"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

198 | gennaio 2023

97888948401

La storia della Biblioteca di Aby Warburg, 1886-1944

Fritz Saxl, traduzione di Michela Maguolo

Fritz Saxl, The History of Warburg’s Library (1886-1944), in E.H. Gombrich, Aby Warburg. An intellectual biography, London 1970, 325-338. 

Nel 1886, all’età di vent’anni, Aby Warburg iniziò a prendere nota in modo regolare dei suoi acquisti di libri. I suoi mezzi erano piuttosto limitati all’epoca, ma il fatto che tenesse dei registri sistematici dimostra quanto la Biblioteca gli stesse a cuore. In seguito, Warburg raccontò ai suoi amici l’episodio che lo rese consapevole di essere andato oltre le proprie esigenze personali nelle acquisizioni e di aver iniziato consapevolmente ad acquistare libri per chi studiava con lui e avrebbe proseguito il suo lavoro. Intendeva acquistare due costose raccolte, le pubblicazioni della Graphische Gesellschaft e la lussuosa edizione dello “Jahrbuch der kunsthistorischen Sammlungen des allerhöchsten Kaiserhauses” [1]. Chiese a suo fratello le somme necessarie, spiegandogli che questa acquisizione significava assai più che l’acquisto di due grandi riviste; avrebbe infatti rappresentato la base di una biblioteca per le generazioni future. La sua richiesta ottenne ascolto e con l’aiuto finanziario della famiglia Warburg iniziò a collezionare sistematicamente libri. Questo episodio ebbe luogo nel 1901-1902. Nel 1904 la Biblioteca era già cresciuta a tal punto e aveva acquisito un carattere così distinto che Warburg prese accordi affinché, alla sua morte, fosse incorporata in una istituzione pubblica con la condizione che fosse gestita separatamente [2]. I destinatari erano la Biblioteca di Stato di Amburgo o l’Istituto tedesco di Storia dell’Arte di Firenze, due istituzioni alle quali Warburg era stato strettamente legato in quei primi anni e verso le quali sentiva che sarebbe stato in debito per tutta la vita.

Un’esperienza di quando era studente lo aveva spinto a tentare di fondare una biblioteca. All’Università di Strasburgo, mentre si occupava dei due capolavori mitologici di Botticelli, gli apparve chiaro che qualsiasi sforzo per comprendere i pensieri di un pittore rinascimentale sarebbe stato vano se si fosse cercato di affrontare la questione solo dal punto di vista formale. A quel tempo, la struttura dell’Istituto di Strasburgo consisteva di una serie di dipartimenti separati con biblioteche specialistiche; lo studente aveva accesso a tutte. Warburg, che desiderava ardentemente risolvere l’enigma di queste immagini misteriose, utilizzò queste biblioteche una dopo l’altra e seguì le tracce che portavano dall’arte alla religione, dalla religione alla letteratura, dalla letteratura alla filosofia. In quel momento, maturò la decisione di offrire a ogni studente una biblioteca che comprendesse tutte le diverse aree della storia culturale umana e in cui si potesse passare da uno scaffale all’altro senza ostacoli. Sospettava che il governo non sarebbe mai stato disposto a creare uno strumento del genere. L’iniziativa doveva quindi provenire dal settore privato, e così convinse la propria famiglia ad assumersi la responsabilità finanziaria di questo nuovo e costoso progetto. Una cosa del genere era molto insolita nella Germania dell’epoca, dove normalmente il governo stanziava i fondi per le istituzioni scientifiche. Il piano di Warburg era davvero straordinario; non rientrava nello schema ufficiale, che conosceva due sole tipologie: la piccola biblioteca specializzata e la grande biblioteca onnicomprensiva, simile a un deposito. Warburg era stato in Inghilterra e negli Stati Uniti, dove vivevano due dei suoi fratelli, e in questi Paesi aveva compreso il ruolo delle aziende private nel settore scientifico. Nella città di Amburgo, che era così fortemente influenzata dall’Inghilterra, c’era la possibilità che un piano così insolito avesse successo. Amburgo era una città commerciale senza università e docenti di fama, ma con un’antica tradizione di studiosi: era dunque il terreno giusto per una fondazione privata.

Certamente, Amburgo era lontana dai maggiori centri di ricerca. In termini di chilometri, la distanza da Berlino non è notevole, ma un mondo di storia, costumi e modi di pensare separa le due città. E tanto diversa era rispetto alle famose città universitarie più piccole come Gottinga, Heidelberg o Jena. Gli interessi di Amburgo erano proiettati verso l’estero, la sua amministrazione operava secondo le locali linee guida anseatiche. All’inizio di questo secolo, tuttavia, il sistema scolastico di Amburgo era progressista, l’educazione degli adulti molto sviluppata, le collezioni pubbliche fiorenti – il tutto in netto contrasto con il resto della Germania. Amburgo guardava avanti, ma rimaneva isolata, sia nel suo atteggiamento progressista che in quello fortemente legato alla tradizione. Anche la fondazione di Warburg rimase isolata e la giovane impresa poté svilupparsi senza essere disturbata dal rumore di un’università consolidata.

