"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

200 | marzo 2023

97888948401

L’iconografia della festa rinascimentale

Il manoscritto Urb. Lat. 899 della Biblioteca Apostolica Vaticana

Giulia Torello-Hill

English abstract

La recentissima ristampa de Il teatro e la città di Ludovico Zorzi (Zorzi 2023) invita riflessioni sulla complessità dello spazio scenico rinascimentale. Nella festa rinascimentale la città si trasforma di fatto in una scena teatrale permanente che ospita processioni religiose, celebrazioni carnevalesche, cortei nuziali, e visite di ambasciatori e dignitari. Il clima sovversivo della festa che appiattisce, almeno in parte, la disparità sociale, consentendo la partecipazione attiva del popolo minuto, è proprio non soltanto delle celebrazioni carnevalesche, ma anche dei festeggiamenti che accompagnano i matrimoni dinastici. Nella Ferrara dell’ultimo quarto del Quattrocento la festa carnevalesca e quella nuziale spesso coincidono, sia per motivi logistici – l’inverno segna la temporanea sospensione delle attività belliche – che per motivi pratici atti a contenere l’elevatissimo costo delle celebrazioni. Questo contributo si propone di analizzare l’importanza della festa dinastica nuziale nella sperimentazione teatrale quattrocentesca e nella diffusione e interscambio tra i centri culturali della penisola di tendenze destinate ad avere un effetto duraturo nelle epoche successive.

1| MIniature con illustrazioni dei Trionfi per le nozze di Costanzo Sforza e Camilla Marzano d’Aragona nel 1475, ms.Urb. Lat. 899, Roma, Biblioteca Vaticana: Carro con Trionfo della Pudicitia, c. 8v; Fontana zampillante vino, c. 11r; Carri dei pianeti Marte e Giove, c. 99r; Girandola pirotecnica, c.112v.

Nell’ultimo quarto del quindicesimo secolo, al sostrato popolaresco che caratterizza entremets allegorici, momarie, farse e feste religiose si sovrappongono spettacoli di soggetto bucolico e mitologico e commedie classiche in volgare con un gusto per la sperimentazione senza precedenti. Mentre l’egloga bucolica è stato l’oggetto delle riflessioni puntuali di Marzia Pieri (Pieri 1983) e, più di recente, Francesca Bortoletti (Bortoletti 2008), il carattere allegorico e l’ambientazione bucolica che caratterizza altre forme di spettacolo mitologico-allegoriche ‘minori’ sono fenomeni meno noti agli studiosi di teatro (Guarino 2005, 30). La festa rinascimentale è per definizione una festa civica e al contempo un’occasione propagandistica per la casa regnante. Gli sposalizi dinastici non soltanto attraggono ospiti di riguardo, ma danno adito a feste in onore della sposa che spesso deve affrontare un lungo viaggio che viene percorso in più tappe. La sposa con il suo nutrito entourage, che include non soltanto i parenti stretti e la servitù ma anche uno stuolo di intellettuali, viene accolta dalle comunità visitanti con feste e banchetti. Celebri sono le feste romane del 1473 organizzate da Pietro Riario e Giuliano della Rovere, nipoti di Papa Sisto IV, in onore di Eleonora d’Aragona partita da Napoli alla volta di Ferrara per unirsi in matrimonio ad Ercole I d’Este. Per l’occasione drammi religiosi e un banchetto drammatizzato vengono rappresentati su una struttura lignea che viene eretta di fronte alla Chiesa dei Santissimi Apostoli (Cruciani 1983, 151-64; Falletti 1987, 257-76).

