"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

200 | marzo 2023

97888948401

Vers une Architecture. Cento anni di un libro-manifesto

Michela Maguolo

English abstract
“Ce livre est implacable. Il ne resemble à aucun autre”

Vers une Architecture, da sinistra verso destra: pagina pubblicitaria in “L’Esprit Nouveau” 18 (1923); copertina della seconda edizione, 1924; copertina dell’edizione del 1958, con sovracoperta elaborata da Le Corbusier.

Cento anni fa usciva Vers une Architecture, il libro destinato a diventare l’opera più famosa di Le Corbusier. Viene promosso con una lunga perorazione sulle prime pagine, quelle riservate alla pubblicità, del numero 18 di “L’Esprit Nouveau”, la rivista che aveva ospitato gli articoli confluiti nel volume. Pagine spesso trascurate ma che possono riservare interessanti spunti di analisi.

"Vers une Architecture", perché l’architettura è testimonianza dei tempi per eccellenza; è una risultante: strumento, qualità dello spirito. Stiamo uscendo da un periodo particolare della storia dell’umanità; siamo nel mezzo della formazione di una nuova era. Gli strumenti moderni, frutto di una produzione scientifica straordinariamente feconda e coraggiosa, sono un fatto nuovo, un evento nuovo al di fuori della tradizione. Lo spirito moderno si sta affermando; dopo cento anni di dibattiti rivoluzionari sta assumendo la forza di una regola. Gli strumenti e lo spirito moderni si stanno avvicinando al punto di fusione; sta iniziando un grande periodo di architettura. Stiamo andando verso un’architettura.

Questo libro si fonda sul fare umano, costante, e cerca di riaffermare le basi profondamente stabili del sentire umano. Esamina la produzione moderna, mettendo in luce le opere decisive dell’industria, e formula le leggi che regolano l’attività contemporanea; mostra gli strumenti che sono nelle nostre mani e che forniscono alle nostre iniziative mezzi immensi.

Un ciclo dell’architettura ha inizio; il senso architettonico agisce su tutta la produzione industriale: le tradizioni vengono stravolte dal calcolo e dalla portata di un nuovo programma. Lo spirito dell’architettura soffia sulle opere d’arte. La pittura e la scultura hanno subito uno shock e sono profondamente sconvolte; queste arti vanno con certezza verso una riforma nello spirito dell’architettura.

Più brutalmente, la vita sociale sconvolta dalla macchina richiede l’avvento di un tempo architettonico. Le persone non hanno più un luogo dove vivere, e se possiedono un alloggio, questo non è decente; si è voltata pagina, la vecchia abitazione non va più bene. La casa è anche la città. Le vecchie città appassiscono e vengono bruciate da una nuova vita, una nuova linfa che farà crollare la loro struttura fatiscente; c’è una crisi che pone violentemente la questione dell’esistere o del morire.

Questo libro non è destinato ai soli professionisti. È stato pensato piuttosto per il grande pubblico. I professionisti dell’architettura sono paralizzati dai codici secolari che impongono un ordine al loro lavoro. La salvezza non verrà dai professionisti: l’idea imperativa, il programma, verrà dalle masse, che gradualmente formuleranno le loro richieste e manifesteranno il loro nuovo senso dell’architettura: la domanda imporrà l’offerta. Il senso dell’architettura nasce dalle contingenze, non viene decretato sotto le cupole degli istituti conservatori.

Per comprendere ciò che è già emerso, ciò che emergerà dall’incontro tra gli strumenti moderni e le esigenze attuali delle masse, non era necessario un investigatore dallo spirito timoroso, un sostenitore di sterili adattamenti, che crede nella virtù delle concessioni e si accoda timidamente all’inevitabile. Non è nella carcassa di una berlina, né nel telaio di una diligenza che si devono cercare le linee di un’automobile o gli elementi costitutivi di un aeroplano.

Questo libro è implacabile. Non assomiglia a nessun altro. È una specie di verbale dell’ufficiale giudiziario; i suoi capitoli e le sue immagini sono altrettante intimazioni dalle conseguenze ineluttabili.

