Luca Ronconi e la direzione del Teatro di Roma
Marta Marchetti
English abstract
1 | Luca Ronconi al Teatro Argentina, Archivio Storico della Biennale di Venezia – ASAC, Archivio Ronconi, b. 66, f. 15.
A metà degli anni Novanta Luca Ronconi torna a vivere a Roma chiamato a dirigere il Teatro Stabile della capitale. Nella città dove è cresciuto non ha una casa ormai da anni, da quando nel 1976 aveva iniziato la sua avventura professionale a Prato e spostato la sua residenza in Umbria. Roma rimane però il luogo della sua iniziazione teatrale (dalla visione, proprio al teatro Argentina, di una commedia di Gilberto Govi alle recite in famiglia nell’appartamento di Via Nomentana), della formazione artistica (studia recitazione all’Accademia D’Arte Drammatica Silvio d’Amico), degli esordi come attore prima (a Roma recita, tra gli altri, accanto a Giorgio De Lullo, Corrado Pani, Vittorio Gassman, Elsa Albani, Nora Ricci, Anna Maria Guarnieri) e come regista poi (al Teatro Valle firma la sua prima regia nel 1963). Ronconi stesso ricorda, nell’autobiografia pubblicata postuma, quanto proprio a Roma – città che “all’epoca era bellissima” (Ronconi 2019, 64) – vita e teatro cominciassero a fondersi. Il racconto autobiografico si arresta però proprio alle soglie della nuova avventura romana quando, quasi sessantenne, si appresta a dirigere il Teatro di Roma (1994-1998). Lacunosa anche la letteratura scientifica in proposito, che si concentra per lo più sull’analisi critica degli spettacoli firmati dal regista in quel contesto, senza considerare il peso avuto dal doppio ruolo lì ricoperto da Ronconi. Questo contributo intende aggiungere un tassello per comprendere l’operato del regista alla luce della sua esperienza come direttore artistico. Dopo gli anni allo Stabile di Torino (TST), che diresse dal 1989 al 1994, è infatti a Roma che prosegue nel suo desiderio di “avere una casa in teatro [che] vuol dire arrivare a costituire un ensemble permanente, un gruppo di attori, tecnici, funzionari, riuniti attorno a qualcosa in cui tutti credono e in cui ognuno ha le sue responsabilità (Ronconi in Gregori 1989). Lo studio è stato condotto su documentazione d’archivio e sugli scritti, le interviste e i discorsi che hanno alimentato all’epoca il dibattito pubblico veicolato da quotidiani e riviste specializzate: materiale che nel suo complesso permette di ricostruire la cronaca di alcuni tra i principali avvenimenti, individuare la squadra di lavoro e illustrare le principali linee direttive dell’operato di Ronconi al Teatro di Roma.
L’approdo
Il nome di Ronconi, insieme a quello di Dario Fo e Peter Stein, inizia a circolare sulle pagine dei principali quotidiani fin dall’inizio del 1994, quando la necessità di trovare un nuovo direttore per lo stabile romano sembra diventata un’urgenza. Le dimissioni di Pietro Carriglio, avanzate fin dall’autunno precedente per le allusioni a un eccessivo potere e a un passato politico ambiguo (per un resoconto si veda Ponte di Pino 1994, 59-60) sono formalizzate il 24 febbraio, con più di sei mesi di anticipo dalla scadenza ufficiale del mandato. A quell’altezza cronologica il consiglio di amministrazione del teatro è presieduto da Ferdinando Pinto che, con i consiglieri Diego Gullo, Marcello Visca e Ferruccio Marotti (quest’ultimo appena subentrato alla dimissionaria Dacia Maraini), si riunisce d’urgenza il giorno stesso per risolvere il problema della carica vacante. Il bilancio del teatro, in pareggio, e il sostegno della giunta del sindaco Francesco Rutelli, in carica dal dicembre precedente, sembrano gli elementi concreti per procedere con la nomina di uno tra i registi più apprezzati del panorama teatrale europeo; mentre l’ostacolo maggiore è rappresentato dal rinnovo biennale appena firmato da Ronconi per continuare a dirigere lo stabile torinese.
“La Repubblica” del 25 febbraio dedica ampio spazio alla vicenda: nell’edizione torinese si parla della “guerra aperta tra Roma e Torino” (Schiavazzi 1994) e della passività dei vertici piemontesi – il sindaco Valentino Castellani e il presidente del TST Giorgio Mondino – accusati di non fare abbastanza per trattenere chi ha portato la città a livello delle grandi scene europee; a Roma, sulla stessa testata, Rodolfo di Giammarco ripercorre i termini delle “trattative impostate con tatto ma insistenza”, tra cui anche quelle relative al previsto inserimento delle regie di Ronconi nella programmazione 93-94 del Teatro di Roma (oltre ad ospitare Venezia salva di Simone Weil, prodotto dallo stabile torinese e in scena all’Argentina dal 23 febbraio del 1994, sono in cartellone due co-produzioni Torino-Roma: la ripresa il 16 marzo di Affabulazione di Pier Paolo Pasolini e il debutto di Aminta di Torquato Tasso il 14 aprile di quello stesso anno). Nonostante la nomina del nuovo direttore sia subito ufficializzata dal neoassessore alla cultura Gianni Borgna e dal consiglio di amministrazione del Teatro di Roma, è chiaro che il passaggio da un ente all’altro non sarà immediato. Ronconi infatti non interviene alla conferenza stampa organizzata quel 26 febbraio al Teatro Argentina e fa sapere da Bruxelles, dove è impegnato nell’allestimento dell’Otello di Gioachino Rossini, di non poter accettare l’incarico prima di aver chiarito la sua posizione a Torino.
In merito al delicato trasferimento, la ricca rassegna stampa conservata dal Centro Studi del TST si arresta il 15 marzo, all’indomani della soluzione legale che permette una transazione amichevole. Nel consiglio di amministrazione, la sera precedente, era stato infatti annullato il rinnovo del contratto appena firmato e riportato in vigore il precedente con scadenza da lì a poche settimane. Ma al di là di questo atto formale, gli elementi che contribuiscono a tracciare una linea di continuità tra i due stabili sono la disponibilità di Ronconi a mantenere la direzione della Scuola di Teatro, che egli stesso aveva creato al suo arrivo al TST, e di riprendere a Roma la regia de L’Affare Makropulos di Karel Čapek coprodotto l’anno precedente dagli stabili di Torino e di Genova. Il filo diretto Roma-Torino - così titola “l’Unità” il primo di marzo – sembra così sempre più concreto, a confermare gli auspici di chi aveva visto nello spostamento di Ronconi a Roma anche una possibilità di “ridisegnare la mappa del teatro italiano, ancora in attesa del nuovo” (Capitta 1994, corsivo nell’originale). Si tratta a questo punto di provare a comprendere meglio quanto ricorre nelle dichiarazioni ronconiane di quei giorni frenetici, ovvero la sua personale tensione verso il cambiamento. “Non credo alle cose definitive”, spiega a Maria Grazia Gregori precisando anche che la scelta di lavorare a Roma “non sarà un ritorno a casa ma un approdo” (Gregori, Ronconi 1994, mia la sottolineatura). Mentre intervistato da Osvaldo Guerrieri per “La Stampa” dice: “di Roma mi attrae l’età del teatro. Il Teatro Stabile di Torino ha una sua fisionomia, è una struttura che dipende solo in parte dal Direttore. Il teatro di Roma tre anni fa è ripartito da zero e ha lavorato seriamente. […] Non vado a Roma senza sapere quali sono i contorni di un’istituzione diversa da Torino, che deve essere condotta e programmata in maniera diversa” (Guerrieri, Ronconi 94).
Contratti, persone, leggi
Una prima pista per verificare le ricadute pratiche di un modo di vivere il teatro profondamente consapevole dei contesti e sempre orientato dal movimento verso nuovi scenari, si può trovare tra le carte conservate dal rappresentate legale di Ronconi, Giovanni Arnone, recentemente confluite nell’archivio privato del regista. In data 29 marzo, a sei giorni dalla conferenza stampa in cui Ronconi accetta pubblicamente l’incarico al Teatro di Roma, l’avvocato scrive a Pinto in merito al contratto ancora da firmare. E sottolinea: “ti prego di voler affrontare e concludere, unitamente alla formalizzazione del contratto di Luca anche quello di Nunzi” (Arnone 1994). Soffermarsi sulla persona di Maria Annunziata Gioseffi, conosciuta come Nunzi o la Nunzi, è necessario perché a Torino prima e a Roma poi, tutti sanno ciò che Franco Quadri scrive chiaramente: “la Nunzi praticamente si prese Luca in pugno e ne fece un direttore” (Quadri 1998).
2 | Nunzi e Luca Ronconi al Teatro Carignano di Torino, Archivio Storico della Biennale di Venezia – ASAC, Archivio Ronconi.