Queste occasioni di festa in cui la città ospitante dà sfoggio della propria magnificenza promuovono la mobilità di musici, cantori e artigiani esperti nel costruire ingegni che vengono spesso contesi tra le corti. In questo clima di fervida competizione e contaminazione di generi letterari e popolareschi, essenziale per la circolazione di idee è la presenza di poeti cortigiani che accompagnano la sposa e assistono agli spettacoli teatrali. A titolo d’esempio, Matteo Maria Boiardo che è presente alle rappresentazioni romane in onore di Eleonora d’Aragona, sarà direttamente coinvolto nei festival teatrali ferraresi voluti da Ercole I, occupandosi sia degli adattamenti in volgare delle commedie di Plauto e della composizione del Timone. Pandolfo Collenuccio, incaricato di scrivere e recitare l’orazione per le nozze di Costanzo Sforza e Camilla d’Aragona nel 1475, è autore di un adattamento dell’Anfitrione di Plauto messo in scena a Ferrara nel 1487. Le testimonianze cronachistiche e le relazioni epistolari di queste feste indugiano nella descrizione di costumi e personaggi esotici che popolano le moresche e i banchetti drammatizzati e fanno qualche breve accenno alle scenografie e soprattutto agli ingegni: la bocca dell’inferno, la nave mobile dei Menechini, le sfere celesti dell’Anfitrione.

Unico nel suo genere è però il resoconto dettagliato delle nozze di Costanzo Sforza e Camilla Marzano d’Aragona, nipote di Ferrante di Napoli, celebrate a Pesaro nel maggio del 1475 (Guarino 2005, 25 n. 20; Passera 2020, 21-37). La relazione anonima della sontuosa festa nuziale è conservata da quattro testimoni: l’incunabulo vicentino pubblicato nel novembre del 1475 da Hermannus Liechtenstein (Ordene de le noze 1475), e tre copie manoscritte, una conservata a Pesaro nella Biblioteca Oliveriana (Ms 962), una seconda copia trascritta dal fiorentino Niccolò degli Alberti e contenuta in un codice miscellaneo della Biblioteca Riccardiana (Ms. 2256, cc. 65-94; Bridgeman 2013, 35, n. 4; Passera 2020, 21-2), e infine una copia corredata di miniature, il codice vaticano Urb, lat. 899. La pubblicazione a stampa del resoconto delle nozze Sforza-Marzano d’Aragona in volgare è un unicum nel panorama librario degli anni Settanta del Quattrocento quando la stampa a caratteri mobili da poco introdotta da stampatori tedeschi produce prevalentemente testi didattici in latino. Il volumetto in volgare è un prodotto dal costo contenuto e accessibile anche ad un pubblico meno colto. La sua diffusione e popolarità è attestata ancora a metà Cinquecento quando il frate domenicano Leandro Alberti notava come la relazione delle nozze fosse stata “impressa e volgata per tutta Italia, ch’era cosa molto dilettevole a leggerla o vederla leggere” (Bridgeman 2013, 13 e 35 n. 18).

L’oggetto di questo studio è però il testimone vaticano, BAV Urb. Lat. 899, trascritto dal copista Leonardo da Colle, che è l’unico a preservare interamente l’orazione nuziale in latino pronunciata da Pandolfo Collenuccio. Il codice vaticano è impreziosito da trentadue miniature che raffigurano i personaggi allegorici, i carri trionfali, l’apparato scenico, e gli ingegni. Questo codice a pergamena confezionato tra il 1475 e il 1480 (Bridgeman 2013, 15-6; Ragazzini 2018) rappresenta una fonte iconografica unica per lo studio della scenografia dello spettacolo rinascimentale. L’attribuzione delle trentadue miniature, alcune a piena pagina e altre a vignetta, è tutt’ora incerta e gli studiosi hanno avanzato l’ipotesi che si tratti dell’opera dell’urbinate Giovanni Santi (Ciardi Dupré Dal Poggetto 1995; Ragazzini 2018) o del toscano Baccio Baldini (Baffioni Venturi 2013, 52), ma la presenza di un’influenza padano-ferrarese sembra essere l’ipotesi più attendibile (Valazzi 1990, 327; Eva Ponzi 2019). L’anonimo cronachista comincia la sua relazione narrando l’accoglienza della sposa al Castello di Novilara a quattro chilometri da Pesaro dove trascorrerà la notte antecedente alle nozze. Il racconto prosegue poi con la descrizione minuziosa del banchetto nuziale che fa seguito alla cerimonia religiosa della domenica. Durante il banchetto drammatizzato, che dura più di sette ore e durante il quale gli ospiti gustano dodici portate, le prime sei introdotte dal Sole e le ultime sei dalla Luna, servite da figure mitologiche e allegoriche. Le miniature rappresentano una rassegna di figure allegoriche (Imeneo, Ebe, Sole, Fortuna, Fama e Amore) e mitologiche (Erato, Tatia, Perseo, Iris, Orfeo, Tritone, Licaste, Romolo, Aretusa, Sileno) che compaiono al cospetto degli invitati per presentare e servire le portate e si concludono con la sfilata dei carri dei pianeti. Le miniature illustrano inoltre due ingegni: la fontana decorata da putti da cui sgorgano zampilli di vino allestita nella piazza di Pesaro per la gioia dei popolani (c. 11r) e la girandola, ovvero una macchina di giochi pirotecnici che chiude gli spettacoli. Il giorno seguente una giostra conclude i festeggiamenti nuziali (c. 112v). La seconda parte del resoconto delle nozze riguarda la presentazione dei doni che si svolge il giorno successivo al banchetto, ed è intervallata da pantomime e danze coreografate da Guglielmo Ebreo, uno dei coreografi più contesi dalle corti quattrocentesche (Sparti 1993).

