"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

200 | marzo 2023

97888948401

ἀλαλάζοντας (Mc. 5.38), un grido di festa?

Damiano Acciarino

English abstract

L’episodio evangelico della cosiddetta “resurrezione della figlia di Giairo” (Mc. 5.21-43; Mt. 9.18-26; Lc. 8.40-56) non sfuggì durante il Rinascimento alle attenzioni della filologia neotestamentaria. Vi si narra che Cristo, dopo aver compiuto i noti miracoli in terra di Jérash, venne implorato da un rabbino di salvare la propria figlia gravemente ammalata. Giunto in prossimità della casa ove si trovava la fanciulla esanime, che una turba colà radunatasi, tra lamenti e strepiti, già aveva dato per morta, Cristo, con il semplice gesto di prenderla dolcemente per mano, la riporta in vita, così vincendo anche le irrisioni dei più scettici che ne avevano accompagnato l’impresa.

Al di là della natura prodigiosa degli eventi, l’interesse nei confronti del passo era principalmente destato dal clamore alzato dalla folla, che, nella versione di Marco, veniva espresso dall’accostamento dei verbi κλαίω e ἀλαλάζω, posti addirittura in endiadi (5.38: κλαίοντας καὶ ἀλαλάζοντας). Gli umanisti, in genere, tendevano a interpretare i termini in maniera binaria, ascrivendo un’accezione negativa al primo, ‘piangere’, e una positiva al secondo, ‘esultare in modo festoso’. Tale discrepanza, tuttavia, se contestualizzata nello svolgersi dell’episodio – cioè in un momento di tristezza dovuta alla morte della giovane – alimentava un sospetto di corruttela testuale, dando l’impressione che la combinazione fosse incompatibile.

1 | Agnolo Bronzino, Resurrezione della figlia di Giaro, 1570-1572, Firenze, Santa Maria Novella, Cappella Gaddi.

Il Medioevo, che limitava l’esegesi della Bibbia alla Vulgata latina, si trovava invece di fronte a un passo obiettivamente non problematico, giacché Girolamo aveva trasposto senza ambiguità la dittologia nel campo semantico delle lamentationes (et vidit tumultum flentes et eiulantes). Tant’è che l’unica interpretazione inerente era di carattere allegorico, inclusa già nella Glossa Ordinaria via Beda il Venerabile (In Evang. S. Marc. II [PL 92.0182C]: Et laetentur, inquit, omnes qui sperant in te, in aeternum exsultabunt [Ps. 5.12], et inhabitabis in eis. Quia vero Synagoga laetitiam hanc dominicae inhabitationis merito infidelitatis amisit, quasi inter flentes et ejulantes mortua jacet) e ripresa negli stessi termini da Tommaso d’Aquino (Catena aurea in Marcum 5. 3. 106), per cui i pianti e gli ululati della folla rappresentavano la tristezza di coloro che non riuscivano a riconoscere l’avvento della verità cristiana.

Il primo a interrogarsi sulla questione fu Lorenzo Valla, nelle Adnotationes al Nuovo Testamento, che si fondavano appunto sulla collazione sistematica tra testo greco e traduzione latina (Valla 1505, f. XIIIr). Il significato di ἀλαλάζω al Valla appariva in contrasto con quello di eiulare scelto da Girolamo; e, sebbene l’adozione di iubilare sarebbe risultata forse più corretta dal punto di vista lessicografico, nondimeno la traduzione di Girolamo suonava d’indubbia bontà (sed proprie tamen translatum est), considerando il contesto funebre del passo – iubilare, infatti, aveva una sfumatura di clamore indefinito, una carica neutra di estrazione rustica evidenziata bene da Varrone (lin. 6. 7. 68: ut quiritare urbanorum, sic iubilare rusticorum). Questa puntualizzazione non appare estemporanea, bensì inserita in una tradizione che altrove aveva finito per interpretare il termine, nonostante l’occasione di lutto, come l’innalzarsi di un canto soave (Quo magis miror eos qui volunt esse suavem vocem et cantum, ἀλαλάζοντας) – tradizione che, almeno in questa sede, non è stato possibile ricostruire.

