"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

200 | marzo 2023

97888948401

Filmare la festa

I misteri (2022) di Daniele Greco e Mauro Maugeri

Stefania Rimini

English abstract

Ma una festa religiosa – che cosa è una festa religiosa in Sicilia? Sarebbe facile rispondere che è tutto, tranne che una festa religiosa (ma con una grande eccezione, come vedremo). È, innanzi tutto, una esplosione esistenziale; l’esplosione dell’es collettivo, in un paese dove la collettività esiste solo a livello dell’es. Poiché è soltanto nella festa che il siciliano esce dalla sua condizione di uomo solo, che è poi la condizione del suo vigile e doloroso super-io (stiamo impiegando con approssimazione i termini della psicanalisi), per ritrovarsi parte di un ceto, di una classe, di una città (Sciascia [1965] 1987, 17).

Nell’accompagnare gli scatti di Ferdinando Scianna, Leonardo Sciascia consegna alcune riflessioni destinate a creare scompiglio per la sottolineatura del carattere intimamente ‘irreligioso’ delle feste sacre isolane, quasi una delegittimazione del cattolicesimo siciliano per alcuni critici. Al di là delle polemiche, innescate da un articolo di Fortunato Pasqualino sulle colonne dell’“Osservatore Romano”, quel che più conta rilevare è la forza del ‘discorso fotografico’ di Scianna, capace di isolare frammenti d’estasi, attimi di feroce pathos rituale, che le parole di Sciascia contribuiscono a ridefinire alla luce della preziosa tassonomia di Polese (vedi Polese 1912). Le immagini pubblicate si riferiscono infatti a eventi folklorici che lo scrittore rubrica secondo specifiche categorie: “sette su tema liturgico (la Settimana Santa, il venerdì in particolare, a Collesano, San Fratello, Petralia, Prizzi, Ventimiglia, Ciminna ed Enna); tre su tema leggendario e di fondo miracoloso (la Madonna del Monte a Racalmuto, San Rocco a Butera, Santa Fortunata a Baucina); due a carattere stagionale (l’Assunta a Bagheria, San Giuseppe a Misilmeri); una di acculturazione etnografica (Santa Rosalia a Palermo); una a carattere processionale-espiatorio (Sant’Alfio a Trecastagni e a Lentini)” (Sciascia [1965] 1987, 18). Questo fitto elenco consente a chi guarda di ricavare la trama di un itinerario, di disegnare una sorta di atlante di gesti e pose, di immaginare i sentieri di una geografia dell’anima, che in Sicilia continua a infiammarsi grazie alla persistenza di pratiche rituali che risemantizzano gli spazi pubblici attraverso il recupero di segni e simboli del sacro. Contrade, paesi, città e borghi sono ancora il perimetro di processioni durante le quali è facile riconoscere il riverbero di quella “esplosione esistenziale” annotata da Sciascia, indice di una partecipazione accesa, irruente, in cui devozione e fanatismo si inseguono, si sovrappongono, secondo schemi di rinnovata agency collettiva.

Se le foto di Scianna rimangono come cristalli di un tempo immobile, per sempre consegnati a una vibrante scuola dello sguardo, il cinema non-fiction prova a ‘pedinare’ – sulla scorta della lezione demartiniana – le forme di una religiosità festosa, in bilico fra protocolli liturgici ed effervescenze spettacolari. La fitta stagione del documentario italiano del dopoguerra si colora di tinte mitico-sacrali, legate alla rappresentazione di riti culturali, a pratiche e credenze contadine, a tratti di superstizione millenaria. L’obiettivo della macchina da presa ha testimoniato e a suo modo reinventato, attraverso stili di ripresa spesso anarchici, cerimonie e atti performativi carichi di risonanze ancestrali: è il caso di Stendalì di Cecilia Mangini, o de La taranta di Gianfranco Mingozzi, esempi di poetiche capaci di aderire alla superficie del reale senza rinunciare a un’intensa patina di antico (vedi Rimini 2021). Si tratta di una produzione variegata, rimasta per lo più ai margini dei circuiti produttivi e della critica, ma ancora in grado di rivelare tutto il mistero di tradizioni ibride, legate a un’idea di Sud atavico, sul quale Ernesto De Martino avrebbe esercitato tutta la sua forza. Immersi in atmosfere sospese, quasi atemporali, questi film costituiscono oggi un patrimonio di storie unico per intensità e calore, poiché restituiscono frammenti di esistenze e riti perduti, lacerti di paesaggi per lo più trasformati dall’azione di un progresso spesso ingiusto, dimentico del respiro del mito.

