"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

200 | marzo 2023

97888948401

Dalla festa di Iside a quella di Sant’Agata

Una storia di culti femminili

Elena Nonveiller

English abstract

A Catania, presso il grande porto della cosmopolita città siciliana, Iside, la Bona dea (Ἀγαθή δαίμων), di origine egizia, veniva festeggiata ogni anno, il 5 marzo, per la ripresa della navigazione (Navigium Isidis, in latino, e Πλοιαφέσια, in greco), fin dall’età ellenistica; successivamente celebrata in tutto l’Impero Romano (Bricault 2011, 2013): a questo proposito Apuleio ci ha tramandato, nelle sue Metamorfosi, una delle descrizioni più dettagliate del rito così come si svolgeva a Roma (Metamorfosi, XI, 5, 8-11, 16-18).

Il tema mitico era il varo della nave su cui Iside rientrava in Egitto per riportare da Byblos il corpo del fratello e marito, Osiride, dopo essere stato smembrato e ricomposto. In tutto il Mediterraneo, la dea, grazie alle sue molteplici ibridazioni, era invocata non solo come una delle più famose patrone della navigazione e del destino, Ἴσις Τύχη et Isis Fortuna con la cornucopia (Agnoli 2002, 25), ma anche della maternità e dei neonati[1], come Isis lactans – spesso associata a Demetra, Persefone o Afrodite (Ciaceri 1905, 269 ss.) – divenuta nell’iconografia cristiana Virgo lactans, Παναγία γαλακτοτροφούσα, nel mondo ortodosso (Lasareff 1938, Mathews, Muller 2017).

Nella festa greca antica aveva luogo il rito dell’“accensione delle lampade” (λυχναψία)[2], che commemorava il dies natalis di Iside. A Roma il culto della dea era connesso anche ai vota publica, offerti due mesi prima, il 3 gennaio, in occasione delle Calende[3]. Le cerimonie romane prevedevano anche sontuose processioni e mascherate, di cui ci informano soprattutto Apuleio (Metamorfosi, XI, 8-13) e Giovenale, il quale, in una delle sue satire, biasima la nobilitas romana che seguiva la moda orientale di rasarsi il capo, indossando maschere di Anubi (a testa di cane), per partecipare alle feste isiache (Satire, VI, 530-541).

Sebbene non si abbia la certezza che queste celebrazioni si svolgessero ancora alla sua epoca, Giovanni Lido (vissuto tra il V e il VI secolo d. C.) le menziona:

Il giorno che precede le terze none di marzo veniva celebrato il Navigium Isidis, che ancor oggi è chiamato πλοιαφέσια. In lingua egizia Isis significava ‘luna’; onorata abbondantemente quando riprendeva la stagione della navigazione, dato che la dea presiedeva al mare […][4].

A Catania, tanto era popolare Iside nel periodo ellenistico, quanto lo sarà Sant’Agata nell’era cristiana, divenuta patrona della città e spesso invocata con gli epiteti dell’antica dea pagana: Ἀγαθή δαίμων (Chuvin 2009, 195), il cui culto è attestato soprattutto nella pars Occidentis dell’impero, specialmente in Sicilia, a Roma e a Cartagine, tra il V e il VI secolo d.C.

La festa di Sant’Agata veniva celebrata i primi cinque giorni del mese di febbraio, ma il giorno più importante, almeno per quanto riguarda l’aspetto rituale, era sicuramente l’ultimo, il 5 febbraio, che coincideva con il dies natalis della martire. In questo giorno aveva luogo una processione prettamente femminile, in cui donne di ogni classe d’età, vestite di tuniche bianche, seguite da uomini a piedi nudi, offrivano alla santa come ex voto dei seni di cera, che simboleggiavano quelli della martire, fatti tagliare da un crudele prefetto romano durante le persecuzioni contro i cristiani dell’imperatore Decio, il 5 febbraio del 251 d.C. (i testi degli Acta Sanctorum concordano su questo, cfr. Rigoli 1961, 320). In processione viene portato il velo della Santa, ritenuto avere poteri magici, come il mantello di Iside, quali spegnere incendi e arrestare eruzioni vulcaniche. A questo proposito si narra che il 5 febbraio del 262 d.C. il velo sacro di Agata, fatto volare verso l’Etna, avrebbe interrotto l’eruzione, prodigio che si sarebbe ripetuto anche nel 1699 (Magrì 2011, 115). Questa facoltà sovrannaturale della Santa spiega perché essa venga invocata, ancor oggi, non solo dalle donne afflitte da mastiti o malattie al seno, ma anche dai pompieri e dai fabbri di campane.

