"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

200 | marzo 2023

97888948401

“Il mormorare insieme”

Filologia della traduzione tra Othello di Shakespeare e Otello di Boito-Verdi

Massimo Stella

English abstract

Perché io, il Signore, sono il tuo Dio, un Dio geloso
ἐγὼ γάρ εἰμι κύριος ὁ θεός σου θεὸς ζηλωτὴς
Esodo, 20, 2

I, that am cruel am yet merciful
Othello, 5.2, 89 
 

 1. Causeless ovvero ‘per magia’: la Cosa oscura

Tradurre è pensare. Quando traduciamo, un’altra lingua ci attraversa – altri scenari della langue, altre demiurgie della parole, un altro ritmo, un’altra phone insorgono dentro di noi: intorno ad un’altra lingua, tutto torna a muoversi diversamente. Riascoltare, ricantare, rimodulare il suono, nuovamente e altrimenti, significa, appunto, tornare a pensare (Steiner 1975).
Nel meditare il passaggio traduttivo dall’Otello di Shakespeare a quello di Boito-Verdi, la questione che mi sono posta – o meglio che mi si è imposta – è questa: il come dell’amore.
L’Otello shakespeariano è un’opera oscura – e lo dico non per metafora, ma alla lettera: Otello è l’opera shakespeariana di cui, per eccellenza, non si vede l’oggetto. Questo dramma è un intreccio di blind wills, di “cieche volontà” che “lavorano/influiscono” (wrought, I, 3, 125; V, 2, 381; V, 2, 405) l’una sull’altra oltre la coscienza. La presenza della magia nell’Otello – il fazzoletto stregato e l’aura di sortilegio che, più in generale, circonda il Moro – non è certo un segno residuale ovvero un tratto arcaico, una memoria ancestrale spenta o, se preferiamo, un fossile culturale: al contrario, la magia è segno attivo che addita un gioco di energie incomprensibile secondo ragione o secondo common sense, un gioco imprevedibile e sconcertante – preposterous, direbbe l’inglese. Non a caso, proprio per il fatto che l’azione del dramma è cause-less (privo di causa), la parola-sintomo nella lingua dell’Otello e di Otello risulta essere cause,“causa”: “It is the cause, it is the cause, my soul” (Othello, V, 2, 1), dice il protagonista entrando nella camera da letto per uccidere la dormiente Desdemona: “Il motivo c’è, il motivo c’è, anima mia”, come se Otello stesse cercando di convincere se stesso (e noi) che ha una ragione per uccidere la sposa; e il termine cause evoca altresì la ‘cosa in causa’ nel procedimento giuridico, “la cosa in causa” dibattuta nell’aula del tribunale e quindi anche “il crimine”, “la colpa” di cui Otello si sente il giudice e il giustiziere… ma, appunto, qual è la “cosa in causa” nell’Otello, se la ‘fedeltà’ di Desdemona non lo è? Non c’è cause, eppure c’è una Cosa indeterminata, ignota, invisibile, impenetrabile, ‘oscura’ dicevamo, che muove l’intera azione – in latino i termini causa e res (causa e cosa) sono spesso usati sinonimicamente soprattutto nell’oratoria giudiziaria, come i giuristi dell’età elisabettiana ben sapevano (Fusini 2010, 2021; Vescovo 2023).
La Cosa dell’Otello è l’essenza del legame di desiderio tra Desdemona e Otello, essenza ‘messa in causa’, subito in apertura, non solo da Brabanzio, padre di Desdemona, ma dallo stesso dramma, visto il suo esito. Come hanno potuto innamorarsi Otello e Desdemona? Secondo Brabanzio, Desdemona, nel darsi a Otello, è stata sedotta dalle arti magiche ed è corsa verso la paura, non verso il piacere:

O thou foul thief, where hast thou stow’d  my daughter?/ Damn’d as thou art, thou hast enchanted her;/ For I’ll refer me to all things of sense,/ If she in chains of magic were not bound,/ Whether a maid so tender, fair and happy,/ So opposite to marriage that she shunned/ The wealthy curled darlings of our nation,/ Would ever have, to incur a general mock,/ Run from her guardage to the sooty bosom/ Of such a thing as thou, to fear, not to delight./ Judge me the world, if ‘tis not gross in sense/ That thou hast practised on her with foul charms,/ Abused her delicate youth with drugs or minerals/ That weaken motion: I’ll have’t disputed on;/ ‘Tis probable and palpable to thinking./ I therefore apprehend and do attach thee/ For an abuser of the world, a practiser/ Of arts inhibited and out of warrant./(I, 2, 62-80).

She is abused, stolen from me, and corrupted/ by spells and medicines bought of mountebanks; for nature so preposterously to err,/ being not deficient, blind, or lame of sense,/ sans witchcraft (I, 3, 59-64).

A maiden never bold,/ Of spirit so still and quiet that her motion/ Blushed at herself. And she, in spite of nature,/ Of years, of country, credit, everything,/ To fall in love with what she feared to look on?/ It is a judgment maimed and most imperfect/ That will confess perfection so could err./ Against all rules of nature, and must be driven/ To find out practices of cunning hell/ Why this should be. I therefore vouch again/ That with some mixtures powerful oer the blood/ Or with some dram, conjured to this effect,/ He wrought upon her. (I, 3, 94-105).

