La lezione di Ronconi a Santacristina
Andare avanti tornando sui propri passi
Davide Siepe
English abstract
Quando, agli inizi degli anni 2000, Luca Ronconi e Roberta Carlotto concretizzano l’idea di fondare una scuola di teatro, pensata come prosecuzione del percorso di formazione dei giovani attori nelle accademie, il regista scrive una nota introduttiva al progetto: il Centro Teatrale Santacristina, spiega, si fonda sul principio secondo cui “il teatro vuole che l’unica via per apprendere sia il fare” (Ronconi 2004). È questa la singola strada per imparare un’arte in continuo mutamento che per tutta la sua storia non si è mai limitata alla ripetizione di tecniche consolidate o alla riproduzione di estetiche canoniche, ma, anzi, è sempre stata il prodotto della propria epoca (Cambiaghi, Egidio, Innamorati, Sapienza 2020, IX). Se il teatro si configura come un processo dinamico in continua evoluzione, capace di riflettere, interrogare e talvolta sovvertire le modalità stesse della sua creazione, allo stesso modo attori in formazione e formatori devono essere aperti ad una personale messa in discussione. È proprio questa visione, in cui la trasmissione del sapere teatrale diventa un processo di reciproco scambio e trasformazione, a permeare le parole di Ronconi quando, per l’inaugurazione del primo corso del Centro, la cosiddetta Scuola d’Estate, scrive: “Nel mio lavoro di regista l’esperienza didattica si è sempre naturalmente affiancata all’attività di ricerca e ho spesso ritenuto doveroso intrecciare l’attività pedagogica col lavoro di palcoscenico, ossia coinvolgere i giovani nella fase di produzione. Il connubio è sempre risultato positivo per entrambe le parti in gioco: positivo per gli allievi che dal contatto diretto con l’esperienza in palcoscenico apprendono i segreti dell’arte nel suo stesso farsi, positivo per il teatro che dall’incontro con i giovani non può non ricevere importanti stimoli e sollecitazioni. Questo è un fatto per me fondamentale, diversamente non avrei motivo di avviare un processo così impegnativo. Dunque anche io mi aspetto qualcosa. Mi aspetto di ottenere un cambiamento, di sondare ciò che non conosco” (Ronconi 2004). Per il regista, insegnare non è un’azione unilaterale, ma un intreccio vivo e dinamico tra il maestro e l’allievo, tra la fase di formazione e il lavoro sul palcoscenico. Un’operazione che può avvenire solo e unicamente nelle campagne di Gubbio, tra le mura della sede di Santacristina che da anni rappresentano uno “spazio di libertà” (Carlotto 2010, 8) per la pratica e la sperimentazione teatrale, dove generare progetti senza possibili limitazioni, intromissioni e costrizioni a cui si è normalmente soggetti nel circuito produttivo nazionale.
Qui avviene ‘l’impossibile’, prendono forma idee che non avrebbero vita altrove, si incontrano professionisti provenienti da ambiti differenti e si creano condizioni singolari per il dialogo e la riflessione sul teatro. Vi confluiscono percorsi artistici e formativi che si nutrono reciprocamente in un processo continuo di scambio e innovazione, arricchito dalla natura isolata e immersiva del luogo, capace di favorire un approccio laboratoriale che si concentra sull’essenza del fare teatro. Questo ambiente protetto permette di esplorare il testo e la rappresentazione in modi che sarebbero difficilmente replicabili altrove, spingendo anche Ronconi a ‘tradire’ serenamente la sua più volte citata e sottolineata intenzione di non voler scomodare il passato (Moscati 2016, 125), lavorando nuovamente su spettacoli già messi in scena. Per una personalità ancorata al presente, non condizionata da nostalgia per il tempo andato al punto da affermare di non essere “arrivato a quella fase in cui si desidera ritornare sui propri passi, magari rifacendo gli stessi spettacoli” (Ronconi 2019, 318), o da timore per il futuro (Ronconi 2019, 359), questo recupero di opere rappresenta una peculiarità assolutamente distintiva, riscontrabile, in tutta la sua carriera, quasi unicamente nell’attività didattica. Se si analizza il fenomeno, i titoli che ritornano nella teatrografia di Ronconi, per quanto riguarda la prosa, si contano in poche, rare occasioni: Misura per misura di William Shakespeare nel 1967 e nel 1992; la Centaura di Giovan Battista Andreini nel 1972 e nel 2004; L’Orestea di Eschilo nel 1972 e nel 1976; Le Baccanti di Euripide nel 1973, 1978 e 2002; Calderón di Pier Paolo Pasolini nel 1978 e nel 1993; Il Mercante di Venezia di William Shakespeare nel 1987 e nel 2009. Altrettanto facilmente si può evidenziare come questa riproposizione capiti maggiormente nei processi di formazione e, soprattutto, nel contesto della scuola di Gubbio: Sei personaggi in cerca d’autore di Luigi Pirandello, interpretato da attore alla radio nel 1954, assume un ruolo da protagonista nella formazione degli attori di Santacristina nel triennio 2010-2012; Questa sera si recita a soggetto, dello stesso autore, messo in scena a Lisbona nel 1998 è di nuovo presente alla scuola a Gubbio nel 2012; il Candelaio di Giordano Bruno rappresentato nel 1968 e nel 2001, diventa materiale didattico nel 1990 per il corso di perfezionamento per giovani attori professionisti dell’Associazione Umbra per il Decentramento Artistico e Culturale, ancora per un’esercitazione a Gargnano nel 1991 (Innamorati 1992, 172-173), per un seminario in occasione della laurea honoris causa da parte dell’Università di Bologna nel 1999, e per la Scuola d’Estate di Santacristina nel 2010; Amor nello specchio di Giovan Battista Andreini, diretto nel 1987, è lo spettacolo inaugurale delle attività di Santacristina nel 2002 e fulcro del laboratorio del Centro nel 2011. Le origini di questa particolarità sono da ricercare nel rapporto con le nuove generazioni di attori, da sempre parte integrante del “teatro secondo Luca Ronconi” (Ronconi, Capitta [2012] 2017, 31-45). È un incontro dal quale emerge con chiarezza l’assoluta fiducia che il regista ripone nei processi di trasmissione del sapere teatrale attraverso il confronto diretto con chi ne porterà avanti la pratica. Proprio per loro il regista volge lo sguardo alle sue spalle e pesca a piene mani dalla normalmente intoccabile memoria esperienze utili da rispolverare insieme. Un tradimento che ha il sapore di un imprescindibile atto creativo. Lontano dall’essere insegnamento dogmatico, si rivela invece garante di un metodo che incoraggi la sperimentazione autonoma e la riformulazione creativa delle regole sceniche da parte degli allievi. L’autorità del regista, in questo contesto, si trasforma in una guida che favorisce un dialogo aperto e una co-creazione attiva, sottolineando il carattere intrinsecamente collettivo dell’arte teatrale.
