Un’organizzazione complessa
A partire dal 1966, l’Odin Teatret si è da subito imposto nel panorama teatrale danese non come teatro di produzione, ma come centro che affiancava alla creazione di spettacoli seminari e attività pedagogiche capaci di richiamare nella cittadina dello Jutland nord-occidentale attori, registi e addetti ai lavori da tutto il paese.
Tra il 1966 e il 1970 le attività pedagogiche si svolgevano essenzialmente in due periodi dell’anno: vi era un seminario estivo basato sul training e sul lavoro dell’attore denominato ‘seminario interscandinavo’, e uno primaverile che invece veniva dedicato a temi precisi, come quello della primavera 1968 dedicato al Mito della Commedia dell’Arte o quello intitolato Il linguaggio scenico organizzato nell’aprile 1969 (Berg 1986; Dragone 2022; Ludvigsen 2012; Saurel 1967; Taviani 1975).
Prestigiosi nomi del teatro europeo hanno condotto questi seminari a Holstebro; tra loro Grotowski e Cieślak, i fratelli Colombaioni e importanti mimi di fama internazionale come Barrault, Decroux e Lecoq.
Talvolta, sfruttando la presenza di attori e registi pedagoghi di respiro europeo, Barba e l’amministrazione dell’Odin facevano in modo di ospitare spettacoli o entravano in contatto con enti e impresari teatrali di tutto il paese, intraprendendo con questi iter amministrativi e organizzativi, per fare in modo che gli spettacoli delle personalità presenti ai seminari circuitassero in brevi tournée danesi e nei vicini paesi scandinavi. Un caso esemplare in questo senso è rappresentato dalla presenza di Dario Fo al già citato Mito della Commedia dell’Arte (1968), in quanto – successivamente al seminario e insieme a Franca Rame – Fo ha presentato La signora è da buttare quattro volte a Holstebro e due al Teatro Reale di Copenaghen; per poi replicarlo altre due volte in Svezia, prima a Stoccolma e poi a Uppsala. A detta di Taviani, grazie a questa tournée, Dario Fo “diventa l’esempio di un modo nuovo di far teatro e resterà, anche negli anni seguenti, un costante punto di riferimento per lo spettacolo scandinavo” (Taviani 1975, 80).
La circostanza che invece ha portato Ronconi e il Teatro Libero in Danimarca è in realtà un po’ più complessa. Nel descrivere il faldone che contiene la documentazione relativa all’organizzazione del seminario dell’aprile 1970, intitolato Sources of Theatre, Mirella Schino sostiene che l’evento in oggetto “non è un vero e proprio seminario, ma l’organizzazione, piuttosto fantasiosa, dell’Orlando furioso del regista italiano Luca Ronconi a Holstebro” (Schino 2015, 71). Infatti, in questo specifico faldone, accanto a corrispondenze con artisti e intellettuali che dovevano presenziare al seminario e a bozze di programma del seminario stesso, compaiono comunicati stampa rispetto alla rappresentazione dell’Orlando alla Holstebro Hallen, e, in fondo al faldone, un programma in danese dello spettacolo, accompagnato da fogli manoscritti che riportano – tradotte in danese – una nota sul Teatro Libero e le biografie di Ronconi, di Sanguineti e di Bertacca (OTA 1970). Tuttavia, sebbene Ronconi non fosse coinvolto direttamente come regista-pedagogo all’interno seminario, nel programma pubblicato sul numero 12 di Teatrets Teori og Teknikk – rivista redatta dall’Odin Teatrets Forlag tra il 1965 e il 1974 (Rietti 2004; Ludvigsen 2012, 94-95) – l’Orlando furioso rientra tra gli spettacoli proposti internamente al seminario, insieme al bekettiano Oh, Les Beaux Jours (Giorni Felici) della compagnia Renaud-Barrault e a Teur sans Gages (Assassino senza movente) di Ionesco, messo in scena dall’ensemble marionettistico Compagnie Temporal di Parigi (TTT 1970).
