"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

224 | maggio 2025

97888948401

Lectio magistralis di Luca Ronconi

In occasione del conferimento della Laurea honoris causa all’Università Iuav di Venezia (2012)

con una Presentazione di Ilaria Lepore e Marta Marchetti

English abstract

§ Presentazione di Ilaria Lepore e Marta Marchetti
§ Lectio magistralis di Luca Ronconi
§ Video integrale della cerimonia di conferimento della Laurea honoris causa

Venezia, 21 gennaio 2012 – Sale Apollinee del Teatro La Fenice | Cerimonia di conferimento della Laurea honoris causa a Luca Ronconi. A sinistra: Luca Ronconi, Walter Le Moli, Amerigo Restucci.

Presentazione

a cura di Ilaria Lepore e Marta Marchetti

Tra il 2010 e il 2012, Ronconi è stato tutor del Laboratorio di Teatro Musicale del Corso di Laurea magistrale in Teatro e Arti Visive dell’Università Iuav di Venezia, realizzato in collaborazione con il Teatro La Fenice e coordinato da Walter Le Moli (che per il primo anno collabora insieme a Claudio Longhi). Il laboratorio, che ha visto coinvolti anche altri importanti professionisti come Franco Ripa di Meana, Margherita Palli, Vera Marzot, Gabriele Mayer, Claudio Coloretti, Alberto Nonnato e Luca Stoppini, ha portato alla realizzazione di due spettacoli andati in scena al Teatro La Fenice: Intolleranza 60 di Luigi Nono (stagione lirica 2011) e Lou Salomé, con la regia di Giuseppe Sinopoli (stagione lirica 2011-2012). 

A coronamento di questo rapporto con l’ateneo veneziano, il 21 gennaio 2012 la Facoltà di Design e Arti, ha conferito a Ronconi la laurea honoris causa in Teatro e Arti Visive. Il riconoscimento, consegnato nelle Sale Apollinee del Teatro La Fenice di Venezia da Amerigo Restucci, rettore dell’Università Iuav, Medardo Chiapponi (Preside della Facoltà di Design e Arti) e Walter Le Moli (direttore del corso di laurea in Teatro e Arti visive), è stato motivato con queste parole: “Per il contributo importantissimo dato al Teatro europeo d’opera e prosa, per l’originale lettura del patrimonio classico e il rinnovamento della visione drammaturgica, per l’esemplare relazione tra arte e spazio scenico sviluppata nel corso della sua eccezionale attività di regista e direttore”.

In quell’occasione Ronconi tenne una lectio magistralis che, come nel suo stile, si presentava con un andamento discorsivo lontano dalla forma accademica tradizionale. A Venezia poi Ronconi parla a braccio, senza un testo preparato a priori, dando così piena manifestazione di un pensiero intermittente, fatto di interiezioni, digressioni, pause, riprese, a volte spezzato e frammentario, ma sempre capace di restituire una visione profonda del teatro come spazio di riflessione e di invenzione, di didattica e ricerca.

Per rispettare e insieme rendere accessibile la dimensione orale del suo modo di formulare il pensiero, abbiamo scelto nella trascrizione del discorso di intervenire in modo significativo, riorganizzando il testo dove necessario, pur cercando di mantenere la sostanza e l’intonazione originale. Allo stesso tempo, per offrire un’esperienza completa e diretta del suo eloquio, mettiamo a disposizione anche il video integrale della cerimonia, invitando chi legge anche ad ascoltare il discorso di Ronconi e gli interventi che lo introducono: è infatti forse solo attraverso la voce – nel suo ritmo, nelle sue esitazioni, nei suoi accenti, nel suo porsi in maniera profondamente dialogica – che si può cogliere appieno il carattere unico della riflessione di Ronconi.

Lectio magistralis

Luca Ronconi

Io non sono un regista teorico, e quindi non posso dire che questa sarà veramente una lezione. Lezioni ne faccio, ovviamente, una al giorno. Ma per un pubblico di giovani attori – sono studenti attori, sono studenti registi. Quindi, non essendo teorico, posso fare un esercizio, prendendo una piccola citazione da Goethe, di “delicata empiria”; questa frase mi piace, mi corrisponde. Trovandomi in una sede universitaria e siccome credo che, in fondo, l’anima dell’università sia nella didattica e nella ricerca, proverò a vedere se riesco a organizzare un discorso su quella che è stata la mia esperienza, il mio lavoro su questi due fronti. La didattica e la ricerca, dunque.

