"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

200 | marzo 2023

97888948401

Strategie ludiche

Per un reincanto del mondo

Flavia Vaccher

English abstract

Il gioco non è un’apparizione marginale nel corso della vita dell’uomo,
non è un fenomeno che appare occasionalmente, non è contingente.
Il gioco appartiene essenzialmente alla costituzione d’essere dell’esistenza umana,
è un fenomeno esistenziale essenziale.
Eugen Fink, L’oasi del gioco

Pieter Bruegel il Vecchio, Giochi di bambini, olio su tela, 1560, Wien, Kunsthistorisches Museum.

Il bambino che lungo una ripida strada di Mexico City fa risalire a calci, per poi farla rotolare giù, una bottiglia di plastica mezza piena, le bambine che saltano la corda tra gli edifici di una metropoli asiatica, la bambina che attraversa Hong Kong cantilenando e zigzagando tra le linee gialle degli attraversamenti pedonali e le crepe dei marciapiedi, il bambino afghano che, intessendo un dialogo intermittente con il cielo, fa volteggiare un quasi invisibile aquilone, giochi sulla neve in una località alpina della Svizzera, ‘guardie e ladri’ tra edifici abbandonati a Ciudad Juárez in Messico, con l’obiettivo di non farsi colpire dai riflessi di uno specchio rotto.

Sono solo alcune delle storie raccontate dall’artista belga Francis Alÿs in Children’s Games, un ciclo di video sui giochi dei bambini, da fare da soli o in gruppo, all’aperto o in spazi urbani. Benchè alcuni di essi possano essere collegati a una specifica tradizione culturale o geografica, sono giochi tramandati di generazione in generazione, giocati in ogni parte del mondo e suggeriscono l’idea che il gioco sia un bisogno umano che da sempre fa parte della nostra esistenza.

“L’uomo è totalmente uomo solo là dove gioca” ci rammenta Friedrich Schiller in Lettere sull’educazione estetica dell’uomo (Schiller [1793-95] 2002), perché è nel gioco, in quanto attività fine a stessa, che il sensibile e il sovrasensibile si intrecciano in modo armonico, ed è attraverso i giochi che la collettività esprime la sua interpretazione della vita, del mondo e nel mondo. Ciò “non significa che il gioco muta o si converte in cultura, ma piuttosto che la cultura nelle sue fasi originarie, porta il carattere di un gioco. […] E come ogni una forma di cultura, anche il gioco necessita di regole precise” (Huizinga 1972, 13-14) e gesti, la cui ripetizione – presente in quasi tutte le forme del gioco con gli elementi della ripresa del ritornello, del cambio di turno, etc. – e trasmissione nel tempo conferiscono a esso un carattere di ritualità. Un gioco, giocato una volta, si fissa nella memoria, è tramandato, e può essere ripetuto in qualunque momento, anche dopo un lungo periodo.

Il gioco allora, come le feste – religiose o pagane, legate al succedersi delle stagioni e ai lavori agricoli, pubbliche o private, riferite a momenti di un tempo intimo, scandito da personali momenti di passaggio – impregna di sé le forme rituali, “capaci di far apparire la vita in chiave festosa e magica” (Han 2021, 39).

I bambini che giocano allegri nelle strade, così come negli spazi interstiziali e nelle aree abbandonate delle città, imponendo la ritualità antica dei loro giochi, sospendono i ritmi di questi luoghi, ne scardinano la funzionalità, appropriandosi dello spazio pubblico, occupandolo e trasformandone le modalità e i tempi. Il gioco ha infatti come caratteristica “di avere come scopo soltanto se stesso, perciò si presenta come non riducibile al mondo della funzionalità urbana” (Bozzo 1995, 30).

Al tempo stesso lo spazio della città, attraverso il gioco dei bambini, si arricchisce di assonanze e memorie che si stratificano nel tempo e nei luoghi. Dentro città costruite come città dello spazio esclusivo (dell’abitare, del commercio, della circolazione, del divertimento, della produzione e della vendita), ma sempre più dimentiche di luoghi aperti alla socialità e all’incontro, il gioco, inteso come pratica di colonizzazione di spazi, costringe a riflettere sul loro ruolo nella quotidianità urbana e, in senso più ampio, sul valore dello spazio ludico nella città contemporanea.