Il tradimento di sé stesso, in tal senso, diviene un gesto attraverso cui Ronconi non si limita a trasmettere il proprio sapere, ma si pone anch’egli in un processo di apprendimento esplorando soluzioni per una formazione dinamica ed efficace. Esattamente come quando, in prova per uno spettacolo, egli pone il testo al centro dei suoi processi di educazione al lavoro teatrale, configurando le sue lezioni come laboratori ermeneutici in cui ogni rilettura si trasforma in un’opportunità per rinegoziare i significati di quanto scritto, per sfidare i limiti interpretativi e fisici della propria persona e per fornire all’attore gli strumenti utili a comprendere e ridefinire lo spazio in cui agisce.
A partire da questa impostazione pedagogica, diviene possibile comprendere come la riproposizione di determinati momenti della teatrografia di Ronconi non sia mai un semplice ritorno a schemi o intuizioni già consolidate, ma piuttosto un processo di avanzamento che mira a raggiungere nuove possibilità attraverso il riesame critico del passato. Ripercorrere gli stessi passi diviene necessario per prendere la rincorsa e spingersi oltre, superando i limiti precedenti e giungendo infine alla trasmissione delle componenti testuali, spaziali e interpretative utili alla completa assimilazione della pratica teatrale.
Tutto questo trova terreno fertile nelle campagne umbre che circondano il Centro Teatrale Santacristina. I già citati spettacoli, quali il Candelaio di Giordano Bruno, Amor nello specchio di Giovan Battista Andreini e le messinscene pirandelliane Sei personaggi in cerca d’autore e Questa sera si recita a soggetto, divengono alla luce di questa prospettiva, perfetti oggetti di studio per un’indagine che intende evidenziare il valore che il regista affida alla formazione e alle modalità con cui questa viene portata avanti, inserendosi in quel progetto continuo che è studiare Luca Ronconi.
Il testo in Candelaio
1 | Lavoro su Il Candelaio al Centro Teatrale Santacristina, 2010, Centro Teatrale Santacristina (foto: Luigi Laselva).
A conferma dell’eccezionalità di un nuovo lavoro su un testo già trattato dal regista, l’intervista condotta da Claudio Longhi in occasione della messinscena del 2001[1] si apre proprio con una domanda volta a cercare le ragioni di questa singolare scelta. “Nell’arco della sua lunga carriera […] sono pochi i casi di testi messi in scena più di una volta: che cosa l’ha affascinata e la affascina in Candelaio tanto da spingerla a ritornare a quest’opera, dirigendone ora un nuovo allestimento […]?” (Longhi 2001, 17). Sicuramente la risposta non è da ricercare nella volontà di affrontare una sezione della commedia che non ha trovato spazio nello spettacolo del ’68, poiché già in quella occasione Ronconi ha ottenuto un primato nel presentarla integralmente (Quadri 1968). Le ragioni sono quindi altre e molteplici, spaziano dall’originalità della proposta drammaturgica alla straordinaria ricchezza linguistica, passando per la capacità di sollevare fondamentali problemi etici e gnoseologici, ma, prima di elencarle tutte, Ronconi risponde alla domanda riferendosi alla sua versatilità come materiale di studio per gli allievi attori. Una predisposizione alla didattica di cui si possono ritrovare tracce già nella prima versione che vede “attori professionisti (posseduti da una quasi ossessione del linguaggio)” contrapposti a “ragazzi di vita, presi dalla strada (o quasi)” (Quadri 1968)[2]. La riflessione sul Candelaio non si arresta con questo primo incontro, ma, al contrario, si sviluppa in differenti esperienze cadenzate nel tempo. A separare i due eventi della fine degli anni Sessanta e dell’inizio del nuovo millennio troviamo altrettante occasioni di lavoro sul testo. Nel 1991, a Ronconi è dedicata la settimana del teatro dall’8 al 15 aprile, promossa dall’Università degli Studi di Milano e svoltasi a Gargnano del Garda. Si susseguono importanti interventi e tavole rotonde[3], arricchite dagli incontri con lo stesso regista che sceglie di inserire nel programma un approfondimento proprio sulla commedia.
Se questo non fosse sufficiente a evidenziare l’importanza che egli attribuisce all’opera nella trasmissione dei saperi performativi, un ulteriore esempio si trova pochi anni più tardi, nel 1999. Ronconi sceglie di tornare sull’argomento in occasione del conferimento della laurea honoris causa in Discipline delle Arti, della Musica e dello Spettacolo da parte dell’Università degli Studi di Bologna, che lo riconosce come “uno dei maggiori maestri dell’arte teatrale del ’900”. A corredo della lezione dottorale sulla dimensione didattica del teatro, viene organizzato un laboratorio intitolato Intorno al Candelaio di Giordano Bruno, al quale partecipano circa cinquanta studenti. Questo momento è particolarmente emblematico: al culmine di un percorso artistico straordinariamente variegato, Ronconi decide di puntare i riflettori sull’aspetto pedagogico e formativo del suo lavoro, scegliendo inoltre di concentrarsi su un testo che aveva già avuto un ruolo significativo nella sua carriera. Sebbene questa scelta possa apparire naturale, considerato il contesto accademico in cui si colloca, il tutto può essere invece interpretato come una prima concretizzazione dell’idea che prenderà forma, due anni dopo, nel Centro Teatrale Santacristina. Già allora, infatti, il regista e Roberta Carlotto stavano ragionando[4] su quanto vedrà ufficialmente la luce nel 2001 con la firma dell’atto costitutivo dell’associazione.
