"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

200 | marzo 2023

97888948401

La festa della vita

Un baskanion al Museo Archeologico al Teatro Romano di Verona

Alessandra Magni

English abstract

La recente mostra dedicata a Jheronymus Bosch nelle sale di Palazzo Reale a Milano ha offerto l’occasione per la visione autoptica di una coppia di acqueforti di Giovanni Andrea Maglioli (attivo tra il 1580 e il 1610) recanti ciascuna una “figura da capovolgere” (J.J. Perez Preciado, in Aikema, Checa Cremades, Salsi 2022, 41, n. 7). Le incisioni, racchiuse in un ovale definito da ornati vegetali tardomanieristici, mostrano ciascuna differenti combinazioni di volti umani e teste o parti di animali: il cavallo, il capro, l’ariete, il serpente.

Il piacere giocoso della trasformazione, di gusto arcimboldesco, e del confronto di volti e caratteri umani e animali sono ben ricordati nella scheda di José Juan Perez Preciado. Vorrei tuttavia chiosare quelle note individuando l’archetipo delle due figurazioni: esse infatti traggono ispirazione da una serie di intagli e gemme vitree con combinazioni di maschere o volti umani e, spesso, teste animali prodotti tra il I secolo a.C. e il II-III secolo d.C., a loro volta filiazione di modelli di ascendenza orientale ancora più antichi. Per tali gemme, definite chimerae (Agostini 1657-69, n. 204) o fascina (nel commento in latino di Jacob Gronovius - 1698 - a Gorlaeus 1601, n. 46: Lapatin 2011, 92), dapprima Anton Francesco Gori poi Johann Joachim Winckelmann utilizzano la dicitura grylloi (con riferimento a Plinio e ad altri autori antichi). Tale definizione, invalsa ancor oggi, è criticamente discussa in recenti studi (da ultimi, Lapatin 2011, che propone una disamina preliminare di tutta la classe iconografica e degli studi di antiquaria su di essa; Weiß 2017, che del vocabolo gryllos propone un uso ristretto, preferendo per il gruppo il termine baskanion).

Il cerchio potrebbe già qui chiudersi: lo stesso Bosch secondo l’umanista Felipe de Guevara dipingeva grylloi (cioè buffe e paradossali caricature, come quelle, ricordate da Plinio, dipinte dal pittore Antiphilos: Plin. NH 35, 37; Aikema, Checa Cremades, Salsi 2022, 23-26) e il suo primo collezionista nella penisola, il cardinale Domenico Grimani, raccoglieva gemme e “cammei di … suprema bellezza” che incantavano i suoi contemporanei (De Paoli 2017). Lo stesso Arcimboldo, alla cui opera l’incisione di Maglioli è stata ricondotta da Preciado, aveva presumibilmente accesso alle raccolte glittiche del suo protettore Rodolfo II d'Asburgo (Lapatin 2011, 96, note 22, 25, con bibliografia specifica). Infine, proprio dall’inizio del Seicento il disegno delle figurazioni glittiche intese come repertorio iconografico dell’antico (lo sono le celebri tavole di Enea Vico della già citata collezione Grimani: De Paoli 2017) cede il passo alle riproduzioni di gemme in quanto manufatti, come nella Dactyliotheca dell'antiquario fiammingo Abraham von Goorle (Gorlaeus 1601) e nelle Gemme antiche figurate di Leonardo Agostini (Agostini 1657-69). E quell’ovale in cui sono racchiuse le figurazioni di Maglioli pare un adeguato e raffinato compromesso tra le due modalità di presentazione.