Nata a Modena il 19 marzo 1946, Nunzi cresce a Firenze dove studia al Liceo Classico Galileo[1]. Lì è allieva di Marino Raicich (1925-1996), ricordato come intellettuale di frontiera per i diversi contesti del suo impegno culturale: docente di latino e greco nei licei, deputato parlamentare per il Partito Comunista Italiano, studioso della storia dell’istituzione scolastica e direttore del Gabinetto scientifico letterario G.P. Vieusseux di Firenze (Marogna 2000). Raicich è una figura fondamentale nella formazione di Nunzi, non solo per averle trasmesso la passione della filologia classica ma anche per l’educazione politica radicalmente opposta a quella della famiglia d’origine (il padre sembra aver partecipato alla marcia su Roma). Sempre a Firenze Nunzi si iscrive al PCI (sezione Buonarroti) e alla Facoltà di Lettere dove, senza mai laurearsi, si interessa all’antropologia culturale. Fa parte del folto gruppo di ricercatori che, tra il 1968 e il 1975, sono diretti dal professor Alberto Maria Cirese in un progetto con la Discoteca di Stato sulla rilevazione e catalogazione di beni culturali demologici. Alla costruzione di quell’ampio corpus di tradizioni orali non cantate, Nunzi partecipa curando tre delle dodici registrazioni realizzate nelle province della Toscana: agli inizi del 1969 è a Barberino del Mugello, Montecarlo e Castelnuovo Berardenga dove ascolta, raccoglie e produce decine di voci che raccontano storie, fiabe, aneddoti, wallerismi (Gioseffi 1969). Del patrimonio culturale immateriale torna a occuparsi nel 1974, quando intervista la cantante Caterina Bueno sul ruolo della donna nella trasmissione e creazione della cultura popolare (Gioseffi, Bueno 1974). Sono gli anni in cui inizia a muovere i primi passi nell’organizzazione teatrale lavorando accanto al regista, drammaturgo e organizzatore Valerio Valoriani, perno del Centro Universitario Teatrale di Firenze e poi fondatore del Teatro della Convenzione, con sede all’Affratellamento nel capoluogo toscano. Nunzi collabora in quegli anni con la Federazione del PCI e con l’ARCI. Nel 1975 organizza il recital di Miriam Makeba e Gabriella Ferri al Festival dell’Unità alle Cascine di Firenze; in programmazione anche Utopia di Ronconi, annullato il 29 agosto per le forti piogge. Dal 1976 inizia a lavorare al Rondò di Bacco, spazio sperimentale di ricerca teatrale che ospita, oltre ai maggiori gruppi italiani, anche formazioni internazionali. Queste esperienze portano peraltro Nunzi a muoversi nel contesto istituzionale del Teatro Regionale Toscano (TRT), ente nato nel 1973 la cui innovazione, rispetto alle altre istituzioni pubbliche dell’epoca come per esempio l’Ente Teatrale Italiano, risiede nella modalità collegiale, piuttosto che centralizzata, di prendere decisioni. Quando negli anni Ottanta viene assunta nella segreteria del TRT, Nunzi si trova a lavorare in una realtà in cui, al pari degli stabili, i problemi da affrontare sono sia la distribuzione che la produzione. Per il TRT, sotto il coordinamento di Roberto Toni, si occupa della distribuzione italiana del teatro di Tadeusz Kantor tra cui la prima italiana di Wielopole, Wielopole (Firenze, ventitré giugno 1980) e segue poi le produzioni delle regie ronconiane dopo l’esperienza del Laboratorio di Prato: Commedia della seduzione di Arthur Schnitzler (Teatro Metastasio, Prato 1985 co-produzione TRT) e Ignorabimus di Arno Holz (Fabbricone, Prato, 1986, co-produzione Teatro Metastasio e TRT). Nunzi si distingue per la professionalità al punto che, ricorda Margherita Palli a proposito di quest’ultimo spettacolo, senza di lei Ignorabimus non sarebbe entrato nella storia del teatro: “solo la testardaggine di Gioseffi ha permesso che andassimo in scena dopo quattro mesi di prove!” (Olivieri, Palli 2020).
3 | Nunzi durante al Lingotto di Torino, Archivio Massimo Verdastro.
4 | Nunzi a Roma con Utta e Rino, Archivio Storico della Biennale di Venezia – ASAC, Archivio Ronconi, Archivio Ronconi b. 163, f. 15.
Nel programma di sala Nunzi compare non solo come responsabile di produzione ma anche come una tra le co-autrici di quel lavoro caratterizzato da “una preponderante presenza femminile” (Cicinnati, Exacoustòs 1986, 38) che la vede citata insieme alle cinque attrici (Edmonda Aldini, Marisa Fabbri, Delia Boccardo, Franca Nuti, Anna Maria Gherardi), alla stessa Palli per le scene e a Vera Marzot per i costumi. Nel 1988 continua a lavorare con Ronconi anche fuori dal TST per I dialoghi delle carmelitane (Teatro Storchi, Modena) prodotto dall’Ater Emilia Romagna Teatro. La presenza determinante di Nunzi ricorre nelle testimonianze sul teatro di Ronconi da Prato in avanti e nonostante lei, già allo Stabile di Torino, si presenti semplicemente come “la sua segretaria” (Nunzi 1993), il suo ruolo accanto a Ronconi è qualcosa di più.
Torniamo dunque alle parole scritte subito dopo la prematura scomparsa di Nunzi, il 15 giugno 1998, perché lì è ancora nitida l’immagine del fondamento su cui i due, coppia professionalmente inseparabile, funzionano insieme nell’avventuroso esercizio di dirigere un teatro pubblico: “L’'incontro con Ronconi – scrive il già citato Quadri – fu determinante per lui e per lei; perché lei copriva negli Stabili, a suon di deleghe, tutto quello cui lui non poteva arrivare sul piano tecnico e gestionale essendo occupato nelle regie; e lei poteva farlo perché ne intuiva le volontà e sapeva completarle, e gli organizzava tutta la vita di relazione, ma anche la casa, mentre trattava con attori e amministratori, mandava avanti coproduzioni e tournée. Era molto più di un manager, un punto di riferimento e una persona di generosità senza uguali” (Quadri 1998). Il vuoto documentario sui contratti di Nunzi (sia a Torino che a Roma) non impedisce di approfondire il suo lavoro allo stabile capitolino, utile anche per capire cosa intendesse il regista quando ne parlava come di un’istituzione diversa da quella torinese. Va innanzitutto considerata la novità introdotta dal decreto del ministro Carlo Tognoli (29 novembre 1990), documento conservato tra le carte dell’avvocato Arnone che ne sottolinea proprio le parti che riguardano la figura del direttore, da questo momento con la doppia responsabilità della “direzione artistica e tecnico-amministrativa dell’Ente con facoltà di delega di compiti artistici o amministrativi” (Tognoli 1990, 5; per una contestualizzazione del decreto nella storia del sistema teatrale italiano rimando a Cavaglieri 2021, capitolo nono). Anche nello statuto del Teatro di Roma, datato 3 giugno 1991, e nella delibera della giunta regionale che lo approva (13 giugno dello stesso anno), sono evidenziati a matita i passaggi sulla figura del direttore unico, le cui caratteristiche confluiscono nella copia del contratto di Ronconi presumibilmente sottoscritto il 30 marzo 1991 e entrato in vigore il 3 aprile 1994 (Ass. Teatro di Roma, p. 1 e ss.). Qui è precisato che al nuovo direttore spetta la messa a punto del programma artistico e culturale, il numero e i titoli delle produzioni, dei progetti speciali e delle ospitalità, da presentare entro l’inizio di aprile, con la deroga al 15 del mese dell’anno corrente. È inoltre specificato che il direttore oltre ad avvalersi della struttura organizzativa dell’Ente potrà proporre al consiglio “eventuali collaborazioni professionali altamente qualificate” (Ass. Teatro di Roma, 2). Le carte confermano la delega del nuovo direttore al signor Filippo Vacca, dipendente del Teatro di Roma e già nominato Direttore tecnico amministrativo dell’Ente nel febbraio 1993: a lui spettano mansioni che sovrintendono alla questione giuridica e finanziaria; la firma dei contratti, l’autorizzazione agli acquisti, l’inventario dei beni mobili, i controlli dei bilanci, il controllo delle entrate, i rapporti con il personale, con le rappresentanze sindacali (Ronconi 1994). Insieme alla bozza di questa delega a Vacca, Nunzi invia all’avvocato Arnone anche copia di un’altra lettera di incarico, quella a Dario Beccaria, delegato alla direzione esecutiva del TST dal dicembre 1987 (Mondino 1994). Un modello dunque, quello torinese, che anticipando nella prassi il decreto, metteva già in atto reti di collaborazioni che favorivano una direzione unica (a conferma si veda anche lo statuto del TST del 1986 in Crivellari 2005, 279-286). Come a Torino anche a Roma Nunzi, al contrario del direttore esecutivo, non partecipa formalmente al consiglio di amministrazione. In qualità di responsabile di produzione la sua presenza ricorre invece là dove prende forma il progetto artistico e culturale che Ronconi ha in testa: per l’Aminta (spettacolo provato interamente al Teatro Argentina) è Nunzi a suggerire il nome di Sandra Toffolatti, scoperta un anno prima quando era in commissione alla prima edizione del premio Lina Volonghi per attrici neodiplomate (Dotta Rosso, Toffolatti, 2021); è con Ronconi in macchina quando lui, chiacchierando, decide di mettere in programmazione il Pasticciaccio di Gadda (Beddini 2009); è nell’ufficio di Largo Argentina quando si discute della partecipazione del Teatro di Roma alla commemorazione per il bicentenario della nascita di Leopardi (Bellucci 2023); è lei stessa a preparare i grandi fogli su cui incollare – riprendendo una prassi cha dall’Orlando Furioso passa per l’edizione teatrale del romanzo di Gadda - le pagine del copione dei Fratelli Karamazov dal romanzo di Dostoevskij (Bronzino 2015). È con Ronconi e i suoi due cani, Utta e Rino, anche nell’appartamento a due passi dalla Bocca della Verità, dove il lavoro continua incessante a confondersi con il vivere quotidiano [Fig. 4].
