"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

197 | dicembre 2022

97888948401

Putti e fiamme aggettivi dell’angelo

O della libertà della forma nella regola del ruolo dell’ornamento, nell’arte fiorentina del Quattrocento

Filippo Perfetti

English abstract

Poi da questo spirito si move 
un altro dolce spirito soave,
che segue un spiritello di mercede,
lo quale spiritel spiriti piove
che di ciascuno spirit’à la chiave
per forza d’uno spirito che ’l vede.
Guido Cavalcanti, Pegli occhi fere un spirito sottile

Così scrive Louis Réau nel suo saggio sull’iconografia dell’arte cristiana: 

Si la représentation de la Trinité, telle qu’elle est définie par les théologiens, offrait aux artistes des difficultés insurmontables, la figuration des anges ne posait pas un problème ardu à résoudre. L’imprécision des récits de la Bible n’était pas faite pour guider l’imagination des peintres et des sculpteurs. Quant aux visions prophétiques ou apocalyptiques, elles sont si amorphes et parfois si monstrueuses qu’elles semblent défier toute transposition plastique. Le problème est d’autant plus insoluble que les anges sont par définition de purs esprits (pneumata). Étant incorporels (asômatoi), ils sont par conséquent invisibles. Comment donner un corps à ce qui n’est qu’un souffle? C’est à peu près comme si l’on voulait personnifier le vent ou la tempête (Réau 1956, 33).

Di questo tratterà il presente articolo: del problema di come si possa tradurre in immagine un angelo. Non si tratta di rimediare alla complessità della questione con una risposta univoca e risolutiva, ma di formulare una descrizione di come si pone il tema in un particolare contesto storico e sociale. Si tratta altresì di individuare una relazione, una continuità formale, per capire se quanto si pone identico dal punto di vista simbolico e di significato, abbia una sua estensione anche nella sembianza formale, nelle diverse facies che la figura dell’angelo assume.

1 | Sandro Botticelli, Illustrazione per Paradiso XXX (dettaglio), punta d’argento su pergamena, sec. XV, ultimo quarto, Berlin, Kupferstichkabinett.

Il punto di partenza è un’illustrazione di Botticelli per la Commedia di Dante, attraverso la quale si cercherà la relazione tra la presenza e l’uso di un particolare tipo di fiamma e la figura del putto nel suo ruolo di angelo. Si tratta di un passaggio e di una trasformazione di tipo formale per comprendere il quale è utile partire da ciò che lega le due figure dal punto di vista del loro significato simbolico. Per riconoscere questa relazione è di grande aiuto Giovanni Boccaccio e il suo compendio di sapienza sugli antichi dèi dei gentili, la Genealogia deorum gentilium. Un testo fondamentale al tempo della sua stesura per il la trasmissione delle conoscenze della mitologia greco-romana, ma ancor più importante un paio di secoli dopo, quando le nozioni raccolte in quel testo vengono utilizzate nel pensiero e nell’arte della complessa temperie del Rinascimento. Sulla conoscenza del Genealogia deorum da parte degli intellettuali della Firenze rinascimentale, un Marsilio Ficino ad esempio, non occorre dare prova ché già i testi da loro scritti dichiarano patentemente l’origine boccaccesca delle proprie conoscenze (cfr. Gambino Longo 2008, 118). Il passo della Genealogia deorum gentilium che è qui centrale è il seguente, preso da un paragrafo dedicato alle qualità della divinità Mercurio:

Credettero inoltre che questi Lari siano dentro le case private, come al principio dell’Aulularia di Plutarco; e li chiamarono dei familiari o domestici; e, come abbiamo detto che sono posti alla custodia del corpo, così anche alla custodia della casa e ad essi diedero nella casa un posto comune a tutti gli abitanti di essa, dove era il focolare che gli antichi costruivano in mezzo alla sala; ed ivi li onoravano con sacrifici, secondo il rito antico. E questo uso non è stato abolito neppure da noi. Infatti, sebbene quello sciocco errore se ne sia andato, restano ancora i nomi e una certa sapienza, ricordo degli antichi riti sacri. Noi Fiorentini poi, e forse alcuni altri popoli, abbiamo, per lo più, nelle stanze domestiche, dove si fa il fuoco, comune a tutta la famiglia della casa, certi strumenti di ferro messi per sostenere la legna, disposta per il fuoco, che chiamiamo lari; e nella sera precedente il capodanno, il padre della famiglia convoca tutti i familiari e, riempito di legna il focolare, vi si mette un gran tizzone del quale un capo viene bruciato al fuoco, sull’altro siede il padre della famiglia, mentre tutti gli altri gli stanno attorno; e attinto del vino, beve per primo lo stesso padre, e poi versa al vertice del tizzone acceso quella parte di vino che è rimasta nella tazza [...]. Spesso nella casa paterna vidi mio padre, uomo cattolico, fare questa celebrazione. E non dubiterei che ancora molti la facciano, più per consuetudine presa dagli antenati, che per l’inganno di qualche idolatrica superstizione (Boccaccio Genealogia deorum, 1237, 1239, ed. Branca 1998).