Il suo autore, il più vibrante, il più vivace dei teorici interessati al problema di un nuovo spirito dell’architettura, è anche e soprattutto un ingegnere, un architetto, il più originale degli architetti, il primo a mostrare con onestà, non solo con le testimonianze prodotte da questo libro ma con celebri progetti di case e città moderne – in via di realizzazione – quale architettura le masse sono destinate a reclamare, nel loro proprio interesse.

Questo libro trae la sua eloquenza da mezzi nuovi; le sue magnifiche illustrazioni svolgono un discorso parallelo e potente accanto al testo. Questa nuova concezione del libro, grazie al linguaggio esplicito e rivelatore delle illustrazioni, permette all’autore di evitare frasi fatte, descrizioni impotenti. I fatti esplodono davanti agli occhi del lettore attraverso la forza delle immagini; il testo del libro non è altro che il filo conduttore teso da una mente desiderosa di chiarezza attraverso il magnifico tumulto di un’epoca la cui storia comincia a iscriversi nella grandezza del calcolo, nella modestia e nella temerarietà della scienza, nel lirismo di un secolo che avanza di fronte a cento secoli passati.

Un bel volume in ottavo “raisin” (16x25), 244 pagine illustrate da 204 incisioni e disegni. Prezzo: 20 franchi. In vendita alla libreria Jean Budry et Cie, 3, rue de Cherche-Midi, Paris (“L’Esprit Nuoveau”, n. 18, 1923).

Il giornale viene fondato da Charles Edouard Jeanneret insieme all’amico pittore Amédée Ozenfant e al poeta Paul Dermée nel 1920. Già nel primo numero compare uno dei capitoli: Trois rappels à MM. les Architectes, a firma Le Corbusier-Saugnier,  gli pseudonimi che Jeanneret e Ozenfant usano quando si occupano di architettura. Quel primo articolo tratta del volume come uno dei tre elementi di cui si compone l’architettura. Segue, nel numero 2, la seconda parte dei Trois rappels sulla superficie; nel numero 4 la terza parte dei Trois rappels sulla pianta; nel numero 5 Les Tracés Régulateurs. Nei numeri 8, 9 e 10, il trittico sui mezzi di locomozione: Des Yeux qui ne voient pas. Les Paquebots, Les Avions, Les Autos. Nel numero doppio 11-12 esce Esthétique de l’ingénieur. Architecture; nel 13 Les Maisons en Série; La leçon de Rome nel 14; L’Illusion des Plans nel 15; infine Pure Création de l’Esprit nel 16.

La struttura del libro non segue strettamente la sequenza cronologica degli articoli  – Esthétique de l’ingénieur diventa il capitolo introduttivo, Maisons en série l’ultimo – e inedito è il capitolo conclusivo, Architecture ou Révolution, che avrebbe dovuto dare il titolo al libro, cambiato all’ultimo momento.

Anche il libro, come tutti gli articoli, ha per autori Le Corbusier e Saugnier, ma dalla seconda edizione il nom de plume di Ozenfant scompare, e il libro diventa la pubblicazione più famosa di Le Corbusier. Con disappunto di Ozenfant, naturalmente; il quale forse non si è accorto che già nella descrizione promozionale del libro si parla di un solo autore. Comunque, non esiterà a recensire il libro sulle pagine di “L’Esprit Nouveau”, nel numero successivo a quello in cui compare l’annuncio pubblicitario, lodando la capacità di Le Corbusier di tenere insieme meccanica e arte pura, macchine per abitare e creazioni poetiche. La rottura tra i due avverrà qualche anno dopo.