Per comprendere le motivazioni per cui l’Orlando furioso rientrasse nel programma relativo a un seminario occorre ripartire dall’autunno del 1969. Il 7 settembre di quell’anno Franco Quadri spedisce una lettera a Barba appena dopo aver assistito all’Orlando ronconiano al BITEF di Belgrado. Il critico italiano suggerisce al direttore dell’Odin di ospitare lo spettacolo e di affrettarsi a farlo in quanto, nella primavera del 1970, Ronconi e il Teatro Libero sarebbero transitati a Stoccolma, in vista di una tournée in Svezia organizzata dal Marionetteatern diretto da Michael Meschke:
Caro Eugenio,
sono a Belgrado qui al BITEF […] Vorrei perorarti la causa dell’Orlando Furioso, lo stupefacente spettacolo di Luca Ronconi di cui forse avrai letto su Sipario e che è stato dato qui con successo veramente enorme. Meschke, prima ancora che finisse, era corso dietro le quinte per invitare Ronconi e la sua troupe a Stoccolma in primavera; tanto lui che Ronconi vorrebbero tanto contare su una puntata a Holstebro […] Ti interessa? Io te lo raccomando con tutto me stesso, come uno degli avvenimenti più grossi degli ultimi anni, e se mi conosci un po’ sai che difficilmente bleffo o dico quello che non penso. (Quadri 1969)
Da questo momento l’amministrazione dell’Odin Teatret si mette in moto per entrare in contatto con il Teatro Libero, tanto che l’allora giovanissima segretaria amministrativa del gruppo danese – Hanne Birgitte Jensen – si reca a Roma per assistere all’Orlando e per iniziare le trattative che porteranno poi lo spettacolo in Danimarca. Tuttavia, nel momento in cui la segretaria si trovava in Italia, Paolo Radaelli non era presente; quindi, sarà lui stesso che, attraverso una corrispondenza del 2 novembre 1969, cercherà di ottenere risposte da parte del gruppo danese:
So che la signora Jensen ha potuto parlare con il nostro Direttore Tecnico, ma sarei molto contento se potessi essere informato da voi: se ritenete possibile un nostro viaggio in Danimarca, in concomitanza con la tournée che faremo in Svezia, nel teatro del signor Meschke: se i dati che riguardano il nostro spettacolo, sia tecnici che economici sono sufficienti; se avete materiale fotografico e di critiche sufficiente, o se vi serve che ve ne invii al più presto […] (Radaelli 1969)
La risposta della segretaria dell’Odin viene stilata il 16 novembre, e attraverso di essa vengono alla luce due importanti contingenze: l’impossibilità da parte dell’Odin di sostenere i costi per la tournée dell’Orlando in Danimarca e una prima proposta di date per cui viene richiesto al Teatro Libero di andare in scena alla Holstebro Hallen per quattro sere, dal 5 all’8 marzo (Jensen 1969). La risposta di Radaelli arriva circa una settimana più tardi:
Rispondo subito per informarla che comunque le date da lei indicate non sono possibili per noi. La nostra tournée comincerà verso il 15 aprile e prima di allora siamo impegnati in Italia. Aspetto Michael Meschke in questi giorni a Roma per decidere insieme a lui in che giorni potremo essere a Stockholm. Poi i primi di maggio saremo a Parigi. Quindi potremo venire da voi o prima di andare in Svezia, o subito dopo, in una data da concordare di comune accordo che sia tra il 15 e il 30 aprile. Aspetto da lei una risposta sollecita per poter concordare con Meschke le date che riguardano lui. Quanto alla parte economica, la cifra che voi siete in grado di offrirci non è naturalmente sufficiente […] (Radaelli 1969a).
Tra dicembre 1969 e gennaio 1970, dopo diverse trattative, il problema delle date viene risolto. Per il periodo indicato dal Teatro Libero la Holstebro Hallen sembrava non essere disponibile, invece, attraverso un’ulteriore corrispondenza diretta a Radaelli, emerge che la sala “is free on 19th, 20th, 21st and 22nd of April” (Jensen 1970).