Prima di concentrare l’attenzione su questa preziosa testimonianza di pratica teatrale, vorrei fare alcune considerazioni sul ruolo determinante della festa sponsale nel forgiare alcuni tratti distintivi del teatro rinascimentale. I complessi rituali nuziali, ben documentati a partire dalle nozze di Ercole I d’Este con Eleonora d’Aragona nel 1473, includono l’ingresso trionfale della sposa, che viene accompagnata dal corteo nobiliare e accolta dai popolani festanti attraverso i punti strategici della città, banchetti, tornei e giostre e sono scanditi da canti, pantomime di soggetto bucolico e mitologico e opere teatrali nel senso moderno del termine, ovvero in cinque atti. La processione del corteo nuziale che tocca i punti nevralgici del potere delle casate rinascimentali, contrassegnati a partire dagli sposalizi degli anni Ottanta del Quattrocento da archi trionfali, ha ovviamente fini propagandistici, ed è tesa a presentare i progetti di riqualificazione urbanistica dei signori regnanti (Passera 2020, 12). Questi simboli di potere – la torre, il castello – vengono replicati nelle scenografie degli spettacoli cortigiani.

L’insaziabile gusto per la spettacolarità del pubblico rinascimentale impone l’uso di elementi scenici mobili e congegni meccanici (ingegni). Com’è stato ampiamente notato, lo spettacolo profano si appropria di elementi propri dello spettacolo sacro, dai carri che trasportavano le statue dei santi durante le feste patronali, agli ingegni atti a simulare ambientazioni infernali o paradisiache tipiche dei drammi sacri (Pieri 1984). I carri trionfali sostituiscono all’iconologia religiosa personificazioni allegoriche delle virtù cardinali, attributi essenziali della sposa, o allegorie di buon auspicio per gli sposi quali Fama e Amore. Questi elementi scenotecnici continueranno ad essere utilizzati nelle opere teatrali di fine Quattrocento. È noto, per esempio, che per la rappresentazione ferrarese dell’Anfitrione di Plauto nel 1487, viene creato un ingegno che mostra la volta celeste dove ha luogo il lungo concepimento di Ercole. Impianti scenografici mobili caratteristici di feste religiose e sponsali appaiono nella rappresentazione dei Menechini che inaugura il revival del teatro classico a Ferrara nel 1486 e che vede l’utilizzo di una nave costruita su una piattaforma dotata di ruote che attraversa la Piazza Ducale. Un simile impianto scenico a foggia di bucintoro viene utilizzato per l’arrivo di ospiti insigni, giunti a salutare Camilla d’Aragona al Castello di Novilara. Secondo il resoconto anonimo la nave era così ben costruita da sembrare vera e “non si vedea chi la menasse” (c. 6v).