È opportuno però a questo punto soffermarsi anche sulla natura degli archetipi. Le gemme antiche inedite conservate nelle collezioni del Museo Archeologico al Teatro Romano di Verona (in seguito MATR), per le cui vicende si veda da ultimo Tassinari, Magni 2023, offrono anche per questo soggetto un ricchissimo repertorio. Esse coprono infatti le varie declinazioni del tema, come elencate proprio da Lapatin e Weiß: uomini-insetto (MATR inv. 27456), animali antropomorfizzati impegnati in varie attività (MATR inv. 27914: topo-auriga); uccelli fantastici che ibridano parti anatomiche di esseri differenti (MATR inv. 27424-27433, 28061-28062), combinazioni di maschere e teste animali (maschere del corteggio dionisiaco: MATR inv. 27441, 27445, 27453-27454; con aquile, elefanti: MATR inv. 27451; con cinghiali: MATR inv. 27446-27448), elmi, teste di divinità e di eroi “arcimboldeschi” (elmi: MATR inv. 27450-27451; Eracle: MATR inv. 27434-27438; Minerva: MATR inv. 27439-27445).

Un'analisi esaustiva richiederebbe molto spazio: basti qui ricordare che le gemme in vetro conservate a Verona si inseriscono nelle serie ben note e attestate nelle collezioni storiche (Monaco, Berlino, Gottinga, Ginevra…), mentre gli intagli in pietra dura si distinguono nella loro varietà e originalità. Occorrerà tornare in altra sede sui bei crisoprasi con maschere di satiro e Minerva (come MATR inv. 27439); qui ad attirare l’attenzione è invece un interessante diaspro rosso, con una bella combinazione di volti umani e animali (MATR inv. 27452: pietra a sezione troncoconica, incisa sulla superficie più ampia).

Verona, Museo Archeologico al Teatro Romano, inv. 27452 - Diaspro rosso a sezione troncoconica, mm 14,1 × 11,2 × 2,3. Intaglio: combinazione di volti e proboscide. II secolo d.C. Foto: cortesia Museo.

Lo stile della gemma, delineata a grandi solchi di punta semitonda e rifinita a tratti paralleli con dischi sottili, è accostabile a quello delle teste e dei ritratti in diaspro di età antonina da Aquileia (Bianchi 1989, 217-220) e si ritrova in esemplari diffusi in varie parti dell’Impero (Gallia, Britannia, limes danubiano) lungo le coste del Mar Nero e in Oriente (Gadara, in Giordania) (Zwierlein-Diehl 1991, 12: Flachperlstyl).

L’aspetto più interessante risiede nella figurazione, che ricorre in modo analogo su almeno una dozzina di intagli, per lo più diaspri (tra cui Henig 1984, 245, fig. 1d; Zwierlein Diehl 1991, 201, tav. 73, nn. 2101-2102, con ulteriori confronti; Lapatin 2011, 89, pl. 7).

Una gemma di questa serie era nella collezione di Abraham van Goorle (Gorlaeus 1601, n. 46; Lapatin 2011, 92, pl. 22), acquistata alla sua morte dal principe di Galles Enrico ed ereditata infine da Carlo I Stuart: ne abbiamo l’impronta in ceralacca ad opera di Elias Ashmole, che inventariò la raccolta nel 1660, prima che se ne perdessero le tracce nel grande incendio del Whitehall (1698) (L’intricata vicenda si può leggere in Henig 2007; la gemma corrisponde ad Appendix II, 273, 276, n. 47). L'intaglio già di Goorle venne citato più volte, tra gli altri, dal poliedrico intellettuale engagé milanese Luigi Bossi nella sua Spiegazione di una raccolta di gemme: l’autore lo porta a confronto di un ulteriore diaspro rosso (Bossi 1795, 242-267, tav. II, n. 21: “complesso di maschere con fiaccola”), ancor più simile alla gemma veronese, che a questo punto occorre descrivere.

La descrizione però pone una ulteriore questione: raccontare l’intaglio o la sua impressione? Un paio di cretule, impressioni di gemme in argilla destinate a sigillare documenti e provenienti dal complesso del Nomophylakion di Cirene, datate agli inizi del II secolo d.C., confermano un uso sigillare anche per questa specifica iconografia (Maddoli 1963-64, 126-127, nn. 905-906). Tuttavia proprio queste cretule mostrano nella figurazione un orientamento speculare rispetto all’intaglio di Verona, che conviene descrivere pertanto direttamente.