Sporco ladro! Dove hai nascosto mia figlia? Dannato, l’hai stregata. Mi appello al buon senso: se lei non fosse stata legata con le catene della magia, perché mai una ragazza così tenera, così bella, così felice, così contraria al matrimonio da rifiutare i più ricchi e raffinati rampolli della nostra città, avrebbe dovuto offrirsi al generale scherno e correre tra le tue braccia fuliginose, da quella cosa che tu sei, per consegnarsi alla paura, non al piacere? Giudichi il mondo se non è evidente che tu hai agito su di lei con dei turpi incantesimi, hai sedotto la sua delicata giovinezza con droghe e sostanze che indeboliscono la volontà: porterò la cosa in giudizio. È evidente e si può provare. E allora io ti faccio arrestare e ti accuso di essere un frodatore e uno stregone che pratica arti proibite e fuori legge.  

Lei è stata sedotta, mi è stata rubata e corrotta con incantesimi e droghe comprate dai ciarlatani; perché che una natura non stupida, non cieca, integra nei sensi possa deviare così assurdamente, non è possibile se non per stregoneria.

Una ragazza mite, dall’animo così quieto e stabile che al solo muoversi arrossiva. E una ragazza così, in spregio alla natura, ai suoi anni, al suo paese, alla reputazione, a tutto, ha potuto innamorarsi di qualcosa che le faceva paura solo a guardarla? Corrotto e difettoso è il giudizio di chi ammettesse che la perfezione può sbagliare così. È contro tutte le regole della natura e quindi bisogna trovare le ragioni di come questo possa avvenire nelle astuzie delle pratiche diaboliche. Per cui io affermo di nuovo che costui ha agito su di lei e sul suo sangue con qualche pozione potente o con qualche droga.
 

La magia, dunque, e la paura, fear. Che ruolo ha avuto “la paura” nel come di quell’amore? E dell’amore di Otello per lei, poi, che dire?

1 | Otello nel Cortile di Palazzo Ducale a Venezia, luglio 2013; regia di Francesco Micheli, scene di Edoardo Sanchi, costumi di Silvia Aymonino, direttore Myung-Whun Chun, orchestra e coro del Teatro La Fenice. Fotografia di Michele Crosera.

2. La ricordanza, tra Boito e Shakespeare. Il racconto diventa dialogo

Ma andiamo per ordine. Nella mia esperienza di lettura dell’Otello, l’intervento traduttivo di Arrigo Boito e Giuseppe Verdi. sul testo shakespeariano ha costituito un passaggio fondamentale del lavoro d’interpretazione. Dico ‘intervento traduttivo’ di Boito-Verdi e intendo: non dobbiamo pensare all’Otello di Boito-Verdi come a un ‘Otello in musica’, che, per altro, non sembrerebbe aver molto da spartire con la drammaturgia di Shakespeare (cfr. contra Degrada 1979; Coronato 2017). Al contrario, l’Otello di Boito-Verdi è ancora ‘opera shakespeariana’, perché si muove dentro il cerchio problematico tracciato da Shakespeare. In altri termini, l’Otello di Boito-Verdi è una traduzione e quindi un’interpretazione. Non sempre, certo, e non in ogni luogo: ad esempio, non lo è più quando Verdi-Boito ‘rifanno’ Iago. Lo Iago di Boito e Verdi perde la vera qualità dello Iago shakespeariano: quel suo essere null’altro se non lo specchio assorbente e riflettente dell’altrui will (desiderio-volontà) e del conflitto tra gli altrui wills, gioco specifico della lingua shakespeariana, è destinato a restare un intraducibile assoluto. È pur vero che Boito coglie, nella drammaturgia di Shakespeare, quello snodo cruciale del dialogo tra Otello e Iago in cui il generale esclama: By heaven, thou echo’st me, (III, 3, 109) “Accidenti, sei la mia eco!”, e così ce lo restituisce:

OTELLO
Di’ il tuo pensiero, Jago.

IAGO
Vi confidaste a Cassio?

OTELLO
Spesso un mio dono o un cenno portava alla mia sposa.

IAGO
Dassenno?

OTELLO
Sì, dassenno. No ‘l credi onesto?

IAGO
Onesto?

OTELLO
Che ascondi nel tuo core?

IAGO
Che ascondo in cor, signore?

OTELLO
“Che ascondo in cor, signore?” Pe ‘l cielo, tu sei l’eco dei detti miei, nel chiostro
Dell’anima ricetti qualche terribil mostro.