Gli impianti scenografici mobili della festa sponsale consistono in carri trionfali su cui troneggiano allegorie di virtù cardinali e divinità pagane con valenze astrologiche, mentre nelle pantomime dense di danze coreografate dominante è la scenografia bucolica o, per dirla con Pieri “la scena boschereccia.” La scena bucolica celebra la musica e il canto e ha chiare ascendenze classiche nell’egloga pastorale virgiliana. La sublimazione del canto è incarnata dall’onnipresente figura di Orfeo impregnata di valenze neoplatoniche e legato alla pratica estemporanea del cantare ad lyram (Wilson 2019; Bortoletti, 2020, 21-62).

Durante il banchetto romano in onore di Eleonora d’Aragona, Orfeo compare sulla sommità di un monte che rappresenta i campi Elisi e intona il suo canto accompagnato dalla lira (Cruciani 1983, 160). Il banchetto nuziale pesarese descritto nel codice vaticano culmina con l’ingresso di Poesia incoronata dal lauro e seguita da Grammatica, Retorica e Astrologia che reggono una scultura di zucchero raffigurante il Monte Elicona. Alle pendici dell’Elicona è scolpito Apollo nell’atto di suonare la lira ad intrattenimento delle Muse. La sublimazione del canto avviene tramite un ingegnoso spettacolo nello spettacolo (c. 110v).

I temi desunti dall’egloga bucolica classica non sono però circoscritti all’ambito del canto solitario del pastore-poeta o quello antagonistico dei certami poetici. In un’Arcadia popolata da ninfe, satiri e divinità pagane, tema dominante è l’amore che viene presentato nelle sue forme di amore carnale e coniugale, oltreché nel suo rifiuto in favore della castità. In questa vena, lo spettacolo allestito per Lucrezia d’Este in occasione delle sue nozze con Annibale Bentivoglio nel 1487 ha per protagonista la ninfa Lucrezia che vien contesa tra la voluttuosa Venere e la casta Diana per scegliere poi la protezione di Giunone e l’amore coniugale (Bortoletti 2002; Torello-Hill 2022). In maniera analoga, la pantomima offerta dalla comunità ebraica di Pesaro nel secondo giorno di celebrazione sponsali descritta nel manoscritto vaticano presenta un’ambientazione bucolica, caratterizzata da un monte collocato su una piattaforma mobile [Fig. 1]. Il monte è coperto da un manto vegetativo e da animali e sormontato da una torre, un chiaro richiamo alla Rocca Costanza, la torre simbolo del potere sforzesco, i cui lavori di costruzione sarebbero iniziati alcuni giorni dopo le nozze (Scatena 2000). In cima alla torre compare uno spiritello alato che assolve la funzione narrante che sarà tipica del personaggio-prologo del teatro rinascimentale. Al centro della montagna si apre un antro da cui emerge una figura femminile solo in parte visibile mentre un vecchio canuto con la barba è rappresentato di fronte al monte ed ha alle sue spalle la porta scenica dotata di un ponte levatoio che consentiva all’attore di scendere dalla piattaforma mobile su cui era montata la montagna. Dopo il breve monologo dello spiritello, il vecchio si presenta come Booz, uno dei proavi di David e secondo marito di Rut. Booz si rivolge allo sposo, chiedendogli permesso di coltivare le sue terre e una volta ottenuto il suo assenso “ritornò alla porta di suo monte chiamando li suoi servi” (c. 89v). Secondo il resoconto puntuale della festa, dodici giovani riccamente vestiti entrano in scena dalla stessa porta centrale da cui è emerso Booz e dopo aver danzato una moresca escono di scena per poi rientrare “per altra porta che per la prima”, presumibilmente entrando da una delle ali laterali per esibirsi in svariate altre danze maneggiando “instrumenti rusticani” che simulano le attività che scandiscono la vita agreste, quali la semina e la mietitura (90r). Scene di vita agreste caratterizzeranno anche uno degli intermezzi inseriti nella rappresentazione dell’Eunuco di Terenzio alla corte di Ferrara nel 1499 (Guidobaldi 1993, 34). L’anonimo resoconto precisa anche che il personaggio di Booz rimane in scena durante il susseguirsi delle moresche e che in scena c’è anche “una donna ben vestita all’anticha la qual con gesti convenientissimi andava ricogliendo le spighe” (c.90v). La figura femminile parzialmente visibile è con ogni probabilità Rut, in accordo con l’iconografia del suo primo incontro con Booz che la vede rappresentata nell’atto di raccogliere spighe di grano.