Inizieremo con il volto giovanile di profilo verso sinistra (A). Privo com’è di orecchie e delimitato da una vistosa cordonatura delle chiome, potrebbe definirsi una maschera; l’occhio però è precisamente segnato, con accenno di pupilla. Lo contraddistingue il ciuffo sulla fronte; linee orizzontali ottenute da dischi segnano il profilo del volto e rafforzano il mento (forse a suggerire un accenno di barba). Di fronte, a sinistra, è un lagobolon, il bastone del cacciatore che recano i satiri e che, in assenza di altri elementi identificativi contribuisce all'identificazione del giovane proprio come un satiro. Ruotando la gemma di 90 gradi in senso orario (B), diviene leggibile un volto maschile maturo e barbato; la chioma è rappresentata dalla cordonatura che costituisce anche l’elemento divisorio dal volto-maschera giovanile. Anche in questo caso è evidente come tratto stilistico distintivo il grande occhio con la pupilla in vista.

Per leggere un terzo volto occorre ruotare l’intaglio di altri 180 gradi (C): si evidenzia così la maschera di un anziano, con ampia stempiatura, un naso evidente e il mento prominente: tratti silenici. Il mento e la sommità del capo sono sottolineati da una coppia di linee parallele, che isolano il volto dal ciuffo di capelli sulla fronte del giovane satiro. Nell’intaglio ora all’Ashmolean Museum (Henig 1984, 245, fig. 1d), analoghe linee parallele corrispondono alle corna di un satiro; qui potrebbero analogamente ritenersi le corna del giovane descritto per primo.

La sequenza dei tre volti introduce al primo livello simbolico: la rappresentazione di tre età della vita differenti, tema di cui trattano tra gli altri Varrone e Censorino (Varro Ant. RH XIV fr. 4 Mirsch = Cens. nat. 14, 2-6). Tale interpretazione piaceva anche a Luigi Bossi, che a proposito dell’iconografia si chiedeva: “Sarebbero mai espresse in questa pietra le tre età dell'uomo?” (Bossi 1795, 243).

I volti del satiro e del sileno e il lagobolon, elementi di chiara impronta dionisiaca, si inseriscono poi nel filone tematico più prolifico della glittica antica. Che fosse vera devozione e sincera adesione ai misteri di Dioniso, oppure semplice interesse e apprezzamento per le gradevoli immagini riportate sulle gemme, è indubbio che questi soggetti siano tra i più diffusi sia tra i materiali di scavo che tra quelli da collezione (Toso 2007, 193-206). Resta sullo sfondo il richiamo al mondo del dramma teatrale, non essendovi quelle precise caratterizzazioni delle maschere che compaiono in altre serie glittiche.

Per procedere oltre nella lettura della gemma occorre riportare la pietra nella prima posizione in cui la si è osservata (A). La lunga diagonale data dal rotolo delle chiome del giovane satiro e della barba dell’adulto si trasforma ora nella proboscide di un elefante, sollevata e ricurva all’indietro; la testa dell’animale è solo intuibile, ma corrisponde alla parte superiore del capo del vecchio sileno; una linea orizzontale superiore e un tratto dei baffi dell’adulto stanno a indicare le zanne dell’animale. Ritroviamo quest’ultimo dettaglio nella già citata gemma oggetto della Spiegazione di Luigi Bossi: “La seconda testa descritta ha anche una spezie di mustacchio, che scende per di sopra alla bocca, e va a finire sotto il mento parallela alla prominenza del corno, o tromba sopraccennata [è la proboscide]” (Bossi 1795, 243). La proboscide stringe una fronda di palma, laddove talvolta troviamo una fiaccola (ad esempio, Henig, Whiting 1987, 31, n. 309: una sarda da Gadara, in Giordania). Va detto infine che in una nelle acqueforti di Maglioli da cui si è preso spunto è raffigurata una lunga treccia che si diparte da un volto maschile: potrebbe trattarsi pertanto dell’incomprensione o della reinterpretazione della proboscide elefantina dell’archetipo.