Ciò che, invece, Boito traduce da Shakespeare per Verdi e Verdi traduce quindi in linguaggio musicale è l’enigma della coppia Otello-Desdemona e, specificamente, l’enigma dell’innamoramento che l’ha legata. 
Sulla scena dell’Otello di Shakespeare non assistiamo alla storia di un amore: non vediamo nascere e maturare un amore. Constatiamo, piuttosto, la sua rapidissima, immediata e clamorosa rovina. Come quelle due volontà, di Desdemona e di Otello, si siano fatalmente intrecciate nell’innamoramento è cosa confinata da Shakespeare fuori scena. Mentre, in scena, esso vive soltanto nella dimensione del ricordo. Rammenteremo infatti noi tutti come, di fronte allo sconcerto generale di Venezia per quell’amore imprevedibile che finisce ‘in causa’ ovvero sotto processo, davanti al Senato della Serenissima riunito in consiglio di guerra, Otello racconti il modo in cui lui e Desdemona sono giunti ad amarsi. Il come dell’amore luccica – senza per questo illuminarsi o illuminare – dall’interno di una cornice memoriale che vela, che lascia intravedere, ma al contempo offusca: Desdemona s’è innamorata dell’aura di pericolo (dangers) che circonda la vita di Otello e Otello della pietà (that she did piety them) che Desdemona ha provato per quella sua vita di pericolo: almeno così narra lo stesso Otello.
 

Her father loved me; oft invited me;/ Still question’d me the story of my life,/ From year to year, the battles, sieges, fortunes, That I have passed./ I ran it through, even from my boyish days,/ To the very moment that he bade me tell it;/ Wherein I spake of most disastrous chances,/ Of moving accidents by flood and field/ Of hair-breadth scapes i’ the imminent deadly breach,/ Of being taken by the insolent foe/ And sold to slavery, of my redemption thence/ And portance in my travels’ history:/ Wherein of antres vast and deserts idle,/ Rough quarries, rocks and hills whose heads touch heaven/ It was my hint to speak, – such was the process;/ And of the Cannibals that each other eat,/ The Anthropophagi and men whose heads/ Do grow beneath their shoulders. This to hear/ Would Desdemona seriously incline:/ But still the house-affairs would draw her thence:/ Which ever as she could with haste dispatch,/ She’d come again, and with a greedy ear/ Devour up my discourse: which I observing,/ Took once a pliant hour, and found good means/ To draw from her a prayer of earnest heart/ That I would all my pilgrimage dilate,/ Whereof by parcels she had something heard,/ But not intentively: I did consent,/ And often did beguile her of her tears,/ When I did speak of some distressful stroke/ That my youth suffer’d. My story being done,/ She gave me for my pains a world of sighs:/ She swore, in faith, twas strange, ‘twas passing strange,/ ‘Twas pitiful, ‘twas wondrous pitiful:/ She wish’d she had not heard it, yet she wish’d/ That heaven had made her such a man: she thank’d me,/ And bade me, if I had a friend that loved her,/ I should but teach him how to tell my story./ And that would woo her. Upon this hint I spake:/ She loved me for the dangers I had pass’d,/ And I loved her that she did pity them./ This only is the witchcraft I have used (I, 3, 127-168).

Suo padre mi amava. Mi invitava spesso. E mi chiedeva sempre la storia della mia vita, di anno in anno, le battaglie, gli assedi, le avventure che avevo vissuto. E io raccontavo, dai miei giorni di ragazzo fin a quando mi chiedeva di raccontare: parlavo allora dei casi più disastrosi, delle più emozionanti avventure per mare e per terra, di ritirate per un capello appena prima di una breccia mortale, di quando caddi nelle mani del nemico insolente e fui venduto come schiavo e del mio riscatto e di come vissi le mie travagliate vicende. Parlai di vasti antri e desolati deserti, di grotte pietrose, di rocce e montagne la cui cima tocca il cielo – era la mia occasione di parlare e così condussi il racconto. E poi dei cannibali che si divorano l’un l’altro e degli antropofagi e di quegli uomini cui cresce la testa dietro le spalle. Desdemona era tutta intenta ad ascoltare il racconto: ma le faccende di casa la distoglievano. Eppure, non appena le aveva sbrigate, tornava e con orecchi avidi divorava il mio racconto. Lo notai e allora colsi il momento favorevole per strapparle l’appassionata preghiera di narrarle tutto il mio pellegrinaggio, di cui aveva ascoltato frammenti, ma non l’intero: e io acconsentii. Le strappai spesso lacrime quando parlai di qualche colpo terribile che soffrii nella giovinezza. Finita la mia storia ricompensò le mie pene con un mondo di sospiri: e lei giurò che era strana, che era più che strana, che meritava pietà, più che pietà: avrebbe voluto non averla sentita, e tuttavia avrebbe voluto in nome del cielo essere lei quell’uomo; mi ringraziò e mi chiese, se un mio amico si fosse innamorato di lei, di insegnargli a raccontare la mia storia. Questo l’avrebbe conquistata. Colsi l’occasione e parlai: lei si innamorò di me per i pericoli che io vissi e io mi innamorai di lei perché ne ebbe pietà. Questa è l’unica stregoneria cui ho fatto ricorso.