Com’è noto, a partire dal 1947 Aldo van Eyck realizzò diverse centinaia di aree per il gioco dei bambini (playground) nei lotti residuali della città di Amsterdam (più di 800 in aree sia centrali che periferiche), e in particolare in quelli causati dai violenti bombardamenti aerei della seconda guerra mondiale, spinto dalla convinzione – esposta nel manifesto The Child, the City and the Artist: An Essay on Architecture: the In-between Realm del 1962 – che la città potesse essere umana solo se costruita per i bambini.

L’attenzione rivolta agli spazi per il gioco, al loro ruolo educativo e all’abitare quotidiano dei bambini nel contesto post-bellico condusse alla realizzazione in ambiti intermedi – tra gli edifici residenziali, tra di essi e la strada, nell’intersezione dei tracciati o lungo i marciapiedi – di un’ampia e diffusa rete di playground, significativa entro il piano generale di ricostruzione fisica ma anche sociale della città di Amsterdam. Essi divennero infatti occasione per la realizzazione di una serie di strutture in grado di riattivare una dimensione di relazioni e comunità attraverso la pratica del gioco. L’esperienza dei playground inaugurò un nuovo modo di concepire il gioco dei bambini, la strada e la città, ponendo al centro dei progetti innanzitutto l’azione giocosa stessa, e seppe così tradurre l’accessibilità allo spazio, inteso non solo come pubblico ma del pubblico, in forma ludica. Così in quei luoghi di conflitti e catastrofi, dove la ritualità e la vitalità dei giochi era assente, l’esistenza riacquistò forma quando i bambini ripresero a giocare. Il gioco quindi non è da intendersi solo come necessità dei bambini, ma anche come dinamica necessaria alla rinascita e alla vitalità della città stessa. L’incremento del traffico, l’uso dei giochi digitali, insieme al tema della sicurezza e, non da ultimo, all’impatto del recente lockdown, che obbligando a una clausura temporanea ha prodotto una sorta di assuefazione al distanziamento, hanno fatto sì che nelle città di oggi la tradizione di giocare all’aperto sia diventata ogni giorno meno comune e lo spazio concesso all’inventiva e alla creatività sia stato progressivamente costretto entro limiti e recinti. Il gioco, sempre più addomesticato, è pensato e organizzato in spazi controllati, per cui i bambini non vivono più la strada, non esplorano più la città. “Possibile che abbiamo affidato lo spazio ludico a un ghetto circoscritto, la scuola, la palestra, i luoghi dell’entertainment?” (La Cecla 2017).

Al contrario della “città dei playground” dai confini flessibili e dagli spazi che sono “campi di scoperta”, la città contemporanea si presenta come un’articolata e sovraffollata rete di percorsi e attraversamenti, priva di luoghi di intermediazione tra le diverse sfere del quotidiano. L’aver scordato, o meglio rimosso, la componente ludica dello spazio ha condotto alla perdita del senso e della forma che danno sostanza agli spazi urbani e della ritualità che ne costruisce l’anima, trasformando la relazione tra gioco e città in “un anacronismo, un fuori tempo e un fuori luogo”, come sostiene La Cecla. E continua: se da sempre le strade, i marciapiedi, gli slarghi, le piazze hanno rappresentato per lo spazio pubblico “la potenzialità di una reciprocità che si gioca nelle feste, nelle allegrie insieme, nelle ricorrenze”, è forse possibile ripensare alla città come luogo dei giochi, recuperando “la follia allegra del giocatore”, realizzando spazi da riconsegnare alle attività ludiche (La Cecla 2017).