1 | Una copia del contratto stipulato nel marzo 1970 tra l’Odin Teatret e il Teatro Libero, firmato sia da Barba che da Radaelli, accessibile in OTA (Odin Teatret Archives), Fondo Odin Teatret, Serie Activities, b. 46, ff. 136-138.
Tuttavia, rimangono ancora da chiarire gli aspetti economici. Il Teatro Libero aveva accettato di portare l’Orlando in Danimarca, a condizione però di potervi rappresentare almeno sette recite (Taviani 1975, 83). Questa condizione è riscontrabile anche dal contratto [Fig. 1] stipulato tra l’Odin Teatret e il Teatro Libero che all’articolo 1 stabilisce
The company engages itself to present the play Orlando Furioso produced by Luca Ronconi at Holstebro Hallen in Holstebro on 20, 21, 22, 23, April 1970 as a premiere in Denmark. Three other performances will be given on 24, 25, and 26 April 1970 in other town or places in Denmark (Odin Teatret 1970, 136).
[La compagnia si impegna a presentare l'opera Orlando Furioso, prodotta da Luca Ronconi, presso l'Holstebro Hallen di Holstebro il 20, 21, 22 e 23 aprile 1970 in prima assoluta in Danimarca. Altre tre rappresentazioni si terranno il 24, 25 e 26 aprile 1970 in altre città o luoghi della Danimarca].
Va detto che il solo costo della compagnia era stato pattuito per 2.000 dollari al giorno; quindi, dovendo garantire sette recite, l’Odin doveva disporre di almeno 14.000 dollari, a cui andavano aggiunti i costi di affitto della sala e quelli promozionali. Il Ministero della Cultura danese garantì una somma di appena 40.000 corone, equivalenti a poco meno di 5.600 dollari, per cui il costo era praticamente insostenibile per il gruppo danese, circostanza evidenziata dallo stesso Barba in uno scambio epistolare con Quadri del novembre 1969, in cui il regista italiano esprime il suo intento di coprire i costi con l’aiuto del comune di Holstebro e di privati (Barba 1969).
Allo stesso tempo l’amministrazione dell’Odin tentò di entrare in contatto con i più importanti teatri di tutto il paese e l’unica istituzione che rispose positivamente all’iniziativa fu il Falkoner Centret di Copenaghen, che ospitò a sue spese l’Orlando il 26 aprile 1970.
Sebbene l’appoggio da parte del Falkoner Centret riducesse sensibilmente i costi, andavano comunque cercate soluzioni economiche per far fronte all’ingente costo delle restanti sei rappresentazioni. Mirella Schino, nel Libro degli inventari, riporta che in questa circostanza l’Odin era privo di finanziamenti e
[…] aveva chiesto un aiuto economico all’associazione dei commercianti di Holstebro, proponendo loro di finanziare un’iniziativa teatrale innovativa: un grande spettacolo, però non convenzionale, offerto gratuitamente a tutti i cittadini di Holstebro e della regione. L’associazione commercianti accetta, anche sulla base del grande successo che aveva avuto nel 1968 lo spettacolo di Dario Fo La signora è da buttare (Schino 2015, 71).
2 | Manifesto commissionato dall’Odin Teatret all’architetto e designer danese Peter Bysted, realizzazto appositamente per le rappresentazioni dell’Orlando furioso alla Holstebro Hallen. La copia del manifesto qui riprodotta è conservata ed esposta presso il LAFLIS (Living Archive – Floating Islands), il centro di ricerca e documentazione fondato nel 2022 da Eugenio Barba e Julia Varley, che ha sede presso la Biblioteca Bernardini – ex Convitto Palmieri di Lecce.