Proprio qui, su questo récit di Otello, Boito interviene, cogliendo come la reticenza shakespeariana sia strutturalmente giocata sulla rimembranza, la quale poi informa a sé anche la canzone del salice e il motivo del bacio. Decide, allora, Boito di costruire intorno al dispositivo del ricordo tutto il movimento della drammaturgia per musica. Ma in che modo?

Siamo certi che Boito leggeva il testo inglese – abbiamo gli esemplari boitiani dell’Othello di Shakespeare, con numerosi passi sottolineati, conservati alla Biblioteca Palatina di Parma. Sappiamo anche, però, che Boito leggeva soprattutto la traduzione francese dell’Otello, nell’edizione del 1860, uscita dalla mano di François-Victor Hugo (ne abbiamo la copia densamente sottolineata e annotata al Museo della Scala di Milano; mentre le altre due edizioni del 1868 e del 1871 si trovano alla Biblioteca Palatina di Parma). Dopodiché, Boito si riferiva anche alle traduzioni italiane, quella di Andrea Maffei soprattutto (del 1869), ma anche di Giulio Carcano e di Carlo Rusconi (tra gli anni ’30 e gli anni ’50) (Hepokoski 1987, 1988, 1990; Budden 1988; Pieri 1994; Arena 2006).
La situazione è, dunque, quella di un trilinguismo in cui spicca non la lingua di partenza, l’inglese, o d’arrivo, l’italiano, ma la lingua-medium, il francese. Dentro questo trilinguismo si muove, poi, la lingua poetica di Boito che è tutta giocata, come sappiamo, sulla sovversione dei codici tradizionali: al modo del poeta comico, Boito è un parodiatore che lavora di controcanto rispetto a tutte le regolarità della tradizione. L’Otello di Boito cresce, dunque, da un guazzabuglio linguistico, ma il guazzabuglio è funzionale allo scavo traduttivo e interpretativo della drammaturgia di Shakespeare.

Come sappiamo, Boito taglia tutto il primo atto veneziano dell’Otello: salva soltanto il racconto di Otello, rievocato sopra, e lo fonde, quindi, con la scena in cui i due sposi novelli si ritrovano a Cipro, dopo la tempesta che, in mare, li ha separati.
Ma dobbiamo prestare attenzione a un dettaglio: del I atto veneziano, Boito mantiene, oltre al racconto del Moro, un solo altro verso di Desdemona: I saw Othello’s visage in his mind, che poi è l’unico, epigrafico accenno di Desdemona al proprio innamoramento per  Otello – laddove, invece, questi si dilunga in un monologo narrativo di 42 versi, tra prolissità e enfasi, caratteristiche tipiche del modo di parlare d’Otello.

That I did love the Moor to live with him,/ My downright violence and storm of fortunes/ May trumpet to the world: my heart’s subdued/ Even to the very quality of my lord:/ I saw Othello’s visage in his mind,/ And to his honour and his valiant parts/ Did I my soul and fortunes consecrate. (I, III, 245-252).

Che io abbia amato il Moro per vivere con lui, lo annunciano al mondo con squilli di tromba la mia aperta ribellione e la tempesta di casi e coincidenze in cui mi sono trovata. Il mio cuore è sottomesso alla natura del mio signore: ho visto il volto di Otello nella sua anima. E ho consacrato al suo onore e alle sue splendide doti la mia anima e le mie fortune.
 

Il nuovo montaggio di Boito è molto interessante: il racconto di Otello del primo atto viene dialogizzato tra Otello e Desdemona e quindi fuso con la scena del ricongiungimento a Cipro nel secondo atto, sicché la rimembranza diventa azione drammatica sotto i nostri occhi. In altri termini: Otello e Desdemona si rammentano a vicenda il “come” del loro innamoramento. Ma il vero motore di tutto questo movimento è Desdemona: è lei a suscitare la ricordanza, perché a lei Boito attribuisce le battute che in Shakespeare appartengono al generale. Riporto qui di seguito il testo di Boito e, in interlinea, i versi shakespeariani cui quelli di Boito si ispirano:

DESDEMONA

Mio superbo guerrier!

 OTHELLO (to Desdemona): Oh, My fair warrior! (II, 1, 176)

quanti tormenti,
quanti mesti sospiri e quanta speme

OTHELLO: She gave me for may pains a world of sighs/… ‘Twas pitiful, ‘Twas wondrous pitiful (I, 3, 159-160)

ci condusse ai soavi abbracciamenti!
Oh! Com’è dolce il mormorare insieme:
te ne rammenti!

 

2 | Otello nel Cortile di Palazzo Ducale a Venezia, luglio 2013; regia di Francesco Micheli, scene di Edoardo Sanchi, costumi di Silvia Aymonino, direttore Myung-Whun Chun; orchestra e coro del Teatro La Fenice. Nella fotografia: Gregory Kunde, Otello; Carmela Remigio, Desdemona. Fotografia di Michele Crosera.