Un operato, quello di Nunzi Gioseffi, che alimenta nove delle dieci regie di Ronconi prodotte dal Teatro di Roma in quegli anni, tanto che nella mostra fotografica in sua memoria, inaugurata il 15 giugno 2001 al Teatro Strehler di Milano, quei nove lavori sono presentati come gli “spettacoli di Nunzi” (Ass. Nunzi 2001, 1)[2]. Per ricordare l’attività di Nunzi nel 1999 si costituisce infatti un’associazione composta da dodici soci fondatori – “Ronconi (presidente), Angela Dal Piaz (consigliere), Marina Baldeschi (vicepresidente), Giovanni Arnone, Roberta Carlotto, Giovanna Franchi, Maurizio Longobardi, Enrico Mannucci, Margherita Palli, Italo Rota, Franco Ruggeri, Ugo Tessitore” (Ass. Nunzi 2022, 4) – associazione che istituisce in quello stesso anno il Premio Nunzi Gioseffi, per l’assegnazione di borse di studio con “lo scopo di permettere il prolungamento e l’approfondimento del percorso formativo di un organizzatore teatrale, tramite un’esperienza di studio o un’esperienza professionale e non semplicemente esecutiva” (Ass. Nunzi 2022, 2). Sono tre le edizioni del premio organizzate, sempre in collaborazione con la Civica Scuola di Teatro Paolo Grassi.
Chi ha conosciuto Ronconi solo dopo la morte di Nunzi racconta che nei suoi discorsi la donna continua ad apparire “come un coacervo di amicizia, amore, saperi organizzativi e sensibilità artistica” (Sicca 2015, 11). Ma lavorare a Roma in sua assenza diventa insostenibile: quando il 13 aprile 1999 va in scena l’Alcesti di Samuele di Alberto Savinio, l’ultima produzione dello stabile capitolino, il regista ha già inviato da mesi le sue dimissioni al nuovo presidente del teatro, Gianfranco Pedullà (Ronconi 1998). Lasciare Roma in quel momento significa sicuramente sottrarsi a un dolore che lì è ancora più vivido; ma è anche un modo per tutelarsi professionalmente, in mancanza di quello schermo che Nunzi è sempre stata per lui, capace anche di tenerlo fuori da un contesto non sempre facile: “temo molto per lui – aveva dichiarato all’indomani della nomina Ghigo De Chiara, all’epoca presidente dell’Istituto del Dramma Italiano – perché nella poco rissosa Torino, Ronconi poteva svolgere meglio la sua attività di teatro-laboratorio. Roma è quella che è” (De Chiara in Baldo, Caruso 1994). Le polemiche intorno alla sua direzione esplodono sui giornali proprio quando viene meno il cuore dell’ensemble che si è effettivamente creato in quei quattro anni: la squadra di lavoro conta, come auspicato, funzionari e amministrativi (vanno ricordati, tra il personale a tempo indeterminato, almeno Antonietta Rame, delegata alla produzione, Sandro Piccioni responsabile delle attività culturali e la segretaria Miriam Tassi), il personale tecnico e artistico (per esempio il direttore di scena Angelo Ferro) gli assistenti (Claudio Longhi che si occupa, tra le altre cose, della maggior parte dei libretti di sala), attori e attrici (tra gli altri Massimo De Francovich, Paola Bacci, Massimo Popolizio, Daniele Salvo). Ma nonostante la consistenza artistico e professionale di quel gruppo, il problema di Roma sembra strutturale; lo spazio del teatro Argentina non è sufficiente a contenere le lunghe prove previste da Ronconi e la nuova normativa sulla sicurezza obbliga il teatro a ripetuti periodi di chiusura (Costantini 1997). Senza addentrarci in questa nuova fase di passaggio, che porta Ronconi ad accettare la proposta del Piccolo Teatro di Milano (dal 1999 è direttore accanto a Sergio Escobar), continuiamo invece a verificare come si configura a Roma l’inclinazione di cui parla De Chiara verso il teatro-laboratorio.
La scuola in scena
Il primo chiaro segno di una direzione orientata alla dimensione laboratoriale è l’avviamento di una scuola di perfezionamento per attori. I discorsi veicolati dalla stampa sottolineano sia le aspettative in questo senso che la volontà di Ronconi a proseguire, anche a Roma, una ricerca sul linguaggio della scena che abbia come fondamento la formazione dell’attore. I materiali del Centro Studi del Teatro di Roma documentano il lavoro comune fatto in questa direzione, il cui esito positivo è evidente anche solo perché si tratta della fondazione di un organo – la scuola – che diventerà necessario perché lo stabile capitolino sia riconosciuto, dopo la riforma del 2014, come Teatro Nazionale.
È il settembre 1994 e il neo-direttore, appena tornato dall’estate a Spoleto e a Salisburgo, inaugura la stagione annunciando che gli attori selezionati per il primo anno della scuola saranno poi coinvolti in una produzione sul Peer Gynt di Henrik Ibsen. All’epoca l’innovazione più evidente risiede nella proposta di Ronconi di una formazione differenziata dalla scelta di posizionarsi altrove: non solo nell’ambito professionalizzante, poiché si tratta di reclutare attori già diplomati con almeno cento giornate lavorative alle spalle, ma anche in spazi alternativi al teatro Argentina. I provini avvengono al Teatro Tordinona diretto da Renato Giordano, dove per volere di Ronconi il piccolo palcoscenico viene ampliato verso la platea lasciando libere solo tre file di spettatori: la sala così trasformata è visibile nel video che documenta il lavoro di un altro progetto del Teatro di Roma, il Laboratorio Integrato Piero Gabrielli diretto da Roberto Gandini e riattivato, dopo un fermo di diversi anni, proprio sotto la direzione Ronconi[3]. In questo spazio, per la scelta di quindici attori (la stampa parla di più di cento domande arrivate) lavora per giorni una commissione composta ufficialmente da Ronconi, Marisa Fabbri e Paolo Terni; ma Gandini, che è anche assistente ai provini per quel primo anno, ricorda anche la costante presenza di Nunzi e la partecipazione sporadica di Marise Flach, Angelo Corti e Corrado Pani. La classe del primo corso di perfezionamento diretto da Ronconi al Teatro di Roma comincia a lavorare il 15 gennaio 1995 ed è così composta: Nicola Scorza, Roberto Baldassari (diplomati alla Scuola di recitazione del Teatro Stabile di Genova), Francesco Gagliardo, Daniele Salvo, Marta Richeldi, Silvia Iannazzo, Monica Mignolli, Alfonso Veneroso (diplomati, con lo stesso Ronconi, alla Scuola del Teatro Stabile di Torino) Liliana Massari, Pierfrancesco Favino, Luigi Saravo, Alessio Boni (Accademia Nazionale D'Arte Drammatica "Silvio d’Amico"), Maximilian Nisi (Scuola del Teatro d'Europa diretta da Giorgio Strehler), Augusto Fornari, Irene Noce (Laboratorio di Esercitazioni Sceniche di Roma diretto da Gigi Proietti).
La classe segue lezioni di storia del teatro, tenute da Quadri e da Guido Paduano, e partecipa a diversi laboratori: con Peter Stein affronta uno studio intensivo di quindici giorni sul Sogno di una notte di mezza estate di William Shakespeare e su Il parco di Botho Strauss; Federico Tiezzi sceglie per il suo intervento Gli uccelli di Aristofane; Alessandro Marinuzzi propone uno studio su Pic-nic di Claretta di René Kalinsky; Luigi Squarzina usa per quelle lezioni la sua commedia L’Esposizione Universale; mentre Adriana Martino si misura con la drammaturgia tedesca (Wedekind e Fleisser). Ronconi invece coinvolge gli allievi della scuola in un laboratorio di drammaturgia su Davila Roa, testo che Alessandro Baricco sta scrivendo per il Teatro di Roma (andrà poi in scena per la regia di Ronconi nel 1997), e li guida nello studio del già citato testo di Ibsen. Questa prima edizione del corso è molto positiva, non solo per il successo della produzione ibseniana, su cui torneremo, ma anche perché gli allievi della scuola continuano a lavorare successivamente a molte delle produzioni ronconiane, misurandosi spesso con aspetti diversi del lavoro teatrale (Salvo, per esempio, è anche uno degli assistenti alla regia per il lavoro su Gadda e Dostoevskij).