Quando entrai per la prima volta nella Biblioteca nel 1911, era chiaro che Warburg avesse vissuto in Italia per diversi anni. Benché fosse rivolta verso tutte le direzioni, era prevalentemente orientata verso il mondo tedesco e italiano. All’epoca contava circa 15.000 volumi, e qualsiasi giovane studente quale ero io di primo acchito doveva sentirsi confuso. Da un lato, trovava un’eccellente raccolta di bibliografie, la maggior parte delle quali a lui sconosciute, ma molto utili per accelerare la propria ricerca; dall’altra parte, raccolte molto specializzate, ad esempio nel campo dell’astrologia, con le quali non aveva molta familiarità. Anche la disposizione dei libri era disorientante, e uno studente forse la trovava molto particolare - Warburg non si stancava mai di riorganizzarli. Ogni progresso nel sistema intellettuale di Warburg, ogni nuovo pensiero sulla connessione dei fatti, lo induceva a modificare la disposizione dei libri inerenti. La Biblioteca cambiava con il mutare dei suoi metodi di ricerca e dei suoi interessi. Per quanto piccola, la collezione era immensamente viva e Warburg non ha mai smesso di rimodellarla in modo che esprimesse al meglio le sue idee sulla storia umana.

In quei decenni, la disposizione sistematica di vecchio stampo fu abbandonata in molte biblioteche piccole e grandi, perché i vecchi schemi di classificazione non rispondevano più alle esigenze dei nuovi tempi. Si cercò una disposizione più ‘pratica’ e si favorì la standardizzazione e l’introduzione di sistemi di classificazione alfabetici e aritmetici. In questo modo, i cassetti del catalogo sistematico sono diventati la guida principale per il ricercatore, mentre l’accesso agli scaffali e ai libri stessi diventava raro. La maggior parte delle biblioteche, anche quelle a cui lo studente aveva libero accesso (come la Cambridge University Library), dovette fare delle concessioni all’era delle macchine e alla sua produzione libraria in costante aumento, e decise di abbandonare l’elencazione sistematica dei libri. Il titolo del libro nel catalogo sostituì nella maggior parte dei casi l’altro sistema e di conseguenza venne meno anche la maggiore e più giusta familiarità dello studioso con il libro, che si ha quando questo può essere sfogliato.

Warburg ha riconosciuto questo pericolo. Ha parlato della legge del buon vicinato. Il libro che si conosceva di solito non era quello di cui si aveva bisogno. L’ignoto vicino di scaffale, invece, poteva contenere informazioni importanti, anche se questo non si sarebbe potuto capire immediatamente dal titolo. Naturalmente, l’idea alla base di questo era che i libri tutti insieme - ciascuno con il suo maggiore o minore contributo di conoscenza e integrato dal libro vicino - dovessero, attraverso i loro titoli, condurre lo studente alla comprensione delle essenziali forze trainanti della mente umana e della sua storia. Per Warburg, i libri erano più che semplici strumenti di ricerca. Riuniti e raggruppati, illustrano i pensieri dell’umanità nella loro permanenza e nel loro cambiamento.

Fino al 1908, Warburg non disponeva né di assistenti qualificati né di una sede con uno spazio di archiviazione sufficiente per una grande collezione. Nell’agosto 1908 nominò il Dott. Hübner come suo assistente, e nell’aprile 1909 acquistò la casa di Heilwigstraße 114, dove visse fino alla fine della sua vita. Il Dr. Hübner era uno specialista in collezioni rinascimentali di scultura antica e quindi ben adatto al posto. Ma la sua impostazione era più quella di un amministratore che di un ricercatore – in seguito ha infatti assunto incarichi di alto livello nell’amministrazione dei musei tedeschi – e quindi i due si separarono dopo solo un anno. La nomina di Hübner e il nuovo edificio, tuttavia, hanno reso chiaro che lo sviluppo era entrato in una nuova fase. Il successore di Hübner fu il dottor Waetzoldt, uno studioso che si interessava sia di estetica generale che di questioni storiche, ma che era anche un abile insegnante e amministratore. Quando se ne andò nel 1911 per occuparsi della biblioteca dei musei di Berlino, Warburg si sentì un po’ abbandonato. Ma è una dimostrazione del prestigio che la Biblioteca Warburg aveva all’epoca il fatto che l’amministrazione statale, quando assunse Waetzoldt, gli accreditò gli anni che vi aveva trascorso come se avesse svolto un servizio pubblico. Nel 1912, il dottor W. Printz, un giovane orientalista e futuro bibliotecario della Deutsche Morgenländische Gesellschaft, fu nominato assistente e, nell’ottobre 1913, si unì a lui, come suo collega, l’autore di queste note [3].