Ancorché l’interpretazione del Valla potesse convincere dal punto di critico, dal punto di vista ecdotico sollevava comunque incertezze, almeno secondo Erasmo, che preferiva riconoscere in ἀλαλάζω l’emissione di suoni confusi e disarticolati (Erasmo 1516, 302: strepere, ac tinnire), come quelli, avrebbe aggiunto poco dopo Hadrianus Iunius (1548, ad ind.), dei Lebetes Dodonaei, pensando a Servio glossatore di Virgilio (Aen. 3. 446: dodonaeosque lebetas, spiegato Lebes fuit aeneus […] quoties scilicet a vento agitabantur, diu resonare faciebant). Proprio per questo motivo, il filologo fiammingo non reputava applicabile al passo evangelico l’equivalenza varroniana addotta dal suo antesignano. Ne conseguiva che la lezione tradita dal testo greco non era affidabile, aprendo alla possibilità di emendare. Così, partendo dal presupposto che il significato del verbo in questione non pertenesse al contesto del passo, Erasmo proponeva di sostituirlo con l’onomatopeico ὀλολύζω (‘lamentarsi’, ‘gemere’) – non dissimile da ἀλαλάζω dal punto di vista grafico, cosa che peraltro provava anche a spiegare la genesi dell’errore. La congettura era comunque fondata in altri passi biblici, per esempio nei Salmi, dove, il termine ebraico הָרִ֥יעוּ (hā·rî·‘ū), ovvero ‘esultare’ o ‘gridare di gioia’, era reso dai Settanta con ἀλαλάζω e da Girolamo con iubilare, suffragando l’emendazione del greco in nome del parallelismo con la prassi interpretativa del latino.

Ai sostenitori della congettura erasmiana si sarebbe aggiunto Teodoro Beza, ma solo nella terza e ultima edizione del suo commento neotestamentario (Beza 1589, 161) – innanzi (1556-57 e 1565) il problema è ignorato. Beza giustificava l’emendazione in base al principio analogico per cui le differenze grafiche e fonetiche che determinavano lo scarto di significato tra ἀλαλάζω e ὀλολύζω trovavano un corrispettivo con l’ebraico הלל (hallel) ‘lodare’ e ילל (yillel) ‘piangere’, ma anche con il francese, dove alla disperata esclamazione helas veniva associata quella di senso opposto [oh] là là. Inoltre, si faceva per la prima volta presente che, altrove, l’uso di ἀλαλάζω implicava l’emissione di suoni mediante la percussione dei piccoli piatti bronzei noti come cymbala – così almeno stando a San Paolo [1. Cor. 13. 1: ἢ κύμβαλον ἀλαλάζον].

Contro Erasmo e Beza si poneva invece Isaac Casaubon nelle Variae lectiones neotestamentarie (1615, 394). Qui si stupiva di come i suoi predecessori potessero sostenere la congettura ὀλολύζω pro ἀλαλάζω. Se considerato nella sua reale accezione, ὀλολύζω infatti non poteva svolgere le funzioni che il contesto funerario dell’episodio implicava. Casaubon riteneva che ὀλολύζω significasse ‘esultare’ o ‘cantare con gioia’, specificamente nei riti religiosi, in base a quanto riferito da Erodoto (4. 189. 3: δοκέει δ’ ἔμοιγε καὶ <ἡ> ὀλολυγὴ ἐπὶ ἱροῖσι ἐνθαῦτα πρῶτον γενέσθαι). Donde poteva affermare che le occorrenze di ὀλολύζω in contesti lugubri erano rarissime, al punto che il termine, quando adottato con tale accezione, non era scevro da controversie – come accaduto proprio ai Settanta (Is. 52. 5: θαυμάζετε καὶ ὀλολύζετε), i quali non erano riusciti a distinguere ὀλολύζω ‘gioire’ da ὀλοφύρεσθαί ‘lamentarsi’ (Theodoret. Comment. in Isaiam, 16. 432-438). E nonostante nella lettera di San Giacomo (5. 1: πλούσιοι κλαύσατε ὀλολύζοντες) si attesti in senso negativo – peraltro in combinazione proprio con κλαίω, cosa che finiva per sostenere l’eventuale emendazione del Vangelo di Marco (5. 38) – la maggioranza delle occorrenze di ὀλολύζω nel corpus della letteratura greca rimanevano positive (Hom. Od. 22. 411: ἐν θυμῷ, γρηῦ, χαῖρε καὶ ἴσχεο μηδ’ ὀλόλυζε; Aeschyl. Agam. 1117-1118: στάσις δ’ ἀκόρετος γένει / κατολολυξάτω θύματος λευσίμου; Eurip. Med. 1176-1177: εἶτ’ ἀντίμολπον ἧκεν ὀλολυγῆς μέγαν κωκυτόν).

Si capisce dunque perché, probabilmente tra secondo e terzo decennio del Seicento, il filologo olandese Johannes Isacius Pontanus, in una lettera senza data indirizzata al collega tedesco Georg Pasor, intervenisse sulla questione. Pasor, impegnato nell’allestimento di un Manuale Novi Testamenti (1628, 16-17), aveva interpellato il Pontanus sull’uso di ἀλαλάζω in Marco, per sondare la tenuta delle interpretazioni a sostegno della congettura ὀλολύζω.

2 | Domenico Morelli, La resurrezione della figlia di Giairo, 1874, collezione privata.