Boccaccio sta qui descrivendo i Lari, divinità minori e figli del dio Mercurio. I Lari, come specificato da Boccaccio, sono spiriti conosciuti anche con il nome di Geni che “la verità cristiana li chiama Angeli” (Boccaccio Genealogia deorum, 1237). Per cui da Boccaccio sappiamo che: i Lari sono figli di Mercurio e per questa figliolanza i Lari sono connessi al fuoco; allo stesso tempo leggiamo che i Lari non sono altro che Angeli, ed essi, allo stesso modo, sono connessi al fuoco. Questa è una prima, importante traccia per comprendere la ragione della presenza di un tipo particolare di fiamme/fiammelle in una serie di opere d’arte del secondo Quattrocento fiorentino: la presenza delle fiamme si rivela connessa infatti al loro referente mercuriale.

Fiamme connesse con Mercurio sono quelle presenti nell’illustrazione di Sandro Botticelli al canto sesto del Paradiso della Commedia di Dante Alighieri canto in cui si dice dell’ingresso di Beatrice e Dante nel cielo di Mercurio. Come già notava Edgar Wind anche nella cosiddetta Primavera (che, come noto Aby Warburg reintitola più correttamente Il regno di Venere di Botticelli), compaiono le fiamme con queste stesso significato: “Le lingue di fuoco sulla clamide di Ermes erano un attributo ‘autentico’ [di questo dio], come si vede nel disegno di un Ermes greco antico in Ciriaco d’Ancona” (Wind 1971, 151n). Che le fiamma sia un attributo di Mercurio lo attestano diverse fonti, prima fra tutti, come riportato e commentato da Aby Warburg, il Calendario del 354: “Fuoco è la mia natura/ Così è indicata la mia figura” (Warburg [1913] 2019, 120), e come detto arriva a Boccaccio e al Quattrocento attraverso una catena di fonti letterarie e tradizioni del sapere antico (ho trattato di recente questo tema in Perfetti 2022). Il tema, dunque, si precisa a questo punto così: quale sia la relazione tra la forma antropomorfa degli angeli-lari e la loro rappresentazione in forma, invece, di pura fiamma.

2 | Sandro Botticelli, Illustrazione per Paradiso VI (dettaglio), punta d’argento su pergamena, sec. XV, ultimo quarto, Berlin, Kupferstichkabinett.
3 | Sandro Botticelli, Regno di Venere (alias Primavera) (dettaglio), tempera su tavola, 1484 ca., Firenze, Gallerie degli Uffizi.

Il caso in cui il passaggio da una forma all’altra, dalla fiamma al putto, lascia traccia evidente è in un’illustrazione di Botticelli al Paradiso. Le illustrazioni, realizzate su carta pecora negli ultimi due decenni del Quattrocento, hanno come committente Lorenzo di Pierfrancesco de’ Medici, cugino del Magnifico (Schulze Altcappenberg 2000, 21-22). Mai completate nella loro interezza, sono un’importantissima testimonianza del grado di raffinatezza e delle conoscenze umanistiche di Botticelli, nonché prova della sua relazione e frequentazione, almeno letteraria, di importanti eruditi quale un Cristoforo Landino – lo stesso Landino a cui Lorenzo di Pierfrancesco finanziò la realizzazione del Comento sopra la Comedia (Schulze Altcappenberg 2000, 22).

L’illustrazione in esame è quella per il canto XXX: qui è tutto uno svolazzare di angeli, di puttini alati, ma la loro facies infantile è circonfusa, come aureolata dalle stesse vampe di fiamma che fin lì solitamente avvolgono Beatrice e Dante nel loro passaggio di cielo in cielo. Se leggiamo alcuni versi del canto (Par. XXX, vv. 91-96) possiamo trovare da dove nasce questa immagine:

Poi, come gente stata sotto larve, 
che pare altro che prima, se si sveste
la sembianza non sua in che disparve,
così mi si cambiaro in maggior feste
li fiori e le faville, sì ch’io vidi
ambo le corti del ciel manifeste.