La festa odierna non corrisponde più alla ripresa della navigazione e le funzioni protettrici della Santa non sono più quelle dell’antica Iside, dal momento che certi attributi di Agata sono stati in parte assorbiti da un altro santo, Euplo o Euplios, letteralmente “colui che fa una buona traversata”, martirizzato nel 403 d.C. e festeggiato il 12 agosto (Corsaro 1957, 62), suo dies natalis, lo stesso giorno in cui, fin dal I secolo d.C., veniva celebrata la nascita di Iside con una festa notturna (Turcan 1989, 117-118), e qualche giorno dopo, il 17 agosto, il ritorno delle sue reliquie da Costantinopoli a Catania, avvenuto assai rocambolescamente nel 1040, dopo il furto perpetrato da Giorgio Maniace, inviato dall’imperatore Michele IV Paflagone per liberare la Sicilia dai Saraceni[5].

Secondo l’eminente etnografo G. Pitrè, dal 1625 Santa Rosalia avrebbe soppiantato Agata come patrona di Palermo (Pitrè 1978, 45-46). La sovrapposizione delle due sante è complessa ed è connessa all’antica querelle relativa alla città natale di Agata, presente già nei testi degli Acta, in cui il luogo di nascita sarebbe indicato come Palermo, ma quello del martirio Catania[6]. La querelle è evidentemente connessa al tentativo da parte delle due maggiori città dell’isola di una legittimazione prestigiosa del proprio passato cristiano, accaparrandosi la nascita dell’illustre martire[7].

Per quanto riguarda il culto di Sant’Agata nella pars Orientis dell’impero in una fonte bizantina dell’XI secolo d.C. è attestato un rito assai curioso, esclusivamente femminile. Il testo fu ritrovato in un noto manoscritto, il Parisinus Graecus 1182, pubblicato per la prima volta nel 1876 a Venezia da Kostantinos Sathas nella sua monumentale opera (Sathas 1876), e, successivamente, studiato dall’emerita bizantinista Angelika Laiou (Laiou 1986). Il testo in oggetto consiste in un breve trattato sulla festa costantinopolitana di Sant’Agata, attribuito a Michele Psello.

La descrizione relativa allo svolgimento della festa della Santa occupa la parte centrale del trattatello, in una forma ecfrastica che assume una chiara valenza di exemplum, nell’ambito di un’argomentazione filosofica riguardante il bene supremo. Fin dall’inizio l’autore enuncia il tema del trattato, sottolineando come la filosofia non debba occuparsi solamente di argomenti eccelsi, ma altresì di bagatelle o nugae, dal momento che l’intelletto umano ha la capacità innata di elevarsi fino alle altezze del pensiero, liberandosi dalle preoccupazioni derivanti dalle faccende ordinarie e materiali. Il fine ultimo di ogni azione umana sarebbe volto, secondo Psello, al bene supremo (τὸ ἀγαθόν), ossia a Dio, secondo concezioni evidentemente di ascendenza platonica. Psellos offre così un’etimologia ‘filosofica’ della festa, Ἀγάθη, quale espressione femminile della tensione verso il bene supremo. Il fatto che anche le donne potessero partecipare del bene supremo non era affatto scontato in un mondo maschilista e sessista, qual era quello bizantino. L’autore esemplifica poi le diverse attività artigianali, anche le più infime, in cui è possibile scorgere la perfezione divina. Tra i vari mestieri, menziona anche quelli prettamente femminili legati alla tessitura, cui la festa di Sant’Agata era particolarmente consacrata (Sathas 1876, 527 n.40). Psello riferisce come questa venisse celebrata ogni anno, il giorno seguente la festa dell’anniversario della fondazione di Costantinopoli[8], con inni, danze e processioni, sottolineando altresì che la partecipazione al rito festivo era consentita alle sole donne iniziate: le più giovani venivano accolte e istruite dalle più anziane. Anche all’interno del santuario dedicato alla Santa, le donne entravano e prendevano posto secondo una gerarchia precisa, che verosimilmente corrispondeva all’appartenenza a classi d’età o a corporazioni professionali (Psellos utilizza l’espressione εἴσεισι τὸ γένος ἐν κόσμῳ καὶ τάξει, dove il termine γένος, nel vocabolario dell’autore è polisemantico e significa al contempo: ‘famiglia’, ‘specie animale’, ‘classe’ o ‘tipo’, ‘genere umano’ e ‘genere femminile’, cfr. Sathas 1876, 528-530). Le devote offrivano poi delle icone alla Santa, cantando inni sacri. Le sole donne considerate le più esperte nell’arte della tessitura presiedevano la cerimonia, guidando le danze e i canti e mostrando alle neofite degli oggetti rituali segreti dalla forte valenza simbolica, consistenti probabilmente in ex voto. Uno dei momenti cruciali del rito si svolgeva davanti a un muro su cui vi erano dei disegni, dei dipinti, o, più probabilmente, degli affreschi (ἡ κατὰ τῶν τοίχων γραφή, Sathas 1876, 528), che raffiguravano le varie fasi della tessitura. Erano rappresentate non solo le donne che cardavano la lana e la filavano, ma anche quelle che venivano frustate da altre donne, probabilmente per ordine delle maestre che le punivano per la loro inettitudine. Le vittime erano rappresentate come sofferenti, evidentemente allo scopo di suscitare nel pubblico femminile sentimenti di empatia, instillando un timore reverenziale nei confronti delle istitutrici. La danza circolare conclusiva, accompagnata da una musica fortemente ritmata, consisteva in un girotondo in cui tutte le partecipanti si tenevano per mano, in una sorta di riconciliazione finale.