Preceduto da una pagina dove campeggiano la foto della copertina del libro e lo slogan “Ce livre est implacable. Il ne ressemble à aucun autre” – slogan che sarà utilizzato per pubblicizzare il libro in altre riviste – l’annuncio pubblicitario sintetizza con precisione gli obiettivi del libro: fornire regole, strumenti ed esempi dellʼarchitettura, manifestazione più avanzata dello spirito nuovo. Avverte quindi che il pubblico cui si rivolge è la massa e non i soli architetti. Paralizzati da regole centenarie, questi non sono in grado di cogliere lo spirito della modernità, mentre le masse, spinte dal bisogno di nuove abitazioni e nuovi luoghi in cui vivere indicheranno i caratteri della nuova architettura. Enfatizza infine l’intento destabilizzante del libro, spiegandone l’inedito dispositivo comunicativo. La giustapposizione di testi laconici, perentori – da verbale dell’ufficiale giudiziario – e immagini spiazzanti provoca una reazione potente – “i fatti esplodono davanti agli occhi del lettore”– cui nessuno potrà restare indifferente, destinata perciò a mutare la visione del mondo. Nessun cenno al fatto che i materiali di cui il libro è composto provengono da “L’Esprit Nouveau”, ma forse l’immagine di copertina del libro fornisce al lettore attento e fedele della rivista un indizio al riguardo: si tratta di uno dei ponti dell’Aquitania, il transatlantico mostrato nell’articolo sulle grandi navi. Invece, si mette in risalto, con toni iperbolici, l’autore, di cui non viene fatto il nome, ma che dalla descrizione, lo stesso perspicace lettore non potrà non identificare Le Corbusier: il più vibrante e vivace dei teorici, il più originale degli architetti. Anche il più modesto.

Il libro più noto e discusso. Edizioni, traduzioni, autopsie

La seconda edizione di Vers une Architecture esce a meno di un anno di distanza dalla prima, insieme ad altri due libri, Urbanisme e Art décoratif d’aujourd’hui, le “ali destra e sinistra” di Vers une Architecture, che registrano l’ampliamento del campo di riflessione, l’apertura di brecce, la comparsa di nuove vedute, come si legge nella prefazione del 1924 (Le Corbusier 1924). Il libro sta facendo scalpore, come la pubblicità aveva previsto. Parla di volumi, superfici e piante, di tracciati regolatori; confronta le regole eterne dell’architettura classica con quelle dei silos e degli edifici industriali; affianca il Partenone a un’automobile Delage Grand Sport del 1921 – tra l’altro pubblicizzata sulle pagine di “L’Esprit Nouveau”: la reazione tra le immagini risulta così amplificata e maggiormente provocatoria. La prima immagine che si incontra è il ponte di Garabit di Eiffel, enorme viadotto a struttura reticolare che contrappone la sua totale artificiosità alla natura del paesaggio montano che attraversa. L’ultima è la foto di una pipa, innocuo oggetto domestico essenziale nella forma affusolata, spesso riprodotto, proprio per queste sue caratteristiche, nei quadri cubisti e poi in quelli puristi. Per esempio in una sua (di Jeanneret) Nature morte pubblicata nel numero 11-12 di “L’Esprit Nouveau”. Un oggetto innocuo, ma à réaction poétique.

La struttura del libro non è lineare, sequenziale, i capitoli non si susseguono in modo logico, la scrittura ha un ritmo sincopato, le frasi sono spesso slegate, le affermazioni apodittiche. La conclusione è spiazzante: si dichiara che l’architettura è il mezzo per evitare la rivoluzione:

La società desidera violentemente una cosa che potrà ottenere o non ottenere. Tutto qui; tutto dipende dall’impegno che si metterà e dall’attenzione che si presterà a questi sintomi allarmanti. Architettura o rivoluzione. Si può evitare la rivoluzione (Le Corbusier 1923).

E forse tornare a fumare la pipa.

Una successiva edizione, dopo numerose ristampe, esce nel 1928, a ridosso della bocciatura al concorso per il Palazzo delle Nazioni di Ginevra e la prefazione che la accompagna denuncia l’atteggiamento retrogrado della commissione giudicatrice e investe Vers une Architecture del ruolo di strumento per proseguire la battaglia per l’architettura moderna, contro la mentalità Beaux-Arts: “Dopo la traduzione tedesca, inglese e americana, questo libro-manifesto, scrive Le Corbusier, riprende la guida e continua il suo lavoro” (Le Corbusier 1928).