Non sorprende quindi che, quando il Centro è ormai una realtà consolidata, il testo di Giordano Bruno torni a far parte dell’offerta didattica di Ronconi, specialmente in apertura di un nuovo, importante cambiamento per Santacristina. Il 2010 segna infatti l’inizio di un lungo e proficuo triennio di collaborazione con l’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio d’Amico per la costruzione di corsi di perfezionamento destinati ai neo-diplomati. La situazione richiede ovviamente una declinazione differente e il mastodontico lavoro è ridotto ad una ristretta selezione di scene in cui gli stessi personaggi vivono attraverso più attori per un confronto volto ad evidenziare le possibilità interpretative del testo. Abbiamo quindi l’antiprologo interpretato da Marco Palvetti, Fabrizio Falco e Giorgio Musumeci; Vittoria ha i volti di Viviana Altieri e Vera Dragone; Sanguino quelli di Luca Mascolo, Dario Iubatti e Alessandro Meringolo; nella Scena XII del quarto atto, Marta Paganelli, Elisabetta Mandalari e Maria Piccolo danno vita al personaggio di Lucia, che nella Scena VI del secondo atto era recitato solo da Sara Putignano e Diletta Acquaviva; Emanuele Venezia e Fabrizio Falco sono Barra; Marta è contesa tra Maria Piccolo, Marta Paganelli ed Elisabetta Mandalari; ed infine troviamo Carubina grazie a Vera Dragone, Desy Gialuz, Viviana Altieri e Lucrezia Guidone. Il cast viene impegnato dalla fine di agosto alle prime settimane di settembre, per comprendere quanto più possibile un materiale “particolarmente complesso”, ma che gli attori devono chiarire agli spettatori “senza fargli perdere nulla della sua intensità” (Sabelli Fioretti 2010, 10), seguendo una precisa organizzazione del lavoro che prosegue quasi ininterrotto da mattina a sera. Gli ultimi giorni del laboratorio, aperti al pubblico, consentono di raccogliere qualche testimonianza sullo svolgersi delle prove: “Tre ragazzi e altrettante sedie sono al centro dello stanzone stretto e lungo dove si prova. […] Il dialogo fra i due personaggi (Lucia e Barra) andrebbe avanti, inanellando doppi sensi e volgarità, ma Ronconi interrompe la recitazione. Ricostruisce il contesto, si sofferma su ogni parola; il carattere dei due personaggi viene chiosato, mimato, perfino ridicolizzato. Ripete lui le battute. Un momento è una giovane donna perbenista e molto prude, e un istante dopo sta dando voce a un ragazzo che fa il finto tonto e che invece la sa parecchio lunga, in fatto di sesso. Maria Piccolo e Emanuele Venezia riprendono. Ma di nuovo Ronconi li interrompe: il tono è troppo alto, o troppo basso, e la voce è di testa, non trattenere il respiro, rilassati, perché gridate?, non siete mica incazzati. Ma Ronconi, pur essendo esigente, non sembra mai severo. Riesce miracolosamente a mantenere un tono fraterno. Dopo aver detto con precisione quello che non va nel modo in cui i due giovani si muovono, o pronunciano la tal battuta, alla fine, chiede sempre: “Non ti pare? Non sarebbe meglio così?”, quasi fosse incerto fra quanto ha appena suggerito e quanto i due attori hanno invece fatto. A lezione conclusa, dopo ore di andata e ritorno dal testo, uno dei due ragazzi, Emanuele, mi dirà in un orecchio, sfinito ma anche galvanizzato dai rimbrotti del Maestro: “Lo hai visto il sacco da pugilato, nella sala prove? In queste settimane di permanenza al Centro, penso di aver preso più pugni di quel sacco. Ma credo che mi abbiano fatto bene” (Fortunato 2010, 110-111).
Questa modalità operativa rappresenta un unicum nel panorama formativo e performativo contemporaneo che non può che avvenire a Santacristina. La struttura del lavoro si sottrae alle pressioni dettate da tempistiche stringenti e da esigenze di immediata restituzione produttiva, consentendo di configurare un laboratorio permanente in cui la ricerca artistica e didattica si intrecciano per un approfondimento testuale e performativo di portata eccezionale. La peculiarità del Centro risiede proprio nella sua funzione liminale, come spazio in cui la pratica teatrale può essere disgiunta dalle contingenze del mercato per diventare uno strumento di riflessione critica e di innovazione culturale. La scelta di tornare sul Candelaio nasce quindi dalla volontà di creare un processo di apprendimento in cui il testo funge da catalizzatore per un dialogo costante tra Maestro e allievi. Le interruzioni continue durante le prove, l’attenzione meticolosa a ogni dettaglio linguistico e interpretativo, e la capacità di Ronconi di adattarsi alle esigenze degli attori, testimoniano un approccio pedagogico che mira a formare interpreti consapevoli della profondità e della stratificazione di un’opera. In questo senso, il gesto di Ronconi assume una duplice valenza: da un lato, rappresenta un’esplorazione continua delle potenzialità interpretative dello scritto; dall’altro, costituisce un esempio paradigmatico di come l’incontro tra un grande Maestro e le nuove generazioni possa costruire forme espressive inedite, capaci di ridefinire i parametri del teatro contemporaneo.
Lo spazio in Amor nello specchio
2 | Lavoro su Amor nello specchio al Centro Teatrale Santacristina, 2011, Centro Teatrale Santacristina (foto: Luigi Laselva).