L’elefante è un animale che compare con una certa frequenza nelle gemme “composite” di età imperiale, spesso con la semplice testa o con la sola proboscide. Martin Henig ha dato risalto alle figurazioni paradossali che lo vedono protagonista, come la conchiglia-utero che lo “partorisce” (MATR inv. 27372; Sagiv 2018, 126, fig. 51) o la quadriga dei topi che trascinano il pachiderma (Henig 1984, 245, fig. 1, b).

Degli elefanti, animalia coelestia secondo una nota iscrizione di età severiana, gli antichi, come ricorda Plinio (NH 8, 1-34), ammiravano l’onestà, il senso di giustizia, la pudicizia, la longevità: ne lodavano la devozione verso il sole e gli astri. Valori positivi come la solidarietà e la generosità, rinvenuti nei comportamenti sociali che anche oggi interessano etologi e profani, adeguatamente antropomorfizzati, travalicano l’evo antico: così l’animale diviene immagine di Cristo che si sacrifica per i suoi (Calò 2015, 44-47).

Il richiamo all’elefante arricchisce e completa le letture della gemma sopra proposte. Coerentemente con l'esplicito richiamo al mondo dionisiaco dato dal lagobolon e dai volti-maschera, l’elefante celebra il trionfo di Bacco di ritorno dall’India agitando il ramo di palma stretto dalla proboscide. Per il devoto, il trionfo sull’India prefigura la vittoria sulla morte. In tal modo, la “quarta età” simboleggiata dall’elefante suona come il trionfo della luce sull’oscurità, dell’aeternitas sullo scorrere del tempo, rappresentato dal susseguirsi delle età nei tre volti.

Mi sembrano meno probabili altre possibili letture interpretative, che mi limito ad accennare. L’associazione dell’elefante a Cesare, il cui nome sarebbe derivato da un antenato uccisore di elefanti (“Caesarem vel ab elephanto, qui lingua Maurorum caesai dicitur, in proelio caeso eum, qui primus sic appellatus est, doctissimi viri et eruditissimi putant dictum”: Hist. Aug. Aelius 2 3) perdura nell’uso dei pachidermi nei cortei imperiali (Purpura 2015, 244-245). L’elefante potrebbe dunque in tal caso intendersi come distintivo di un successo politico o bellico, oppure segno di vicinanza al Cesare di turno. Tuttavia, una interpretazione delle iconografie composite glittiche in chiave politica pare adeguata nella travagliata età di passaggio tra Repubblica e Impero, ma non sembra adattarsi al mutato clima della media età imperiale, alla quale appartiene, se non per l’ideazione, certamente per produzione questo esemplare.

È possibile compiere infine un’ultima rotazione della gemma di 90 gradi in senso antiorario (C), valorizzando ancora una volta il sileno: a questo punto (con un po’ di immaginazione, occorre ammetterlo…) possiamo cogliere forse i tratti di un ulteriore animale. I tre solchi circolari sulla fronte calva del sileno e il ciuffo rovesciato del giovane satiro sotto il mento della maschera potrebbero richiamare cresta e bargigli di un gallo, trasformando nell’uccello il volto umano, come accade ad esempio in una gemma vitrea veronese (MATR inv. 27457).

Il gallo è infatti un animale molto frequente nelle gemme “composite”: fornisce il corpo all’hippalektryon, la chimera per eccellenza (Sagiv 2018, 144-145), cavalcatura per topi ed amorini; si presta ad attività caricaturali delle attività umane dal probabile significato simbolico (Sagiv 2018, 109-112).