Così Warburg aveva ora due assistenti, uno per la Biblioteca, l’altro per la ricerca, entrambi bisognosi di una guida. Sera dopo sera, quando il lavoro giornaliero era terminato, Warburg scorreva i cataloghi delle librerie, e più i suoi interessi si ampliavano, più diventava difficile decidere cosa dovesse essere realmente acquisito. Né gli spazi né i fondi consentivano acquisti illimitati. La memoria di Warburg per i titoli dei libri non era particolarmente buona – non aveva nulla dello studioso nel cui cervello, ordinatamente disposto, si trovi un’enciclopedia di letteratura scientifica – e gli elenchi bibliografici non sono stati quasi mai utilizzati per costruire la Biblioteca. Fin dall’inizio del suo lavoro di ricerca, aveva annotato ogni titolo di libro che lo interessava su una scheda separata. Queste schede erano inserite in un sistema che diventava sempre più complicato con il moltiplicarsi delle scatole. Il numero di scatole passò da venti a quaranta, poi a sessanta e, quando morì, erano più di ottanta. Naturalmente, nel corso del tempo molte voci divennero obsolete e spesso era più facile produrre una bibliografia aggiornata su un argomento in pochi minuti, partendo da liste redatte secondo gli standard moderni che dai cartonicini di Warburg. Ma, a parte il fatto che conteneva tanto materiale insolito che non compare quasi mai nei cataloghi abituali, il sistema di indicizzazione aveva un merito speciale: i titoli elencati avevano in qualche momento suscitato la curiosità scientifica di Warburg nel perseguire un problema. Erano tutti collegati tra loro in modo personale, come una sorta di somma bibliografica della sua attività. Fu così che queste schede rappresentarono per lui lo strumento per orientarsi nella sua Biblioteca; non che le consultasse ogni volta che scorreva i cataloghi dei librai o degli antiquari, ma erano diventate parte del suo sistema e della sua esistenza di studioso. Questo spiega come un uomo le cui acquisizioni erano così fortemente dettate dai propri interessi del momento finì per mettere insieme una Biblioteca che, oltre a libri standard su qualsiasi argomento, conteneva un numero straordinariamente elevato di pubblicazioni spesso molto rare e di grande interesse. Non era raro vedere Warburg stancamente e dolorosamente ingobbito sulle sue scatole di schedari, con una pila di schede di parole chiave in mano, cercando di trovare la migliore collocazione possibile per ognuna di esse all’interno del sistema. Sembrava uno spreco di energia, e ci si rammaricava. Dopotutto, c’erano bibliografie migliori di qualsiasi cosa potesse mai sperare di compilare da solo. Ci è voluto un po’ di tempo per capire che il suo obiettivo non era affatto bibliografico. È stato in questo modo che ha definito i confini e il contenuto del suo mondo di ricerca, e l’esperienza così acquisita ha contribuito in modo decisivo alla selezione dei libri per la Biblioteca. I suoi amici erano soliti ammirare il suo ‘istinto’ per i libri interessanti e di valore, la velocità con cui decideva cosa fosse importante e cosa meno. Nel sistema di valori di Warburg, d’altra parte, l’istinto non aveva un posto di rilievo; apprezzava di più l’esperienza che derivava dal duro e laborioso prendere appunti, e il lavoro di inserire queste note in un sistema.

Il grande disinteresse di Warburg per i tecnicismi della biblioteconomia divenne un vero peso per lui. Aveva solo scaffali di legno antiquati; la catalogazione non veniva effettuata secondo i criteri comuni; i rapporti con i librai non erano organizzati in modo pratico – tutto aveva il carattere di una biblioteca privata in cui il padrone di casa stesso si assicurava che le fatture fossero pagate in tempo, che il rilegatore avesse scelto il materiale giusto o che né lui né il falegname che aveva consegnato un nuovo scaffale venissero sfruttati. Tenere insieme i compiti di un bibliotecario patriarcale con quelli di uno studioso, come riuscì a fare Warburg, non era questione da poco. 

In una splendida giornata di primavera fiorentina del 1914, dopo settimane di lavoro che si erano concluse con una brillante conferenza, Warburg ed io andammo a vedere gli affreschi di Masaccio a Santa Maria del Carmine. Durante il tragitto discutemmo per la prima volta i modi e i mezzi per trasformare la Biblioteca in un istituto. Warburg ha sempre permesso a studiosi e profani di accedere ai propri libri, ai propri appunti e alla collezione di fotografie che stava lentamente crescendo; e naturalmente aveva allievi e discepoli devoti. Ma Amburgo non era un centro umanistico e quindi non disponeva di un serbatoio di studenti come normalmente accade. Il Senato della città aveva rifiutato la fondazione di un'università e aveva invece creato l’Istituto per gli Studi Coloniali. Quella mattina del 21 aprile 1914, convenimmo che solo l’istituzione di borse di studio presso la Biblioteca avrebbe assicurato un certo numero di ricercatori provenienti dalla Germania e dall’estero e che d’ora in poi una parte dei fondi disponibili dovesse essere dirottata su questo obiettivo. La Biblioteca avrebbe aiutato Warburg a formare giovani scienziati sul suo metodo e a sostenerli nelle loro ricerche.