Nel luglio del 2002 va in scena per le strade di Ferrara lo spettacolo dal testo di Giovan Battista Andreini[5] che inaugura le attività del Centro Teatrale Santacristina. Il lavoro rappresenta la prima produzione del neonato progetto, interpretato da Mariangela Melato che, in questo modo, suggella la sua partecipazione tra i membri costitutivi dell’associazione. Anche in questo caso Ronconi realizza un’opera che aveva già visto la luce precedentemente a fini didattici; nel 1987 sceglie lo stesso testo come esercitazione finale degli allievi dei corsi di recitazione e regia dell'Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio d’Amico[6] portando addirittura la produzione in tournée in Francia quando è invitato come artista di punta della XV edizione del Festival d’Automne (Filacanapa 2021, 215-216). La riedizione ferrarese rappresenta un’occasione ulteriore per indagare, come Ronconi ha già dimostrato di saper fare, lo spazio scenico in tutte le sue forme. La scelta del luogo della rappresentazione ricade sull’area stradale di Corso Ercole I d’Este, ricoperta da una passerella di specchi percorribili. Questa decisione, dettata da un forte valore simbolico e scenografico, si scontra tuttavia con la natura pubblica dello spazio urbano, che ne rende impossibile un utilizzo continuativo per le prove e costringe la preparazione dello spettacolo in teatro. L’allestimento definitivo in strada viene raccontato dall’attrice Manuela Mandracchia, che fornisce un chiaro esempio della rilevanza assunta dalla dimensione spaziale nell’immaginario teatrale ronconiano: “Uno spettacolo al chiuso […] ti permette un certo tipo di vocalità: è stato molto diverso uscire all’aperto con i microfoni, con i tempi diversi, con quello spazio. Era uno spazio bellissimo a vedersi, ma ci abbiamo messo un po’ di tempo ad abituarci, perché i palazzi si riflettevano sul pavimento di specchi e anche le luci. Quindi noi spesso non vedevamo niente, nemmeno gli spettatori. Era spaventoso perché nello specchio si rifletteva anche il cielo: mentre facevamo le nostre scene non ce ne accorgevamo, ma bastava abbassare un po’ lo sguardo e ci sembrava di precipitare, era un effetto ottico pazzesco; quindi, abbiamo avuto bisogno di tempo per prendere le misure” (Ponte di Pino 2021, 256). La descrizione dello spazio scenico qui testimoniata mette in evidenza un altro aspetto centrale della pedagogia e dell’estetica teatrale di Luca Ronconi: l’interazione dialettica tra spazio e attore. Il regista destabilizza il luogo della rappresentazione rendendolo avverso agli interpreti, ma allo stesso tempo lo eleva ad elemento imprescindibile della loro esperienza performativa. In questa prospettiva, lo spazio non è più semplicemente un contenitore passivo, ma diviene un co-protagonista, capace di plasmare l’interpretazione degli attori e la percezione che ne ha il pubblico, consentendo al teatro di emergere ovunque. Ne consegue una conclusione paradossale, ma profondamente ronconiana: se nessun luogo è intrinsecamente teatrale, tutti i luoghi possono diventarlo, a condizione che il rapporto con lo spazio venga riconfigurato secondo questa prospettiva. Ronconi non elimina l’importanza dello spazio, ma lo trasforma in un dispositivo che amplifica l’incertezza e, al contempo, la possibilità creativa. Il teatro diventa così un atto di riconquista e ridefinizione dello spazio, in cui la dimensione estetica e quella pedagogica si intrecciano indissolubilmente.
Nonostante Santacristina sia agli albori della sua attività, possiamo leggerne, in questo spettacolo e nella riflessione portata avanti, una prima operazione didattica. Ad accompagnare i nomi illustri riportati in locandina troviamo infatti “un gruppo di attori giovanissimi” (Quadri 2002, 288) che diventano gli apripista per i corsisti delle varie edizioni della Scuola d’Estate. In particolare, gli iscritti al corso del 2011, dal titolo Condivisioni[7], si trovano a ragionare con Ronconi nuovamente sulla commedia di Andreini, ora in un nuovo spazio carico delle stesse potenzialità. La strada ricoperta di specchi viene sostituita da una bianca “sala prove, lunga e rettangolare, completamente spoglia” (Bandettini 2011), un contesto completamente diverso dal fasto architettonico del Corso d’Ercole I a Ferrara, la cui essenzialità dello spazio amplifica, tuttavia, le potenzialità esplorative del lavoro pedagogico. Essa appare come la naturale prosecuzione dello studio avviato nel 2002, traducendo l’elaborazione estetica e simbolica dello spazio scenico in una dimensione più intima e analitica, che pone al centro il processo creativo piuttosto che il risultato performativo. In un momento in cui la priorità del regista non è più rivolta al pubblico destinatario dello spettacolo, ma solo ed unicamente all’attore in formazione, la sala prove spoglia diventa un luogo di incontro tra corpo, voce e immaginazione, dove ogni elemento superfluo è eliminato per lasciare spazio a una ricerca essenziale e rigorosa. In questa condizione di sottrazione, l’attore è costretto a confrontarsi direttamente con le proprie risorse espressive e a stabilire una relazione profonda con lo spazio circostante, che non offre alcun supporto visivo o narrativo. L’assenza di decorazioni e di elementi scenografici richiede all’attore di costruire il senso dello spazio attraverso il proprio movimento e la propria presenza. L’attore, in questo contesto, diventa non solo esecutore ma anche creatore, chiamato a interrogarsi sulle dinamiche interne al testo e a cercare soluzioni interpretative che scaturiscano direttamente dalla relazione con lo spazio. La continuità tra il lavoro fatto a Ferrara e quello svolto a Santacristina si manifesta dunque non solo nella scelta di Amor nello specchio come terreno di indagine, ma anche nella capacità di Ronconi di adattare la propria visione registica al contesto e agli obiettivi pedagogici. Se nel primo caso la strada ricoperta di specchi serviva a rendere tangibile il tema della riflessione e del doppio, a Gubbio è lo stesso corpo dell’attore a farsi specchio, determinando le tensioni e i significati nascosti nel testo di Andreini. In questo senso, la sala prove non è meno ricca della strada scenografica: essa rappresenta un nuovo spazio di potenzialità, dove l’essenza del teatro emerge nella sua forma più pura, come dialogo tra corpo, voce e vuoto.