Psello conclude la sua digressione sulla festa di Sant’Agata con un’apostrofe giustificativa rivolta ai lettori: la festa descritta non sembra un degno soggetto per un filosofo; tuttavia appare utile come esercizio spirituale per elevarsi dall’ordinario e trarre il bene da ciò che è effimero (Sathas 1876, 530 n. 40).

Tra le altre questioni ermeneutiche, la digressione pone innanzitutto quella relativa alla storicità del rito festivo descritto. Sebbene si tratti di un testo retorico, non si può evincere con certezza che la descrizione sia frutto di pura finzione letteraria. I numerosi dettagli realistici presenti nel testo indurrebbero a ipotizzare una conoscenza diretta della festa da parte dell’autore; cosa che presupporrebbe la celebrazione della stessa ancora nell’XI secolo, nonostante l’assenza di attestazioni.

Per quanto riguarda l’interpretazione testuale la questione più dibattuta è sicuramente quella connessa alle pitture murali o affreschi, eseguiti dalle donne più anziane ed esperte. Per riferirsi a tali raffigurazioni l’autore usa con variatio tre sostantivi: σκιά (1.27), εἰκών (1.26) e, per ben due volte, σχῆμα (11.7-8); il primo viene utilizzato con il significato di ‘fantasma’ o ‘parvenza’, il secondo di ‘immagine’ o ‘figurazione’ e il terzo di ‘scenografia’ (Laiou 1986, specialmente 113, n. 10). Ciò che è indubbio è che la menzione di un muro dipinto o affrescato all’interno di una chiesa rappresenta un unicum testuale rispetto alla tradizione letteraria, tanto più se vi sono raffigurate attività artigianali femminili. Tale affresco o murales potrebbe rappresentare uno dei rari esempi di arte profana in chiese bizantine.

In effetti, la festa di Sant’Agata descritta da Psello appare come una cerimonia religiosa, ma dal carattere fortemente profano: un rito femminile connesso all’arte tessile, l’occupazione ritenuta più onorevole per una donna (si veda in proposito Laiou 1981, 243-246). Non sappiamo tuttavia se la festa fosse organizzata da confraternite femminili religiose o amicali (φιλικόν)[9] ovvero da corporazioni professionali o gilde. Malgrado non sia avvalorata dalle fonti finora note, non si può escludere l’ipotesi che le tessitrici costantinopolitane fossero organizzate in una sorta di corporazioni di mestiere o vi fossero delle scuole professionali private ove apprendere l’arte tessile (Laiou 1986, 118). D’altronde nulla sappiamo sulla vita professionale femminile, eccetto ciò che possiamo evincere dalla testimonianza presente nel Libro dell’eparca - dove tra le cinque corporazioni di mestiere di artigiani della seta, sono menzionate anche quelle dei καταρτάριοι e dei μεταξάριοι (o μεταξοπράται)[10], cui erano ammesse eccezionalmente anche le donne, εἴτε ἄνδρες εἴτε γυναῖκες (Dujćev 1970) - e quella di un altro testo del XV secolo che ci informa su una corporazione o associazione di donne greche che, a Laodicea, durante l’occupazione ottomana, producevano grandi quantità di tessuti di cotone (Defrémery, Sanguinetti 1878, 271-272, citato in Laiou 2017, 245 n.60).