Il libro viene tradotto molto presto. La prima versione in altra lingua è quella tedesca, Kommende Baukunst, uscita nel 1926, a cura di Hans Hildebrandt. Nella premessa, lo storico dell’arte spiega la rapidità con cui si è voluto rendere disponibile il testo in tedesco con l’urgenza di aprire un dibattito sui cambiamenti che le nuove tecniche e i nuovi materiali, insieme ai rivolgimenti sociali, stanno determinando. L’architettura ha una capacità disinnescante rispetto ai problemi che si addensano all’orizzonte:

L’arte di costruire è chiamata a contribuire a plasmare il nuovo ordine chiarificatore, a trasformare la rivoluzione minacciosa in un’evoluzione benefica, sostenuta dai nuovi mezzi di espressione acquisiti (Hildebrandt 1926, VI).

E sebbene la discussione su questi temi sia ben presente in tutta Europa, solo Le Corbusier ci ha scritto un libro:

Poiché l’autore, nato nella Svizzera francese ma che ha trascorso parte dei suoi studi in Germania e in Austria, ha scritto il suo libro in francese, una traduzione in tedesco è sembrata una necessità impellente per rendere quest’opera fondamentale accessibile a un pubblico più ampio possibile, per suscitare un proficuo dibattito di opinioni (Hildebrandt 1926, VII-VIII).

Con opportuno tempismo, il libro esce in Germania durante l’organizzazione della mostra del Werkbund a Stoccarda (inaugurata nel 1927), che diventerà nota con l’appellativo di Weissenhofsiedlung, per la quale Le Corbusier è chiamato a progettare ben due edifici.

L’autore della traduzione inglese uscita nel 1927, l’architetto e curatore editoriale Frederick Etchells, nella sua introduzione rassicura i lettori sulla serietà del libro e del suo autore, il quale, spiega, “non è un fauve, un rivoluzionario, ma un pensatore sobrio e lucido che trae ispirazione da una forte e accanita austerità”. 

Il libro è la cosa più valida finora apparsa, anche solo perché induce noi architetti e la gente comune a fare un bilancio, cercare di capire in quale direzione stiamo andando e prendere consapevolezza in modo anche confuso degli strani percorsi che probabilmente dovremo seguire, che ci piaccia o no (Etchells 1927, VIII).

Ma la direzione che Etchells propone è verso un’architettura “nuova”, come il titolo da lui scelto, Towards a New Architecture, annuncia. Quando, invece, l’architettura alla quale Le Corbusier guarda è priva di aggettivi: un’architettura tout court, unica, di fronte alla molteplicità degli stili, perché fondata su principi razionali, e senza tempo, come la regola aurea che la governa.

Se questo è l’errore più macroscopico che Etchells compie, non trascurabile è anche la traduzione di “volume” con “mass”, che dimostra come il traduttore ignori l’orizzonte eminentemente geometrico all’interno del quale Le Corbusier colloca le sue architetture. “L’architettura, recita una delle più note formule di Le Corbusier, è il gioco sapiente, corretto e magnifico dei volumi assemblati sotto la luce”. Sono volumi, non masse, i silos cilindrici come le architetture romane: la piramide di Caio Cestio, il Colosseo, l’arco di Costantino, raffigurati sulle pagine del libro.

Solo nel 2007, una nuova traduzione inglese ha restituito a Vers une Architecture il titolo e il significato di termini e concetti. Promosso dalla Getty Foundation, Toward an Architecture è uscito nella nuova versione di John Goodman, in un volume curato da Jean-Louis Cohen (Cohen 2007).