Pochi mesi dopo, scoppiò la guerra e i piani dovettero essere accantonati; il lavoro di ricerca di Warburg, tuttavia, continuò e con esso l’acquisizione di nuovi libri. Nel 1920 la situazione era completamente cambiata. La fame spirituale degli anni del dopoguerra e il generale entusiasmo per l’impegno verso la pace ispiravano i padri della città di mentalità repubblicana e fu decisa la fondazione dell’Università di Amburgo. Queste nuove circostanze avrebbero cambiato automaticamente la posizione di Warburg e della sua Biblioteca, se Warburg non si fosse ammalato gravemente proprio in quel momento. Dovette lasciare la sua casa, e non era certo che sarebbe mai stato in grado di tornare. Rimase al lavoro fino all’ultima ora prima della partenza, convinto che non sarebbe mai tornato a casa. E affidò il suo lavoro all’autore di queste righe.

La responsabilità pesava molto. Solo grazie alla creatività di Warburg la Biblioteca era diventata ciò che era; egli aveva selezionato ogni libro, era stato responsabile della organizzazione e aveva mantenuto i contatti con un’ampia cerchia di studiosi. Integrata nel quadro del nuovo sistema educativo di Amburgo, l’eredità del maestro e amico ora assente doveva ora essere coltivata e, senza il suo aiuto, trasformata in qualcosa di nuovo. La famiglia generosamente fornì i fondi per questa impresa.

Il 1920 è stato quindi decisivo per l’evoluzione della Biblioteca. Fino ad allora Warburg non aveva ritenuto necessario definire gli obiettivi della Biblioteca per un pubblico più vasto, e l’attenzione veniva costantemente spostata su una componente o un’altra della sua collezione, a seconda dei suoi interessi e delle sue esigenze. Più si prolungava la sua assenza, più diventava chiaro che la conservazione del patrimonio non era sufficiente e che questa creazione profondamente personale doveva essere trasformata in un’istituzione pubblica. Era chiaro fin dall’inizio quanto si sarebbe perso con un simile passo. Ovunque nella Biblioteca c’erano piccoli gruppi di libri che indicavano una certa direzione di pensiero – era esattamente questa grande ricchezza di idee che, da un lato, deliziava lo studioso e, dall’altro, gli rendeva difficile orientarsi. Quando il filosofo Ernst Cassirer utilizzò la Biblioteca per la prima volta, comprese che avrebbe dovuto starne lontano – cosa che riuscì a fare per un po’ – o diventarne prigioniero – cosa che poi per un certo numero di anni fece, e con piacere. Le nuove acquisizioni di Warburg avevano sempre una coerenza interna, naturalmente, ma c’erano anche molti ‘palloncini di prova’ e arabeschi personali che sembravano poco opportuni in un’istituzione destinata a un pubblico più vasto.

Il primo e più urgente lavoro per stabilizzare la Biblioteca consistette nel normalizzare il sistema di Warburg al livello che aveva raggiunto nel 1920, vale a dire espanderlo qua, ridurlo là. Non è stato possibile applicare alcun sistema di classificazione disponibile, poiché questa Biblioteca era dedicata allo studio della storia culturale – e da un punto di vista molto specifico. Doveva contenere il materiale essenziale e presentarlo in suddivisioni che avrebbero indirizzato il ricercatore verso libri e idee con cui non aveva ancora familiarità. Sembrava pericoloso farlo secondo una modalità troppo rigida, ma insieme a Gertrud Bing, la nuova assistente, fu scelta una forma così flessibile che il sistema può essere cambiato in qualsiasi momento senza difficoltà, almeno per i gruppi tematici più piccoli. Pertanto nella Biblioteca Warburg non si potrà mai trovare un libro con la stessa facilità che in una collezione organizzata in modo alfanumerico ma questo è il prezzo da pagare affinché i libri rimangano un insieme di pensiero vivente, proprio come voleva Warburg.

Il secondo compito è stato quello di normalizzare il contenuto della Biblioteca. Le conoscenze e gli interessi di nessun individuo - nemmeno di Warburg - potranno mai essere tanto ampi quanto quelli degli utenti anonimi di una biblioteca, i cui desideri sono certamente altrettanto legittimi. Nel 1920 la Biblioteca conteneva circa 20.000 volumi; alcune sezioni erano quasi completamente finite, altre appena iniziate. Grazie al fatto che i fondi provenivano in parte da membri della famiglia che vivevano negli Stati Uniti e che in Germania c’era l’inflazione, siamo stati in grado di continuare ad acquistare libri e di colmare le lacune. Un istituto pubblico deve possedere alcune opere e riviste standard che uno studioso privato può facilmente prendere in prestito da una biblioteca pubblica. E poiché l’Università di Amburgo continuava a crescere, il numero di giovani studenti che venivano a lavorare in Biblioteca aumentava. E anche le loro esigenze dovevano essere prese in considerazione. Ma tutti questi cambiamenti dovevano essere fatti con attenzione, per non cancellare il carattere originale della collezione come strumento di ricerca.

