"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

200 | marzo 2023

97888948401

Ecate, o l’anarchia come festa

Gregorio Tenti

English abstract

William Blake, Hecate, or The Night of Enitharmon's Joy, penna e acquarello su carta, 1795, London, Tate Gallery.

Due non bastano per una festa – una festa si fa sempre in tre. C’è una figura mitologica, sconosciuta a Omero ma non a Esiodo, che è sempre in tre: la titanessa Ecate, figlia di Asteria e del titano Perse. Protettrice delle maghe, scortata da una muta urlante, la sua triplicità indica l’appartenenza terrestre, lunare e ctonia, dunque la capacità di attraversare e manipolare le soglie dei mondi di sopra, di sotto e di mezzo. Anche durante il dominio degli dèi Olimpi Ecate mantenne i propri poteri, associati ai fantasmi, ai demoni, alla stregoneria e alla negromanzia. Un sabba si fa sempre in tre. 

Nonostante la sua importanza nel mondo antico, Ecate fu raramente rappresentata; la sua presenza è tanto più forte perché latente. Come pura potenza mitica, Ecate stessa non è altro che le sue maschere. È lei Baba Jaga, la strega triforme della mitologia slava; è lei a rendere equivalenti le Moire, le Parche e le Norme norrene; è lei a infestare invisibilmente l’immaginario gotico attraverso le three witches del Macbeth, raffigurate poi da Füssli. La sua triplicità non rimanda al tre pitagorico, in cui il terzo discende dal primo e dal secondo (il grande tre del pensiero dialettico), ma a un tre molto meno umano, in cui il terzo si aggiunge al primo e al secondo senza motivo. Anziché distillare una soluzione come sintesi ideale, materializza un altro corpo; anziché compiere sublimi operazioni verso il sopra e verso il sotto, ne svela le segrete popolazioni. È la proliferazione contraddittoria, la deduzione materiale non esaustiva, la dialettica impazzita che non risolve la serie ma ne inaugura la detumescenza. Genesi segreta e cosmogonia senza principio, è la notte da cui Pallade, come la Francesca di Pound, incede (Artaud [1934] 1991, 120).

William Blake tiene conto di tutto questo – di questa latenza iconografica e di questa potenza mitica – quando rappresenta Ecate in The Night of Enitharmon’s Joy (1795). Enitharmon, nella profetica blakeana, non è che un’altra maschera della strega triforme. Enitharmon è tutto ciò di cui l’immaginazione creante non può appropriarsi, la notte della materia che resiste alla visione; una delle derivazioni del suo nome è proprio “anarithmon” (Foster Damon 1988, 234), senza misura. Nel suo gotico michelangiolesco, Blake la ritrae attraverso la spiacevolezza delle grandi masse e dei grandi neri, circondata da allegorie della demenza e del vizio. I piedi destro e sinistro sono invertiti come nel Noli me tangere del Beato Angelico. Per molti versi, è un’immagine che resiste alla vista. Blake sta mettendo in scena una commistione di reami, un raduno fuor di natura: una festa.

La festa mobilita l’umano tutto intero: dolore, paura, violenza, diffidenza, stupidità. E attrae l’inumano: l’asino, il cardo, il sasso, la notte, il mostro. Non è leggerezza e gioia, ma estasi – strana gioia di ciò che cade, come dice Rilke. La festa è dismisura che sperpera la propria ragione e la propria origine. Il mito fa lo stesso: non spiega nulla, ma continua a ripetere un etimo perduto che eccede ogni volta il proprio cerchio istituente. E lo stesso fa il rito, che non celebra più di quanto non festeggi. La festa, dunque, non ha a che fare con il gioco (apoteosi della regola), ma con l’anarchia: anarchia che sa festeggiare e non sa officiare, che intende il funzionamento della moltitudine e dell’individuazione. (Due è già uno Stato, tre una cospirazione, recita un vecchio adagio thelemita).
 

Riferimenti bibliografici
  • Artaud [1934] 1991
    A. Artaud, Eliogabalo. O l’anarchico incoronato, trad. di A. Galvano, Milano 1991.
  • Foster Damon 1988
    S. Foster Damon, A Blake DictionaryThe Ideas and Symbols of William Blake, Hanover 1988.
English abstract

The Titaness Hecate is the subject of a subterranean iconography culminating in William Blake’s The Night of Enitharmon’s Joy (1795). This contribution takes its cue from Blake’s image in order to reflect on Hecate as an iconographic potency linked with ontological proliferation, dark joy, and festive disorder.

keywords | Mythology; Anarchy; William Blake; Hecate.

Per citare questo articolo / To cite this article: G. Tenti, Ecate, o l’anarchia come festa, ”La rivista di Engramma” n.200, vol.2, marzo 2023, pp. 287-288 | PDF

doi: https://doi.org/10.25432/1826-901X/2023.200.0003