Al fitto catalogo delle opere etnografiche, che Ivelise Perniola riconosce nel segno di una forte presenza dell’uomo, come espressione di un “per-turbamento attraverso la percezione che il nostro essere presente […] riconduce nell’intimo ad una primitività di pensiero” (Perniola 2004, 170), si aggiunge un piccolo esperimento votato alla registrazione di usi e pratiche festive siciliane accomunate proprio dal persistere di una dimensione ancestrale, connessa agli elementi ontologici della natura (acqua, aria, fuoco, terra), che diventano i capitoli di un’inedita flânerie visuale. I misteri (2022) è un documentario per certi aspetti atipico, scritto e diretto da Daniele Greco e Mauro Maugeri dentro la cornice di Sicily Folk doc, un progetto seriale in quattro episodi ricomposti poi in una narrazione unica. La scelta drammaturgica di raccontare la sopravvivenza di feste popolari isolane risponde al bisogno di indagare lo spirito identitario di città e borghi ancora legati alla dialettica fra tempo del lavoro e tempo del rito; l’osservazione diretta delle fasi preparatorie della cerimonia consente ai due autori di recuperare la fatica e l’operosità di intere comunità, restituendo così la paradossale coesistenza di fede ed eccesso, pathos e furore. Alla base del racconto c’è la forza di una ricerca sul campo, di matrice antropologica, ovvero la volontà di ricomporre le traiettorie di celebrazioni spesso poco conosciute, a volte addirittura osteggiate perché ritenute pericolose, nel contesto di una modernità spesso disarmante, vuota. Nell’accostarsi ai ritmi di una sacralità fuori misura, i due documentaristi decidono di combinare l’attenzione al paesaggio, al dato atmosferico, con la minuta messa in scena di corpi e persone nel tentativo di confondersi con le popolazioni locali, di aderire a logiche comunitarie non scritte, che la macchina da presa riesce a documentare quasi senza sforzo, semplicemente confondendosi tra la folla, raschiando i muri, attraversando strade, piazze, distese di campi.

Il riferimento ai quattro elementi cardinali del paesaggio serve a precisare meglio le coordinate diegetiche e a orientare lo sguardo: tutti gli episodi sono ambientati in una località siciliana e poggiano sull’intervallo fra essenza del rito e materialità dello spazio.  La grammatica compositiva del film appare essenziale e necessaria, ogni piano incide il reale e riscrive il tempo della festa, secondo direzioni di senso spesso enigmatiche. I misteri evocati dal titolo appartengono certamente al registro liturgico ma richiamano altresì la rarefazione del racconto, il rapporto tra la sospensione dell’attività lavorativa e l’esplosione della dimensione carnale dell’evento. L’assenza di apparati retorici (commento in voice over, musica extradiegetica, didascalie) rende la narrazione asciutta, fatale: a prevalere è la plasticità delle forme, l’essenza dei luoghi, la fisicità di gruppi umani colti nel vivo di gesti assoluti, che interrompono l’ordinarietà del quotidiano. L’unico appiglio è l’evidenza della superficie, l’ineluttabile catena di atti che avvicina la comunità al principio della devozione. Dentro questa cornice di esistenze in festa, il reale è la somma di istanti indicibili.