Pontanus, tuttavia, era incerto (Matthäus 1740, 279). I suoi dubbi sorgevano dalla lettura sinottica del passo di Marco con gli altri Vangeli, in particolare Matteo (9. 23), in cui, pur non comparendo ἀλαλάζω, si evocava tra la folla chiassosa la presenza di flautisti (αὐλητὰς). Ciò gli consentiva di difendere la lezione a testo, almeno per induzione. Gli strumenti musicali, infatti, avrebbero giustificato l’uso del termine, come confermato anche dal passo paolino indicato da Beza. Curioso, comunque, come la presenza di strumenti musicali in rappresentazioni del soggetto risulti rara: si segnalano [Figg. 1 e 2] il Bronzino della Cappella Gaddi (1571 ca.), che ritrae solo un flauto, peraltro moderno – ma ciò già bastava ai suoi contemporanei per giudicare l’opera estremamente fedele alle fonti (Borghini 1584, 91: “le quai cose tutte benissimo si vedono espresse nella pittura”) – e Domenico Morelli (1875), che include sia cembali che flauti (Gardonio 2016, 205-212), dimostrando un’intelligenza fuori dal comune dei passi, debitrice certo dell’antiquaria dei secoli diciassettesimo e diciottesimo, per capirsi, di Michel Ange de la Chausse (de la Chausse 1746, vol. 2, 23-50) e i suoi precursori [Figg. 3 e 4].

Dunque, ἀλαλάζω era coerente, almeno sul versante testuale; ma come porlo in armonia con la morte della fanciulla? La soluzione di Pontanus spicca per originalità. Evocando esempi da Petronio (129. 7) e Gellio (20. 2. 1-3), sosteneva che in antichità la presenza di suonatori era affatto inusuale durante i momenti di lutto. Anzi, in quest’ottica, il verbo avrebbe significato il sollevarsi di un canto lugubre (Matthäus 1740, 279: Hae canationes erant tono lugubri. Naeniae ac lessus dictae). Determinato così il tono del canto, Pontanus ne coglieva un’altra sfumatura, accostandolo al grave suono dei corni a lutto, come in Stazio (Theb. 6. 118), il quale esprimeva l’azione mediante il verbo iugo (o iugio), inf. iugere – da Paolo Diacono (Paul. Fest. 104), Varrone (Men. 464) e Isidoro di Siviglia (diff. 1. 607) ascritto al verso del nibbio (cfr. anche Scaliger 1575, lxx), quindi una sorta di stridio – sebbene, a ragion del vero, le edizioni moderne di Stazio preferiscano il più consono mugit pro iugit. Pontanus concludeva che ἀλαλάζω poteva essere tradotto con iugo, anche in analogia con l’olandese juichen (‘gridare [di gioia]’), in cui era possibile coglierne l’etimo.

Forse proprio dall’etimo di quest’ultima voce latina, iugo > iugilo > iubilo, (Ernout-Meillet 1951, 326), è possibile intuire donde scaturisse la problematicità del passo agli occhi degli esegeti rinascimentali. Infatti, iubilare, dal punto di vista etimologico, possedeva una connotazione neutra, non inclinante alla gioia, come invece secondo l’uso radicatosi nei secoli attraverso l’ambito ecclesiastico. Dunque, se ἀλαλάζω nei molteplici processi di traduzione dei testi sacri era sovente associato a iubilo, quest’ultimo termine, agli occhi dei lettori del sedicesimo e diciassettesimo secolo, finiva in qualche maniera per proiettarvi una notam laetitiae (Matthäus 1740, 279) capace di orientarne anche la percezione del significato. Ma se, al contrario, si considerano i termini come non orientati emotivamente, ci si rende conto, in base all’uso, che la neutralità di iubilo è la medesima di ἀλαλάζω, facendo sì che la traduzione di Girolamo, eiulo, fosse perfettamente coerente col senso del passo in base al contesto, e non necessitasse di emendazione alcuna, come peraltro notato già dal Valla.

3, 4 | Tavola I e Tavola VII, da: Michel-Ange de la Chausse, Romanum museum sive Thesaurus eruditae antiquitatis in quo proponuntur, ac dilucidantur gemmæ, idola, insignia sacerdotalia, instrumenta musica, vota, signa militaria, marmora & c. Opera, et studio Michaelis Angeli Causei De La Chausse, Roma 1746.

Nota

Quanto si legge in questo contributo ha potuto beneficiare di numerosi pareri di amici e colleghi, che ringrazio per la generosità e la pazienza: Emma Abate, per l’ebraico, Paolo Celi, per il Bronzino, Philippa Ovenden, per la musica. Ma sono soprattutto grato a Giovanni Grandi, lettore preclaro del Pontanus, per l’idea, e ad Antonia Karaisl, perché queste sono le cose importanti. 