Il corpo in Sei personaggi in cerca d’autore e Questa sera si recita a soggetto
3 | In cerca d’autore. Studio sui Sei personaggi, regia di Luca Ronconi, 2012, Centro Teatrale Santacristina (foto: Luigi Laselva).
L’ultimo caso preso in esame è quello rappresentato da due messinscene pirandelliane a cui sono dedicate molteplici istanze nel programma didattico di Santacristina. Lo scrittore siciliano è, prima di questa parentesi approfondita, quasi del tutto assente nella carriera di Ronconi. Vi era stato un primo incontro nel 1954, quando quest’ultimo, ancora attore neodiplomato, aveva preso parte ad uno sceneggiato radiofonico incentrato su Sei personaggi in cerca d’autore (Trezzini 1954), ma è solo nel 1994 che Ronconi affronta finalmente un testo di Pirandello. Durante l’allestimento di Die Riesen vom Berge (I giganti della montagna)[8] ad Hallein, rivela: “Non so bene se l’insofferenza che ho sempre avuto e che continuo ad avere per il teatro di Pirandello dipende dall’autore, dagli allestimenti […] che ho visto o dall’occhio con cui lo vede il pubblico. Ma […] è un autore con cui prima o poi bisogna fare i conti” (Cirio 1994). Da questo momento in poi, Ronconi i conti con Pirandello inizia a farli, spinto sempre dalle potenzialità formative presenti nei suoi scritti. Se, infatti, nel 1998 viene portato in scena a Lisbona Questa sera si recita a soggetto[9] è anche perché i quattro anni che separano i due spettacoli sono stati colmi di riflessioni sull’autore, rese possibili solo dal lavoro pedagogico svolto con giovani attori della Scuola del Teatro Stabile di Torino e riassunto nel saggio intitolato Qualcosa di vero dev’esserci[10] del 1995 (Innamorati 2021, 144-145). Caso ancora più eclatante è rappresentato da quanto accade a Santacristina, dove, a differenza di tutte le edizioni precedenti, gli scritti pirandelliani e i ragionamenti sul ruolo dell’attore e sulla fisicità del personaggio che fanno conseguentemente nascere vengono affrontati per un intero triennio invece di limitarsi a studi circoscritti in una singola Scuola d’Estate. Nonostante la ben chiara perplessità provata nei confronti di Pirandello da regista, da interprete forse Ronconi ne ha colto le potenzialità formative al punto da conservarne l’esperienza nella memoria per ritornarvi anni dopo con i suoi studenti.
Le tre edizioni della Scuola d’Estate che vanno dal 2010 al 2012 sono progettate in collaborazione con Lorenzo Salveti, allora direttore dell’Accademia Silvio d’Amico, e permettono a Ronconi di portare avanti uno stesso progetto di anno in anno. Ad aprire le danze è il laboratorio Quattro pezzi non facili[11], dedicato, oltre ad altri testi e approfondimenti, al primo atto di Sei personaggi in cerca d’autore; seguono poi il già citato workshop Condivisioni, incentrato sul secondo atto; e, infine, i due eventi del 2012, ovvero, la produzione di In cerca d’autore. Studio sui Sei personaggi[12], andato in scena a Spoleto in occasione del 55° Festival dei Due Mondi, e un nuovo progetto della Scuola d’Estate su Questa sera si recita a soggetto[13]. Ad accomunare queste diverse esperienze è la rilevanza centrale attribuita al ruolo del personaggio e, quindi, del corpo dell’attore, divenuto oggetto di studio e strumento di indagine pratica. L’alternanza tra studenti che ritornano e quelli che vengono sostituiti genera un processo dinamico in cui interrogare continuamente la relazione tra testo, dimensione scenica e, in ultima analisi, la fisicità dell’interprete, coordinati tra loro come gli ingranaggi di un orologio. La ricerca sulle motivazioni e sulle intenzioni dei singoli personaggi, condotta attraverso l’analisi del testo, genera un’infinita gamma di possibilità per la risposta gestuale dell’attore, influenzando direttamente il modo in cui egli occupa e vive lo spazio scenico (Ponte di Pino 2011).
La relazione tra individuo e ruolo non si limita alla ricerca di una coerenza psicologica o narrativa interna al personaggio, ma si traduce in un processo più complesso che coinvolge la corporeità come elemento fondamentale nella costruzione del significato scenico. Tale tensione si manifesta nell’idea che il corpo dell’attore non sia semplicemente uno strumento al servizio del testo, ma un medium che interpreta, traduce e talvolta sovverte il significato del ruolo attraverso la sua interazione con lo spazio. La gestualità e la sua essenziale presenza scenica sono il risultato di un processo analitico che coinvolge la scomposizione e ricomposizione delle azioni, in relazione al contesto narrativo e alle intenzioni sottese ai personaggi. In questo processo, il corpo dell’attore diventa uno strumento di esplorazione mai standardizzato o uniforme, capace di adattarsi alle specificità di ogni personaggio, ma è anche vero ciò che accade in direzione inversa. L’analisi di uno stesso ruolo da interpretare consente ai diversi attori che vi si approcciano di comprendere i confini del proprio essere.