Acqua

Il primo capitolo del film è dedicato all’acqua e viene girato fra Santa Maria la Scala e Acireale; al centro della rappresentazione c’è l’ebbrezza dell’estate, la frenesia dei tuffi a mare, lo svago delle vacanze per ragazzi e ragazze, il rito della pesca per intere famiglie di pescatori. Le comunità raccontate in questo frammento vivono con naturalezza l’affacciarsi della stagione più calda, fra pranzi e momenti di riposo, chiacchiere e abbandoni. Il mare è un campo di battaglie e avventure, lo spazio liquido che accoglie corpi carichi di energia, avidi di giovinezza o segnati dal lavoro. L’occasione è quella della Festa della Madonna della Scala, a cui sono dedicati giorni di febbrile trasporto, fra gare in barca, fuochi serali, processioni e liturgie in Chiesa. Tutti gli angoli di Santa Maria la Scala sono addobbati, bambini, donne e uomini vivono senza riserve gli istanti del rito, lasciando che la macchina da presa isoli gesti e scorci, secondo un’osservazione partecipata ed estatica [Figg. 1-6].

1-6 | Fotogrammi da I misteri, di D. Greco e M. Maugeri, 2022.

Scanditi da un montaggio chirurgico, i piani del film alternano scene corali, gravide di vita, a inquadrature sghembe, in cui i dettagli del paesaggio o di volti e oggetti descrivono l’anomalia dell’irruzione del sacro nel cerchio dell’esistenza. I pochi fotogrammi raccolti in questo primo album cristallizzano alcune delle spinte del progetto: si tratta di attimi che descrivono l’intermittenza fra stasi e movimento, pieni e vuoti, persone e cose, in un ritmo che procede a sbalzi, con accelerazioni improvvise e una sostanziale lentezza, sintomo di un atteggiamento contemplativo. Il primo fotogramma incarna proprio lo spirito di una fanciullezza quieta ma impavida, capace di occupare spazi proibiti, senza alcuna esitazione. Il secondo allude alla intensa declinazione di vitalità, estro e senso del proibito, il tutto affidato a un close up azzardato, che esalta il talento decorativo delle maestranze locali, la devozione verso i simboli rituali, l’oltranza dello stare in equilibrio fra passato e futuro. Il terzo frame rappresenta invece il culmine di una disposizione orgiastica, carnale, in cui la folla dei fedeli satura i margini del quadro, preme ai bordi e ribalta la vertigine del sacro. Il quarto e il quinto fermo immagine rendono omaggio alla liquidità del mare, al senso della superficie capovolta, regno dei solidi e delle ombre: qui i contorni sfumano, le silhouette si smarginano mentre i riverberi argentati delle luci notturne sembrano disegnare enigmatici solchi, quasi una radiografia del buio. La dimensione propriamente liturgica occupa l’ultimo tratto dell’episodio, con le stradine del paese addobbate e il corteo di devoti che porta in giro il feretro della Madonna, fino a spingersi in acqua, a ribadire l’ontologica necessità di prendere contatto con l’elemento naturale. L’equilibrio dei colori, la simmetria dei piani, la caotica disposizione del corteo ribadiscono il carattere eterodosso delle feste siciliane, segnate dal tripudio di un’energia ludica, a tratti sfrontata, eppure poeticissima.

Aria

Il secondo capitolo dei Misteri si apre nel segno di una forte dislocazione spaziale: i vicoli serrati di Santa Maria la Scala cedono il passo alle alture petrose di Randazzo, alle pendici dell’Etna, un paesaggio in cui la terra sembra davvero riuscire a sfiorare il cielo, in una forte spinta verso l’alto. La mutata cornice geografica fa scivolare il racconto nei sentieri della fiaba; qui il rito della Madonna dell’Assunta si compie secondo un protocollo rigorosamente studiato, che vede al centro della scena i bambini del luogo, impegnati in prove e travestimenti, canti e balli, prima di un’azione performata che li vede pericolosamente ancorati a una struttura svettante [Figg. 7-12].

7-12| Fotogrammi da I misteri, di D. Greco e M. Maugeri, 2022.