Per il secondo anno di corso aumentano i numeri, come si legge dalle note di Silvia Cabasino all’epoca designata dal teatro come assistente di riferimento: “Provini di selezione: 250 domande pervenute, 150 provini effettuati. Ammessi 16 attori allievi, 8 attori allievi uditori. Commissione Luca Ronconi, Claudia Giannotti, Piero Maccarinelli, Valter Malosti” (Cabasino 1997). Il direttore, con Nunzi, è presente a tutti i provini che si svolgono nel teatro Sala 1, zona San Giovanni, tra il 25 ottobre e l’11 novembre 1997; per le sessioni laboratoriali, tra febbraio e giugno 1998, viene poi usato anche il Teatro dell’Angelo nel quartiere Prati. Gli insegnamenti quell’anno sono sempre affidati a professionisti di nota fama: Alfredo Arias, Nicolaj Karpov (che lavora su La foresta di Nicolaij Ostrovski), Malosti, Maccarinelli. Quando arriva il turno di Ronconi di intervenire nella didattica, è per portare gli allievi direttamente nel contesto della produzione di Questa sera si recita a soggetto di Pirandello, dove ognuno, quando il sette maggio 1998 si va in scena a Lisbona, ha un proprio ruolo. Invece a Roma, la classe, completa degli attori-oratori, debutta il 29 giugno al teatro dell’Angelo, nella restituzione dello studio sulle Operette Morali di Leopardi, per la regia di Maccarinelli e la drammaturgia di Roberto Cavosi. Stando alla brochure dello spettacolo [Fig. 5] la classe del ’97, fatta eccezione per Roberto Baldassari allievo della classe precedente, è così composta: Gaia Aprea, Francesco Colella, Paola D’Arienzo, Elisabetta Femiano, Moira Grassi, Laura Mazzi, Valentino Villa (Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio d’Amico) Alberto Caramel (Scuola Regionale di Teatro di Padova); Davide Dall’Osso, Stefano De Marco, Marco Fubini, Giulia Mombelli, Silvia Soncini (Civica Scuola d’Arte Drammatica Paolo Grassi); Gianluca Guidotti, Lorenzo Iacona, (scuola del Teatro Stabile di Torino) Alessandro Lombardo (Scuola d’Arte Drammatica Umberto Spadaro del Teatro Stabile di Catania), Sandro Mabellini, Giovanna Scardoni (Scuola di Teatro Alessandra Galante Garrone di Bologna), Aglaia Mora (Scuola di recitazione di Istituto Nazionale del Dramma Antico di Siracusa INDA), Sergio Raimondi (Accademia d’Arte Drammatica della Calabria), Enrica Sangiovanni (Accademia d’Arte Drammatica dell’Antoniano di Bologna) Stefano Scherini (Scuola di teatro del Comune di Sondrio). La stampa sottolinea le alleanze politico-culturali (in questo caso il Dipartimento di italianistica e spettacolo dell’Università La Sapienza, la Giunta nazionale leopardiana e l’Assessorato alle politiche culturali del comune di Roma) e individua tra gli obiettivi di quel progetto “la valorizzazione delle risorse per far fronte alla crisi della scena” (Giuliani 1977).
5 | Brochure di Operette Morali di Giacomo Leopardi, regia di P. Maccarinelli, con gli attori del corso di perfezionamento diretto da Luca Ronconi, Centro Studi Teatro di Roma.
Verso Peer Gynt
6 | Verso Peer Gynt. Programma di sala, Teatro Centrale di Roma, stagione 1995-1996 Centro Studi Teatro di Roma.
7 | Brochure delle repliche di Verso Peer Gynt a Cracovia, autunno 1996, Centro Studi Teatro di Roma.
Della variegata attività della scuola, il lavoro su Peer Gynt di Ibsen ([1867] 1959) rimane tra i più significativi perché permette di inoltrarsi molto concretamente nelle pieghe di una progettualità aperta, volutamente instabile, mossa da un repertorio teso tra esperienze passate e scommesse future. Scrive Quadri su “la Repubblica”: “Negli intenti del Teatro di Roma Verso Peer Gynt (come rivelano l’aggiunta della preposizione nel titolo e il sottotitolo “esercizi per attori”) vorrebbe essere soltanto uno studio, in preparazione della messinscena integrale prevista tra due anni” (Quadri 1995, 126). In realtà dopo il debutto a Roma il 13 aprile 1994 [Fig. 6], Verso Peer Gynt continua a essere presentato in quella stessa forma incompiuta: di nuovo in cartellone per il Teatro di Roma nella stagione successiva, lo spettacolo va in scena nel maggio 1996, sempre al Centrale, per poi viaggiare in tournée nell’autunno dello stesso anno tra Cracovia [Fig. 7], Genova, Milano e Parigi.
Che l’incompiutezza non sia un limite per l’esito spettacolare è chiaro fin dall’inizio: “il gran testo di Ibsen – continua Quadri – così complesso e a un tempo frantumato, come la cipolla alla quale il protagonista si compara, se non ha un centro da ogni suo strato trae comunque un sapore; e che anche preso a pezzi riesca ad avere un senso compiuto lo dimostra questa splendida esecuzione da camera” (Ibidem). Tutta la critica è concorde nel riconoscervi, a dispetto del titolo, una certa maturità compositiva: Katia Ippaso scrive di un ‘prodotto rigoroso e geometrico” (1995), Aggeo Savioli ne sottolinea “l’autonomia” (1995), Antonio Audino trova lo spettacolo “notevolmente approfondito e di grande forza espressiva” (1995); Gianfranco Capitta descrive come “legittima e conclusa” (1995) la maniera di rimontare scenicamente i brani selezionati; Raboni percepisce, nella compattezza e nella precisione vibrante di questo studio, “un’immagine virtualmente completa” (1995); anche Prosperi, pur dando a differenza degli altri una lettura decisamente negativa dell’operazione, precisa di aver assistito a “scene mature” (1995). È del resto lo stesso Ronconi a spiegare, a distanza di anni, che quel suo Ibsen ha fin dall’inizio una sua “forma”, che è esattamente quella “del laboratorio” (Sales-Ronconi 2014, 72). E non stupisce, da questo punto di vista, che nel primo programma di sala al suo nome sia associata, piuttosto che la regia dello spettacolo, la curatela delle scene tratte dal Peer Gynt di Ibsen (Longhi 1995) [Fig. 6]. È necessario dunque comprendere i termini di quella pratica di lavoro artistico: orizzontale, collettiva e desiderosa di incidere in maniera strutturale sulla realtà sociale, economica e politica dello stabile romano.