Ancora più difficile della trasformazione della Biblioteca era dover continuare i compiti scientifici senza l’aiuto di Warburg. La vecchia idea del 1914 di trasformare la Biblioteca in un istituto sembrava offrirsi come una soluzione adatta. Poiché Amburgo aveva ormai un’università, l’istituzione di borse di studio non era più necessaria. Alcuni dei docenti universitari appena nominati erano naturalmente molto interessati alla cooperazione. Sebbene si occupassero di campi molto diversi, hanno trovato contatti accademici e terreno comune nella Biblioteca.

Ernst Cassirer (filosofia), Gustav Pauli ed Erwin Panofsky (storia dell’arte), Karl Reinhardt (filologia classica), Richard Salomon (geografia bizantina), Hellmut Ritter (lingue orientali) e altri sono diventati membri del circolo. Il piccolo gruppo si è presto allargato ad altri ricercatori tedeschi e stranieri: belgi, italiani, olandesi e inglesi. Come per la Biblioteca, era quasi impossibile evitare di semplificare le idee di Warburg per facilitare le attività dell’Istituto. Così sono venute meno alcune cose importanti, che sarà difficile recuperare, ma il compito principale è stato portato a compimento. La creazione di Warburg ha continuato a vivere, sostenuta soprattutto da persone più giovani che sono state stimolate dalla sua personalità e dal suo lavoro, mentre lui stesso si è ritirato dal mondo. Durante la sua malattia, la biblioteca privata fu trasformata in un’istituzione pubblica. Due serie di pubblicazioni contenevano i risultati delle ricerche dell’Istituto: le “Vorträgen”, con le conferenze di ogni anno, e gli “Studien”, che trattavano argomenti molto specifici. Fu stabilito che non solo gli “Studien”, ma anche le “Vorträgen” dovessero contenere nuovi risultati di ricerca. Nell’atmosfera che regnava ad Amburgo negli anni Venti non c'era pericolo che queste conferenze non fossero ben frequentate. Grazie a queste pubblicazioni, le idee di Warburg acquisirono maggiore notorietà e si stabilì una vera e propria tradizione. Ben presto divenne evidente che la casa acquistata nel 1909 non offriva spazio sufficiente per i nuovi compiti. Mancava una sala per le conferenze e una sala di lettura per il numero sempre crescente di persone che frequentavano l’istituto e nemmeno il falegname più fantasioso sarebbe stato in grado di escogitare un sistema per creare più spazio alle pareti. Dal pavimento al soffitto, le pareti erano ricoperte di libri, la dispensa era diventata un deposito, scaffali pesantissimi pendevano pericolosamente sopra le porte, la sala del biliardo ha dovuto essere trasformata in uno spazio per uffici, nell’ingresso, sui pianerottoli, nel salotto di famiglia - libri, libri, libri ovunque; e ogni giorno arrivavano nuovi libri in casa. Bisognava fare qualcosa. In quel periodo, erano stati posti in vendita dei locali adatti vicino all’università, e questo avrebbe significato anche l’opportunità di trasferirsi da un’area esclusivamente residenziale. Tuttavia, questo avrebbe minato il carattere personale della Biblioteca che avrebbe rischiato di diventare solo uno tra i tanti edifici dell’Università di Amburgo, dove molti studenti che non erano realmente interessati alla ricerca avrebbero usato la Biblioteca solo per comodità. Per ragioni pedagogiche, Warburg è sempre stato contrario a rendere le cose tecnicamente troppo facili per gli studenti. Quando nel 1923 la sua salute cominciò a migliorare, gli venne chiesta la sua opinione sull’argomento e lui non fu affatto propenso ad accettare un cambiamento così radicale.

Con il suo ritorno ad Amburgo nel 1924, venne presa finalmente una decisione. Il terreno confinante era già stato acquistato nel 1909 per l’eventualità che la Biblioteca dovesse un giorno diventare troppo grande per la vecchia casa. Sarebbe stato adatto per una biblioteca, ma, essendo lungo e stretto, non per le esigenze di un istituto in via di costituzione. Warburg tuttavia non esitò. Il pensiero di un grande edificio pubblico nel centro della città non lo tentava affatto. La Biblioteca doveva mantenere il suo carattere privato e personale, nonostante le sue funzioni pubbliche, e si diede subito inizio alla ricerca di un piano che superasse le grandi difficoltà tecniche. La cosa più importante era rendere immediatamente comprensibile il sistema di organizzazione della Biblioteca attraverso la disposizione degli scaffali. I due edifici insieme dovevano garantire spazio per circa 120.000 volumi, la sala di lettura con la sua galleria doveva essere attrezzata con i manuali e le opere di consultazione necessarie, e bisognava assicurare spazio per i periodici, quelli vecchi e quelli più recenti. Inoltre, l’acustica doveva essere buona, in modo che la sala di lettura potesse fungere da sala conferenze alla sera. Erano necessarie anche delle stanze per il personale e per le collezioni fotografiche, una camera per gli ospiti con bagno, un laboratorio fotografico e i soliti locali di servizio nel seminterrato. Per i frequentatori fu previsto anche un tetto-terrazza con vista sui giardini e sul piccolo corso d’acqua contornato da dodici salici. La prima pietra fu posata il 25 agosto 1925 e l’edificio fu inaugurato il primo maggio 1926.