Si potrebbe ripartire dalle scuole – luoghi segregati, cinti, consacrati alla funzione dell’educare, “enfatiche, e isolate, anche quando sono inserite nel più fitto dei tessuti urbani” (De Carlo 1972, 68) – più precisamente dalla consistente parte di spazio pubblico a esse immediatamente adiacente, nel quale, sia pur in un tempo limitato ma significativo e in un luogo allo stesso modo significativo, si ripetono ogni giorno pratiche rituali che caratterizzano la bellezza della vita scolastica e urbana. Riconoscere l’alto valore urbano, sociale e civile dei luoghi in prossimità delle scuole – siano essi marciapiedi, slarghi, aree interstiziali, aree verdi spesso trascurate e inutilizzate ma dalle enormi potenzialità – significa pensare a interventi progettuali che facciano sconfinare lo spazio scolastico oltre il recinto, mettendo in relazione gli spazi di pertinenza e quelli più prossimi agli edifici scolastici, per trasformarli in luoghi che favoriscano la sosta, l’incontro, il gioco e che siano comunque accessibili alla comunità tutta. Significa di fatto riconoscere che la quotidianità urbana nasce da una necessità, da una esigenza di gioco.

Secondo il filosofo sudcoreano Byung-Chul Han, autore de La scomparsa dei riti. Una topologia del presente, anche la seduzione, come la guerra, con la quale condivide il carattere rituale, hanno la loro origine nella dimensione ludica. Del resto, ritornando alle scene iniziali di questo breve contributo e all’immagine che lo introduce – il famoso quadro di Pieter Bruegel il Vecchio, Giochi di bambini –  niente sembra apparire più rituale del gioco festoso che riempe e dà vita agli spazi della città. È forse questo modo di intenderlo, ovvero come un’energia curativa, antica e nuova allo stesso tempo, che ci consentirà di restituire significato ai luoghi della nostra esistenza, recuperando il reincanto del mondo.

Riferimenti bibliografici
  • Bozzo 1995
    L. Bozzo, Il gioco e la città, “Paesaggio urbano” 3 (1995), 30-33.
  • De Carlo 1972
    G. De Carlo, Ordine-istituzione educazione-disordine, “Casabella” 368-369 (1972), 55-71.
  • Fink [1957] 2008
    E. Fink, L’oasi del gioco, Milano 2008.
  • Han 2021
    B.-C. Han, La scomparsa dei riti. Una topologia del presente, Milano 2021.
  • Huizinga [1938] 1972
    J. Huizinga, Homo ludens, Torino 1972.
  • La Cecla 2017
    F. La Cecla, Recuperare la follia allegra del giocatore. Città come spazi di gioco, “Doppiozero”, 10 giugno 2017.
  • Negri 2002
    A. Negri, Friedrich Schiller, Lettere sull'educazione estetica dell'uomo. Callia o della bellezza (1793-95), Roma 2002.
  • van Eyck, Ligtelijn, Strauven [1962] 2008
    A. van Eyck, V. Ligtelijn, F. Strauven, The Child, the City and the Artist: An Essay on Architecture: the In-between Realm, Amsterdam 2008.
English abstract

The article discusses the cycle of videos called “Children's Games” by Belgian artist Francis Alÿs, which portrays children playing alone or in groups in outdoor and urban spaces around the world. While some games may be associated with a specific cultural or geographic tradition, they are games that have been passed down from generation to generation and suggest the idea that play is a fundamental human need. The article explores the concept that play, like festive moments, is imbued with ritual and is an activity that has always been part of human existence. The article cites the philosopher Friedrich Schiller and cultural historian Johan Huizinga to discuss the importance of play as an activity that blends the sensible and the super-sensible harmoniously and is expressed through collective interpretation of life and the world. Furthermore, the article notes that play, like festive moments, has a ritualistic nature that transcends its functional purpose and can colonize public spaces, bringing added value to the urban environment.*

*The English abstract above was written by ChatGPT and strictly unedited by the editors of this issue (> Editoriale). This sentence itself was automatically translated with DeepL.

keywords | Children’s games; Play; Ritual; Urban spaces; Aldo van Eyck.

Per citare questo articolo / To cite this article: F. Vaccher, Strategie ludiche. Per un reincanto del mondo, ”La rivista di Engramma” n.200, vol.2, marzo 2023, pp. 325-330 | PDF

doi: https://doi.org/10.25432/1826-901X/2023.200.0062