Il laografo G. Megas ha suggerito che si trattasse di una sorta di scuola professionale, dove le giovani donne avrebbero appreso dalle più anziane ed esperte la fabbricazione della propria veste matrimoniale, ove la dinamica di ricompense e punizioni bene si addiceva alla relazione maestra-allieva (Megas 1953). N. Politis, un altro insigne laografo greco, ci ha tramandato alcune interessanti credenze popolari connesse all’arte tessile, proprio a proposito della festa di Sant’Agata. Secondo un’antica credenza cretese, una donna inquietante dall’alta statura e vestita di nero sarebbe apparsa ogni giovedì sera, al crepuscolo, per impedire alle donne di continuare a filare (Politis 1965, 507-508, citato in Drettas 1995, 179). Il motivo popolare dell’eccessivo lavoro di tessitura, dopo il tramonto del sole, in cui una paurosa vecchia punisce le giovani, ricorreva ancora nella Grecia moderna (Drettas 1995, 179-180).

La funzione iniziatica della tessitura e il motivo del muro dipinto potrebbero evocare qualche ricordo della Grecia classica connesso alle Panatenee, celebrate ad Atene ogni quattro anni per nove giorni, tra la fine di luglio e l’inizio di agosto (periodo corrispondente al mese di ἑκατομβαιών), in onore di Atena Parthenos, quale patrona della tessitura. Sono state attribuite alla dea un gran numero di opere tessili: dalla tessitura del proprio peplo, a quello Era e di Pandora, fino all’abito di Giasone; Atena avrebbe anche istruito molte donne in quest’arte, tra cui le donne fenicie (Brulé 1987, 215-220). Feste scomparse e successivamente ristabilite, anche se per breve tempo, in età giulianea (V secolo d. C.), almeno stando alla testimonianza di Imerio, il quale, in una delle sue orazioni, raccontava che le Panatenee, oltre agli agoni sportivi e musicali, prevedevano anche la corsa con le fiaccole e la processione delle ἐργαστήναι, ragazze non ancora sposate dell’élite ateniese. Esse erano incaricate di portare in corteo fino al Partenone un peplo magnificamente tessuto e confezionato sei mesi prima, sui cui bordi erano ricamati episodi mitologici relativi alla dea Atena (Brulé 1987, 219-220). La processione si concludeva con un’ecatombe di buoi e montoni, seguita da un banchetto rituale e da una regata dal Pireo a Capo Sunio, in onore di Poseidone (Brulé 1987, 216). Anche in occasione delle Panatenee il rito femminile della tessitura del peplo aveva un’importante valenza sociale e iniziatica: l’apprendistato delle ἐργαστήναι costituiva un momento fondamentale di preparazione delle giovani fanciulle alla loro futura vita matrimoniale (Brulé 1987, 230).

Note

[1] Si vedano le numerose figurine della dea che allatta il piccolo Arpocrate o Horus, come il famoso bronzetto del VII secolo a.C. (cfr. Sfameni Gasparro 1973, 211).

[2] Festa notturna celebrata il 12 agosto, poi inclusa nel calendario romano nel 38-39 d. C., sotto l’impero di Caligula, dal momento che questa data corrispondeva alla nascita di Iside, celebrata in Egitto (cfr. Turcan 1989,117-118).

[3] Vi sono attestazioni in alcune medaglie del IV secolo d. C., dove su un lato figura il rito dei vota publica e dall’altro degli attributi di Iside (cfr. Mathews, Muller 2017, 51).

[4] R. Wünsch (hrsg. von), Ioannis Laurentii Lydi liber De mensibus IV, 45, Stuttgart [1898] 1967, 101: Τῇ πρὸ τριῶν Νωνῶν Μαρτίων ὁ πλοῦς τῆς Ἴσιδος ἐπετελεῖτο, ὃν ἒτι καὶ νῦν τελοῦντες καλοῦσι πλοιαφέσια. Ἡ δὲ Ἶσις τῇ Αἰγυπτίων φωνῇ παλαιὰ σημαίνεται, τουτέστιν ἡ σελήνη‧ καὶ προσηκόντως, αὐτήν τιμῶσιν ἐναρχόμενοι τῶν θαλαττίων ὁδῶν, διὰ τό αὐτήν, ὡς ἐλέγομεν, τῇ φύσει τῶν ὑδάτων ἐφεστάναι […].