Le faville, cioè le fiammelle, si dichiarano agli occhi di Dante per quello che sono: le corti celesti degli angeli. Cioè la compresenza in questa illustrazione dell’uno e dell’altro motivo è data dal fatto che l’una e l’altra figura non sono altro che una tautologia. E pare che Botticelli segua puntualmente il Comento sopra la Comedia di Cristoforo Landino che commentando i versi qui citati scrive:

Vide [Dante] fiori et l’herbe et le faville, in vera forma, et parvongli cose molto più maravigliose, et interviene chome di gente che sia in larve, in maschere, non belle, che di poi levate le maschere rimane nella sua forma. Adunque e fiori si dimostrorono anime humane, et le faville angeli; et per questo lui vide Ambo le corti del cielo. Imperoché in cielo appresso a Dio non v’è se non angeli et anime humane (Landino Comento, 1985-1986, ed. Procaccioli 2001).

4 | Sandro Botticelli, Illustrazione per Paradiso XXX (dettaglio), punta d’argento su pergamena, sec. XV, ultimo quarto, Berlin, Kupferstichkabinett.
5 | Sandro Botticelli, Illustrazione per Paradiso XXI (dettaglio), punta d’argento su pergamena, sec. XV, ultimo quarto, Berlin, Kupferstichkabinett.

Botticelli ci mostra quanto Dante vede. E se prendiamo l’intero corpus di disegni per la terza cantica, vediamo come Botticelli alterni, di caso in caso, l’ornamentazione a fiammelle con quella ad angeli-putti antropomorfi. Ad esempio nell’illustrazione per Paradiso XXI, XXVIII e XXIX in cui la presenza degli angeli riprende la disposizione circolare o semicircolare già incontrata per le fiamme: sono teorie di angeli come le potremmo trovare in una cornice miniata di un manoscritto della stessa epoca. Nelle illustrazioni non c’è differenza, se non nel loro aspetto, tra come viene utilizzata la fiamma e l’angelo antropomorfo.

Dobbiamo sempre ricordare, mettendo a lato la eccezionalità della fattura e la profondità di lettura del testo di Dante di cui Botticelli con quest’opera dà prova, che questi disegni sono fatti per accompagnare il manoscritto di una copia pregiata della Commedia. Perciò l’accostamento di fiamme e angeli risulta normale se confrontato con altre fiamme o putti presenti in miniatura alle pagine di manoscritti pregiatissimi.

6 | Sandro Botticelli, Illustrazione per Paradiso VI (dettaglio), punta d’argento su pergamena, sec. XV, ultimo quarto, Berlin, Kupferstichkabinett.
7 | Sandro Botticelli, Illustrazione per Paradiso XXVIII (dettaglio), punta d’argento su pergamena, sec. XV, ultimo quarto, Berlin, Kupferstichkabinett.

8 | Littifredi Corbizi, Manoscritto delle Enneadi di Plotino, Firenze, Biblioteca Laurenziana, Plut. 82.10, fol.3r.

9 | Donatello, Altare maggiore della Basilica di Sant’Antonio da Padova (dettaglio), rilievo in bronzo, 1446-1453, Padova, Basilica di Sant’Antonio.

ln questo senso, dal punto di vista del mero repertorio ornamentale, l’opera di Botticelli è in linea con quanto scrive Charles Dempsey in Inventing the Renaissance Putto, a riguardo dell’uso ornamentale del putto nei manoscritti del Quattrocento della Commedia:

The characterization by Dante of spiritelli d’amore as definition enamored, finds especially appropriate and charming application in the field of manuscript illumination in the later fifteenth century, when the new forms of humanist decoration begin to gain ascendancy over the older twisting vine-leaf (bianchi girari) decorative systems. Not surprisingly, the putto begins to play a more pronounced role in such ornaments [...], assuming something of the function of the grotesque figures and fabulous animals of late-medieval manuscript production (Dempsey 2001, 90).