Ristampe, nuove edizioni, traduzioni favoriscono la diffusione del libro, che presto viene riconosciuto come uno dei capisaldi dell’architettura moderna, dalla critica come dalla storiografia. Al libro è assegnato un ruolo nella affermazione della nuova architettura fin dai primi tentativi di costruirne una genealogia, di individuare e selezionare personaggi e opere che scandiscono uno sviluppo storico, e non tratteggiano un semplice panorama. Già Gustav Adolf Platz in quello che è il primo sforzo di inquadrare in una prospettiva storica l’architettura contemporanea, Die Baukunst der Neuesten Zeit (Berlin 1927), si sofferma per alcuni paragrafi a illustrare Vers une Architecture: ne ripercorre la struttura, i temi, riconosce la novità delle teorie esposte sull’arte del costruire; è colpito dall’eco che il libro ha avuto: “non esiste un libro in tutta la letteratura architettonica che abbia ottenuto un effetto così forte con poche frasi incisive e commenti pungenti” (Platz 1927, 100).

Gli fa eco, due anni dopo, dagli Stati Uniti, Henry-Russell Hitchcock il quale, nello scritto che accompagna la mostra al MoMA, Modern Architecture. Romanticism and Reintegration, affianca Vers une Architecture alla casa che Le Corbusier ha costruito nel 1922 sul lago di Ginevra. Definisce la villa il primo manifesto della nuova architettura lecorbuseriana e sostiene che il libro “resta probabilmente il documento più discusso prodotto dai Nuovi Pionieri e sicuramente il più conosciuto” (Hitchcock [1929] 1996, 166).

Ancora, Sigfried Giedion, in Space time and architecture (1941) attribuisce al libro lo stesso peso delle opere di architettura, riconoscendone pari importanza e capacità di influenzare la cultura e il pensiero architettonico del suo tempo. Sottolinea la capacità analitica e sintetica di Le Corbusier, nel ricondurre problemi complessi a principi fondamentali e veicolarli attraverso “formule di chiarezza lapidaria”:

I primi tre capitoli di Vers une Architecture (pubblicati originariamente nel "L’Esprit Nouveau”, 1920) non possono essere trascurati in alcun studio sul nostro tempo. Indirizzando lo sguardo di “les yeux qui ne voient pas” verso la bellezza di “les autos, les avions, les paquebots, ha dato evidenza al ponte tra l’età presente e i suoi dimenticati precursori ottocenteschi (Giedion [1941] 1959, 528).

E Bruno Zevi intitola il suo primo libro scritto nel 1945 Verso un’architettura organica, dove l’aggettivo imprime una direzione ben definita alla strada che Le Corbusier aveva mostrato agli architetti e alla gente comune più di vent’anni prima. Non un cambio di direzione – per Zevi l’opera di Le Corbusier, come anche il razionalismo e il funzionalismo degli anni ’20 e ’30, sono parte necessaria dello sviluppo dell’architettura moderna – ma la precisazione di un percorso che prima era vago e aveva finito per perdersi perché chi lo aveva segnato non aveva seguito le tracce che pure erano presenti: quelle dell’organicismo, ovviamente (Cf. Zevi 1945).

La ricezione di Vers une Architecture in Italia è precoce e preceduta da recensioni ai primi articoli usciti su “L’Esprit Nouveau” di segno opposto da parte di Gustavo Giovannoni e Marcello Piacentini (Tamborrino 2003, Cohen 2007). Estratti dal libro escono nel volume dedicato a Le Corbusier da Giancarlo De Carlo nel 1945, e poi sulle pagine di “Domus” nel 1949, e su quelle di “L’Architettura: cronache e storia” nel 1965, l’anno della morte dell’architetto (Cf. Luppi 2012). Manca però un’edizione italiana completa del libro. Nel 1973 Pierluigi Nicolin e Pierluigi Cerri pongono rimedio a questo singolare vuoto, proponendo la traduzione di Verso un’architettura tratta dall’edizione del 1958. In questa nuova versione, voluta da Le Corbusier, le modifiche al testo sono minime, poche le immagini sostituite. Nell’occasione, Le Corbusier antepone all’impaginato originale una prefazione e applica alla copertina, sempre la stessa, una sovracoperta trasparente con disegni, retini scuri e scritte che occultano parzialmente l’immagine. E nella breve prefazione rivendica la libertà di spirito che ha sempre caratterizzato la sua opera: nel 1920 era bollato come un “volgare ingegnere”, nel 1958 è accusato di essere un “architetto barocco” e se la prima etichetta poteva accettarla, la seconda è “atroce”.