Questa pantomima che segue la presentazione dei doni agli sposi è di grande interesse storico in quanto documenta i rapporti tra la corte pesarese e la comunità ebraica. Non è da escludere che la richiesta avanzata da Booz di terre da coltivare sia legata all’apprensione della comunità ebraica per l’imminente costruzione della Rocca Costanza. Studi urbanistici hanno identificato il sito del primo cimitero ebraico precisamente nella zona antistante a porta Fano dove venne eretta la torre simbolo del potere sforzesco (Panzini 2004). La presenza del cimitero indica che la comunità ebraica doveva occupare questa zona della città prima della creazione del ghetto ed è probabile che i progetti di rinnovamento urbanistico avessero determinato l’espropriazione di case e terreni. L’episodio biblico racconta come Rut, rimasta vedova, segua la suocera del defunto marito a Betlemme. Qui per procurarsi cibo va nei campi seguendo un’usanza che permette alle persone indigenti di raccogliere le spighe lasciate dai mietitori, dove incontra Booz, il ricco proprietario dei campi. La suocera preoccupata per il loro futuro, persuade Rut ad accostarsi ai piedi Booz, che essendo un lontano parente ha diritto a riscattare la donna. Booz invece di approfittarsi della donna la sposa e dalla loro unione benedetta nascerà un figlio. La storia di Booz e Rut è un exemplum di amore e rispetto coniugale particolarmente adatto a festeggiamenti nuziali.

Nella pantomima di Booz e Rut, così come nella fabula allegorica della ninfa Lucrezia delle nozze Este-Bentivoglio, l’assetto scenografico è bipartito. Nello spettacolo pesarese il proscenio superiore è caratterizzato da una montagna, mentre in quello bolognese le scenografie movibili che, a detta del testimone oculare Sabadino degli Arienti, sembrano entrare nello spazio scenico quasi danzando, sono una torre su cui appare Giunone, un palazzo che ospita Venere e il suo seguito, e una montagna che ospita Diana con otto ninfe. La descrizione della montagna ricorda molto da vicino il Monte degli Ebrei della pantomima pesarese, raffigurato nel manoscritto vaticano:

Di poi similmente ne venne una montagna, de bosco circundata, nel cui corpo era a modo una spelonca, dove Diana cum octo nymphe dimorava, et danzando andò a diposare quasi a lato la torre, da l’altro canto (Basile, Scioli 2014, 81-2).

Nella più complessa scenografia della fabula allegorica bolognese gli apparati scenografici mobili vengono disposti uno a fianco all’altro, a guisa di luoghi deputati della tradizione medievale. In entrambi i casi però l’assetto scenografico è suddiviso in un proscenio superiore, riservato alle divinità pagane, e un proscenio inferiore, secondo un assetto verticale che si ritrova nelle prime opere teatrali di fine Quattrocento. L’uso di un proscenio superiore che ospita le divinità pagane o le virtù allegoriche è comprovata dalle didascalie che accompagnano il Timone di Matteo Maria Boiardo la cui datazione è incerta ma collocabile tra il 1486 e il 1494, anno della morte di Boiardo (Acocella e Tissoni Benvenuti 2009, 42-3). Le didascalie conservate nell’editio princeps postuma del 1500 (Boiardo 1500) fanno ripetuti riferimenti ad un proscenio superiore, che rappresenta l’Olimpo dove si svolgono alcune scene del primo atto e il secondo atto nella sua interezza, mentre i rimanenti tre atti hanno una ambientazione terrena (Tissoni Benvenuti e Mussini Sacchi 1983, 478).