3. Il Tagtraum di Desdemona: l’angelo ribelle e il dio geloso

“Te ne rammenti”, dice, dunque, Desdemona. Ma si noti anche il verso: “Oh, Com’è dolce il mormorare insieme”. Sembra una mera invenzione di Boito – non c’è in nessun modo, questa frase, in Shakespeare. Eppure, forse, non si tratta d’invenzione. Si tratta piuttosto di allusione. L’idea mi è nata, dopo molto tempo che il verso mi risuonava nell’orecchio, quando ho ricordato il peccato paolino della mormorazione. 
“Non mormorate tra di voi”, dice Cristo ai Giudei (Giovanni, 6). Ma soprattutto importa il passo paolino della I Lettera ai Corinzi:
 

Non abbandoniamoci alla fornicazione, come vi si abbandonarono alcuni di essi [i padri] e ne caddero in un solo giorno ventitremila. Non mettiamo alla prova il Signore, come fecero alcuni di essi, e caddero vittime dei serpenti. Non mormorate, come mormorarono alcuni di essi, e caddero vittime dello sterminatore (10, 8-10).

μηδὲ πορνεύωμεν, καθώς τινες αὐτῶν ἐπόρνευσαν, καὶ ἔπεσαν μιᾷ ἡμέρᾳ εἴκοσι τρεῖς χιλιάδες. μηδὲ ἐκπειράζωμεν τὸν Χριστόν, καθώς τινες αὐτῶν ἐπείρασαν, καὶ ὑπὸ τῶν ὄφεων ἀπώλλυντο. μηδὲ γογγύζετε, καθάπερ τινὲς αὐτῶν ἐγόγγυσαν, καὶ ἀπώλοντο ὑπὸ τοῦ ὀλοθρευτοῦ.  
 

 μηδὲ πορνεύωμεν, “non abbandoniamoci alla fornicazione”, μηδὲ γογγύζετε “non mormorate”: fornicazione e mormorazione (contro dio) sono strettamente legate nell’ammonimento di Paolo. Memoria boitiana di ascolti liturgici? O di precise letture liturgiche (Boito è pur sempre autore del Mefistofele)? Certo, non dobbiamo confondere: nell’Otello si tratta di mormorazione amorosa, non empia… Eppure, Desdemona ha commesso – come liberamente e coraggiosamente ella stessa confessa  – un eclatante gesto di violenza e di ribellione (my downright violence and storm of fortunes may trumpet to the world) (Fusini 2005). Eppure, Desdemona chiama Otello il suo Lord, il suo Signore; per poi dire, ad Emilia, che non ha più Lord, quando intuisce che lui ha in serbo qualcosa di tremendo (IV, 2, 99-102); e quindi morire esclamando tre volte: O Lord, Lord, Lord! (V, 2, 86). Shakespeare gioca, soprattutto nel IV atto, sulla sovrapposizione tra signore-marito (lord) e signore-dio (Lord)… un signore-dio terribile, come il dio geloso veterotestamentario. C’è una filigrana metafisica nel testo shakespeariano: una metafisica nera, intendo, la metafisica tutta solo umana dell’errore, la metafisica disperata dell’abbaglio fatale: we must think men are not gods (III, 4, 144), dice ancora Desdemona a se stessa come a rimproverarsi qualcosa per il suo amore assoluto verso Otello, dopo la prima scena di gelosia. Certo, se Otello è il dio Desdemona… non è ‘eresia’? non è folle tutto ciò? non è, come diceva Brabanzio, preposterous? Ah, come è dolce il mormorare insieme: potrebbe essere questa la frase di un ‘angelo ribelle’?

Desdemona, l’Angelo, il Daimon: perché Desdemona porta questa parola nel suo nome, daimon, anzi, l’infelice daimondysdaimon (Vescovo 2023, p. 96). È tale ‘infelicità’ conseguenza della ‘ribellione’? Nella traduzione di Boito, Desdemona, l’angelo infelice, insuffla in Otello il ricordo del desiderio e della mormorazione erotica, seducendo e seducendosi. Ripercorriamo il duetto (scena III dell’Atto I) e il suo gioco di echi con il testo shakespeariano:

DESDEMONA
Quando narravi l’esule tua vita
e i fieri eventi e i lunghi tuoi dolor,
ed io t’udia coll’anima rapita

               OTHELLO And with a greedy ear/devour up my discourse (I, 3, 148-149)

in quei spaventi e coll’estasi in cor.

OTELLO
Pingea dell’armi il fremito, la pugna
e il vol gagliardo alla breccia mortal,

OTHELLO Of hair-breadth scapes i’th’imminent deadly breach (I, 3, 13)

L’assalto, orribil edera, coll’ugna
al baluardo e il sibilante stral.

DESDEMONA
Poi mi guidavi ai fulgidi deserti,
all’arse arene, al tuo materno suol;
narravi allor gli spasimi sofferti
e le catene e dello schiavo il duol.

OTHELLO And sold to slavery… /Where in of antres vast and deserts idle (I, 3, 137-138)

OTELLO
Ingentilia di lagrime la storia
il tuo bel viso e il labbro di sospir;

OTHELLO And often did beguile her of her tears (I, 3, 155)

scendean sulle mie tenebre la gloria,
il paradiso e gli astri a benedir.

DESDEMONA
Ed io vedea fra le tue tempie oscure
splender del genio l'eterea beltà.