Nel presentare l’edizione italiana, Pierluigi Nicolin non fa menzione della strana dimenticanza da parte della pubblicistica d’architettura italiana, né motiva la tardiva edizione arrivata con mezzo secolo di ritardo. Sottolinea invece il carattere di trattato di architettura che il libro possiede, pur nella radicale alterità rispetto alla tradizione trattatistica: traccia un sistema architettonico completo, sebbene basato sull’invenzione personale, determina scopo e morale dell’architettura e nella sua normatività e sistematicità è ideologico. Assegnando all’architettura il compito di trasformare l’ambiente in cui l’uomo vive, di perseguire un equilibrio sociale (è Le Corbusier ad affermare che “l’equilibrio delle società è una questione di costruzione”), come accettazione dell’esistenza di classi sociali diverse – l’élite e le masse – Le Corbusier esprime un’ideologia estranea a quanto il razionalismo tedesco stava negli stessi anni sperimentando, in un orizzonte di socialdemocrazia (Nicolin 1973, XI). L’iniziativa di Cerri e Nicolin va forse ascritta alle iniziative di rilettura e revisione del Movimento Moderno che in quegli anni è al centro del dibattito architettonico in Italia e ha come importante esito, nello stesso 1973, la mostra che Aldo Rossi allestisce per la XV Triennale e il volume che l’accompagna, Architettura razionale, dove l’eredità del razionalismo è rintracciata in autori come Ludwig Hilberseimer, Adolf Behne, Hans Schmidt, quelli di cui, scrive Rossi, “riconosciamo oggi la validità per aver affrontato tutte le contraddizioni dell’architettura nel mondo borghese e nella prospettiva socialista” (Rossi 1973, 16). Di Le Corbusier, è la corrispondenza tra architettura e forme geometriche pure che interessa – e di questo tratta il frammento da Vers une Architecture citato, a didascalia del convento de la Tourette nelle pagine di Architettura razionale – sicuramente non il suo appoggio alla classe imprenditoriale, o il ruolo sociale anti-rivoluzionario che Le Corbusier rivendica per l’architettura.

Molti lettori di Vers une Architecture si sono peritati nello scrutare il libro, cercando di smontarne la struttura per comprendere meglio il dispositivo che Le Corbusier ha costruito e attivato. Sono stati evidenziati i ritocchi alle immagini, i cambiamenti nel testo nel passaggio da “L’Esprit Nouveau” al libro e nelle doverse edizioni del libro. Una disamina di testi e immagini è stata eseguita da Reyner Banham il quale a quasi quarant’anni dall’uscita, procede a scomporre Vers une Architecture, all’interno della propria lettura dell’architettura contemporanea. In Architecture in the first machine age (1960), lo storico inglese analizza la struttura del libro, prende in esame capitoli quasi periodo per periodo, evidenzia nessi e contraddizioni, smonta assunti, valuta peso e significato di frasi e immagini. Per concludere che ciò che caratterizza il libro, che lo ha reso così popolare, è la dimostrazione che la nuova architettura è in grado di allacciarsi alla classicità, perché le sue regole sono le stesse di quelle della tradizione classica, assolute, senza tempo: 

È stata esattamente questa riscoperta dell’antico nel nuovo, questo giustificare il rivoluzioanrio attraverso il familiare, che ha assicurato al libro la sua enorme popolarità tra i lettori, e un’influenza, invitabilmente superficiale, che ha superato quella di ogni altro scritto di architettura pubblicato finora in questo secolo. Ha dato la possibilità a coloro che guardavano alle costruzioni indubbiamente rivoluzionarie del suo autore, di trovarvi giustificazione per i loro pregiudizi più radicati – non è un caso che la sua influenza sia stata maggiore dove la tradizione Beaux-Arts è più forte. Il suo grande successo, tuttavia, non ha solo avuto il sopravvento su opere più pensate e più autenticamente rivoluzionarie di altri autori, ma anche sottratto l’attenzione verso altri e più ragionati libri dello stesso Le Corbusier (Banham [1960] 1969, 246).

