elementi architettonici o le vaste ricognizioni come Archabet. An Architectural Alphabet di Balthazar Korab del 1985. Ma, accanto alle architetture disegnate, proprio nell’ultimo secolo le lettere hanno trovato declinazione progettuale nelle architetture delle avanguardie storiche, da El Lisickij a Depero, nella City as Alphabet di Claes Oldenburg, fino ai musei ebraici di Daniel Libeskind dove le lettere, secondo la tradizione giudaica sono protagoniste sostanziali e non solo segni, e all’Alfabet Gebouw di MVRDV a Amsterdam del 2010 dove le bucature sono disegnate come lettere dell’alfabeto.

Stupefacente è il repertorio iconografico raccolto da Polano che oltre agli alfabeti citati, riprodotti integralmente, comprende capilettera di Giampietro Zanotti e Giovan Battista Piranesi e i disegni di Federico Babina dall’abbecedario Archibet City. From Aalto to Zaha Hadid del 2015. abbecedari architettonici, edizione aggiornata di un saggio pubblicato alcuni anni fa, esce per i tipi di Ronzani, nella collana Arti e design.

Pagine da: Sergio Polano, abbecedari architettonici (5-14)

Ne L’esprit de la lettre, recensione comparsa nuovamente in appendice a La Lettre et l’Image, la debordante, disordinata ma felice antologia di Massin, Roland Barthes scrive:

Anzitutto, osservando le centinaia di lettere figurate giunte a noi attraverso i secoli […] è evidente che la lettera non è il suono […] il divenire e l’avvenire della lettera […] sono indipendenti dal fonema. Questo rigoglio impressionante di lettere-figure dice che la parola non è il solo contorno, il solo risultato, la sola trascendenza della lettera. Le lettere servono a fare parole? Certo, ma anche altre cose. Che cosa? Gli abbecedari. [Le] lettere del nostro alfabeto, animate […] da centinaia di artisti di ogni secolo, sono poste in un rapporto metaforico con altre cose ben diverse […] Tutto questo catalogo di elementi naturali e umani (e non) moltiplica la breve lista dell’alfabeto: il mondo intero è tutt’uno con la lettera.

1 | Geoffroy Tory, Lettres Fantastiques, dal trattato Champfleury. Au quel est contenu l’Art et Science de la deue et vraye Proportion des Lettres Attiques, qu’on dit autrement Lettres Antiques, et vulgairement Lettres Romaines proportionnees selon le Corps & Visage humain, Tory - Gourmont, Paris 1529.
2 | Giovanni Battista de Pian, Alphabet Pittoresque, Wien 1844.

A fronte di tale inarrestabile cosmografia letterale, per cui “dal Medioevo sino ai giorni nostri - sintetizza Massin - hanno dunque continuato a moltiplicarsi gli alfabeti fatti di lettere-fiori, di lettere-animali, di lettere-uomini, di lettere-oggetti”, come – tra mille altre – le rinascimentali Lettres Fantastiques del Champfleury di Geoffroy Tory, nella seconda meta del Quattrocento viene disegnato quello che si presume essere il primo abbecedario architettonico, ancor poco conosciuto ma esaurientemente discusso da Erika Boeckeler nel 2011. L’ignota paternità è fonte di attribuzioni dibattute, mentre l’origine viene collocata nell’Europa del Nord, forse nei Paesi Bassi. La forma scrittoria è quella allora chiamata fractura: a differenza di quanto accadrà in seguito, utilizza le sole minuscole, ramificando un vocabolario ‘gotico’ di elementi costruttivo-decorativi all’interno dei vari segni di vivace impulso verticale. Ritrovato completo a Bologna nel 1888 da Max Lehrs, che ne giudica mediocre la qualità incisoria, è dettagliatamente pubblicato nel 1897 in Gothic Alphabets, prezioso repertorio di Jaro Springer, per il quale le lettere dell’abbecedario sono delle ‘sedate conceptions’, con l’avvertimento che: “The architectonic forms of this alphabet are unique. They had no procreative force. The figure-alphabet, on the other hand, was long-lived, and gave rise to numerous imitations”.

È opportuno segnalare che in Architektur und Alphabet, ricerca svolta perlopiù nei secondi anni Settanta del Novecento, Werner Oechslin ha saputo individuare e classificare le prospettive correlate di indagine nei due ambiti; la relazione tra alfabeto e architettura, anche nell’accezione empirica degli abbecedari, con cui la si affronta qui per offrire un dettagliato regesto visivo in prospettiva storica, è comunque caratterizzata da emergenze intermittenti e da impulsi discontinui nel tempo. Non a caso, si dovranno attendere secoli per la ricomparsa, dopo quello “gotico”, di altri abbecedari architettonici, che ricorreranno però alle maiuscole, cioè al repertorio più antico della duplice articolazione alfabetica, definitosi con allure maestosa e perentoria nell’epigrafia monumentale romana del I sec. d.C.