Sento di dover fare una premessa. Da quando, più di quarant’anni fa all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica, ho cominciato a tenere dei corsi per la gente del teatro, da allora e ancora adesso, continuo a chiedermi: ma io sono proprio un buon didatta? Me lo chiedo, perché di fatto, se penso che ciò che si dovrebbe trasmettere sono delle sicurezze, in fin dei conti questo io non sono mai riuscito a farlo. Quello che devo dire però – che è anche ciò che mi conforta – è che fra le persone oggi attive nel teatro ce ne sono molte – sia attori sia registi, e alle volte anche scenografi di cui non faccio i nomi ma che sicuramente conoscete – che vengono dall’esperienza comune che abbiamo fatto.

Ho detto che non sono teorico, quindi non posso parlare veramente di didattica. Ma posso parlare dell’esperienza con quei giovani e mi piace pensare a quei giovani non come a quelli che pensano di ‘fare gli attori’, ma come a quelli che pensano – come è stato per me quando avevo diciotto anni – di scegliere il teatro come territorio in cui vivere. Io ho cominciato a fare l’attore, ho fatto il regista, ma avrei potuto – lo dico sempre – fare lo scenografo, e probabilmente anche il tecnico, proprio perché fortunatamente ho individuato precocemente questo luogo, che si chiama teatro, come il pelago in cui mi sarei potuto trovare a mio agio. Grazie a Dio, è stato così. Quindi, più che di ricette professionali, più che di metodi rassicuranti – e ce n’è tanti in teatro, tutti famosissimi, intitolati a figure diametralmente sicuramente più importanti di me – che come tutti quanti i metodi presuppongono un successo che è garantito dalla loro applicazione, c’è un lavoro che si fonda soprattutto sull’esperienza. Per questo, quella garanzia non mi sono mai sentito di poterla dare.

Devo anche dire che il motivo per cui non parlo tanto di me come didatta, di quali sono cioè i miei modi, è che tutti noi registi siamo anche un po’ ladri. Naturalmente onesti ladri – voglio sperare. Probabilmente, dall’esperienza didattica è molto più quello che ho ricevuto che quello che sono riuscito effettivamente a trasmettere. Se per trasmettere si intende: nozioni, una precettistica, un ‘come si recita’, un ‘come ci si comporta’ … 

Quante volte ti chiedono: “Come si analizza un testo?”. Questo i registi lo chiedono sempre. Ma che vuol dire? Non è una questione di fare un’analisi. Ci può essere un giovane regista per cui l’analisi del testo è la cosa fondamentale. Viceversa, un giovane regista per cui l’analisi del testo è secondaria. Il mio lavoro, ogni giorno, è – è stato – questo: il piacere, e soprattutto la curiosità, di trovarmi di fronte a delle individualità e di rapportarmi a ognuno in una maniera diversa.

Ecco, per questo motivo non ho una teoria, e non l’ho mai avuta. Devo dire che non mi piace neanche – non ne ho l’abitudine – farne una a posteriori, come spesso capita a chi lavora in teatro. L’anno prossimo saranno sessant’anni; sei decenni di attività teatrale, con circa – più o meno – duecento spettacoli, tra teatro musicale e teatro parlato. E adesso, cogliendo l’occasione che il conferimento di questa laurea mi dà, cerco di tracciare, di riconoscere la rotta attraverso le tante esperienze che ho fatto.

Cercherò allora di rintracciare alcuni fili che mi hanno guidato nella mia esperienza. Torno a dire: per me l’esperienza didattica non è mai stata disgiunta da quella più pratica. E posso fare un esempio, proprio qui, a proposito di Venezia? Mi pare che il secondo anno che sono stato chiamato qui a fare un corso, l’abbiamo fatto sul Mercante di Venezia di Shakespeare, di cui francamente sapevo poco. Non è un caso che, tre o quattro anni dopo, il Mercante di Venezia sia diventato uno spettacolo, al Piccolo Teatro di Milano. Io so benissimo che le cose interessanti e anche le sciocchezze che ci siamo detti, i ghirigori, le deambulazioni che abbiamo fatto in quel periodo di corso, sono state un onesto ladrocinio, perché sono tutte quante intervenute nella realizzazione di quello spettacolo.