Più di recente, nel 2007, Jean-Louis Cohen, in occasione della nuova traduzione inglese, disseziona ulteriormente il libro, compie “l’autopsia della macchina per persuadere” come scrive nel suo saggio,  analizzando titoli, frasi, termini e immagini per tracciare la trama di riferimenti, fonti, influssi, cercandone conferma nei documenti custoditi dalla Fondation Le Corbusier. Dimostra come il testo sia una vera e propria antologia di retorica, in cui si fa ampio uso di ripetizioni, ossimori, paradossi; come paradossali sono le manipolazioni che Le Corbusier esegue sulle immagini, cancellando colonne tortili, finestre, architravi modanati nell’interno di Santa Maria di Cosmedin, per enfatizzare l’essenzialità strutturale, eliminando il coronamento da un silos, per per ricondurlo a volume puro, ritagliando e proponendo a rovescio un’ala della sacrestia di San Pietro a Roma per costruire una pagina simmetrica.

Dalla mappa delle fonti cui Le Corbusier attinge per la preparazione degli articoli e poi del libro, pazientemente ricostruita dallo storico attraverso i documenti e la biblioteca di Le Corbusier e spogliando riviste del tempo, emerge una molteplicità di riferimenti culturali non solo francesi: se la giustapposizione di immagini estranee le une alle altre era già diffusa nelle pubblicazioni di Blaue Reiter e dell’architetto Paul Schultze-Naumburg, attinge a Choisy per le piante degli edifici, a Theodor Fischer per i tracciati regolatori, e ai cataloghi Alinari per le foto. Frasi ed espressioni derivano da Balzac come da Mallarmé, il procedere per aforismi, frasi sincopate, ossimori, ripetizioni, da Baudelaire e Ruskin, ma anche da Nietzsche, di cui Le Corbusier era attento lettore. Se ne ricava un Le Corbusier divoratore di libri, raccoglitore di fotografie e ritagli di giornale da cui attinge per mettere a reagire immagini con immagini e con parole. Conclude Cohen evidenziando la volontà di Le Corbusier di coniugare le due culture in cui si è formato, la germanica e la latina, ma soprattutto la cultura industriale con quella classica:

Vers une Architecture fu un tentativo di trascendere la frattura tra i valori dell’età industriale e quelli della cultura classica, frattura che solo un retorico abile qual era Le Corbusier poteva sanare. Soprattutto, l’impatto che ha avuto questo libro provocatorio è stato senza ombra di dubbio maggiore di quello esercitato dalle architetture, altrettanto dirompenti, del suo autore (Cohen 2007, 58).

Verso un’architettura?

Nel 2014, per la 14. Mostra internazionale di architettura della Biennale di Venezia, dedicata ai Fundamentals e a valutare il modo in cui il mondo ha assorbito la modernità inaugurata cento anni prima, è stato realizzato un modello in scala 1:1 della Maison Dom-Ino, progettata nel 1914 da le Corbusier. “L’immagine e i principi generali racchiusi nella Maison Dom-Ino”, si legge nel catalogo della mostra, sono “riconoscibili – e fondamentali – in tutta l’architettura del XX secolo”. Costruita in materiali del XXI secolo – legno composito – anziché acciaio e calcestruzzo, la struttura era smontabile per poter essere esposta nelle varie tappe della festa di compleanno lunga un anno organizzata dalla Architectural Association: “I principi dell’architettura moderna sono e restano un progetto per il mondo intero, per l’architettura, per le città e per le persone di ogni luogo” (Steele 2014, 184).