Ecco quindi che, di nuovo, il ritorno ad uno stesso spettacolo diviene occasione pedagogica per generare confronto e crescita: l’operazione svolta nei tre anni da Ronconi si può quindi tradurre come un processo di riscoperta dell’unicità del corpo dell’attore e della sua posizione come centro dinamico della creazione scenica. Il regista spinge il performer a superare la mera esecuzione tecnica per immergersi in un dialogo più profondo con il proprio corpo come strumento primario di significazione, libero dai vincoli della gestualità codificata proprio perché immerso in un ciclo di lavoro reiterato che consente sperimentazioni e correzioni di ogni sorta. In definitiva, lavorare nuovamente su uno stesso spettacolo consente agli attori di trasformare il proprio corpo in un laboratorio vivente, in cui ogni gesto, ogni movimento, ogni respiro è oggetto di un processo di affinamento continuo, figlio delle esperienze precedenti e testimonianza per quelle future che possono raccoglierne i frutti o tradirli completamente. Ronconi si pone l’obiettivo di formare attori più consapevoli, capaci di affrontare il palcoscenico come un luogo di costante scoperta e rinnovamento creativo, facendo loro presente che “i sei personaggi in cerca d’autore sono anche in cerca d’attore” (Salveti 2010, 13).
L’unica via per apprendere
L’opera pedagogica di Luca Ronconi, con il suo intreccio unico tra formazione e creazione, si configura quindi come un elemento imprescindibile per comprendere la sua eredità artistica e intellettuale. La dinamica unica qui evidenziata della riproposizione di testi già messi in scena, spesso riservata ai contesti didattici, rappresenta per Ronconi non solo una straordinaria eccezionalità, ma un atto formativo e culturale che si colloca al crocevia tra tradizione e innovazione, dimostrando come il teatro possa essere al contempo luogo di conservazione e di trasformazione, in cui il passato dialoga con il presente per costruire nuove prospettive artistiche. È un’occasione per problematizzare le soluzioni adottate in precedenza, esplorando nuove possibilità sceniche e interrogando le certezze consolidate, ma soprattutto è un’opportunità per passare il testimone ai giovani attori. Lo spiccato interesse professionale mostrato nei confronti della formazione è una caratteristica che ritiene essergli “sempre stata naturale”, nata dalla curiosità di “vedere come cambiano le nuove generazioni” (Calbiani 2020, 11).
Il Centro Teatrale Santacristina, espressione ultima della vocazione pedagogica di Ronconi, emerge così come un vero e proprio laboratorio liminale, un luogo in cui la pratica teatrale può essere sottratta alle pressioni del mercato e restituita alla sua essenza di ricerca e sperimentazione. In questo ambiente, il dialogo tra maestro e allievi si traduce in una co-creazione continua, che alimenta un processo dinamico di trasmissione del sapere e rinnovamento culturale, di conservazione della memoria e di sua valorizzazione. Si guarda infatti al futuro consapevoli del passato, capaci quindi di leggere testimonianze e raccolte documentarie, di cui la Scuola è depositaria, come strumenti vivi che dimostrano l’importanza del rapporto tra pedagogia, pratica teatrale e riflessione critica. Il racconto, seppur contenuto, degli spettacoli ri-affrontati da Ronconi intende tracciare un modello di trasmissione del sapere teatrale, riguardante in questo caso le dinamiche della comprensione del testo, della posizione nello spazio e della presenza corporea dell’attore, che sfida le convenzioni e amplia i confini della ricerca accademica e performativa.
In definitiva, il ritorno sui propri passi, presente esclusivamente nel contesto della pedagogia ronconiana, non è un segno di staticità, ma un atto di avanzamento che rende l’eredità di Ronconi un patrimonio presente, ricco di sfumature, e continuamente rilevante per il teatro contemporaneo.
Note
[1] Regia di Luca Ronconi; prima rappresentazione: Teatro Bellini, Palermo 23 maggio 2001; una produzione di Teatro Biondo Stabile di Palermo, Piccolo Teatro di Milano – Teatro d'Europa; registi assistenti: Claudio Longhi, Marco Andriolo; scene di Giovanni Montonati; costumi di Gianluca Sbicca, Simone Valsecchi; luci di Gerardo Modica; musiche di Paolo Terni; personaggi-interpreti: Luciano Roman (Gioan Bernardo), Valentino Villa (Antiprologo), Marco Andriolo (Prologo), Massimo De Francovich (Bonifacio), Giovanni Crippa (Bartolomeo), Massimo Popolizio (Manfurio), Riccardo Bini (Sanguino), Laura Marinoni (Carubina), Galatea Ranzi (Vittoria), Manuela Mandracchia (Lucia), Anna Gualdo (Marta), Francesco Colella (Scaramuré), Benedetto Bianchi (Mochione), Vladimiro Russo (Cencio), Stefano Moretti (Ottaviano), Raffaele Esposito (Ascanio), Pasquale Di Filippo (Pollula), Francesco Vitale (Barra), Simone Toni (Corcovizzo), Maurizio Ciccolella (Marca), Nicola Orofino (Coppino), Mirko Soldano (Consalvo).
[2] Regia di Luca Ronconi; prima rappresentazione: Teatro La Fenice (Biennale Teatro), Venezia 1 ottobre 1968; una produzione di Complesso Associato Registi-Attori (Compagnia Fortunato Fantoni Ronconi Scaccia); scene di Scene di Mario Ceroli; costumi di Enrico Job; personaggi-interpreti: Vincenzo Alfonzi (Barra), Laura Betti (Lucia), Nino Bignamini (Mochione), Raffaele Campanella (Terzo mariuolo), Antonio Casagrande (Antiprologo, Scaramuré), Pina Cei (Moria), Ninetto Davoli (Corcovizzo), Sergio Fantoni (Bonifacio), Mario Feroci (Secondo mariuolo), Valentina Fortunato (Carubina), Pino Fuscà (Marca), Cesare Gelli (Consalvo), Graziano Giusti (Cencio), Tommaso Gueli (Primo mariuolo), Roberto Herlitzka (Gioan Bernardo), Enrico D’Amato (Ascanio), Daria Nicolodi (Vittoria), Giancarlo Prati (Pollula), Mariano Rigillo (Bartolomeo), Alessandro Sperlì (Sanguino).