Allora, vediamo: cerco un po’ di andare a ritroso (e non è facile) per ritrovare qualche filo. Mi hanno appiccicato, nel corso di questi quarant’anni, tante di quelle etichette … Quando ho cominciato – un po’ perché il primo spettacolo da cui ho avuto qualche riconoscimento era un dramma elisabettiano che si svolgeva in un manicomio e un po’ perché subito dopo ho fatto l’Orlando furioso – sono stato attaccato per qualche anno, qualche stagione teatrale, come il “regista della follia”.
Poi, siccome mi sono ritrovato, in una di quelle cose della follia che è l’Orlando furioso a dover mettere in scena tutto quanto il poema – o quasi tutto – dividendolo in fogli per luoghi e per tappe, per vedere le contemporaneità, sopra il pavimento dell’appartamento dove abitavo a Roma (che era molto grande), e avendo trasferito paro paro, diciamo, quell’organizzazione su una scena, su uno spazio che quindi non poteva essere un palcoscenico, ma era proprio uno spazio aperto; da lì, ecco, il “regista degli spazi”. Ma non è affatto vero. Per cui molta gente poi si irrita quando invece prendi un classico greco e lo fai per quello che cercavano di fare.

Praticamente, per ritornare alla didattica, quello che mi interessa certamente è comunicare a dei giovani aspiranti teatranti, che generalmente vengono con idee preconcette, che probabilmente la cosa migliore è cominciare a vedere le cose come sono e fare esperienza di quei testi. In realtà, mi sembra – anche da attore – di invitare a fare una lettura, non tanto una lettura critica. Non ho mai messo in scena nessuno spettacolo secondo le idee di qualcun altro. Anzi, probabilmente nemmeno secondo delle idee, ma semplicemente secondo uno sguardo, che credo sia la cosa che mi ha sempre molto distinto.

Ma tornando sempre alla didattica e parlando di quarant’anni fa, io inizio a ridosso del ’68. In quel momento mi è capitata una situazione abbastanza imbarazzante, perché avendo praticamente la stessa età di quelli che contestavano l’insegnamento sono stato immediatamente associato a loro, per ragioni generazionali. Ma devo dire che le cose generazionali mi hanno sempre un po’ insospettito. E – ma questo è un inciso – uno dei miei vantaggi è proprio di non essere mai appartenuto, di non essermi mai sentito, in una generazione, né quando avevo diciotto anni, né quando ne avevo venti, né quando ne avevo cinquanta. In quegli anni, mi sono trovato (pur fatte salve e condividendo le legittimissime istanze eversive di quegli anni) nella difficoltà di dover già allora dire che le esperienze si fanno e poi si trasformano. Molto spesso, come si dice nel proverbio, si nasce incendiari e si finisce pompieri. È meglio rimanere poco incendiari e non diventare completamente pompieri. Posso dire quindi che, fin da allora, la mia attività era – e lo è tuttora – rivolta a spingere le giovani generazioni di teatranti. E continuo dicendo teatranti, perché non è affatto la stessa cosa e proprio qui posso anche aprire una parentesi, visto che siamo alla Fenice, ovvero in un teatro musicale.

L’apprendimento teatrale è qualcosa di molto meno rigido, è molto meno disciplinato di quello che è, per esempio, per chi studia la musica. Lì c’è una disciplina molto forte, ci sono delle regole fortissime. Viceversa, chi si avvicina al teatro ha generalmente in testa una specie di mito dell’assoluta libertà che non è sempre profittevole.

Ho perso un po’ il filo, ma cerco di riacchiapparlo … Dicevo che mi sono trovato a cercare di avviare i ragazzi, anche i registi, forse anche in odio a quell’etichetta di moda, spingendoli a pensare che le cose passano. Io vedo che, negli ultimi anni, tutti quanti si lamentano molto di una condizione, di un destino di precarietà, eppure non sempre ci si attrezza – e parlo solamente del teatro in questo caso – a fornirsi degli strumenti che possano aiutare a contrastarla, in qualche modo.