DESDEMONA I saw Othello’s visage in his mind/ And to his honours and his valiant parts/ Did I my soul and fortunes consacrate (I, 3, 249-251)

Dopo la rievocazione delle avventure di Otello sollecitata da Desdemona e ripartita, quasi a responsorio, tra i due sposi, giunge, nella riformulazione di Boito, quella frase di cui prima parlavamo: Ed io vedea tra le tue tempie oscure splender del genio l’eterea beltà, ovvero, nel dettato shakespeariano, I saw his visage in his mind. Come arriva Boito a questa traduzione e perché? Che senso ha? Ora, l’affermazione di Desdemona I saw his visage in his mind è fulmineamente efficace… ma è trasparente? Che vuol dire “Vedevo/Vidi il suo viso nella sua… mente? Anima? Spirito?” (“spirito”, traduce, ad esempio, Agostino Lombardo; mentre Alessandro Serpieri opta per “animo”).  François-Victor Hugo rende: C’est dans le génie d’Othello que j’ai vu son visage. Mind, in francese, può dirsi in due modi: esprit o génie. Hugo sceglie génie, perché génie, mantenendo le sue ascendenze magico-soprannaturali, designa il talent naturel della persona. E Boito, proprio attraverso il francese, sceglie genio, che è parola perfettamente suggestiva: “e io vedea tra le tue tempie oscure scender del genio l’eterea beltà”, evitando sia il termine “anima”, sia il termine “cuore”, adottati da Giulio Carcano (Vidi nell’alma sua d’Otello il viso), da Carlo Rusconi (Guardando Otello non veggo che la sua anima) e da Andrea Maffei (Mirai nel suo volto il suo core). Ma scompare, nella ricreazione boitiana, il termine “viso”, che è sostituito da “tempie oscure”, un’‘oscura fronte’, per così dire, ‘un oscuro luogo’, ‘uno spazio d’ombra’ nel quale si manifesta un’ “eterea beltà”, qualcosa di magico, di splendente, di superno: non si tratta di una sorta d’allucinazione? L’innamoramento di Desdemona per Otello è dunque delirio ad occhi aperti, Tagtraum? Non vi è dubbio che Boito con la sua ricreazione dell’originale shakespeariano abbia voluto enfatizzare il carattere epifanico della visione di Desdemona: non si è trattato di una percezione sensoriale, né tantomeno di un atto intellettuale e volontario, quel free will che Desdemona stessa sembra rivendicare, ma di un’esperienza fantasmatica.

Vorrei che ci soffermassimo, a questo proposito, su un punto ulteriore. I saw his visage in his mind è, retoricamente, un hysteron proteron; il che fa pensare a quanto dice Brabanzio: l’attrazione di Desdemona per Otello è pre-posterous, cioè, alla lettera, effetto di un assurda inversione del prima col poi o del diritto col rovescio. Visage (che voglia dire “viso” o più estensivamente “aspetto”) è cosa esteriore, che si percepisce con gli occhi, mentre mind è cosa interiore e invisibile. Nel miraggio in cui Desdemona è caduta, per effetto di un hysteron proteron, l’interiore contiene l’esteriore: la “mente” contiene “il viso/l’aspetto”. L’esterno è risucchiato nell’interno. E una simile inversione rievoca il meccanismo del sogno, che è par excellence – ci insegna Freud – il luogo del desiderio: nel sogno la mente e la coscienza si ritirano dal mondo e lo riproiettano trasformato per effetto della rielaborazione involontaria. Rimembranza, allucinazione, sogno: non sto dicendo che l’allucinazione, il sogno e la rimembranza non sono ‘verità’. Allucinazioni e sogni sono avvenimenti veridici proprio perché costituiscono fenomeni psichici – come l’immemoriale tradizione magica, così presente nell’Otello, ci avverte ben prima della psicoanalisi. Ma allora che cosa ha “visto” Desdemona? Che “genio” luminoso ha scorto splendere tra quelle “tempie oscure”? Che “luce” era? Di che “bellezza” si trattava? Desdemona si è innamorata del proprio fantasma interiore: il fantasma dell’oggetto del desiderio ha allungato su di lei la sua ombra. Come direbbe il Freud di Melancolia e lutto: “l’ombra dell’oggetto è caduta sul soggetto” (Freud [1917] 1976).

3 | Otello al Teatro La Fenice di Venezia, novembre 2012; regia di Francesco Micheli, scene di Edoardo Sanchi, costumi di Silvia Aymonino, direttore Myung-Whun Chun; orchestra e coro del Teatro La Fenice. Nella fotografia: Gregory Kunde, Otello; Leah Crocetto, Desdemona, nel duetto “Già nella notte fonda”. Fotografia di Michele Crosera.