La ricerca intorno alla drammaturgia dell’autore norvegese, cominciata anni prima con la regia de L’anitra selvatica (Teatro Metastasio, Prato 1977) proseguita con l’edizione televisiva di John Gabriel Borkman (Rai, 1982) e ripresa con l’allestimento di Spettri al XXV Festival di Spoleto (chiesa di San Niccolò, 1982), approda a Roma con l’urgenza della necessità, che riguarda sia il piacere di Ronconi di mettere in gioco la propria autorialità, sia la capacità dell’istituzione capitolina di praticare un’idea di teatro decentrata e rinnovata nelle prassi lavorative. In questa doppia prospettiva il primo elemento da considerare riguarda lo spazio del Teatro di Roma; inappropriato per un’istituzione pubblica, sia perché limitato al solo teatro Argentina, sia per lo stato di abbandono in cui si trova all’epoca quel palcoscenico (Dotta Rosso, Vallone, Ferro 2021). Arrivato a Roma Ronconi affida infatti ai suoi tecnici di fiducia (oltre a Ferro anche Cesare Beccaria) il compito di riorganizzare quella scena mentre, per avviare il laboratorio su Peer Gynt, sceglie uno spazio alternativo: “è la sala ritrovata del Centrale”, considerata dopo il progetto scuola, “la seconda novità immediata di questo Luca Ronconi anno primo alla direzione artistica dello stabile pubblico romano. [Lui] l’ha ribadito in tutte le occasioni. ‘Il Centrale non è la sala di serie B del teatro di Roma, anzi sarà la sede sperimentale dell’Argentina, la fucina laboratoriale dei nostri cartelloni’. E possiamo immaginare quanti e quali sconquassi strutturali imporrà alla sala il regista delle scenografie ‘impossibili’, di tanti suoi allestimenti celebri” (Chinzari 1994). Il piccolo e centralissimo teatro di via Cesi, diretto all’epoca da Romeo De Baggis, è in effetti completamente trasformato per l’occasione: gli attori si muovono tra la platea e la galleria, mentre gli spettatori, non più di centocinquanta a sera, assistono agli esercizi ibseniani dal palcoscenico. Il lavoro di costruzione del nuovo impianto scenico è guidato dal capo macchinista Beccaria mentre è il direttore di scena Ferro a coordinare tutti gli aspetti tecnici e artistici (luci, suoni, entrate, uscite, movimenti) per verificare il tipo di visione sollecitata dal cambio di prospettiva. In mancanza di uno scenografo di riferimento, assenza non casuale, entrambi i collaboratori di Ronconi, con lui già a Torino, contribuiscono in maniera sostanziale alla costruzione di un linguaggio scenico in cui è prima di tutto la materialità del luogo a diventare significante [Fig. 8]. Così nella descrizione di Quadri: “la scena inverte la prospettiva intima del teatro Centrale, destinando agli attori quella che era la sezione degli spettatori e utilizzando la galleria, cui si accede da una scala a parete, come luogo delle apparizioni, montagna, nave, per l’episodio del naufragio. Resa misteriosa dal velo di tulle che la separa dal pubblico, l’ex platea è interamente ricoperta da moquette grigia: preferibilmente vuota attorno alla culla o al lettino da bambino di Peer, diventa una scatola di sorprese grazie all’uso delle molte porte laterali e viene trasformata magicamente, dalle luci di Sergio Rossi, da spazio mentale in luogo reale, sempre rinnovato” (Quadri 1995, 127). La ripresa di servizio, commissionata dal Teatro di Roma e realizzata dal Centro Linguistico e Audiovisivi dell’Università degli Studi di Torino (riprese e montaggio di Pino Polacchi e Mario Vera), ricompone le due ore e mezza di spettacolo in un montaggio che sfrutta almeno tre camere posizionate al Centrale: troviamo qui conferma di quel gioco di luci capace di creare una trama, semplicemente sfruttando ombra e buio per aprire varchi, scolpire corpi, ritagliare geometrie. A sorgenti luminose visibili, si alternano squarci di luce inattesa e il guardare, in questo spettacolo, diventa un errare nello spazio assoluto della mente del giovane Peer. Accanto a Massimo Popolizio, che tratteggia la figura del giovane norvegese, si muovono in questa scena Anna Maria Guarnieri (nel doppio ruolo della madre Aase e dell’innamorata Solvejg), Massimo De Francovich (il fonditore di bottoni reinventato da un accento napoletano) e Riccardo Bini (il vecchio di Dovre, un passeggero sconosciuto, l’uomo magro). Quattro attori che, come chi realizza la scena, collaborano con Ronconi ormai da tempo e che il regista considera parte di una compagnia stabile nei fatti (Capitta, Ronconi 1995). “Lavorare con persone che conosci da tempo – spiega Rossi già ai tempi del progetto luci per Gli ultimi giorni dell’umanità – costituisce un notevole vantaggio: a volte basta una parola, uno sguardo, per intendersi perfettamente” (Rossi, Battaglino 1991, 56). Anche Paolo Terni, che cura le musiche di Verso Peer Gynt, collabora con Ronconi da anni, mentre è al suo debutto professionale il costumista Jacques Reynaud. Ma sono soprattutto i quindici allievi del primo corso della scuola a ricordare che nel lessico ronconiano il termine stabile non significa mai statico, fermo, chiuso ma rimanda a una solidità che, al contrario, si raggiunge solo attraverso il continuo cambiamento e l’inevitabile conflitto. Tanto più che nell’economia dello spettacolo questa nuova generazione di attori rimane sullo sfondo delle apparizioni prodotte dalla mente del giovane Peer (dalla cavalcata sulla renna in camera da letto alla discesa tra i trold) e ne diventa protagonista solo quando l’uomo, ormai vecchio, tocca l’apice della sua ricerca identitaria. Siamo nella seconda parte dello spettacolo e Peer si identifica con una cipolla selvatica che una volta sbucciata rivela, con i suoi molteplici strati, anche l’assenza di un nucleo[4].
A potenziare la metafora è la scelta di frammentare questo monologo in più voci: non solo quella di Guarnieri, che ne recita l’incipit, ma anche la voce di uno dei dieci allievi che, alternandosi di replica in replica, incarnano il dettato del testo e danno un volto all’immagine infantile dell’uomo. Spiega Ronconi: “la scena è quindi vista come una tappa del cammino a ritroso che Peer fa verso l’origine, un po’ come se fosse un gioco infantile proposto dalla madre al bambino, gioco in cui la figura materna rivela anche aspetti che possono generare paura” (Di Giuseppe, Ronconi 1996, 51). Nel video già citato è Nicola Scorza a interpretare “la cipolla” (così è indicato il ruolo nei vari programmi si sala) avanzando verso il pubblico quasi a esibire il vero nocciolo del problema; non solo un vecchio tornato a casa che si spoglia di “un inventario di ruoli smessi e io abbandonati per strada” (Rolf Fjelde in Ibsen 1959, XVIII), ma anche un attore, chiamato a dialogare con sé stesso sul modo di guardare al proprio mestiere da una prospettiva nuova e rovesciata. Allo studio sul Peer Gynt partecipa anche Alessandra Niccolini, attrice e pedagoga allieva di Orazio Costa che per questo allestimento si occupa dei movimenti danzati del testo. Nella selezione delle scene è invece Claudio Longhi ad affiancare Ronconi, in un lavoro operativo che procede per tagli (completo quello che riguarda il IV atto) escludendo intenzionalmente qualsiasi forma di riscrittura e indirizzando il laboratorio verso due precisi nessi tematici (il rapporto di Peer con le donne e quello di Peer con sé stesso).
Il regista affronta il testo rinunciando a quella “mediazione con una sorta di occhiali non nostri” (Di Giuseppe, Ronconi 1996, 49) che facilmente si attiva di fronte alla grande quantità di letture critiche sollecitate dall’opera fin dalla sua uscita nel 1867. La scelta di un confronto diretto con la traduzione di Anita Rho per Einaudi (presente, con altre tre edizioni anche più recenti, nella biblioteca privata del regista depositata in ASAC) è conferma di un’autorialità complessa; forse anche alimentata dall’intima insoddisfazione per non essere diventato un drammaturgo (Alonge 2006, 179 e ss.) ma senz’altro costruita su un processo conoscitivo praticato sempre “nel concreto dell’esperienza attraverso la rappresentazione” (Di Giuseppe, Ronconi 1995, 49). In questo senso l’espansione del linguaggio, ricercata e ottenuta con questo lavoro ibseniano, va misurata in relazione a quelle “nuove forme di produttività” (Ronconi in AA. VV. 1991, 8) necessarie, a suo dire, per riformare anche il teatro stabile italiano.
8 | Massimo Popolizio e gli allievi del corso di perfezionamento del Teatro di Roma in Verso Peer Gynt di Luca Ronconi, Teatro Centrale, aprile 1995, © Marcello Norberth. Si ringrazia per quest’immagine il Centro Teatrale Santacristina.
Verso Peer Gynt è una sfida riuscita in tal senso perché dimostra la capacità di un’istituzione pubblica di usare le proprie risorse in maniera efficiente, almeno da un punto di vista socio-culturale; se infatti non abbiamo dati per discutere l’impatto economico di questa produzione, le carte rilasciano tracce di un lavoro che continua a sfidare le convenzioni spazio-temporali per rivolgersi a nuovi spettatori. In Polonia ad esempio lo spettacolo arriva nel contesto del Festival Kraków 2000, organizzato per preparare la città a diventare capitale della cultura europea all’inizio del nuovo millennio.
Qui, ricorda Beccaria, per sole tre repliche (30 settembre, 1-2 ottobre 1996) è necessario ricostruire completamente la scenografia e adattare la fisionomia dello spettacolo alle dimensioni del luogo. Verso Peer Gynt infatti non va in scena in un teatro, ma in un ampio spazio rettangolare nella periferia della città, parte del complesso di studi televisivi utilizzati anche dallo Stary Teatr che organizza il festival. Lì la struttura è enorme, pesante, in ferro e impossibile da riutilizzare per le successive tappe della tournée (Berardi, Ferraro, Beccaria 2021). Per le repliche al Teatro Duse di Genova (8-17 ottobre) si torna alla costruzione lignea progettata per il Centrale, che ben si adatta anche alle caratteristiche del Teatro Studio di Milano (30 ottobre-14 novembre), dove lo spettacolo è nuovamente visto da Quadri: immutato nella forma ma ancora capace di stupire per “l’immediatezza espressiva […] l’energia vitale […] le grandi emozioni” (Quadri 2016, 133). Le sostituzioni nel cast, in quell’autunno, riguardano i più giovani interpreti (tra i nuovi Manuela Mandracchia e Emiliano Bronzino); mentre scompare dal programma di sala il nome di Patrizia Troiani, la pianista in scena nel ’95 sostituita ora, ci rivela Quadri, dalla stessa Guarnieri che su quel palcoscenico si sposta “dai giocosi e capricciosi primi piani a far da figura di fondo al pianoforte, da cui fa risuonare le note a lei dedicate da Grieg” (Quadri 2016, 133).
Il “Peer del futuro” (Quadri 2016, 133) intanto arriva anche a Parigi, nel contesto del Festival d’Automne, dove si rinnova ancora nell’intimità del teatro Les Bouffes du Nord: qui le repliche sono quattro (26-30 novembre) e valgono il 35° premio del Syndacat de la critique per il miglior spettacolo straniero della stagione 1996-97 (Anonimo 1997, 48).