[5] Il luogo preciso a Constantinopoli dove le reliquie della santa sarebbero state sottratte non è indicato nella Historia translationis corporis s. Agathae v. m. Costantinopoli Catanam (in Bibliotheca Hagiographica Latina, 139), ma può essere evinto dal racconto di Costantino Lascaris, che arrivò nel 1465 a Messina per insegnare letteratura greca; egli scrisse che nel 1040 le reliquie erano state restituite da Giorgio Maniace all’imperatrice Teodora, la quale, a sua volta, le affidò a un monastero intitolato alla Vergine, cfr. D’Arrigo, I, 84)

[6] Il Sinassario constantinopolitano menziona Palermo e non Catania quale città natale di Agata, cfr. H. Delehaye (ed.), Synaxarium Ecclesiae Constantinopolitanae e codice Sirmondiano nunc Berolinensi adiectis synaxariis selectis (Propylaeum ad Acta Sanctorum Novembris). Bruxelles 1902, c. 445 : Ἄθλησις τῆς ἁγίας καὶ καλλινίκου μάρτυρος Ἀγάθης. Αὕτη ἣν ἐκ πόλεως Πανόρμου, τῆς κατὰ Σικελίαν, ὥρᾳ σώματος καὶ ἀφθορίᾳ καὶ κάλλει ψυχῆς διαλάμπουσα καὶ πλούτῳ κομῶσα [...]. La Patrologia Graeca menziona solamente Catania, cfr. J.-P. Migne (ed.), Patrologia Graeca. CXIV, Parisiis 1903, 1331-1346.

[7] Nel Breviario Romano, compilato nel 1600 sotto il pontificato di Clemente VIII, leggiamo ancor oggi: Agatha virgo, in Sicilia nobilibus parentibus nata, quam Panormitani et Catanenses civem suam esse dicunt (in J. Bolland, G. Henschen (ed.), Acta Sanctorum februarii. I, Antverpiae 1658, 606).

[8] Il giorno dopo l'anniversario della fondazione della città (τό γενέθλιον) cadrebbe il 12 maggio, data che non corrisponde però a quella indicata nel Sinassario constantinopolitano, ossia il 5 febbraio. Tale discrepanza cronologica potrebbe essere giustificata solo con l’ipotesi che le celebrazioni in onore della Santa fossero due : l’una ufficiale (il 5 febbraio) e l’altra no (il 12 maggio); cosa che potrebbe essere suggerita proprio dal carattere segreto e iniziatico di quest’ultima. Tuttavia l’autore usa qui il termine πανήγυρις, che si riferiva generalmente, nel mondo bizantino, a una festa religiosa in onore di qualche santo oppure a una fiera o festa pubblica, (cfr. Vryonis 1981, 196-197).

[9] Come la confraternita che organizzava la vigilia (παννυχίς) della festa del Prodromo dell'Oxeia, la chiesa dove riposavano le spoglie di Sant’Artemio, cfr. Kaplan 2006b, 299.

[10] Dujćev (in Dujćev 1970, VII, 2) fa riferimento ai μεταξάριοι, mercanti di seta greggia, poi divenuti privati (cfr. Oikonomides 1986, 33-53), al contrario, il ruolo dεi καταρτάριοι resta incerto; D. Simon ha suggerito che si trattasse di artigiani che si occupavano della pulitura e della cottura della seta grezza o di lavoratori a domicilio di seta grezza per la vendita al dettaglio, cfr. Simon 1975, soprattutto p. 45. Secondo M. Kaplan i catartarii acquistavano anch’essi seta grezza, ma, poiché non potevano accedere al mercato all’ingrosso, compravano solo il necessario all’attività di rivenditori (cfr. Kaplan 2006b, 291-293).

Fonti
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English abstract

In the paper the author aims to examine some aspects of the history of the official cult of Saint Agatha, in Sicily and Constantinople, starting with the Greco-Roman cults of Isis, and then focusing in particular on the unofficial or the initiatory women’s festival, celebrated in Constantinople, attested by only one literary source from the 11th century AD. This source, consisting of a short philosophical treatise, ascribed to Michael Psellos, informs us about some interesting aspects of the religious and social life of women in Constantinople in the mid-Byzantine era.

keywords | Isis cults, Saint Agatha; religious festivals; Female cults.

Per citare questo articolo / To cite this article: E. Nonveiller, Dalla festa di Iside a quella di Sant’Agata. ”La rivista di Engramma” n.200, vol.2, marzo 2023, pp. 113-122 | PDF



doi: https://doi.org/10.25432/1826-901X/2023.200.0001