Per passare ai temi della ricerca, posso partire da questo. Ho fatto duecento spettacoli, ma ho fatto anche una grandissima fatica ad abituarmi a quel luogo che si riconosce come il vero luogo del teatro, ossia il palcoscenico. Per me, le regole del palcoscenico, i limiti del palcoscenico, ma – dirò di più – anche il significato del palcoscenico mi è profondamente estraneo. Ho dovuto quindi fare un grande sforzo. Intanto per vedere in un altro modo, e poi quando è necessario – perché il mio lavoro è anche una professione – per adattarmi professionalmente a quelle che sono le esigenze di quel luogo, il palcoscenico.

Il mio spettacolo ideale, l’ho sempre detto, è uno spettacolo infinito; per me, già teatro e spettacolo sono due cose che non sono sinonimi, non posso pensare il teatro se non come un’attività interiore – anche interiore – lo spettacolo non lo è. Quindi, quello che ho sempre cercato di fare, di trasmettere ai giovani attori e registi è una unità di libertà. Lo spettacolo che perseguo da sempre – e in qualche modo ci sono anche riuscito – è uno spettacolo di piacere, uno spettacolo infinito. Ecco perché la mia collaborazione con John Barrow, che è un astrofisico, ha dato luogo – ora che cerco di tracciare dei fili della mia attività – a uno degli spettacoli più significativi che ho fatto in questi ultimi anni – Infinities. Quello è un argomento che mi è completamente estraneo – non so niente di astrofisica – ma da lì viene, per me, il perché penso il teatro come esperienza: non perché adesso ne so un pochino di più – per sapere un po’ di più mi bastava leggere un libro – ma perché posso conoscerla. E qui arrivo al nucleo del mio discorso, io ho sempre pensato il teatro come una forma di conoscenza. Ed è a quello che mi piace invitare i giovani che seguono le mie lezioni: sapere che il teatro può essere una forma di conoscenza molto particolare, non normativa, nella quale la libertà della lettura e anche il condizionamento del testo possano anche coincidere. Questa credo sia una delle prerogative che il teatro può dare alla gente.

Ovviamente, come regista, mi piacerebbe che questa possibilità di libertà fosse data non solamente agli studenti che seguono i corsi, o agli attori ma anche al pubblico che viene a vedere gli spettacoli. Non a caso, all’inizio, il gruppo di lavoro con cui abbiamo fatto il nostro più famoso spettacolo, se non altro quello che mi ha dato più credito, che era l’Orlando furioso, l’abbiamo chiamato Teatro Libero, non pensando di poter fare ciò che volevamo, ma pensando che fosse il pubblico a poter fare di noi ciò che voleva. Secondo me, questa possibilità è tuttora qualcosa che mi muove, anche all’interno dei limiti e delle necessità che, in qualche modo, mi si presentano attualmente.

Il discorso è un po’ sconnesso e incompleto, però questo lo avevo anticipato. A questo punto dovrei forse rientrare nel rito di queste situazioni. Ammetto, c’è sempre una certa emozione. Chi mi conosce sa che non mi piace manifestare l’emozione. [Applauso] Questo, scusate, è un modo traditore di provocarla. Allora, voglio ringraziare il magnifico Rettore, il Preside della Facoltà, il Direttore di Dipartimento per avermi conferito questa onorificenza. Grazie.

Video integrale della cerimonia di conferimento della Laurea honoris causa

00:00 Saluti del Rettore dell’Università Iuav di Venezia, Amerigo Restucci; 01:24 Introduzione del Preside della Facoltà di Design e Arti, Medardo Chiapponi; 06:10 Laudatio di Walter Le Moli, direttore del corso di Teatro e Arti visive; 23:38 Lettura delle motivazioni, Rettore Amerigo Restucci; 25:35 Lectio magistralis, Luca Ronconi.

English abstract

This is a transcription of the lectio magistralis delivered by Luca Ronconi on January 21, 2012, in the Apollinee Room, on the occasion of the awarding of an honorary degree in Theater and Visual Arts by the Faculty of Design and Arts at the Iuav University of Venice (Master’s Degree in Theater Sciences and Techniques). The transcription is accompanied by the original video recording of the event, offering a direct experience of Ronconi's distinctive way of articulating his thoughts on theater.

keywords | Luca Ronconi; Iuav; Lectio Magistralis.

Per citare questo articolo / To cite this article: Luca Ronconi, Lectio magistralis in occasione del conferimento della Laurea honoris causa all’Università Iuav di Venezia, “La Rivista di Engramma” n. 224, maggio 2025.