A quest’altezza cronologica è ormai chiaro che la produzione di Verso Peer Gynt non si può leggere come l’interesse personale di chi vuole “conquistare una nuova colonia” (Prosperi 1995) quanto, piuttosto, come uno dei modi per portare il teatro Stabile di Roma a livello delle istituzioni teatrali europee: “essere europei vuol dire per me un’indiscutibile vocazione, il livello molto alto degli spettacoli, l’adeguamento della struttura. Per fare un teatro europeo occorre un ensemble vero. Un teatro europeo non vuole dire vagabondaggio ma attirare là dove si opera, diverse esperienze, altri pubblici” (Gregori, Ronconi 1994b).
Qualche osservazione conclusiva su un’idea di teatro stabile
In conclusione riprendiamo i discorsi di Ronconi che, è necessario ricordarlo, anche quando trovano una forma scritta non hanno mai carattere prescrittivo. Un primo documento sull’idea di teatro stabile risale alla metà degli anni Ottanta quando il regista è invitato al terzo convegno sul teatro del PCI organizzato a Roma nel febbraio 1986. Al centro del dibattito sono i lavori intorno al decreto legge del Ministro Ligorio che riguarda anche lo spettacolo dal vivo; ma al di là del “focus politico del problema” – scrive Maurizio Grande nel resoconto della giornata – il discorso si è fatto “ancora più chiaro per quanto riguarda le motivazioni culturali, le scelte qualitative e le opzioni che toccano la ricerca e la sperimentazione ma, soprattutto, la centralità, speciale, del teatro nella società contemporanea” (Grande 1986).
L’intervento di Ronconi è pubblicato su “Rinascita” con il titolo I mille teatri ideali[5]. In questo testo troviamo traccia di un primo elemento che entra in gioco in maniera nuova quando si parla di istituzioni pubbliche: “Un tempo pensavo – erano gli anni del Laboratorio – che fosse necessario ridefinire quanto avveniva sul palcoscenico. Ora mi chiedo: Per chi? Perché sono consapevole che fare uno spettacolo in una situazione piuttosto che in un’altra equivale a fare una selezione del pubblico. In un Laboratorio contiamo noi – gli attori, i registi – e qualcuno viene a vedere quello che abbiamo fatto. Ma se si esce da questo cerchio sostanzialmente protetto il discorso è completamente diverso e l’interlocutore sono delle istituzioni teatrali che commissionano uno spettacolo che in qualche modo le rappresenti. È la maggior difficoltà questa, perché ancora una volta sei costretto a domandarti per chi lo fai?” (Ronconi 1986a, 22 – sottolineature nell’originale).
Interrogarsi dunque sulla fisionomia del pubblico teatrale è il passaggio necessario verso la “fondazione […] di un luogo ideale” utile a “conoscere e riconoscere qualche cosa. Non il messaggio, beninteso, al quale non credo ma l’esperienza: un itinerario conoscitivo, dunque. E accanto all’esperienza devono essere riconoscibili lo stile, il carattere, il procedimento di un modo di fare teatro” (Ronconi 1986a, 22). Perché ciò non rimanga un’utopia, riflette il regista, bisogna avere sempre chiaro che non esiste un solo pubblico, come non esiste un modello applicabile ovunque. Parlare di teatro come servizio “differenziato” dunque, che tenga presente delle specificità di ogni città italiana: “c’è stato un momento in cui si è pensato che Roma o Milano fossero equivalenti a Monza. Non è così” (Ronconi 1986a, 22), dice e si sofferma proprio sulla specificità del caso capitolino per sottolineare i rischi di un’idea di teatro intesa come banale strumento di consenso:
Negli anni passati, si sono verificati casi curiosi. Lo spettacolo è stato – prendiamo il caso di Roma – Renato Nicolini, non gli attori che recitavano in una manifestazione organizzata da lui. Lo spettacolo è stato chi lo offriva, non chi lo faceva. Tutto ciò ha portato a una grave dequalificazione del pubblico teatrale: lo spettacolo diventa solo una questione di gradimento e questo gradimento riguarda non tanto chi lo fa, questo spettacolo, quanto l’ente che lo ha proposto (Ronconi 1986a, 22).
Sono poi le parole dell’assessore alla cultura di Roma, in un intervento pubblicato proprio accanto a quello di Ronconi, a confermare la possibilità di una politica di rinnovamento che parta dallo sforzo di sintonizzarsi sull’identità di un “pubblico mobile, che cioè passa dal cinema alla musica al tavolo del ristorante all’ascolto televisivo al teatro, dal libro al fumetto: in qualsiasi caso tenderà a non consumare un prodotto qualsiasi ma ad affermare delle scelte il più possibile personalizzate” (Nicolini 1986). È lo stesso Nicolini che, quando Ronconi è nominato direttore a Roma, farà riferimento a quegli anni di riflessione comune: “Senza nulla togliere all’attuale assessore Borgna posso dire che dieci anni [fa] stavo trattando l’ingaggio di Luca Ronconi quando fummo interrotti da Maurizio Scaparro che trafelato ci disse ‘Fatemi gli auguri: sono stato nominato direttore del teatro di Roma’. Con dieci anni di ritardo le mie intuizioni si realizzano: io sono come allora e spero lo sia anche Luca” (Nicolini in Baldo, Caruso 1994).
L’ingresso di Ronconi alla direzione degli stabili a iniziativa pubblica inizia invece a Torino: “fino a quel momento – scrive Ponte di Pino – malgrado il sostegno di una parte della critica, il suo non è stato un percorso facile. La sua carriera ha scatenato polemiche e sollevato resistenze; il suo stile registico e i moduli recitativi dei suoi attori sbeffeggiati come ronconese, i suoi sostenitori nel pubblico e nella critica bollati come la setta dei ronconiani. La direzione della Biennale e del Laboratorio di Prato erano incarichi di grande prestigio e responsabilità, e tuttavia marginali rispetto al sistema teatrale italiano, che nei teatri stabili ha la sua spina dorsale. Quando approda alla direzione dello Stabile torinese, non è più giovanissimo; ha alle spalle una serie di spettacoli memorabili e una lunga esperienza di lavoro con altri teatri pubblici (come il Teatro di Genova, l’emiliana Ater, l’umbra Audac) e ha evidentemente riflettuto a lungo sul ruolo del teatro pubblico (Ponte di Pino 2006, 23).
Nel 1991, l’11marzo, Ronconi è al Teatro Nuovo di Milano dove interviene come direttore dello Stabile torinese al convegno su Teatro, governo e autogoverno voluto dal Ministro del Turismo e dello Spettacolo Carlo Tognoli, promosso dall’Osservatorio degli spettacoli e organizzato da Quadri e Giuseppe Di Leva. La rivista “Hystrio” dedica ampio spazio a quella giornata e del discorso di Ronconi riporta il titolo (Un repertorio per il teatro pubblico), commenta la modalità spettacolare con cui è pronunciato (un’intervista pubblica con la giornalista Gregori) e sintetizza, nella sezione Gli interventi dalla tribuna, il principale contenuto:
Per me il teatro deve essere una casa comoda e confortevole, ma dalla quale soprattutto si goda un bel panorama. In questo senso preferirei non parlare di repertorio. Il termine sa di stantio, di ripostiglio, di deposito. Il repertorio non è l’obiettivo essenziale di un teatro, così come non credo che il teatro stabile sia una forma ottima o comunque quella unicamente perseguibile. Comunque non si può chiedere a una legge di tenere in ordine un territorio. Se non ci pensiamo noi, difficilmente il teatro potrà migliorare con una legge. Certo che finché non si troveranno nuove forme di produttività sarà difficile arrivare a un teatro della contemporaneità (Ronconi in AA. VV. 1991, 8).
L’idea che il teatro possa servire da bussola per orientarsi nella società coeva è ciò che motiva le scelte di Ronconi nella programmazione annuale dei teatri che dirige; nel caso di quello capitolino, appena arrivato a Roma, il cartellone è montato considerando, oltre le scelte già fatte (il suo Affare Makropulos e Ecuba di Massimo Castri), i possibili legami tra le proprie motivazioni produttive e le ospitalità selezionate [Fig. 9]. In merito alla sua prima regia dice:
A Re Lear pensavo già da anni […] I motivi artistici della scelta di Re Lear, oggi, sono però qualcosa di talmente intimo che non so neppure se mi va di parlarne. Da direttore e non da regista dico che la scelta nasce dalla voglia di presentare una compagnia di attori notevole con una distribuzione molto pensata ma non secondo i canoni classici […] Nonostante la mia nota avversione per l’attualizzazione, per le scelte tematiche, è indubbio che, quando si riflette che al centro di Re Lear c’è un totale rivolgimento sociale e politico, con la divisione del mondo in tre, la suggestione del presente sia molto forte. E se guardiamo al programma delle ospitalità dove c’è Servo di scena, storia di un vecchio attore che, sotto i bombardamenti dell’ultima guerra, recita il Lear, un balletto di Bejart Lear-Prospero e un Ubu re, è ovvio che, all’interno di un disegno di cambiamento del mondo, di viaggio verso il nulla, di ricostruzione di un possibile consorzio civile, ci sono delle suggestioni comuni al nostro spettacolo (Gregori, Ronconi 1994b).