L’associazione commercianti di Holstebro contribuì all’iniziativa con poco meno di 45.000 corone (circa 6000 dollari). Ma guardando alla rassegna stampa riferita all’Orlando, conservata presso gli Odin Teatret Archives (OTA 1970b, 209-251), emerge un’altra circostanza su cui il regista italiano aveva puntato per convincere l’associazione a finanziare l’evento. Nel corso del 1969 il Ministero della Cultura danese aveva approvato il Betænkning nr. 517, una dichiarazione di intenti che prevedeva di trovare strategie e mezzi sia economici che politici per risolvere le problematiche relative alla diffusione della cultura, e per sostenere e incentivare enti pubblici e privati a compiere attività di divulgazione culturale (M.k.a. 1969). Il 4 aprile 1970, allo scopo di promuovere l’iniziativa, la redazione dell’Holstebro Dagbladet, quotidiano locale della cittadina dello Jutland, riferiva che
Il comitato d’iniziativa dell’Associazione Commercianti di Holstebro ha raccolto 45.000 corone danesi da imprese, banche e dal comune, e ora tutti i cittadini sono invitati a recarsi gratuitamente a teatro per vedere ‘Orlando Furioso’ […] – È un evento che si impegna attivamente nel dibattito sul tema della diffusione culturale, agendo invece di usare le parole. Un evento in linea con lo spirito del Betækning nr. 517 sulla cultura attiva – dice Eugenio Barba. (H.D. 1970; OTA 1970b, 223) [tutte le traduzioni dal danese all’italiano sono di chi scrive].
In altre parole, Barba convinse l’associazione commercianti della cittadina danese a finanziare le recite dell’Orlando a Holstebro puntando sul fatto che tale iniziativa perseguiva attivamente le politiche culturali che il governo danese aveva intrapreso in quel preciso periodo storico.
Ben presto la notizia che era possibile assistere gratuitamente per quattro sere a uno spettacolo di fama internazionale si diffuse su tutto il territorio danese. Un trafiletto, pubblicato sul quotidiano locale di Holstebro il 16 aprile 1970, registrava un’abbondante richiesta di biglietti giunta dai grandi centri vicini, in particolare da Aarhus e Odense; inoltre dichiarava il sold out per la prima rappresentazione dell’Orlando, programmata per il 20 aprile, e anticipava che il 24 e il 25 aprile lo spettacolo sarebbe stato presentato a Munkebo, piccolo centro della Fionia, piazza in cui l’Odin, in quanto organizzatore, aveva fissato il prezzo del biglietto a sole 10 corone danesi (poco più di un dollaro), per fare in modo che più persone possibili partecipassero all’evento (H.D. 1970a; OTA 1970b, 213).
Nonostante le difficili questioni economiche non siano state poi completamente risolte, il Teatro Libero presentò l’Orlando furioso alla Holstebro Hallen per quattro sere (20-23 aprile 1970) [Fig. 2], per poi proporre due recite a Munkebo (24-25 aprile) e concludere la tournée danese al Falkoner Centret di Copenaghen il 26 aprile, ottenendo in tutte e tre le piazze un enorme successo di critica e di pubblico.
Dal momento che lo spettacolo, per motivi pratici relativi alle date, era stato fatto rientrare nel programma del seminario Sources of Theatre, molti dei partecipanti avevano potuto vedere la prima danese dell’Orlando il 20 aprile, esprimendo verso l’opera di Ronconi ottimi giudizi, tanto da dichiarare al quotidiano locale che lo spettacolo “valeva tutto il seminario” (H.D. 1970b; OTA 1970b, 218).
Un ‘gioco’ di successo
Che l’Orlando furioso sia stato anche una festa o un gioco inclusivo per lo spettatore è stato dichiarato fin da subito sia da Ronconi che da Sanguineti, addirittura prima che lo spettacolo facesse il suo debutto sulle scene. In un’intervista pubblicata su “Sipario”, il regista sosteneva che, nel fruire la rappresentazione, lo spettatore doveva scegliere:
O partecipa al gioco che gli proponiamo, o si mette in disparte e sta a guardare. E in questo caso si annoierà, perché, ripeto, lo spettacolo va vissuto, non certo visto e "giudicato". Se, al contrario, lo spettatore entra nel gioco potrà, immediatamente, essere parte viva, attiva, di esso. Sia chiaro, inoltre, che lo stimolo a cui saranno sottoposti i presenti è di natura prevalentemente fisica, “meccanica” (Ronconi, Sanguineti 1969, 71; Sanguineti 1970, 15).