Dempsey ci richiama anche al fatto che la figura del putto nel Quattrocento è onnipresente protagonista della riemersione dell’antico. Sarà da ricordare che la forma antropomorfa tipica per gli angeli nella Firenze del tempo è quella del putto. I putti, come ci ricorda Bertrand Prévost, costellano dipinti, architetture, sculture imperversando ovunque e con differenti motivazioni, in un ‘pan-iconografismo’ eguagliato soltanto da quello della figura della ninfa. Per altro anche la ninfa, come con precisione venne vista da Warburg, può assumere le vesti e i profili più diversi: dalla facies più dolce e accogliente alla più feroce, nell’intera gamma che va dalla ninfa in fuga che si farà afferrare dall’amante, alla tremenda figura di Salomè o di Giuditta che usa la seduzione per conquistare la testa di Giovanni o di Oloferne come trofeo. Così Prévost:

Parler d’ubiquité iconographique ou de pan-iconographisme pour Ninfa serait peut-être encore une façon de la fixer dans une individualité pour la redoubler (Prévost 2013a, 11).

Così avviene anche per i nostri putti:

On assiste à la même dissolution de toute individualité avec les putti. Une dissolution d’identité iconographique d’abord, puisque si le putto prend tour à tour les formes (il faudrait mieux dire « affecte ») de l’ange ou du chérubin chrétien, du Cupidon ou de l’Eros païen, du spiritello populaire, c’est bien qu’il leur est irréductible (Prévost 2013a, 11).

Anche il putto condivide le stesse torsioni polisemiche, per via della sua adattabilità d’uso nelle diverse raffigurazioni. Sarà però utile ricordare che non ogni putto significa angelo, come non ogni fiamma è connessa al suo significato mercuriale. Non va attivato nessun automatismo quanto piuttosto, invece, una grande attenzione al significato dell’opera e del contesto in cui putto o fiamma compaiono.
La nostra attenzione si concentra sui putti angelo, cioè i putti “spiritelli” se prendiamo il nome con cui erano chiamati nel Quattrocento (Dempsey 2001, 13). La stessa denominazione di “spiritelli” rende patente l’intima relazione con la fiamma che spesso rappresenta lo spirito (Dempsey 2001, 13) – si pensi alle rappresentazioni della Pentecoste cristiana in cui il Santo Spirito è raffigurato come fiamma. A questa compresenza di un simbolismo legato sia allo spirito di fuoco che allo spirito come vento si intreccia la relazione con Mercurio, dio la cui natura è essenzialmente di fuoco e che, come scrive Boccaccio, presiede ai venti: “Spingere i venti è proprio di Mercurio. Egli infatti talora col suo freddo li suscita e, dopo averli suscitati, le nubi sotto la loro spinta sono portate qua e là” (Boccaccio Genealogia deorum, 209). Dempsey evidenzia un caso in cui queste caratteristiche (il vento e lo spirito come angelo) si legano fra loro e prendono – col nome di spiritello – l’aspetto del putto:

Spiritus translates the Greek pneuma, which also means wind, breath, a spiritual being (such as the Holy Ghost), or even an angel (such as the ministering angel-pneuma referred by St. Paul in the Epistle to the Hebrews 13-14). Accordingly, the enchanting angelic spirits playing upon musical instruments sculptured by Donatello and his shop for the high altar of the Basilica of the Santo in Padua (1447-50) – which are in fact named as angeli in the documents – are conceived, as their infantile state indicates, as airily diminutive spiritelli. Spirit is the breath of life animating the human organism, departing from it at death (when the body gives up the ghost) (Dempsey 2001, 41).

Con la morte lo spirito abbandona il corpo, ma il cristianesimo promette una resurrezione dello spirito e della carne. Il che, per quanto attiene il nostro argomento, riporta ancora una volta l’attenzione al valore di rappresentare sia un aspetto che l’altro: quel paradosso che li fa essere distinti sebbene inscindibili (sul putto come prefigurazione del corpo risorto si veda Gilbert 2003, 144-146). Donatello, che dà agli angeli-spiritelli il corpo di un putto, utilizza un repertorio figurativo che come visto ha la sua origine in ambito pagano restaurandolo e rilanciandolo in funzione cristiana: “Sano e pio, creava un’arte pia e sana, senza che le ‘anticaglie’ gli ingombrassero la strada, come non la ingombrarono neppure a Dante” (Zabughin [1924] 2011, 252). Donatello risulta decisivo già da prima nella diffusione degli spiritelli nel Rinascimento. 
Donatello fu uno dei primi e più importanti responsabili della proliferazione, nell’arte rinascimentale, di bambini nudi e alati, oggi chiamati diffusamente “putti”, ma ai quali i documenti dell’epoca si riferiscono più spesso come “spiritelli” (Rowley 2022, 190).Se è difficile, nonché non sempre utile e verificabile, dare una paternità certa all’introduzione di un motivo figurativo in un determinato contesto storico e culturale, è certa in questo caso la rilevanza dell’artista per la diffusione di nuovi modelli, di nuove tecniche, e di nuovi soggetti. Per quanto riguarda gli spiritelli, dagli anni ’20 Donatello propone putti in opere ben visibili e di forte rilevanza pubblica, nei centri cittadini di maggior importanza nella penisola italiana: non solo Firenze ma anche a Roma, Prato, Siena, Napoli, Padova (per avere idea della diffusione influenza delle sue opere a tema spiritello si vedano le schede 194, 196, 198, 200, 204, 214, 216, 220 in Caglioti 2022a). Tra tutte queste tappe, Roma è certo rilevante non solo per quanto l’artista vi lascia ma anche, soprattutto, per quanto raccoglie:

Donatello era infatti tornato tornato nel 1433 dal soggiorno a Roma, l’ultimo della sua vita, con un’impressionante ricarica di idee antiquarie, pronte a sprigionarsi e a rimescolarsi come in un caleidoscopio soprattutto nei dieci anni a venire (Caglioti 2022b, 54).

Da lui prendono spunto i più vari artisti, non solo allievi di bottega quale un Agostino di Duccio che “mai dimentica le basi della sua cultura toscana e i putti pratesi e fiorentini di Donatello” (Pasini 2000, 56) e porterà con sé la figura del putto in quello che è forse il più importante utilizzo della figura dell’angelo-spiritello nell’arte quattrocentesca: le decorazioni delle cappelle laterali negli interni del Tempio malatestiano di Rimini.

Oltre che dal repertorio figurativo antico, Donatello raccoglie una suggestione che era già in Boccaccio e in Dante. Nella poesia stilnovista lo spirito – lo spiritello senza il vezzeggiativo – d’amore imperversa in tutti i componimenti ed è alla base stessa del dire – un fiato, un vento, pneuma – poetico. Così ancora Dempsey:

And accordingly Dante writes in the Vita nuova that a spiritelli d’amore “is a breath of Love [spiramento d’Amore]. that brings out the desires of love with it, and it is moved by so gentle a cause as that pleaded by the eyes of the lady who has demonstrated such compassion.” As pneumatic substances, such spirits are not merely allegorical. They have real material and physiological existence. Spirits are characterized by their invisibility, lightness, and extreme volatility. Although having physical existence, they are highly rarefied, and in the medical and philosophical thought of Middle Ages and Renaissance they are conceived as active powers that are the source of all the body’s functions, transmitting nutriment, sensory data, and even emotions in airy movement through the tubes of the arteries, veins, and nerves (Dempsey 2001, 43).

Questo processo alla base della poesia stilnovista fondato sulla presenza dello spirito amoroso è ben descritto da Giorgio Agamben nella sua teoria pneumofantasmalogica, in cui avviene:

Un influsso da pneuma a pneuma, mentre l’immagine interiore, il fantasma, è concepito sempre come un pneuma fantastico, inserito in una circolazione che trova nel moto amoroso degli spiriti la sua esasperazione e il suo compimento (Agamben 1977, 124).
 

Lo spirito che agisce sul poeta non è affatto astratto, ma agisce a livello fisiologico:

L’esperienza del circolo pneumatico che va dagli occhi alla fantasia alla memoria e dalla memoria a tutto il corpo, sembra anzi essere l’esperienza fondamentale di Cavalcanti (Agamben 1977, 124).

Accade infatti che:

La rivalutazione dell’amore ad opera dei poeti a partire dal secolo XII non avviene attraverso una riscoperta della concezione “alta” dell’Eros che il Fedro e il Convito avevano consegnato alla tradizione filosofica occidentale, ma attraverso una polarizzazione del mortale morbo “eroico” della tradizione medica che, nell’incontro con quella che Warburg avrebbe chiamato la “volontà selettiva” dell’epoca, subisce una radicale inversione semantica (Agamben 1977, 136). In definitiva, “la parola ‘spirito’, nel vocabolario dantesco e stilnovistico, è sempre da intendere in riferimento a una cultura che ne percepisce immediatamente l’intera sonorità pneumatica anzi, pneumo-fantasmatica” (Agamben 1977, 146-147).