Anche in questo caso la trama si snoda attraverso il rapporto tra la forma della città e la partecipazione degli abitanti: se gli adulti sono impegnati a cucire i vestiti e a mettere in sicurezza la struttura mobile, le bambine e i bambini si preparano a vestire i panni di angeli, soldati e madonne, dando sfogo alla loro naturale vocazione per il ‘gioco del teatro’. La dialettica fra sacro e profano si affaccia nuovamente, con toni meno stridenti perché la gaia innocenza dei piccoli trasforma il racconto in una sorta di reverie, nella quale capita di vedere le navate della chiesa invase da un’onda di ragazzine in rosa, pronte a cantare con le facce di topolina dipinte sulla maglietta e l’espressione estatica. L’acme dell’episodio si consuma durante la sfilata della torre meccanica, a cui sono legati i piccoli personaggi di questa leggendaria rappresentazione. Nell’accompagnare per le vie questa specie di parete mobile, la macchina da presa sceglie angoli azzardati, insoliti, che sottolineano con forza la verticalità di un’azione quasi acrobatica, capace di togliere il fiato. I fotogrammi che abbiamo scelto come breve atlante della vertigine descrivono proprio la dimensione trasognata del rito, la ‘beatitudine’ dei piccoli protagonisti, ignari del pericolo e sempre pronti a sorridere e a sorprendere chi li osserva da strade e balconi. La processione è per chi sta in alto, il corteo spezza davvero l’aria del borgo e trasforma un paesino siciliano nella succursale di una specie di giostra celeste, rutilante e ineffabile.

Fuoco

Il passaggio a Tortorici avviene senza strappi, secondo un naturale avvicendarsi di spazi e gruppi umani. Fin dalle prime inquadrature si intuisce che la comunità rinnova il rapporto con la tradizione, riattivando mestieri antichi e dando senso ai ritmi delle stagioni. Il lavoro nei campi e la preparazione del fuochi di artificio sono un rito nel rito, pratiche che eternano regimi di sussistenza premoderni, al riparo dalle sferzate del progresso. Più che nei primi due episodi qui è in ballo la fisicità dello scambio tra fedeli e paradigmi cerimoniali; le processioni a piedi nudi, il salto oltre il falò, i codici vestimentari documentano l’ineluttabilità del sacro, la necessità di compiere azioni sacrificali per meritare una grazia, allontanare le minacce, o semplicemente corrispondere sentimenti di riconoscenza. Anche la Festa di San Sebastiano vede insieme adulti e bambini, in osmotica compartecipazione di energie e rischi; se la torre meccanica presentava qualche insidia, i giochi di fuoco aggiungono al ‘sistema’ della liturgia un momento di transizione affascinante quanto impervio, che il montaggio serrato restituisce in tutta la sua evidenza. Prima ancora che la colonna si infiammi è la processione a piedi scalzi sulle sponde del fiume a occupare i fedeli, rigorosamente vestiti di bianco, disposti su più livelli, secondo una coreografia geometrica che complica le operazioni di ripresa ma esalta la dimensione propriamente rituale [Figg. 13-18].

13-18 | Fotogrammi da I misteri, di D. Greco e M. Maugeri, 2022.

Le sei inquadrature scelte come istantanee sottolineano una volta di più la stretta contiguità fra la natura dei luoghi, lo spirito di comunità e la forma della festa: nel rinnovare il tributo al Santo tutti gli abitanti ‘performano’ il quotidiano, attraversano la soglia liminale propria di ogni iniziazione e raggiungono momenti d’estasi, qui accentuati dalla sfida al fuoco, vissuta con furore e una buona dose di incoscienza. Il calore della fiamma rappresenta il punctum della cerimonia, il principio di rigenerazione che, insieme al rintocco delle campane, dà avvio a un nuovo inizio.

Terra

L’ultimo capitolo di questo commovente saggio di antropologia visuale è girato a Capizzi in occasione della Festa di San Giacomo. L’incipit richiama anche in questo caso la dimensione agreste del territorio, l’equilibrio fra natura ed economia locale, la simmetrica divaricazione dei ruoli, l’attenzione meticolosa ai preparativi del rito. Il dietro le quinte della festa appare serrato; mentre il formaggio ‘quaglia’ sotto il vigile controllo di un gruppo di donne, gli uomini sistemano il fercolo, lucidano gli arredi sacri, dirigono coro e orchestra. Il fervore dei cittadini testimonia l’adesione convinta al paradigma festivo, l’urgenza di condividere un’esperienza fuori dall’ordinario, che anche in questo caso – come già per San Sebastiano a Tortorici – comprende tratti di barbarica violenza [Figg. 19-24]. 

