"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

200 | marzo 2023

97888948401

La festa come teatro di guerra

Christian Di Domenico

English abstract

Mi accingo a scrivere questo articolo dopo aver visto: Babylon, di Damien Chazelle (regista premio Oscar con La La Land).
Non è la prima volta che sul grande schermo la festa assurge a rito collettivo capace di far esplodere la vera essenza dell’essere umano, che spogliato delle proprie inibizioni, rivela la  propria nuda intimità, fatta di inclinazioni, fragilità, debolezze, desideri, peccati, incubi e sogni spesso incofessati.
Anche Paolo Sorrentino, nella sua La grande bellezza, tra feste e ricevimenti felliniani, ci offre la possibilità di osservare, analizzare e scandagliare l’animo umano, attraverso una spudorata critica della nostra società operata dall’acuta, feroce intelligenza di Jep Gambardella, (interpretato in maniera eccellente dal superbo Toni Servillo) un giornalista affermato, che si muove tra cultura e  mondanità in una capitale che non smette di essere un santuario di meraviglia e grandezza.

A quanti di noi non è capitato, nella propria vita, di ritrovarsi ad una cena familiare, un’‘indianata’ tra amici negli anni del liceo, o ad una festa casalinga, in cui ad un certo punto, si scatenano gli istinti più profondi, che danno vita a conflitti, liti, rivelazioni e confessioni inaspettate?

Ovviamente innumerevoli sono film e libri che hanno trattato questo tema.

Il mio preferito è: Festen-Riunione di famiglia (titolo originale The Celebration), film del 1988 scritto e diretto dal regista danese Thomas Vintemberg, vincitore del premio della giuria al 51°Festival di Cannes. È il primo film aderente al manifesto Dogma 95, nonostante infranga una delle regole del manifesto, che vuole che tutto sia naturale e di proprietà degli attori, in quanto un abito è stato acquistato apposta per il film; il regista, tuttavia, dichiara la violazione all’inizio del film.

La famiglia Klingenfeldt, magnati dell’acciaio, si riunisce al completo in una villa lussuosa per festeggiare il sessantesimo compleanno del capostipite, Helge. È presente anche Michael, il figlio minore, collerico e incline all’alcool, che non era stato invitato, insieme alla moglie e ai figli.
L’atmosfera è subito molto tesa, nonostante gli sforzi collettivi di mostrare familiarità e calore. Durante la cena, Christian, il primogenito, viene invitato a proporre un brindisi; si alza e ringrazia, propone di brindare al padre, e invece del discorso d’elogio che tutti s’aspettavano, dichiara che quando erano bambini, per anni il padre ha abusato di lui e della sorella Linda, morta suicida l’anno prima. I presenti gelano, ma solo per pochi secondi: presto uno dopo l’altro si sforzano di far finta di niente e di prendere le parole di Christian come uno scherzo di cattivo gusto; la cena prosegue tra sorrisi un po’ tirati, barzellette surreali e brindisi sollecitati in continuazione dal maestro di cerimonie.
Poco dopo, Christian si alza nuovamente, prende la parola per scusarsi, ma invece di scusarsi accusa il padre di essere la causa del suicidio di Linda. Poi accusa la madre di aver visto il padre abusare di lui e della sorella, ma di aver fatto finta di niente. Stavolta tutti esplodono di sdegno verso Christian, che viene cacciato di casa dal fratello Michael e dagli altri parenti, poi malmenato e abbandonato in un bosco legato ad un albero. Dopo essere riuscito a liberarsi rientra nella villa, tutti lo giudicano pazzo e lo evitano, ma poi viene trovata una lettera di Linda che conferma in pieno le accuse di Christian verso il padre. Col trascorrere della serata cade la parvenza di cordialità tra i presenti, in un crescendo di accuse e baruffe, ipotesi e ricordi. Michael, ubriaco, raggiunge la stanza del padre e, in preda ai fumi dell’alcool, lo pesta brutalmente. Al mattino, quando tutti si ritrovano a far colazione, Helge confessa e avvisa gli attoniti ospiti che quella sarà l’ultima volta che lo vedranno. Christian, finalmente liberato dall’enorme peso, in una sorta di pace interiore ritrovata, invita la dolce cameriera segretamente innamorata di lui a seguirlo a Parigi.

Ho scelto il racconto di questo film perché rappresenta la Festa come occasione di resa di conti, processo autodistruttivo, momento nel quale la verità affiora, situazione risolutiva capace di dar corpo ai fantasmi psicologici e sociali e fare uscire gli scheletri dall’armadio.
Un rito collettivo che non tarda a divenire un vero e proprio teatro di guerra nel quale ciascuno indossa la propria maschera sociale.

Forse, vedendo o rivedendo questo film, in molti riaffioreranno episodi traumatici della propria vita, verità inespresse e tenute segrete per un falso quieto vivere. Allora, a tutti coloro che si sentono ancora gravati da esperienze negative legate al proprio passato, vorrei dedicare questa poesia: 

A un certo punto
devi capire
che il dolore che hai subito
non lo devi subire
all’infinito.
Mettiti in vacanza,
la povera vita adulta
non può pagare a oltranza
i debiti dell’infanzia.
Dichiara finite le tue colpe,
scontata la pena.
D’ora in poi ogni giornata
sarà come prima
ma dentro di te
più netta e vera, 
più limpida e sincera.
Tu devi solo la più grande dolcezza possibile
a chi verrà e a chi andrà via.
È festa nel tuo cuore,
festeggia in qualche modo
il cuore degli altri.

Franco Arminio, Mettiti in vacanza

English abstract

In this article various sources from contemporary filmography are used to discuss about the theme of the party. 

keywords | Babylon; La grande bellezza; The Celebration, Franco Arminio.

Per citare questo articolo / To cite this article: C. Di Domenico, La festa come teatro di guerra. ”La rivista di Engramma”, n.200, vol.1, marzo 2023, pp.349-352 | PDF

doi: https://doi.org/10.25432/1826-901X/2023.200.0064