Dopo essere stata l’opera più celebre di Le Corbusier, uno tra i più influenti e discussi libri nella storia dell’architettura contemporanea, dopo essere stata sottoposta a critiche, disamine e a un’autopsia – che sembrerebbe dichiarare implicitamente il decesso del libro – forse, a cento anni dalla sua uscita, si potrebbe tentare di valutare se i principi racchiusi in Vers une Architecture, sono ancora un progetto per il mondo intero.

Riferimenti bibliografici
  • Banham [1960] 1967
    R. Banham, Theory and Design in the First Machine Age, London [1960] 1967.
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  • Etchells [1028] 1986
    F. Etchells, Introduction, in Towards a New Architecture [London 1928] New York 1986, V-XVII.
  • Giedion [1941] 1959
    S. Giedion, Space,Time and Architecture. The Growth of a New Tradition, Cambridge Mass., [1941] 1959.
  • Hildebrandt 1926
    H. Hildebrandt, Vorwort des Übersetzers, in Le Corbusier, Kommende Baukunst, Stuttgart 1926, VII-VIII.
  • Hitchcock [1929] 1993
    H.R. Hitchcock, Modern Architecture. Romanticism and Reintegration, New York [1929] 1993.
  • Le Corbusier 1923
    Le Corbusier, Vers une Architecture, Paris 1923.
  • Le Corbusier 1924
    Le Corbusier, Introduction a la seconde Édition, in Id., Vers une Architecture, Paris [1923] 1924, V-VI.
  • Le Corbusier 1928
    Le Corbusier, Preface, in Id., Vers une Architecture, Paris [1923] 1928.
  • Le Corbusier 1958
    Le Corbusier, Preface, in Id., Vers une Architecture, Paris [1923] 1958, I-VIII.
  • Luppi 2012
    F. Luppi (a cura di), Le Corbusier in Italia: una bibliografia (1921-1965), in M. Talamona (a cura di), L’Italia di Le Corbusier, Milano 2012, 430-440.
  • Nicolin 1973
    P. Nicolin, Prefazione, in Le Corbusier, Verso un’architettura, tr. it. e cura di P. Cerri e P. Nicolin, Milano 1973, VII-XI.
  • Ozenfant 1923
    [A. Ozenfant], “Vers une Architecture”, “L’Esprit Nouveau” 19 (1923), s.p.
  • Platz 1927
    G.A. Platz, Die Baukunst der Neuesten Zeit, Berlin 1927.
  • Rossi 1973
    A. Rossi, Architettura razionale, Milano 1973.
  • Steele 2014
    B. Steele, One-to-one dom-ino, in R. Koolhaas (ed.), Fundamentals, Venezia 2014, 184.
  • Tamborrino 2003
    R. Tamborrino, Le Corbusier e gli spazi del contemporaneo, in Le Corbusier, Scritti, a cura di R. Tamborrino, Torino 2003, VII-LXXIII.
English abstract

“‘Vers une Architecture’ because architecture is the witness of the times par excellence. It is a result: an instrument, a quality of the spirit [...] L’esprit moderne s’affirme. After one hundred years of revolutionary debates, it is taking on the character of rule. Modern instruments and the modern spirit are approaching the point of fusion. A great period of architecture is opening. We are going toward an architecture”. This advertisement appeared in issue 18 of L’Esprit Nouveau, announcing the book that will radically change the concept of the architectural treatise. “This book is implacable. It resembles no other”, it reads. Le Corbusier’s most famous book, Vers une Architecture, was published a century ago. Soon after its publication, it was clear to critics and historians, as well as architects, that architectural theory would never be the same again. From G.A. Platz to H.R. Hitchcock, from S. Giedion to B. Zevi, from R. Banham to J.-L. Cohen, historians have recognised the book’s place in the development of modern architecture. 

keywords | Le Corbusier; Modern Movement; L’Esprit Nouveau; translations.

Per citare questo articolo / To cite this article: M.Maguolo, Vers une Architecture. Cento anni di un libro-manifesto, ”Rivista di Engramma”, n.200, vol.2, marzo 2023, pp. 67-78 | PDF

doi: https://doi.org/10.25432/1826-901X/2023.200.0095