4. Otello: il lutto, la gelosia, l’odio e il bene perduto

E Otello? Nel duetto della rimembranza, Otello non ha una parte attiva. Risponde alle sollecitazioni di Desdemona e, come a comando, gioca il ruolo del ruvido guerriero: “pingea dell’armi il fremito… l’assalto, orribil edera…” Rammenta poi le lacrime e i sospiri di Desdemona (“ingentilia di lacrime la storia il tuo bel viso e il labbro di sospir” – a world  of sighs…), che lei stessa ha già rievocato subito prima; ma, soprattutto, in questo duetto, così strategicamente collocato all’avvio dell’azione drammatica, Otello concentra su di sé, fin da subito e al contempo, l’intera energia libidica e tutta la volontà di morte che spirano nel seguito della tragedia. Il che è perfettamente rispettoso del dettato shakespeariano: nel dialogo con Desdemona a Cipro del secondo atto, Otello si lascia andare a fantasie di morte che Boito, invece, senza por tempo in mezzo, anticipa al principio del dramma: l’Otello di Boito è un Otello da subito fragile e sensualissimo, paventante la perdita del bene libidico (la gioia – joy), materiale e fantasmatico, rappresentato per lui da Desdemona – meglio la morte piuttosto che smarrire quel bene o anche soltanto non goderne più, l’attimo seguente, con la stessa intensità dell’attimo precedente: 

OTELLO
Venga la morte! e mi colga nell'estasi
di quest’amplesso
il momento supremo!

OTHELLO If it were now to die,/’twere now to be most happy (II, 1, 183-184)

Tale è il gaudio dell’anima che temo,
temo che più non mi sarà concesso
quest’attimo divino
nell’ignoto avvenir del mio destino.
Ah! la gioia m’inonda
sì fieramente... che ansante mi giacio...
Un bacio...

OTHELLO I cannot speak enough to this content/ It stops me here; it is too much of joy./ (They kiss) And this, and this the greatest discords be/ That e’er our hearts shall make (II, 1, 190-192).

A Otello non importa più ormai della vita in sé, non gli importa più ormai di consumare i giorni vivendo: più della vita, gli preme di quella donna, di quella fanciulla che ha avuto compassione di lui e, attraverso la compassione, di lui si è innamorata. Desdemona è quella gioia che mi fa vivo – dice Otello della sua sposa nella celebre aria “Dio mi potevi scagliar tutti i mali” dell’atto III. Perdere lei significa perdere la vita. E si coglie proprio in questo specifico punto l’innesco della gelosia. Nella sua Etica (Prop. 35, schol.), Spinoza scriveva: “Hoc odium erga rem amatam invidiae junctum zelotypia vocatur”, “Questo odio, congiunto all’invidia, contro l’oggetto amato è chiamato gelosia”. Melanie Klein ci rivelerà poi che la prima radice della gelosia e dell’invidia è l’odio che si prova nei confronti dell’oggetto amato per il fatto che si ha paura di perderlo (Klein [1957] 2012; [1940] 1978). La paura diventa cieca aggressività distruttiva (Serpieri 1980; Beltrametti 2021). 

Ecco la coppia, dunque: un angelo sedotto dal suo stesso oscuro fantasma e la materia peccans d’un uomo che vive la vita “al di là del principio di piacere”, nella nostalgia della morte, perché in Otello opera profondamente, e più potentemente di ogni altro desiderio, la pulsione a ritornare cosa inanimata e inerte, quello stato ‘paradisiaco’ in cui, non essendoci più energia, non c’è più movimento e, dunque, né godimento, né dolore (Freud [1920] 1977). Per Otello, Desdemona è il pericoloso richiamo alla vita che riscatena l’angoscia della perdita.
E giungiamo così alla formula che racchiude l’amore di Otello e Desdemona – se mai possiamo chiamarlo amore: “e tu m’amavi per le mie sventure e io t’amavo per la tua pietà”. Notiamo il “per” che corrisponde all’inglese for e that. Otello – giacché è lui a pronunciare quella formula – ci vuol fornire una causa, cause – parola fatale, già lo ricordavamo, nella drammaturgia di Shakespeare, fino al culmine del monologo che precede l’uxoricidio: it is the cause, it is the cause; una causa che contiene il perché e il come dell’innamoramento. Ma tale “causa” resta molto misteriosa: dietro quella “pietà” e quei “pericoli”, quelle “sventure” (dangers), si cela un movimento dell’emozione e della mente destinato a rimanere sostanzialmente indeterminato, enigmatico, perché del tutto sottratto alla coscienza. Certo, una cosa è evidente: la propulsione dell’amore sta soprattutto in Desdemona, perché sue sono tanto l’attrazione per il pericolo – o per la paura, fear diceva Brabanzio – quanto l’appassionata pietà. E altrettanto risulta evidente, a ben pensare, che le ‘nozze’ tra “pietà” e “paura”, tra eleos e phobos direbbe il greco, costituiscono la formula perfettamente aristotelica della tragedia (Poetica, 1452a1-5) (Beltrametti 2022): potremmo affermare che quello tra Desdemona e Otello è amore tragico per definizione e già nell’atto stesso della sua nascita perché è contenuto profeticamente nel gioco della lingua. Shakespeare, come Boito (e forse Boito anche più nitidamente di Shakespeare), avevano senz’altro nell’orecchio la celebre definizione di Aristotele. E se Desdemona corre tra le braccia della paura perché è attratta dall’ “al di là del principio di piacere”, la cifra più tipica di Otello è la disperazione, il vivere senza “una causa” che non sia il desiderio di tornare all’inerzia della morte – d’altra parte, non vive forse Otello per uccidere? Non vive che uccidendo?