Tracciata per frammenti una possibile genealogia del motivo che dalla poesia stilnovistica passa, per vie indirette, al piano figurativo e segnatamente al repertorio di Donatello, torniamo alle illustrazioni di Botticelli, caso in cui si manifesta questa convergenza di significati e il passaggio di rappresentazione dei putti-spiritelli-angeli e gli spiriti-fiamma, nella loro potenza e materiale capacità di dare alito alle “body’s functions”, assumo essi stessi membra umane e aspetto antropomorfo. Ma la continuità, il passaggio reversibile, tra fiamma e putto si gioca su un altro aspetto formale, legato alla loro applicazione nell’arte non soltanto per il significato ma per la posizione, per il ruolo che assumono. Abbiamo già letto l’analisi che Wind propone del motivo delle fiamme sopra la clamide di Mercurio (il Mercurio all’estrema sinistra del Regno di Venere di Sandro Botticelli) e abbiamo preso atto della qualità esornativa, o meglio ornamentale, che gli è propria. La stessa valenza ornamentale – che non è affatto sinonimo di secondario o di superfluo, come si cercherà di mostrare – è in altre vesti dipinte dallo stesso Botticelli e da altri artisti a lui contemporanei: sono le fiamme che compaiono nel tondo con i Magi in adorazione del Bambino di Domenico Ghirlandaio, sopra a un mantello di un giovane in primo piano; o restando sempre a Firenze e nello stesso torno d’anni, è una figurina del Trionfo d’amore di Jacopo del Sellaio; ma sono anche le fiamme che fanno ornamento attorno a pagine di manoscritti, o che circoscrivono figure in gloria (la Madonna di scuola del Ghirlandaio di Città di Castello).

Nei disegni di Botticelli per la Commedia le fiamme in diversi casi riempiono i cieli attraversati da Dante e Beatrice, intarsiano la pagina, lasciando apparentemente il tema principale in secondo piano e diventando quasi divertimenti, espressioni di bravura, ma sempre coerenti al soggetto, come e si è visto nel caso di Paradiso XXX – o nel caso di Paradiso VI, canto in cui avviene l’accesso al cielo di Mercurio e che l’illustrazione caratterizza con la comparsa delle fiammelle che lo contraddistinguono – aderenti a una motivazione restituita in forma ornamentale e decorativa. Nella fiamma-ornamento, nella libertà della forma nel ruolo subalterno di decoro ornamentale, si manifesta la pienezza dei suoi significati.

10 | Domenico Ghirlandaio, Adorazione dei Magi (dettaglio), tempera su tavola, 1487, Firenze, Gallerie degli Uffizi.
11 | Jacopo del Sellaio, Trionfo d’amore (dettaglio), tempera su tavola, ultimo quarto del XV secolo, Fiesole, Museo Bandini.
12 | Mercure’s velvet, XX secolo, Firenze, Manifattura della Fondazione Lisio.

Proprio nell’ornamento accade un passaggio tra i più delicati e sensibili: il passaggio dal piano stilizzato e a quello mimetico-naturalistico. Massimo Carboni rileva come:

L’origine grafica del motivo ornamentale è ‘non-oggettiva’, e solo successivamente sorgono e si aggregano allo schema geometrico iniziale ‘i singoli elementi figurativi’, che appaiono come un ‘tentativo di introdurre a forza un oggetto nel primitivo nucleo non oggettivo’ (Carboni 2021, 21-22).

Carboni tratta più in particolare di mutamenti già studiati, come quello celebre presentato da Jurgis Baltrušiatis relativo alla foglia d’acanto, in cui la mutazione sul piano formale è “in relazione alla comparsa di motivi-rumore (di natura-geopolitica, sincretismi storico-culturali, ecosistema sociale) che tendono con varia fortuna a mutarne l’aspetto, all’interno dei quali poter seguire quei processi di selezione [...] che portano alla ridistribuzione interna e ‘temperata’ delle soluzioni ornamentali” (Carboni 2021, 74). Un passaggio di cui le nostre stesse fiamme sono state protagoniste, da che la loro origine è un motivo ancora più puramente grafico (sul punto rimando ancora a Perfetti 2022, 8-16). Ma in altri casi si arriva anche “alla vera e propria creazione di nuovi patterns” (Carboni 2021, 74). Se leggiamo direttamente Baltruišiatis:

Gli intrecci e le mezze-foglie della decorazione islamica ispirano, insieme con le forme astratte e vegetali, parecchi sistemi zoomorfi. Fin dalla sua prima apparizione nelle civiltà orientali, la treccia assume l’aspetto di un essere animato, tanto che ci si è domandati se per caso essa non derivi, all’origine, da un nodo di serpenti (Baltrušiatis [1972, 1973] 1997, 133). 
Gli intrecci astratti si scioglieranno solo nel corso del Quattrocento per opera dei cadeaux. Trasformati in esseri animati, si snodano, appena annodati, talvolta sullo stesso margine. La treccia ritrova così la capacità di trasformarsi in animale e si sviluppa insieme con la fauna vivente e quasi libera. La mezza-foglia rūmi subisce i medesimi mutamenti (Baltrušiatis [1972, 1973] 1997, 133-134).