Fonti
  • Beza 1589
    Testamentum Nouum, siue Nouum fœdus Iesu Christi, d.n. Cujus Græco contextui respondent interpretationes duæ: vna, vetus: altera, Theodori Bezæ, nunc quartò diligenter ab eo recognita. Ejusdem Annotationes, quas itidem hac quarta edit. accuratè recognovit, & accessione non parua locupletauit, Gèneve 1589.
  • Borghini 1584
    Il Riposo di Raffaello Borghini, in cui della pittura, e della scultura si fauella, de'piu illustri pittori, e scultori, e delle piu famose opere loro si fa mentione; e le cose principali appartenenti a dette arti s'insegnano, Fiorenza 1584.
  • Casaubon 1615
    Novi Testamenti libri omnes cum notis Isaaci Casauboni ; adjectae sunt variae lectiones omnes ; cum diligenti similium locorum collatione, Gèneve 1615.
  • de la Chausse 1746
    Romanum museum sive Thesaurus eruditae antiquitatis in quo proponuntur, ac dilucidantur gemmæ, idola, insignia sacerdotalia, instrumenta musica, vota, signa militaria, marmora & c. Opera, et studio Michaelis Angeli Causei De La Chausse, Roma 1746.
  • Erasmo 1516
    Nouum instrumentum omne, diligenter ab Erasmo Roterodamo recognitum & emendatum, non solum ad graecam ueritatem, uerumetiam ad multorum utriusque linguae codicum, fidem, Basilea 1516.
  • Iunius 1548
    Lexicon Græco Latinum denuo impressum, per vtriusque linguæ doctos & industriosos uiros primum utiliter collectum, deinde nuper per Conradum Gesnerum, & Arnoldum Arlenium, pari eruditione & diligentia philosophos, plurimis locis emendatum nouissimè par Adrianum Iunium, in Graecis secundum Budaeum, recognitione & numerosa accessione ita locupletatum & absolutum, Basilea 1548.
  • Matthäus 1740
    Tractatus contra vitam monasticam. Cui accedit Sylloge epistolarum: nimirum Andr. Alciati. Pauli Merulae. Ger. Jo Vossii. Obert. Giphanii. Bon. Vulcanii. Jo. Is. Pontani. Joan Meursii. Hug. Grotii. Lævin. Torrentii. Jani Gruteri. Adolph. Vorstii. M.Z. Boxohornii. Joa. Fr. Gronovii. Aub. Miræi. Tychon. Brahe. Petri Scriverii. Andr. Schotti. Const. Huygens. Aliorumque virorum clarissimorum, quae variam doctrinam continent. Nec non vetera aliquot Testamenta seculo 13. & initio sequentis scripta. Quae primus omnium in lucem protulit adjectis passim notis Antonius Matthaeus, Hagae-Comitum 1740.
  • Pasor 1628
    Manuale graecarum vocum Novi Testamenti, cui acc. tractatus de graecis Novi Testamenti accentibus auctore Georgio Pasore, Leiden 1628.
  • Scaliger 1575
    M. Verrii Flacci Quae extant. Sex. Pompei Festi De verborum significatione libri 20. Et in eos Iosephi Scaligeri. Castigationes nunc primum publicatae, Genève 1575.
  • Valla 1505
    Laurentij Vallensis. In Latinam noui testamenti interpretationem ex collatione Graecorum exemplarium adnotationes apprime vtiles, Paris 1505.
Riferimenti bibliografici
  • Ernout, Meillet 1951
    A. Ernout, A. Meillet, Dictionnaire etymologique de la langue latine: histoire des mots, Paris 1951.
  • Gardonio 2016
    M. Gardonio, Nato ad essere grandissimo e dalla maledetta fortuna assassinato”: un’opera ritrovata di Cherubino Cornienti, ‘La figlia di Giairo resuscitata dal Salvatore’, “AFAT” 35 (2016), 205-212.
English abstract

This contribution aims to study the Renaissance reception of the Greek word ἀλαλάζω, attested in a passage of the Gospel of Mark (5:38). In fact, between the fifteenth and the seventeenth century, this passage was an acknowledged philological riddle: from Valla’s notes on the New Testament onwards, scholars attempted to determine its lexicographic meaning and its sense in relation to the context. If Erasmus and Beza, according to various parallel occurrences, proposed to amend the text, Casaubon and Pontanus defended the reading transmitted, offering an extremely sophisticated antiquarian interpretation in order to explain what was hidden in the folds of tradition.

keywords | Renaissance; New Testament; Philology; Iconology; ἀλαλάζω.

Per citare questo articolo/ To cite this article: D.Acciarino, ἀλαλάζοντας (Mc.5.38), un grido di festa? ”La rivista di Engramma” n.200, vol.1, marzo 2023, pp. 15-22 | PDF

doi: https://doi.org/10.25432/1826-901X/2023.200.0057