Vive, la volontà di morte, a sua volta, tutta nel motivo del bacio: in inglese to kiss to kill funziona, come automaticamente, nella phone, nel significante, quasi fosse un semplice venire a galla delle cose dalle parole (e come non ricordare, per altro verso, il küsse-bisse, “baciare-sbranare”, che affiora sulle labbra della Pentesilea di Von Kleist?): I kissed thee, ere I killed thee: no way but this, killing myself, to die upon a kiss (V, 2, 354-355). Quanto era già in principio si rivela alla fine, con un tempismo fatale: bastava risvegliare gli equivoci della lingua e lasciarli agire (un po’ al modo di Iago, a dire il vero…). In italiano ciò non è possibile. Intendo: Boito, che comprende a fondo il wordplay, traduce, nella celeberrima aria finale “Niun mi tema”, pressoché letteralmente: pria d’ucciderti, sposa, ti baciai. Or morendo… un bacio”. Ma sa, Boito, che non può più avvenire nella lettera della lingua italiana il ‘vero’ atto del tradurre: in un caso come quello di to kiss to kill, dove la lingua si fa pura phone, puro suono, e poi musica – perché la phone, al pari della musica, è movimento del pensiero oltre la parola – solo alla musica si può rinviare il compito del transfert linguistico; alla musica di Verdi che intona un motivo ritornante, un leitmotiv, il leitmotiv del bacio, in cui to kiss-to kill, echeggiando l’uno nell’altra come in assonanza, “mormorano”, tragicamente, insieme. Ah, com’è dolce il mormorare insieme: chissà se Boito, trascegliendo questa parola, mormorare, parola ecoica e onomatopeica, voleva ricreare per l’orecchio italiano, senza troppo esporlo, il vertiginoso pun sul nome del Moro, Moor, che percorre l’intera tragedia shakespeariana: Moor, more, amo(u)r, mors, morus, sycamore (Parker 2002). Mormorare d’amore e morire…

Riferimenti bibliografici

Edizioni di riferimento

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Otello, Dramma lirico in quattro atti, Versi di Arrigo Boito, Musica di Giuseppe Verdi, Ricordi, Milano, 1887.


Traduzioni 

Otello, in Teatro completo di Shakespeare, tradotto dall’originale inglese in prosa italiana da Carlo Rusconi, Padova, Minerva, 1838, tomo I, pp. 119-156.

Otello, Il Moro di Venezia, tragedia di Guglielmo Shakespeare, traduzione di Giulio Carcano, Milano, per Luigi di Giacomo Pirola, 1852.

La tragédie d’Othello, le More de Venise, Traduction par François-Victor Hugo, in Œuvres complètes de Shakespeare, Paris, Pagnerre, 1868, tome 5, pp. 237-397.

Otello e la Tempesta di Guglielmo Shakspeare. Arminio e Dorotea di Wolfango Goethe, Traduzioni di Andrea Maffei, Firenze, LeMonnier, 1869.

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Saggi

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Beltrametti 2021
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Beltrametti 2022
A. Beltrametti, Il piacere proprio della tragedia: in quale rapporto sta con il piacere proprio delle recite rapsodiche? Emozioni, tecniche e intenzioni: un’impasse aristotelica, in Filosofia, storia, immaginario mitologico. Nuovi approcci/Philosophie, histoire, imaginaire mythologique. Nouvelles approches, E. Berardi, M. P. Castiglioni, M.-L. Desclos, P. Dolcetti (a c. di), Alessandria 2022, 57-73.

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English abstract

This "inter artes" analysis explores the most controversial points of the translation process from Shakespeare’s Othello to Boito-Verdi's Otello. In particular, I focus my attention on the rendering of Desdemona’s famous line "I saw Othello’s visage in his mind" with "ed io vedea tra le tue tempie oscure scender del genio l’eterea beltà", which presupposes a complex play of memories and cultural mediations. A further central problem is constituted by another verse sung by Verdi’s Desdemona and not present in the Shakespearian text: "Ah, com’è dolce il mormorare insieme", a verse in which the entire sense of the Boito-Verdi translation is condensed. The overall thesis of the essay is that the Boito-Verdi translation helps to illuminate the hidden structure of Shakespeare's dramaturgy of Othello, namely how Othello and Desdemona fell in love.

keywords | Shakespeare; Giuseppe Verdi; Arrigo Boito; Othello; Desdemona; Translation.

Per citare questo articolo / To cite this article: ”Il mormorare insieme”. Filologia della traduzione tra Othello di Shakespeare e Otello di Boito-Verdi, ”La rivista di Engramma” n.200, vol.2, marzo 2023, pp. 245-260 | PDF

doi: https://doi.org/10.25432/1826-901X/2023.200.0067