Poche persone riconobbero nei libri sui nuovi scaffali quelli che avevano conosciuto nella vecchia sede. Molto di ciò che in precedenza era sembrato stravagante e disarticolato ora era al posto giusto. Per quarant’anni Warburg ha acquistato libri, ma non come un bibliotecario completamente imparziale per lettori a lui sconosciuti. Warburg acquistava sempre con l’intenzione di conoscere cose nuove e importanti per il suo lavoro, e il suo pensiero era così logico che alla fine della sua vita fu in grado di consegnare al pubblico una Biblioteca che aveva un sistema completamente definito e sottosezioni chiaramente articolate. I libri erano su quattro piani. Il primo era costituito da opere su problemi generali di espressione e sulla natura dei simboli. Seguivano l’antropologia e la religione, la filosofia e la storia della scienza. Il secondo piano ospitava libri sull’espressione artistica, la sua teoria e la sua storia. Il terzo era riservato alla lingua e alla letteratura, e il quarto alle manifestazioni sociali della vita umana – storia, diritto, folclore, ect. La battaglia di Warburg, durata l’intera sua vita e spesso caotica e disperata, per comprendere le espressioni della mente, la loro essenza, la loro storia e le loro interrelazioni, aveva creato un sistema bibliotecario che sembrava così naturale come se non fosse il punto di arrivo, ma quello di partenza degli sforzi di Warburg. Ciò che lo distingueva da qualsiasi sistema bibliotecario precostituito era la ricchezza di idee che le ripartizioni suggerivano. Solo attraverso una costante e approfondita ricerca è stato possibile rintracciare e riunire una tale quantità di libri interessanti e spesso dimenticati da tempo. Nel suo lavoro, il ricercatore ha sempre guidato il bibliotecario, e ciò che il bibliotecario ha ricevuto, lo ha poi restituito al ricercatore.

Il nuovo edificio, costruito come una nave per risparmiare spazio e dotato di tutte le attrezzature tecniche necessarie a una biblioteca moderna, si è dimostrato l’ambiente adatto per il rapido sviluppo dell’istituto. Ciò che era stato avviato come un esperimento durante l’assenza di Warburg veniva ora portato avanti sotto la sua guida e con il suo aiuto. Aveva uno, e in seguito due, membri del personale che erano anche docenti universitari. Presso l’Istituto si tenevano seminari e agli studenti veniva insegnato come utilizzare la Biblioteca; erano previste borse di ricerca e di viaggio. Il personale – scienziati e segretari – era stato incrementato e organizzato nel modo più opportuno, e durante le vacanze vi lavoravano alcuni eminenti studiosi. L’acquisto di libri non era mai stato così intenso e anche la sezione fotografica, fino ad allora piuttosto trascurata, cominciò a essere ampliata. Le lezioni, che nei primi anni avevano trattato argomenti molto diversi tra loro, a seconda degli interessi dei docenti, si concentrarono, dal 1927, su una delle principali aree di ricerca dell’Istituto. Nel 1929, dodici volumi degli “Studien erano già disponibili, e altri erano in fase di stampa. Nel 1928-1929, Warburg rimase in Italia per quasi un anno, e le relazioni tra studiosi italiani e tedeschi erano così ravvicinate che ci si pose seriamente la domanda se l’Istituto non dovesse essere spostato a Roma.

Con la morte di Warburg nel 1929, il periodo di attività febbrile che era cominciato con il suo ritorno nel 1924 giunse al termine. “Warburg redux” è la firma sotto una delle sue lettere. Vedeva se stesso, e trasmetteva agli altri questa sensazione, come un soldato che tornava a casa dopo una battaglia vittoriosa contro le forze delle tenebre e dell’inferno. Da lui emanavano poteri quasi terrificanti; viveva e lavorava nella convinzione che un esploratore non sceglie la propria professione, ma che in tutto ciò che fa obbedisce a un comando superiore. Nessuno di coloro che lavoravano e vivevano con lui in quegli anni riuscirono a sottrarsi a questa atmosfera magnetica. Chiunque sia entrato nell’Istituto ha percepito qualcosa di tale incantesimo, ha sentito la magia di quest’uomo per il quale la vita normale non sembrava più esistere, che viveva in un mondo di idee che spaziavano dalle vette ai più piccoli dettagli della ricerca storica. Warburg educò i suoi studenti e seguaci a una sottomissione completa e incondizionata della loro intera esistenza alle esigenze della scienza. Dopo la morte di Warburg, la vita dell’Istituto continuò apparentemente senza grandi cambiamenti. La famiglia che lo aveva sostenuto per tanti anni dichiarò solennemente la sua volontà di continuare a sostenerla anche in futuro. Ma i cattivi presagi della tempesta imminente si fecero presto sentire. Per prima cosa giunse la crisi valutaria internazionale e con essa una notevole riduzione del budget a disposizione. Anche le università tedesche risentirono della crisi economica. A causa della disoccupazione, cominciarono ad esserci ben presto troppi studenti, alcuni dei quali erano decisamente pessimi. La sala di lettura dell’Istituto era molto frequentata, ma più dagli studenti che dagli studiosi. Pensavamo con nostalgia al tempo in cui la nuova sede non esisteva ancora e poche persone conducevano ricerche in Biblioteca. All’Istituto mancavano la saggezza e l’energia di Warburg; ed entrò in crisi durante quegli anni improduttivi, gli ultimi della vecchia Germania. Ma un istituto possiede una propria forza d’inerzia, così la ricerca è continuata, sono uscite nuove pubblicazioni e sono state tenute conferenze. Al ciclo di conferenze England und die Antike parteciparono studiosi inglesi e tedeschi. Cominciarono allora le prime difficoltà politiche della nostra attività. Una conferenza su Das römische und das britische Weltreich si concludeva con l’affermazione che la fine dell’Impero britannico era all’orizzonte e noi ci rifiutammo di stampare tali opinioni politiche. Nel 1931, si approntò un gruppo di circa quaranta collaboratori per redigere una bibliografia critica annuale sulla sopravvivenza dell’antico [Kulturwissenschaftliche Bibliographie zum Nachleben der Antike]. Era stata concepita come base bibliografica per il lavoro dell’Istituto, come ausilio e come collegamento con altri ricercatori che lavoravano in questo campo. Mai prima d’ora l’Istituto aveva tentato di costruire un’organizzazione internazionale di così ampio respiro. Il fatto che l’invito venisse accolto da molti dimostra la reputazione di cui l’Istituto godeva già all’epoca.