In questa dichiarazione si trova anche conferma di un altro elemento nuovo e ricorrente degli anni romani, ovvero ciò che Quadri, dopo aver visto la versione ronconiana di Peer Gynt, definisce “il gusto ritrovato di raccontare storie” (Quadri 2016, 127): una postura artistica e intellettuale che oltre ad orientare il regista nella ricerca sui linguaggi della scena, permette al direttore di spingere la definizione di repertorio verso trame sottese, ordite attraverso salti, sovrapposizioni, ritorni, sguardi.
9 | La prima stagione del teatro di Roma sotto la direzione Ronconi (“l’Unità” 28 settembre 1994).
Nel lungo testo che Ronconi scrive nel 1994 per “Il Patalogo”, troviamo invece portata all’estremo la ricorrente metafora del teatro come casa, poiché in queste pagine chiarisce che il modo per abitare quel luogo, anche quando si tratta di un’istituzione pubblica, implica una responsabilità intima e individuale:
Il problema non è quanto si debba stare o restare in un’istituzione, ma che una continuità ci sia, con i suoi alti e bassi, a servire in qualche modo da termometro dei fasti e nefasti culturali di un paese. Naturalmente i riferimenti non riguardano solo il Teatro di Roma, per quanto, in un paese come il nostro dove le istituzioni non esistono, siamo sempre portati a pensare che il destino di un artista debba per forza coincidere con quello di un’istituzione. Non è affatto vero: il cammino di un artista è dentro, fuori, contro; è in rapporto con l’istituzione, ma non si identifica con l’istituzione (Ronconi 1994, 124).
Con questa convinzione Ronconi, l’attore che poi si è messo a fare il regista, approda a metà degli anni Novanta alla direzione del Teatro di Roma.
Note
[1] Per la condivisione di informazioni, materiali e ricordi su Nunzi ringrazio i suoi amici e colleghi: Angela Dal Piaz, Giovanna Franchi, Enrico Mannucci e Franco Cortese. Su Nunzi si veda inoltre Ronconi 2019, cap. XXIII Affetti e legami.
[2] Le foto esposte, tutte di Marcello Norberth, sono conservate nell’Archivio Luca Ronconi presso ASAC e mostrano la teatrografia romana di Nunzi, ovvero: Re Lear di W. Shakespeare, Teatro Argentina, 7 febbraio 1995; Verso “Peer Gynt” – esercizi per gli attori da Peer Gynt di Ibsen, Teatro Centrale, 13 aprile 1995; Sturm und Drung di F.M. Klinger, Teatro della Pergola, 17 maggio 1995, coproduzione Maggio Musicale Fiorentino; Quer pasticciaccio brutto de via Merulana di C.E. Gadda, Teatro Argentina, 20 febbraio 1996; Ruy Blas di V. Hugo, Teatro Carignano, 19 aprile 1996, coproduzione TST; Il lutto si addice ad Elettra di E. O’Neill, Teatro Argentina, 20 febbraio 1997, coproduzione Teatro Stabile di Genova; Davila Roa di A. Baricco, Teatro Argentina, 9aprile 1997; I fratelli Karamazov (I lussuriosi) di F. Dostoevskij, Teatro Argentina, 23 febbraio 1997; Questa sera si recita a soggetto di L. Pirandello, al Teatro Nacional Dona Maria II di Lisbona, 7 maggio 1988, coproduzione Expò di Lisbona.
[3] Ringrazio Roberto Gandini per la conversazione sui laboratori nel periodo della direzione Ronconi. Il video del Laboratorio Gabrielli su Sogno di una notte di mezza estate (6 giugno 1995) è consultabile (ultimo accesso 24 febbraio 2025). Ringrazio inoltre anche Silvia Cabasino, Pietro Maccarinelli e Daniele Salvo che mi hanno messo a disposizione tempo, documenti e memoria per ricostruire l’attività della scuola.
[4] Si tratta della quinta scena del quinto atto. Non ho rintracciato il copione di Verso Peer Gynt. Mentre segnalo che presso il CSTdR è presente una fotocopia dell’edizione usata da Ronconi introdotta da uno studio dell’opera in vista di una messinscena fatto da un gruppo di studenti del Liceo Vivona di Roma.
[5] Il testo è ripubblicato sul “Patalogo” n. 9. Annuario dello spettacolo 1986 con il titolo Il lavoro del pubblico. È qui specificato che l’intervento era stato trascritto da Maria Grazia Gregori.
Nota sui materiali d’archivio
L’articolo si basa principalmente sulla documentazione conservata in: Archivio Luca Ronconi, presso l’Archivio Storico delle Arti Contemporanee a Venezia (ASAC, ALR); Centro Studi del Teatro di Roma (CSTdR); Centro Studi del Teatro Stabile di Torino (CSTST). Ringrazio per il supporto alla consultazione e la preziosa collaborazione alla ricerca Elena Cazzaro (ASAC, ALR), Anna Peyron (CSTST) e Catia Fauci (CSTdR). Altra documentazione proviene dall’Archivio Storico del Museo del Cinema di Torino. Per quanto riguarda i materiali conservati presso il CSTdR si è scelto di non indicare, laddove esistenti, le collocazioni esatte perché tutti i materiali sono attualmente in fase di riordino. Della rassegna stampa conservata dal CSTST riporto in bibliografia solo gli articoli citati nel testo, ma preciso che si tratta di un corpus di sessantacinque ritagli stampa provenienti sia da testate nazionali che da giornali locali. Con lo stesso criterio riporti i titoli della rassegna stampa su Verso Peer Gynt consultabile sul portale Luca Ronconi (https://lucaronconi.it/). La documentazione orale proviene dagli archivi dell’Istituto Centrale per i Beni Sonori ed Audiovisivi di Roma (ICBSA) mentre sul portale Patrimonio Orale è consultabile anche la metadatazione delle interviste ai testimoni realizzate nel 2021 per la serie La memoria del teatro. Luca Ronconi e Roma, a cura di Ormete-Oralità Memoria e Teatro, il Teatro di Roma e l’Università di Tor Vergata. Di queste venti interviste riportiamo solo quelle direttamente citate nel testo.
Bibliografia
Fonti
- Arnone 1994
G. Arnone, Lettera a Ferdinando Pinto, 1 pagina dattiloscritta autografa su carta intestata avv. Arnone, 29 marzo 1994,, ASAC, ALR, Serie Arnone, b. 3. - Ass. Nunzi 2001
Associazione Nunzi, Alcuni spettacoli di Nunzi. Mostra Fotografica, 3 pagine dattiloscritte, s.d.; ASAC, ALR sottofascicolo “Associazione Nunzi”, b. 150, f. 3., s.f., 1. - Ass. Nunzi 2002
Associazione Nunzi, Corrispondenza, 11 pagine, 15 gennaio 2002, allegate a mail di Angela Dal Piaz a Paola Caracci del 18 gennaio 2002, ASAC, ALR sottofascicolo “Associazione Nunzi”, b. 150, f. 3., s.f., 1. - Ass. Teatro di Roma 1991
Statuto dell’Associazione Teatro di Roma, 11 pagine dattiloscritte su carta da bollo, autografe, 3 giugno 1991, Roma, ASAC, ALR, Serie Arnone, b. 3. - Ass. Teatro di Roma 1994
Associazione Teatro di Roma, Fax a Giovanni Arnone, 15 aprile 1994, Contratto tra l’Associazione Teatro di Roma e il signor Luca Ronconi per la direzione dell’Ente, 4 pagine dattiloscritte, 30 marzo 1994, Roma, ASAC, ALR, Serie Arnone, b. 3. - Ass. Teatro di Roma 1995
Ripresa di servizio di Verso Peer Gynt, realizzazione del Centro Linguistico e Audiovisivi dell’Università degli Studi di Torino, riprese Pino Polacchi, montaggio Mario Vera, VHS, CSTdR. - Baldo-Caruso 1994
E. Baldo, A. Caruso, Torino: Stein dopo Ronconi?, “La Stampa” (25 febbraio 1994), rassegna stampa CSTST. - Beddini, Ronconi 2009
A. Beddini, L. Ronconi, Luca Ronconi parla di Luca Ronconi, intervista a cura di A. Beddini, 180’, RAI inv. ASAC ALR RV118. - Berardi, Ferraro, Beccaria 2021
B. Berardi, F. Ferraro, Intervista a Claudio Beccaria, 31 maggio 2021, Teatro India Roma, in La memoria del teatro. Luca Ronconi e Roma – Patrimonio orale, collezione ORMT-11b, CSTdR. - Cabasino 1997
S. Cabasino, Appunti di lavoro per il corso di perfezionamento diretto da Luca Ronconi, CSTdR. - Capitta 1994