In queste formule figurative che giocano sulla ripetizione e ne fanno la propria peculiarità, è intimamente racchiusa una forza verso la variazione e la produzione di differenze, a volte quasi imprevedibili. Per cui:

La logica ornamentale, quindi, va riconsiderata non facendo ricorso a forme predeterminate di equilibrio, ma a processi dinamici di ri-equilibrazione in cui si intrecciano compensazioni regolative a nuove costruzioni (Carboni 2021, 76).

Si può dire, con le parole di Gilles Deleuze in Differenza e ripetizione, che la logica dell’ornamento è quella della ripetizione, in cui:

I travestimenti e le varianti, le maschere o i travesti, non vengono “dall’alto”, ma sono al contrario gli elementi genetici interni della stessa ripetizione, le sue parti integranti e costitutive. [...] La ripetizione è veramente ciò che si traveste costituendosi, ciò che si costruisce solo travestendosi. Essa non è sotto le maschere, ma si forma da una maschera all’altra, come da un punto rilevante a un altro, da un istante privilegiato a un altro, con e nelle varianti (Deleuze [1968] 1997, 27-28).

Da questo punto di vista, non solo il processo dinamico di mutazione è insito nell’ornamento, ma è quanto lo costituisce. Istanti privilegiati, in cui si cristallizza e appare una delle sue forme, sono le tappe che segnano la storia dell’ornamento nelle sue modificazioni. A dare un orientamento in questa storia troviamo Pavel Florenskij:

La storia dell’ornamento è caratterizzata, almeno in molti casi particolari, non dalla semplificazione e dalla schematizzazione, ma dalla complicazione e dall’arricchimento. L’ornamento all’inizio si costruisce attraverso linee geometriche, che soltanto in seguito si rivestono di un corpo conforme a un dato schema geometrico; è a questo punto che sorgono nell’ornamento singoli elementi figurativi, e sorgono come tentativo di introdurre a forza un oggetto nel primitivo nucleo non-oggettivo. Può darsi che questo tentativo non sia neppure completamente arbitrario, nondimeno l’interpretazione di alcune linee come schema proprio di una certa immagine e non di una qualsiasi altra può essere data in modi diversi e le immagini, scelte per dare corpo a un determinato ornamento, possono essere le più diverse (Florenskij [1923-1924] 1995, 99-100).

Forma stilizzata che solo apparentemente è priva di oggetto, ma semmai è la perdita della sua leggibilità come simbolo che porta a una semplificazione, a una sua evoluzione in chiave mimetica e para-naturalistica cercando di dare un corpo più manifesto al suo oggetto già presente fin dalla prima formazione stilistica:

L’ornamento non è affatto non-oggettivo, cioè privo dell’antinomia propria del simbolo, ma, al contrario, sottolineando ampiamente la contraddizione fra costruzione e composizione, intensifica al massimo il tono antinomico fra la rappresentazione e ciò che si vuole rappresentare. L’ornamento è più filosofico degli altri rami dell’arte figurativa, perché non rappresenta le singole cose e le loro connessioni particolari, ma riveste di visibilità certe formule universali dell’essere. Se l’ornamento sembra privo di contenuto trascendentale, questo avviene per la poca accessibilità del suo oggetto alla coscienza, non abituata a voli d’aquila su particolari e frammenti (Florenskij [1923-1924] 1995, 100-101).

Una evoluzione del pattern ornamentale incontrollabile e quasi inspiegabile è anche quanto ci prospetta Henri Focillon, nella sua Vita delle forme:

Nella scultura romanica, [...] dove il mostro, sempre incatenato ad una definizione architettonica e ornamentale, rinasce senza posa con aspetti inediti, per illuderci e illudersi della sua prigionia. E divien pampino ricurvo, aquila a due teste, sirena marina, lotta di due guerrieri; si raddoppia, s’allaccia intorno a se stesso, si divora. Senza mai sorpassare i suoi limiti, senza mai smentire il suo principio, quel Proteo agita ed espande la sua vita frenetica, la quale altro non è che il risucchio di una forma semplice (Focillon [1943, 1972] 1990, 11).