Al pari dell’elefante, il gallo, sacro a Priapo, ad Hermes, ad Asclepio, si riveste di numerosi significati anche contrastanti, che giungono fino a noi anche attraverso la cultura popolare. Già presso i Greci rappresenta la sessualità maschile, non tanto legata alla fecondità, quanto al successo seduttivo (Mastrocinque 2016, 216-219): vi alludono forse le gemme che raffigurano topi catturati dal gallo, o i galletti imbrigliati dal topo (laddove il ratto pare associabile alla sessualità riproduttiva femminile: Magni, Tassinari 2018, in part. 91-93). Al tempo stesso l’animale è legato al sorgere del sole, del quale è precursore, valore che manterrà anche in chiave cristiana come simbolo di resurrezione.

Nella nostra gemma, il gallo si pone nei confronti dell’elefante sia in maniera oppositiva, esprimendo l’esuberanza sessuale in opposizione alla castità del pachiderma, sia in analogia, per il rapporto positivo con il sole e con la luce di cui entrambi sono portatori (l’elefante con la sua proboscide spesso brandisce la fiaccola: Henig 1984, 246).

In un citatissimo passo delle Quaestiones Conviviales di Plutarco (5, 7 3), durante un banchetto si avvia una discussione sul malocchio e gli iettatori invidiosi. Alcuni commensali sono scettici e scherzano ma Metrio Floro, il padrone di casa, ci crede proprio! Interpellato, Plutarco, che è tra gli invitati, illustra i meccanismi della fascinazione e spiega che gli amuleti (probaskania) che proteggono dalle fatture funzionano anche contro l'invidia; infatti lo sguardo degli invidiosi viene distratto dalle immagini strane (atopia), e così non si fissa a lungo sulle malcapitate vittime. E con questo consiglio dichiara di ricompensare il suo ospite.

Per qualche minuto il nostro sguardo è stato impegnato nella lettura e nella decrittazione di questa complessa figurazione; in tal modo, la gemma ha messo in atto nei nostri confronti la medesima strategia che impiegava contro lo sguardo maligno degli invidiosi, a difesa del suo antico possessore, mentre al tempo stesso gli prometteva lunga vita e serenità.

Non abbiamo nessun dato su chi indossasse questa gemma alle soglie dell’“età dell’angoscia” antica: possiamo immaginarlo celebrare la festa bacchica della vita, rappresentata nella sequenza delle maschere del giovane, dell’adulto e del vecchio e completata dal trionfo dell’eternità simboleggiato dall’elefante.

Ringrazio la Dott.ssa Margherita Bolla, curatore del Museo Archeologico al Teatro Romano di Verona, per avere con la consueta attenzione e disponibilità predisposto la pubblicazione delle gemme inedite citate nel presente articolo e la fotografia dell’intaglio MATR inv. 27452, proprietà del Museo, scattata da Giorgio Fogliata (2011-2012). Un grazie inoltre alla Dott.ssa Cristina d’Adda, Biblioteca Archeologica e Numismatica del Comune di Milano, per le facilitazioni alla consultazione dei volumi di glittica della Biblioteca.

Riferimenti bibliografici
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English abstract

The contribution focuses on an engraved gem of the Roman Imperial Age, which is now kept in the Museo Archeologico al Teatro Romano of Verona. The red jasper belongs to the so-called grylloi or baskania group: it depicts a composition of masks of the Dionysian thiasos with an elephant's trunk. The text provides a detailed reading of the iconography, presents some comparisons and offers an interpretation of the intaglio, which had a protective function against the evil eye as well as an auspicious purpose for the owner.

keywords | gryllos; engraved gem; elephant; Dionysiac thiasos; Museo Archeologico al Teatro Romano di Verona.

Per citare questo articolo / To cite this article: A.Magni, La festa della vita. Un baskanion al Museo Archeologico al Teatro Romano di Verona, ”La rivista di Engramma” n.200, vol.2, marzo 2023 | PDF

doi: https://doi.org/10.25432/1826-901X/2023.200.0059