G. Capitta, Roma mette in scena Ronconi, “il manifesto” (26 febbraio,1994), rassegna stampa CSTST. - Cicinnati, Exacoustòs 1986
M. C. Cicinnati, P. Exacoustòs, Diario di bordo, in Ignoramibus. Programma di sala, Firenze, 36-55, ASAC, ALR, 2.1 Teatro, b. 13/8. - Dotta Rosso, Vallone, Ferro 2021
L. Dotta Rosso, S. Vallone, Intervista ad A. Ferro, 12 maggio 2021, piattaforma zoom, in La memoria del teatro. Luca Ronconi e Roma – Patrimonio orale, collezione ORMT-11t, CSTdR e ICBSA. - Dotta Rosso, Vallone, Toffolatti 2021
L. Dotta Rosso, S. Vallone, Intervista a S. Toffolatti, 14 maggio 2021, piattaforma zoom, in La memoria del teatro. Luca Ronconi e Roma – Patrimonio orale, collezione ORMT-11t, CSTdR e ICBSA. - Di Giuseppe, Ronconi 1996
L. Di Giuseppe, Intervista a Luca Ronconi, in Longhi 1995, CSTdR. - Gioseffi 1969
M.A. Gioseffi (a cura di), AELM 74 Toscana: Raccolta dell’Archivio Etnico-Linguistico Musicale della Discoteca di Stato, TOS 2 Montecarlo (LU); TOS 4 Barberino di Mugello (FI); TOS 8 Castelnuovo Berardenga (SI), DDS1583829, ICBSA, Roma, 1969. - Gioseffi 1993
M.A. Gioseffi, Lettera a Gian Maria Volontè, 1 pagina dattiloscritta autografa, carta intestata Teatro Stabile Torino, 18 giugno [1993], Archivio Storico, Museo Nazionale del Cinema, Fondo Gian Maria Volonté, Torino. - Giunta regionale del Lazio 1991
Delibera della giunta regionale del Lazio per l’approvazione Statuto del Teatro di Roma (estratto), 13 giugno 1991, Roma, 8 pagine dattiloscritte, ASAC, ALR, Serie Arnone, b. 3. - Gregori, Ronconi 1994b
M.G. Gregori, Farò il Re Lear della seconda Repubblica, intervista a Luca Ronconi, “l’Unità” (18 ottobre 1994), rassegna stampa CSTST. - Guerrieri, Ronconi 1994
O. Guerrieri, E Luca guarda giù a Roma, intervista a Luca Ronconi, “La Stampa” (1 marzo 1994), rassegna stampa CSTST. - Ibsen [1867] 1959
H. Ibsen, Peer Gynt [1867], traduzione di A. Rho, saggio introduttivo di R. Fjelde, Torino 1959, copia personale di Luca Ronconi, ASAC ALR, Ron A 019194. - Longhi 1995
C. Longhi (a cura di), Verso Peer Gynt: esercizi per gli attori scene da Peer Gynt di Henrik Ibsen, a cura di Luca Ronconi, programma di sala andato in scena dal 13 aprile 1995 al Teatro Centrale, stagione del Teatro di Roma 1994-1995, senza numerazione di pagine, CSTdR. - Longhi 1996
C. Longhi (a cura di), Verso Peer Gynt: esercizi per gli attori. Scene da Peer Gynt di Henrik Ibsen, regia di Luca Ronconi, programma di sala dello spettacolo andato in scena al Teatro Centrale dal 10 gennaio 1996, stagione del Teatro di Roma 1996-1997, 56 pagine, CSTdR. - Mondino 1994
G. Mondino, Lettera di incarico a Dario Beccaria, 2 pagine dattiloscritte autografe, in fax da Teatro di Roma all’avvocato Arnone, in matita la scritta da Nunzi, 28 aprile 1994, ASAC, ALR, Serie Arnone, b. 3. - Ronconi 1994
L. Ronconi, Delega a Filippo Vacca, 3 pagine dattiloscritte su carta intestata della Direzione Teatro di Roma, s.d., in fax da Teatro di Roma all’Avvocato Arnone, 28 aprile 1994, ASAC, ALR, Serie Arnone, b. 3. - Ronconi 1998
L. Ronconi, Lettera raccomandata a Gianfranco Pedullà, 4 novembre 1998, ASAC, ALR, Serie Arnone, b. 3. - Tognoli 1990
C. Tognoli, Decreto legge 29 novembre 1990, Ministero per il Turismo e lo spettacolo, Roma, ASAC, ALR, Serie Arnone, b. 3.
Riferimenti bibliografici
- AA.VV. 1991
AA.VV., Il Convegno di Milano, in “Hystrio” n. 2 (aprile-maggio 1991), 3-15. - Alonge 2006
R. Alonge, Il teatro dei registi, Roma-Bari 2006. - Arnone 2013
G. Arnone, Prova di memoria dall'Orlando furioso a Cinecittà, Roma 2013. - Attisani 2015
A. Attisani, E adesso?, “Mimesis Journal”, vol. 4, n. 1 (2015), 1-6. - Bellucci 2023
N. Bellucci, Una vita con Leopardi. Ovvero “il perché delle cose”, Venezia 2023. - Borgna 1986
G. Borgna, Il palcoscenico instabile, “Rinascita” n. 1 (11 gennaio 1986), 15. - Bronzino 2015
E. Bronzino, Il mio maestro: ricordo di Luca Ronconi, “Mimesis Journal” 4 (2015), 17-26. - Carbonoli 2019
M. Carbonoli, Anche a dispetto di Amleto. Cinquant’anni di teatro e altro, Roma 2019. - Cavaglieri 2021
L. Cavaglieri, Il sistema teatrale. Storia dell’organizzazione, dell’economia e delle politiche del teatro in Italia, prefazione di L. Argano, Roma 2021. - Crivellaro 2005
P. Crivellaro (a cura di), Fondazione del Teatro Stabile di Torino. 1955-2005 gli spettacoli, Centro Studi della Fondazione del Teatro Stabile, Torino 2005. - Gioseffi, Bueno 1974
M.A. Gioseffi, La malcontenta: intervista con Caterina Bueno sui canti popolari toscani, “Rosa. Quaderno di studio e di movimento sulla condizione della donna” n. 0 (febbraio 1974), 56-65. - Grande 1986
M. Grande, Niente escamotage, questo è teatro, “Rinascita” n. 6 (15 febbraio 1986), 19. - Marogna 2000
S. Marogna (a cura di), Marino Raicich. Intellettuale di frontiera, Firenze 2000. - Olivieri-Palli 2020
M. Olivieri, Intervista a Margherita Palli, “Sipario” (11 dicembre 2020). - Ponte di Pino 1994
O. Ponte di Pino (a cura di), Annozero, in AA.VV., “Il Patalogo” n. 17. Annuario ’94 dello spettacolo, Milano 1994, 59-60. - Ponte di Pino 2006
O. Ponte di Pino, Semplicemente complicato, in A. Fontana, A. Allemandi (a cura di), Luca Ronconi. Gli spettacoli per Torino, Torino 2006, 1-32. - Ponte di Pino 1989
O. Ponte di Pino (a cura di), Le tribolazioni di un direttore. Corso di sopravvivenza in nove lezioni, in AA.VV., “Il Patalogo” n. 12. Annuario 1989 dello spettacolo, Milano 1989, 187-204. - Quadri 1998
F. Quadri, Nunzi, in AA.VV., “Il Patalogo” n. 21. Annuario 1998 dello spettacolo, Milano 1998, 172. - Quadri 2016
F. Quadri, Ronconi secondo Quadri, introduzione M.G. Gregori, a cura di L. Mello, Milano 2016. - Ronconi 1986a
L. Ronconi, I mille teatri ideali, “Rinascita” n. 7 (22 febbraio 1986), 17. - Ronconi 1986b
L. Ronconi, Il lavoro del pubblico, in AA.VV., “Il Patalogo” n. 9. Annuario 1986 dello spettacolo, Milano 1994, 215-216. - Ronconi 1994
L. Ronconi, A proposito di istituzioni, in AA.VV, “Il Patalogo” n. 17. Annuario ’94 dello spettacolo, Milano 1994, 123-127. - Ronconi 2005
L. Ronconi, Ero un attore, che poi si è messo a fare il regista, in AA.VV., “Il Patalogo” n. 28. Annuario dello spettacolo 2005, Milano, 2005, 246-27. - Ronconi 2019
L. Ronconi, Prove di autobiografia, a cura di G. Agosti, Milano 2019. - Sicca 2015
B. Sicca, Appoggiature, “Mimesis Journal”, vol. 4, n. 1 (2015), 7-16.
English abstract
Drawing on archival documentation, it focuses on this phase of his career, highlighting the role of Maria Annunziata Gioseffi (known as Nunzi), a collaborator who supported the director in managing a permanent theatre. It also explores the laboratory-driven vision that, with her arrival in Rome, culminated in the successful production of Verso Peer Gynt by Ibsen. Through a historical reconstruction, the article aims to outline Ronconi’s concept of a teatro stabile.
keywords | Luca Ronconi; Teatro di Roma; Nunzi; Verso Peer Gynt; Permanent Theatre.
La Redazione di Engramma è grata ai colleghi – amici e studiosi – che, seguendo la procedura peer review a doppio cieco, hanno sottoposto a lettura, revisione e giudizio questo saggio
(v. Albo dei referee di Engramma)
Per citare questo articolo / To cite this article: Marta Marchetti, Luca Ronconi e la direzione del Teatro di Roma, “La Rivista di Engramma” n. 224, maggio 2025.