2 | Pantomima di Rut e Booz, miniatura, 1475, ms.Urb. Lat. 899, Roma, Biblioteca Vaticana, c. 91r; 3 | Immagine dal V atto dell’Eunuco di Terenzio, xilografia, 1497, Venezia, c. 89v.

La miniatura a piena pagina che illustra la pantomima di Booz e Rut [Fig. 2] offre una testimonianza unica della gestualità teatrale quattrocentesca. Lo spiritello-nunzio ha il braccio teso in un gesto allocutorio per richiamare l’attenzione del pubblico, Booz è ritratto in un gesto di preghiera rivolto a Costanzo affinché accolga benignamente la sua richiesta. Rut, il cui corpo emerge solo in parte dall’antro, ma ha la mano appoggiata sull’apertura dell’antro e lo sguardo rivolto al pubblico. Questa posizione liminale di un personaggio scenico si trova rappresentata nelle xilografie che illustrano le edizioni di Terenzio stampate a Venezia a partire dal 1497 per indicare un personaggio teso nell’atto di origliare lo scambio di battute che si svolge sulla scena, come ad esempio Pizia nel quinto atto dell’Eunuco. La tassonomia complessa dei gesti teatrali delle prime edizioni a stampa veneziane e il loro rapporto con la prima edizione illustrata a stampa delle commedie di Terenzio, pubblicata a Lione dall’editore Trechsel nel 1493, esula dal modesto scopo di questo contributo. È importante però notare come queste prime edizioni illustrate riflettano la pratica teatrale contemporanea in un momento in cui lo studio della ricca tradizione commentaristica e iconografica di Terenzio rappresenta un referente essenzionale per lo sviluppo del teatro di fine Quattrocento (Torello-Hill, Turner 2020).

La duttilità della festa sponsale rinascimentale consente ad artisti e poeti di cimentarsi in sperimentazioni in cui la combinazione di testo, gesti, musica, e coreografie offre al pubblico un’esperienza immersiva sinestetica e multimodale. Il concorso di pubblico che presenzia agli spettacoli, inclusi ambasciatori, intellettuali e dignitari determina una circolazione di idee e una mobilità di autori, artisti e artigiani senza precedenti che produce effetti destinati a durare nel tempo.

Riferimenti bibliografici

Manoscritti e incunaboli

Bibliografia critica

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English abstract

The text discusses the Renaissance wedding celebration and its importance in promoting artistic experimentation and cultural exchange. The author highlights the multifaceted nature of these events, which combined text, gestures, music, and choreography to create an immersive and synesthetic experience for the audience. The text emphasizes the significance of the public who attended these spectacles, which included ambassadors, intellectuals, and dignitaries, in promoting the circulation of ideas and facilitating mobility for artists and artisans. The author specifically examines a miniature illustration depicting the pantomime of Boaz and Ruth, which offers a unique insight into the theatrical gesturing of the 15th century. The article also briefly touches upon the complex taxonomy of theatrical gestures in early Venetian printed editions of Terence's plays, highlighting their relationship with contemporary theatrical practices. Overall, the article underscores the vital role of Renaissance weddings in shaping the artistic and cultural landscape of the time.*

*The English abstract above was written by ChatGPT and strictly unedited by the editors of this issue (> Editoriale). This sentence itself was automatically translated with DeepL.

keywords | Renaissance Feast; Wedding Sforza-Aragona 1475; Pantomime.

Per citare questo articolo / To cite this article: G. Torello-Hill, L’iconografia della festa rinascimentale. Il manoscritto Urb. Lat. 899 della Biblioteca Apostolica Vaticana, ”La rivista di Engramma” n.200, vol.2, marzo 2023, pp. 299-308 | PDF

doi: https://doi.org/10.25432/1826-901X/2023.200.0029