19-24 | Fotogrammi da I misteri, di D. Greco e M. Maugeri, 2022.

Il clou del rito prevede infatti l’invasione delle stradine del paese da parte di un corteo che preme e pressa, la folla segue il percorso del fercolo, si accalca, in preda a un’eccitazione febbrile. La sequenza centrale di questo episodio documenta ed esalta le riflessioni di Sciascia: l’“esplosione dell’es collettivo” è la cifra peculiare del tributo a San Giacomo, la manifestazione di uno scatenamento corale che coincide con il senso vivo dell’appartenenza alla città, e in ultimo alla terra. Le poche immagini rubate al flusso del racconto incarnano lo spirito nativo della comunità e ribadiscono la qualità della regia, l’afflato verso una materia certamente incendiaria.

I due autori chiudono il documentario tornando a mostrare – in un compendio visivo di grande intensità – alcuni piani degli altri episodi nel tentativo, senza dubbio riuscito, di riannodare i fili del racconto, di recuperare il senso di continuità di tutta l’operazione. Quello che emerge è l’attitudine verso i modi di un’osservazione paziente e partecipe: la macchina da presa rimane invisibile ma il suo occhio si muove con sottigliezza, riuscendo a confondersi con spazi e persone. Al di là del fascino indiscreto dei riti, di cui si esalta la matrice popolare e identitaria, è il lavoro di cucitura del racconto a sorprendere, la misura di uno sguardo responsabile e poetico, sempre dentro le situazioni ma senza mai ingombrare il campo. Distante dagli eccessi del folklore, I misteri ci ricorda quanto il cinema, nelle condizioni migliori, sia in grado di costruire “uno spazio autentico, capace di fondersi con l’uomo e di far corpo con il suo vissuto” (Parigi 1991, 15).

Riferimenti bibliografici
  • Bertozzi 2012
    M. Bertozzi, Storia del documentario italiano, Venezia 2012.
  • Gugg 2012
    G. Gugg, Sciascia, Pasqualino e la religiosità popolare siciliana. Una lettura antropologica, in C. De Caro, C. Vecce, L’eredità di Leonardo Sciascia, Napoli 2012, 143-156.
  • Perniola 2004
    I. Perniola, Oltre il neorealismo. Documentari d’autore e realtà italiana del dopoguerra, Roma 2004.
  • Parigi 1991
    S. Parigi, Francesco Maselli, Firenze 1991.
  • Polese 1912
    F. Polese, Le feste popolari cristiane in Italia, Perugia 1912.
  • Rimini 2021
    S. Rimini, “In questa terra oscura”. La ritualità del dolore nei documentari etnografici di Mangini e Mingozzi, in De Martino e la letteratura, a cura di P. Desogus, R. Gasperina Geroni, G.L. Picconi, Roma 2021, 210-221.
  • Sciascia [1965] 1987
    L. Sciascia, Una candela al santo una al serpente, in Id., Feste religiose in Sicilia. Fotografie di Ferdinando Scianna, Palermo 1987.
English abstract

The time of celebration has been at the center of a successful documentary season which, starting after the Second World War, has investigated the shadowy and light areas of the liturgical traditions of the South of Italy. Driven by the desire to explore the permanence of popular traditions, Daniele Greco and Mauro Maugeri film groups of Sicilian communities involved in the preparation of city cerimonies by delivering a work, I misteri (2022), which crystallises the uncanny dialectic between the sacred and the profane, identity and landscape.

keywords | Non-fiction Cinema; Visual Anthropology; Liturgical Ceremony; Southern Italy Archives.

Per citare questo articolo / To cite this article: S.Rimini, Filmare la festa. I Misteri (2022) di Daniela Greco e Mauro Maugeri, ”La rivista di Engramma” n.200, vol.2, marzo 2023, pp. 221-228 | PDF

doi: https://doi.org/10.25432/1826-901X/2023.200.0047