Nella primavera del 1933 divenne chiaro che il nostro lavoro in Germania stava per finire [4]. Non eravamo ancora preoccupati; i politici erano troppo presi da altro per interessarsi agli istituti di ricerca privati. Tuttavia, la ricerca indipendente e organizzata privatamente nelle discipline umanistiche non sarebbe mai stata in grado di sopravvivere in una Germania nazionalsocialista, per non parlare della discriminazione razziale, che nel periodo precedente alle Leggi di Norimberga non era ancora così evidente e minacciosa come sarà in seguito. Molti amici ci consigliarono di restare lì per il momento, ma solo un anno dopo tutti si resero conto che sarebbe stato impossibile. Quando uscì il primo volume della bibliografia nel 1934 – una pubblicazione che non avrebbe potuto essere compilata in modo più asciutto e impolitico da nessun altro istituto umanistico – apparve sul “Völkischer Beobachter” [del 5 gennaio 1935] una recensione a tutta pagina la cui ignoranza era pari alla sua impudenza. Se fossimo stati ancora in Germania all’epoca e avessimo contato sulla collaborazione dei nostri vecchi amici, la situazione sarebbe diventata critica. Alcuni di loro avrebbe presto interrotto ogni legame con noi, mentre altri, più fedeli, avrebbero coraggiosamente cercato di continuare fino a quando anche loro, costretti dalle leggi e da esperienze terribili, avrebbero dovuto sottomettersi – contro la loro coscienza.

Una delle esperienze più memorabili in quel periodo fu la visita di un giovane e attivo amico dell’Istituto, il dottor R. Klibansky. Pieno di orrore per ciò a cui aveva assistito alla Università di Heidelberg, di cui era membro del corpo docente, ebbe l’idea di creare un centro di ricerca fuori dalla Germania, in cui salvare la vecchia tradizione umanistica tedesca. Noi decidemmo di agire con lui. I membri dell’Istituto – indipendentemente dalla loro razza – e la famiglia Warburg convennero che l’emigrazione fosse la scelta da prendere. Ma verso dove? Gli amici dell’Università di Leida ci offrirono un’eccellente sistemazione gratuita e tutte le opportunità di lavorare, ma non c’erano fondi disponibili in Olanda e, una volta lasciata la Germania, la nostra situazione finanziaria sarebbe stata completamente priva di garanzie. Era ovvio che non potevamo contare sul trasferimento di fondi dalla Germania.

All’inizio dell’estate il dottor Wind, che era membro dell’Istituto dal 1928, si recò in Inghilterra per avviare delle trattative. Si era già fatto molti amici lì in precedenza, quando si era occupato del XVIII secolo inglese. Alcuni studiosi di quel paese guardavano con preoccupazione e solidarietà a ciò che accadeva nelle università tedesche. Era stato formato un comitato per informare l’opinione pubblica inglese e per fornire assistenza accademica. Due membri dell’Academic Assistance Council, i professori W.G. Constable e C.S. Gibson dell’Università di Londra, vennero ad Amburgo per informarsi direttamente sulla situazione dell’Istituto Warburg. Ma mancava ancora il sostegno finanziario, e la situazione in Germania peggiorava di mese in mese. Un terzo visitatore, Sir Denison Ross, venne ad Amburgo. Con l’istinto acuto di chi ha viaggiato molto, era sempre desideroso di acquisire nuove esperienze scientifiche. E soprattutto era un entusiasta. Poche settimane dopo il suo ritorno a Londra, arrivò un telegramma con una buona notizia e l’invito a un incontro per intavolare una discussione. Un donatore, che desiderava rimanere anonimo, aveva promesso di supplire ai sovvenzionamenti ridotti della famiglia Warburg e Lord Lee di Fareham aveva accettato di agire per suo conto.