Un primo, episodico segnale si trova in un frammento dell’opera di John Thorpe (ca. 1563-1655?), architetto inglese di cui quel poco che si sa è dedotto dalla collezione di disegni posseduta da Horace Walpole, che è stata studiata da John Summerson. È un progetto di residenza, documentato da scarse tracce, la cui pianta si basa sul profilo delle iniziali dell’architetto: “Thes two letters, I [sta per J, assente dall’alfabeto latino] and T – precisa l’autore in un cartiglio – / being ioyned together as you see / Is ment for a dwelling house for mee”.

Ben altro contributo è quello di Thomas Gobert (ca. 1630-1708), Architecte des Batiments du Roi dal 1662, scultore e ingegnere, autore ai primi del Settecento di trattati di idraulica, rampollo di una famiglia di artisti e costruttori attiva tra Fontainebleau e Parigi. Autore di numerosi edifici e acquedotti, Gobert fa anche parte del gruppo di sei architetti francesi (inter alios, Louis Le Vau e Claude Perrault) incaricati nel 1699 da Louis XIV di presentare progetti per la dimora reale di Versailles. Nello splendido manoscritto in grande formato del suo Traitté / Pour conduire a la perfection de l’architecture, omaggio al Re Sole chirografato intorno al 1690, introducendo l’appendice coi Douze desins d’Eglises ou chapelles tres differentes, dont les plans sont le douze lettres qui composent le nom du Roy Louis le Grand, tutti rimasti sulla carta, Gobert spiega: “Je me suis attaché a conserver la forme des lettres, leur Iregularité n’estant pas facille a reduire, on pouroit apeler cet ouvrage un jeu d’esprit en architecture”. Condizionato dal coevo horror asymmetric, per por freno alla Iregularité delle forme alfabetiche, Gobert disegna con ingegnosa articolazione delle planimetrie in forma specchiata bilaterale (ad es.: L ⅃ mentre le D, caso limite, sono intrecciate, con A e O che fanno eccezione), soluzione che peraltro rende difficoltosa la riconoscibilità alfabetica. Le 12 lettere di LOVIS LE GRAND (la L in due varianti) adottano forme alfabetiche promiscue: le L, la I e l’infelice G hanno un ductus corsivo, presente anche in una R sui generis, con occhiello circolare; N è di fatto una n minuscola; il resto è un’interpretazione geometrizzante, con tratti magri, delle maiuscole classiche, ove si notano una A e una S sbilanciate. Ciascuna tavola presenta, dall’alto in basso, magistralmente impaginate: una breve descrizione testuale, una sezione (assente nella seconda L) e un prospetto, condotti dalla base inferiore della pianta che conclude la composizione dei singoli edifici religiosi, di contenute dimensioni, dell’insieme. Se per Josef Ponten sono “la migliore, la piu giocosa ed eccentrica delle architetture incompiute”, Joseph Kiermeier-Debre e Fritz Franz Vogel nel volume su Johann David Steingruber stimano che le tavole di Gobert, esaminate anche da un saggio di Pierre Moisy, “debbano essere interpretate come la dimostrazione ludica delle esigenze di un sovrano assoluto”, ipotizzando che il vero fine dell’opera fosse di épater le Roi, in vista di qualche incarico.

English abstract

“L’architecture commença comme toute écriture. Elle fut d’abord alphabet” (“Architecture begins like all writing. It is first an alphabet”) – proclaimed Victor Hugo in 1832. This updated edition of Sergio Polano’s essay illuminates one of the less visible aspects of this claim, the primer called the “abbecedario” or ABC book. The notion of an architectonics of the alphabet at first appears exotic, but corresponds with the making of alphabets in curious, sometimes bizarre forms since early print culture. The essay is accompanied by a rich and fascinating repertoire of examples of architectural alphabets. Sergio Polano, abbecedari architettonici, Ronzani 2022.

keywords | Sergio Polano; Architectural Alphabets; Ronzani Editore.

Per citare questo articolo: Beppe Cantele, a cura di, abbecedari architettonici di Sergio Polano (Ronzani, 2022). Una presentazione e un estratto del volume, “La Rivista di Engramma” n. 193, luglio 2022, pp. 261-266 | PDF di questo articolo
To cite this article: Beppe Cantele, edited by, abbecedari architettonici di Sergio Polano (Ronzani, 2022). Una presentazione e un estratto del volume, “La Rivista di Engramma” n. 193, luglio 2022, pp. 261-266 | PDF of the article

doi: https://doi.org/10.25432/1826-901X/2022.193.0018