[3] Il programma prevede incontri con il regista dai titoli Luca Ronconi e il suo teatro: il lavoro sul testo, sullo spazio, sulla luce e Luca Ronconi e il suo teatro: il lavoro sull’attore, sul costume, sulla musica, incontri con Luca Ronconi; seguono poi interventi di Piermarco Aroldi, Alberto Bentoglio, Claudio Bernardi, Roberta Carpani, Cristina Discerni, Floriana Gavazzi, Isabella Innamorati, Laura Marchesi, Itala Orlandi; saggi di lettura di allestimenti ronconiani con Giovanni Acerboni, Elena Bernasconi, Gabriella Cambiaghi, Roberta Carpani, Marina Doria, Silvia Signorelli; e ancora i convegni Lavorare con Luca Ronconi di Vera Marzot, Franca Nuti, Margherita Palli e Il ruolo del teatro e della professione teatrale nella comunicazione oggi: profili professionali e istituzioni formative con Rodolfo Aricò, Paolo Bosisio, Annamaria Cascetta, Sisto Dalla Palma, Fernando De Filippi, Renata Molinari, Maria Grazia Gregori.
[4] Risalgono al 1999 una serie di appunti e promemoria del regista conservati presso il Fondo Luca Ronconi all’Archivio Storico delle Arti Contemporanee della Biennale di Venezia sull’idea di costituire un “Centro di Studio e di Formazione a S. Cristina”.
[5] Regia di Luca Ronconi; prima rappresentazione: Corso Ercole I d’Este, Ferrara 6 luglio 2002; una produzione di Teatro Comunale di Ferrara, Centro Teatrale Santacristina; scene di Marco Rossi; costumi di Gianluca Sbicca, Simone Valsecchi; luci di Gianfranco Salvatori; musiche a cura di Paolo Terni; regista assistente: Claudio Longhi; personaggi-interpreti: Mariangela Melato (Florinda), Alvia Reale (Bernetta serva), Simone Toni (Guerindo), Stefano Moretti (Coradella servo), Giovanni Battaglia (Sufronio), Raffaele Esposito (Silvio figlio), Dino Conti (Testuggine servo), Sergio Leone (Orimberto, uomo di Palazzo), Manuela Mandracchia (Lidia sola), Valentino Villa (Lelio), Pasquale Di Filippo (Granello servo), Salvatore Palombi (Eugenio, fratello simile di Lidia), Luca Carboni (Latanzio governatore), Marco Mattiuzzo (Notaio), Vladimiro Russo (Mago), Mirko Soldano (Griffo), Francesco Vitale (Orco), Marco Mattiuzzo (Spirito mostruoso), Maurizio Ciccolella (Menippo), Nicola Orofino (Cruone), Francesca Fava (Spirito).
[6] Regia di Luca Ronconi; prodotto da Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio d’Amico; assistente scenografa e costumista: Livilla Ranzato; direzione tecnica di Amedeo d’Amicis; luci di Enzo Amici, Renato Ciminelli; sartoria: Maria Bruno, Graziana Ghini, Rita Mattarocci; macchinista: Salvatore Tonni; personaggi-interpreti: Galatea Ranzi (Florinda), Alessandra Colarich (Bernetta serva), Giuliano Tenisci (Guerindo), Clarizio Di Ciaula (Coradella servo – Testuggine servo), Tullio Sorrentino (Sufronio), Marco Andriolo (Silvio figlio – Testuggine servo), Gabriele Parrillo (Orimberto, uomo di Palazzo), Lucia Iozzi (Lidia), Stefano Messina (Lelio - Orco), Ivan Polidoro (Granello servo – Griffo), Roberto Biondi (Mago), Antonio Manzini (Latanzio governatore), Enrico Protti (Notaio), Stefania Micheli (Florinda), Ester Crea (Bernetta serva), Alessandro Stefanelli (Coradella servo – Orco), Gianluca Enria (Silvio figlio – Lelio), Paolo Zuccari (Orimberto, uomo di Palazzo), Patrizia Tagliolini (Lidia), Stefano Ricci (Granello servo – Griffo).
[7] I 16 partecipanti al corso sono: Rita De Donato, Fabrizio Falco, Davide Gagliardini, Giulia Grattarola, Lucrezia Guidone, Dario Iubatti, Elisabetta Mandalari, Luca Mascolo, Elisabetta Misasi, Massimo Odierna, Alice Pagotto, Sara Putignano, Andrea Sorrentino, Remo Stella, Andrea Volpetti, Elias Zoccoli.
[8] Regia di Luca Ronconi; prima rappresentazione: Ex Magazzini del sale, Hallein 25 luglio 1994; prodotto da Salzburger Festspiele; scene: Margherita Palli; costumi: Moidele Bickel; luci: Luigi Saccomandi; musiche: Peter Fischer; personaggi-interpreti: Jutta Lampe (Ilse, detta ancora la Contessa), Joachim Bissmeier (Il Conte, suo marito), Elisabeth Trissenaar (Diamante, la seconda donna), Wolf Redl (Cromo, il caratterista), Stefan Hunstein (Spizzi, l’attor giovane), Michael Hanemann (Battaglia, generico-donna), Michael Maassen (Sacerdote), Gerald Held (Lumachi col carretto), Walter Schmidinger (Cotrone, detto il mago), Sebastian Mirow (Il nano Quaqueo), Ingold Wildenauer (Duccio Doccia), Christa Berndl (La Sgricia), Stepahn Wolf-Schonburg (Milordino), Karla Trippel (Mara-Mara con l’ombrellino, detta anche la Scozzese), Benedetta Cesqui (Maddalena); e con: Esther Knappe, Nina West, Andreas Herzog, Jurek Milewski, Thomas Stang, Jochen Strodhoff, Alex Thaler, Miriam Eberhard, Ana Kerozovic.