Il trasferimento dell’Istituto Warburg da Amburgo a Londra non fu molto semplice. Un giorno, una nave entrò nel Tamigi con a bordo 600 scatole di libri, scaffali metallici, tavoli da lettura, macchine per la rilegatura, attrezzature fotografiche, e altro ancora. Erano necessari 10.000 metri quadrati per ospitare la Biblioteca. Ma le circostanze sembravano favorevoli; Lord Lee di Fareham aveva affittato delle stanze a Thames House, un grande edificio commerciale a Millbank, che non era ancora stato occupato nel 1933. Samuel Courtauld e il ramo americano della famiglia Warburg promisero di raccogliere i fondi necessari.

Ma come potevano mettersi al lavoro le sei persone che erano arrivate da Amburgo con i libri? La lingua in cui scrivevano, anche se usavano parole inglesi, era loro estranea, perché le loro abitudini di pensiero non erano britanniche; e a chi si sarebbe rivolta questa pittoresca Biblioteca situata al piano terra di un enorme edificio commerciale? Chi avrebbe letto gli scritti di questo sparuto gruppetto di sconosciuti stranieri? Era un una strana avventura atterrare nel cuore di Londra con circa 60.000 libri e sentirsi dire: “Trovate degli amici e illustrate loro i vostri problemi”.

L’arrivo dell’Istituto coincise con il crescente interesse della cultura britannica per lo studio dei documenti visivi del passato. L’Istituto Warburg ha potuto inserirsi in questa tendenza, e il suo metodo di studiare le opere d’arte come espressioni di un’epoca cominciò ad affascinare gli studiosi più giovani. Un certo numero di rifugiati tedeschi che non avevano fatto parte del gruppo originario diventarono collaboratori e contribuirono a creare ulteriori contatti con gli studiosi inglesi.

Nel 1936, l’Università di Londra si era impegnata a ospitare l’Istituto fino al 1943, quando tutti i fondi si sarebbero esauriti. Quello che sarebbe successo dopo – e questo ha fatto nascere la speranza – non era ancora stato deciso. Quando scoppiò la guerra, i libri furono spostati dal magazzino. Un membro dello staff originario fu ucciso in un bombardamento aereo; la pubblicazione divenne sempre più difficile. Qualcuno, nel 1943, sarebbe stato disposto a farsi carico di sostenere questo scheletro?

Epilogo

Fritz Saxl non avrebbe certo voluto concludere le sue note con questa domanda retorica, se non avesse saputo che in quel momento una risposta stava iniziando a emergere. Qualcuno era disposto ad assumersi la responsabilità complessiva dell’eredità di Warburg, ed era il più generoso di tutti i sostenitori: il contribuente britannico. Tra i fatti che hanno portato a questa svolta, è stato determinante un confronto a campione tra la Biblioteca dell’Istituto e quella del British Museum. Ha mostrato che più del 30% dei titoli di libri e periodici che erano stati portati da Amburgo mancavano da quel grande scrigno di libri. Il 28 novembre 1944, il Warburg Institute è stato incorporato nell’Università di Londra. Ulteriori sviluppi possono essere consultati nei rapporti annuali dell’Istituto.

Note

 1. Per queste prime fasi si vedano le lettere di Warburg in E.H. Gombrich, Aby Warburg. Una biografia intellettuale [Aby Warburg. An intellectual biography, London 1970], 45ss, 129ss.

 2. Si veda Diary, 23 marzo 1904.

 3. I prossimi due paragrafi sono tratti dalla bozza per una biografia di Warburg, scritta da Saxl e che qui completa il suo saggio. Su questo e sulle vicende successive, si veda anche Gertrud Bing, Memoir, in Fritz Saxl (1890-1948) ed. by D.J. Gordon, London 1953, 1-46.

 4. Si veda anche Gertrud Bing, Memoir, op. cit., e il resoconto di Eric Warburg sul trasferimento dell’Istituto nel Regno Unito in Annual Report of the Warburg Institute (1952-53), 13-16.

English abstract

Fritz Saxl’s account of the Warburg Library, written in 1943-1944, was published for the first time by Ernst Gombrich as an Appendix to his Aby Warburg: An Intellectual Biography, in 1970. Saxl's text traces the history of the Library from its foundation in 1886 to 1943, when the future of the Institute, which had been moved to London in 1933, was uncertain.

keywords | Fritz Saxl; Aby Warburg; Warburg Library; Ernst Gombrich.

Per citare questo articolo / To cite this article: F. Saxl, La storia della Biblioteca di Aby Warburg, 1886-1944, traduzione di M. Maguolo “La Rivista di Engramma” n. 198, gennaio 2023, pp. 125-140 | PDF of the article 

doi: https://doi.org/10.25432/1826-901X/2023.198.0013