Se nella fiamma è riconoscibile anche un ruolo ornamentale, in un senso simbolicamente pregnante, anche il putto risponde alla stessa funzione. Bertrand Prévost ci ricorda come:

La répétition régulière des putti, et plus encore de leurs guirlandes fait sens vers ce qu’il faudrait nommer leur fonction extensive, ou mieux encore, leur fonction territorialisante : quelque chose comme un lieu s’individue, se cristallise dans la continuité ouverte voire chaotique de l’espace (Prévost 2013b, 2).

I putti occupano lo spazio figurativo, comparendo non solo nel singolo caso con un’alta frequenza ma anche in molte diverse situazioni, operando così una “territorializzazione” che dà un ordine e sistematizza, anche sul piano del significato, quel luogo da loro abitato. Dunque i putti entrano in una spirale di ‘pan-iconograficismo’ e nel Quattrocento fiorentino li incontriamo un po’ ovunque in teorie, con ricorrenze quasi ossessive della loro presenza. Se fin da Donatello dunque si registra che “gli spiritelli [...] sono dapprima più decorativi che simbolici, anche se la loro presenza [...] non è certo casuale” (Rowley 2022, 190), va individuato lo spazio in cui avviene il mutamento dall’una all’altra forma: dall’espressione di pura potenza amorfa che è la fiamma nella sua manifestazione carnale e antropomorfa in forma di putto-angelo.

L’osservazione per cui “modelli della natura possono, anch’essi, venir considerati come il fusto e il sostegno delle metamorfosi” (Focillon [1943, 1972] 1990, 11), registra la stessa dinamica di quanto accade alle fiamme nelle illustrazioni alla Commedia. Il motivo permane e si rifà vivo, diventa significante nelle sue varie fasi solo per via della mutazione, in un continuo mutare che riprende l’iteratività interna alla singola manifestazione di un pattern ornamentale. È la ricerca di dare una forma a quanto per sua natura, come dalla citazione in apertura da Réau, non la possiede – è un soffio, e come tale ci sfugge dalle mani e da qualsiasi tentativo di fissarlo rispetto a una forma data. Ecco che allora l’ambito dell’ornamento, quell’ornamento che trova sempre nuove formulazioni, è forse il luogo e il ruolo più adatto per la figura – qualunque essa sia – dell’angelo. 

Non è nella stabilità della forma che l’ornamento trova una regola, ma la regola è data dal cambiamento che rende possibile la presenza costante dell’ornamento in quanto insostituibile nel suo ruolo di attributo necessario all’essenza. Così scrive in una perfetta sintesi Ananda Coomaraswamy, degli ornamenti che nell’opera d’arte sono “elementi necessari alla sua efficacia”, in quanto:

L’ornamento è aggettivale, e senza aggettivi, nulla che abbia un nome può avere un’esistenza individuale (Coomaraswamy [1939] 1987, 188, 199).

Fiamma e putto saranno allora da considerare come ‘aggettivi’ dell’angelo in quanto ‘aggiungono’ alla sua essenza qualità e quantità. In quanto, giustapponendo e sovrapponendo a quelle essenze sfuggenti una figura, manifestano, nella dimensione dell’ornamento, la stessa natura angelica, il suo valore e il suo significato. E se già di per sé il ruolo dell’angelo consiste nell’annunciare e rendere manifesto il divino, fiamma e putto – figure in endiadi dell’angelo – sono aggettivi di secondo livello della sostanza di dio.

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English abstract

The contribution traces the parallelism of meaning between the form of the flame and the form of the spiritello in relation to the figure of the angel in 15th-century in Florence. The correspondence of meaning, based on iconological criteria, turns into an investigation of a formal character to see the alternation of the motif of the flame and that of the spiritello in works of art, finding as a point of intersection and departure for the analysis Sandro Botticelli’s illustration for Canto XXX of Dante’s Commedia. Following the path of the introduction of the figure of the spiritello and the use of the flame in the Florentine context of the time, it is defined how their similarity is first and foremost due to their ornamental use. Indeed, it is precisely in the ornament that the permutation of form between flame and putto is possible, and vice versa, in the permanence of their symbolic meaning. The role of every ornament is to be adjective to its object; flame and putto are in this sense adjectives of the angel.

keywords | Sandro Botticelli; Ornament; Putto; Spiritello; Donatello.

Per citare questo articolo / To cite this article: F. Perfetti, Putti e fiamme aggettivi dell’angelo. O della libertà della forma nella regola del ruolo dell’ornamento, nell’arte fiorentina del Quattrocento, “La Rivista di Engramma” n. 197, dicembre 2022, pp. 51-69 | PDF

doi: https://doi.org/10.25432/1826-901X/2022.197.0007