[9] Regia di Luca Ronconi; prima rappresentazione: Teatro Nacional Dona Maria II, Lisbona 7 maggio 1998; prodotto da Teatro di Roma, Expo ’98 Lisbona, Wiener Festwochen; scene: Marco Capuana; costumi: Vera Marzot; luci: Sergio Rossi; suono: Hubert Westkemper; personaggi-interpreti: Gaia Aprea (Dorina), Paola Bacci (L’attrice caratterista, signora Starace Sainati poi la Signora Ignazia detta la Generala), Riccardo Bini (Il segretario di compagnia poi l’avventore), Alberto Caramel (Mangini, Quarto ufficiale), Francesco Colella (Sarelli, secondo ufficiale), Giovanni Crippa (Il primo attore, signor Ninchi, poi Rico Verri), Davide Dall’Osso (Un signore del pubblico, un avventore), Paola D’Arienzo (Nenè), Elisabetta Femiano (Totina), Vittorio Franceschi (Il vecchio attore brillante, signor Biliotti, poi il signor Palmiro detto Sampognetta), Moira Grassi (Dorina), Gianluca Guidotti (Pomarici, primo ufficiale), Alessandro Lombardo (Un signore del pubblico, un avventore), Manuela Mandracchia (La Chanteuse), Laura Mazzi (Totina),Stefano Pesce (Nardi, terzo ufficiale), Massimo Popolizio (Il Dottor Hinkfuss), Sergio Raimondi (Un signore del pubblico, un avventore), Galatea Ranzi (La prima attrice, signora Peroni, poi Mommina), Enrica Sangiovanni (Una signora del pubblico), Silvia Soncini (Nenè), Valentino Villa (Pometti, quinto ufficiale).
[10] Regia di Luca Ronconi; prodotto da Teatro Stabile di Torino; scene: Carmelo Giammello; luci: Giancarlo Salvatori; interventi musicali: Emanuele De Checchi; personaggi-interpreti: Maurizio Bellandi, Nicola Bertolotti, Emiliano Bronzino, Barbara Callari, Michela Cescon, Benedetta Cesqui, Paola D’Arienzo, Spartaco Dell’Elba, Caterina Deregibus, Vito Di Bella, Ana Valeria Dini, Melania Giglio, Guido Morbello, Elena Narducci, Luca Occelli, Patrizia Pirgher, Massimo Poggio, Aldo Querio Gianetto, Andrea Romero, Angela Salvatore, Barbara Santini, Massimiliano Sbarsi, Sasà Tedesco, Marco Toloni, Teresa Vanalesti, Irene Zagrebelsky; e con: Marta Campigotto, Irene Cutrupi, Davide Balistreri.
[11] I 18 partecipanti al corso sono: Diletta Acquaviva, Viviana Altieri, Vincenzo D’Amato, Vera Dragone, Fabrizio Falco, Desy Gialuz, Lucrezia Guidone, Dario Iubatti, Elisabetta Mandalari, Luca Mascolo, Alessandro Meringolo, Giorgio Musumeci, Massimo Odierna, Marta Paganelli, Marco Palvetti, Maria Piccolo, Sara Putignano, Emanuele Venezia.
[12] Regia di Luca Ronconi; prima rappresentazione: Teatrino delle 6, Spoleto 7 luglio 2012; prodotto da Centro Teatrale Santacristina, Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio d’Amico, Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa; assistente alla regia: Luca Bargagna; impianto scenico: Bruno Buonincontri; luci: Sergio Ciattaglia; direttore di scena: Alberto Rossi, Francesco Russo; personaggi-interpreti: Massimo Odierna (Padre, Terzo attore), Luca Mascolo (Terzo attore, Padre), Sara Putignano (Madre), Lucrezia Guidone (Figliastra), Fabrizio Falco (Figlio), Paolo Minnielli (Giovinetto), Elisabetta Misasi (Bambina), Alice Pagotto (Madama Pace), Davide Gagliardini (Capocomico), Elisabetta Mandalari, Chiara Mancuso (Prima attrice), Rita De Donato (Seconda attrice), Elias Zoccoli (Primo attore), Remo Stella (Secondo attore), Andrea Volpetti (Suggeritore), Andrea Sorrentino (Macchinista).
[13] I 16 partecipanti al corso sono 14 attori: Massimiliano Aceti, Roberta Azzarone, Alessandro Cosentini, Karoline Comarella, Aurelio D’Amore, Vittoria Faro, Marco Feroci, Federico Horaldo Lima Roque, Michele Lisi, Chiara Mancuso, Carlotta Mangione, Salvatore Moricca, Francesco Petruzzelli, Francesco Sferrazza Papa; e 2 registi: Giacomo Bisordi, Antonio Ligas.
Riferimenti bibliografici
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English abstract
Luca Ronconi’s pedagogical approach at the Centro Teatrale Santacristina reveals a unique methodology where artistic formation and theatrical creation intertwine. Established in the early 2000s by Ronconi and Roberta Carlotto, the school was conceived as a space for young actors to continue their training beyond traditional academies. Ronconi’s idea of learning through action positioned Santacristina as a dynamic environment for theatrical experimentation, fostering a dialogue between experienced professionals and emerging talents. One of the most distinctive aspects of Ronconi’s teaching was his tendency to return to previously staged works. Unlike his general aversion to revisiting past productions, he made exceptions within the educational sphere, using these works as a means to refine and transmit knowledge. The revival of plays such as Il Candelaio, Amor nello specchio, and Sei personaggi in cerca d’autore served as opportunities to explore textual interpretation, spatial awareness, and the physicality of the actor. Through an in-depth analysis of these productions, the article examines Ronconi’s approach as both an educator and director. His process of revisiting works is not a mere repetition but a form of creative advancement, enabling young actors to develop their craft in a protected yet demanding environment. Santacristina thus emerges as a liminal space where pedagogy and performance merge, offering a unique model for theatrical training that continues to influence contemporary practice.
keywords | Luca Ronconi; Theater; theater pedagogy; Centro Teatrale Santacristina.
La Redazione di Engramma è grata ai colleghi – amici e studiosi – che, seguendo la procedura peer review a doppio cieco, hanno sottoposto a lettura, revisione e giudizio questo saggio
(v. Albo dei referee di Engramma)
Per citare questo articolo / To cite this article: Davide Siepe, La lezione di Ronconi a Santacristina. Andare avanti tornando sui propri passi, “La Rivista di Engramma” n. 224, maggio 2025.