Anche Sanguineti, nell’operare una riduzione e una selezione delle vicende simultanee interne al testo di Ariosto, voleva riportare alla luce i meccanismi narrativi del poema:
Il tradurre in simultaneità di tempo quel suo romper le fila e riprenderle non fa che evidenziare l'artificio tecnico su cui il poema è costruito. E d’altra parte questo corrisponde anche alla tipica lettura del lettore: benché per necessità pratiche si operi una selezione, l'effetto che l'opera produce su chi legge è questo, il gioco, la perdita, il recupero continuo dei piani della storia (Ronconi, Sanguineti 1969, 72; Sanguineti 1970, 17).
Dalle dichiarazioni del dramaturg e del regista si può dedurre che l’intenzione scenica e quella drammaturgica trovano il loro punto di incontro nel voler sottolineare, e allo stesso tempo smontare, l’entrelacement narrativo ariostesco. Ma mentre sulla carta Ariosto sospende e riprende epicamente le vicende della storia che si svolgono in contemporanea, sulla scena è invece possibile esaltare e vivere hic et nunc quella simultaneità; una simultaneità in cui lo spettatore si può perdere e allo stesso tempo può scegliere. Va detto che questa particolare operazione scenica è stata resa possibile anche grazie al sapiente lavoro tecnico e scenografico di Uberto Bertacca. Su questo concetto è tornata più recentemente a ragionare Maia Giacobbe Borrelli, la quale – in occasione della morte di Bertacca (2020) – dedica allo scenografo viareggino un articolo, sostenendo che
Se centrale è stata la scelta registica di proporre sia la simultaneità del racconto che uno spazio unico condiviso tra attori e pubblico – chiamando ogni spettatore all’azione all’interno di un grande gioco collettivo – questo fu effettivamente possibile grazie a una serie di dispositivi scenici originali che furono realizzati da Bertacca a partire da materiali poveri, attingendo alla cultura da cui proveniva, quella degli articolati e complessi carri semoventi del carnevale viareggino, frutto di un antico e sapiente artigianato popolare (Giacobbe Borrelli 2020, 63).
In questo spettacolo lo spazio era un elemento strutturale dominante, la cui organizzazione veniva dettata da coordinate che erano “prossime a quelle che governano l’entrelacement ariostesco” per cui le azioni non si svolgevano in maniera consequenziale, ma erano simultanee e distribuite secondo una logica planimetrica “in modo tale da permettere a episodi dotati di caratteristiche simili di svilupparsi contemporaneamente” (Longhi 1996, 88).
La dimensione ludica, la simultaneità spaziale e temporale delle azioni, l’assenza di un centro fisso e quindi la possibilità di scelta da parte dello spettatore – incentivata anche dalle movimentazioni dei dispositivi scenici – sono le caratteristiche dell’Orlando ronconiano che hanno più colpito ed entusiasmato sia la critica che il pubblico danese. Tale circostanza si evince in tutte le recensioni dei quotidiani locali e nazionali della Danimarca, ma qui, a titolo di esempio, ne prenderemo quattro tra le più significative.
Sul quotidiano nazionale “Politiken”, Thomas Bredsdorff – critico teatrale che a partire dal 1976 collaborerà con l’Odin in veste di dramaturg (Bredsdorrf 2012) – pone l’accento sullo spettacolo come gioco, sulla capacità degli attori – da lui stesso definiti “maghi” – di aver stimolato gli spettatori a una partecipazione attiva, invitandoli a compiere movimenti “abilmente precalcolati”, innescati dai dispositivi scenici e dagli attori stessi, capaci di causare “uno spostamento ritmico dell'attenzione”, cosicché “lentamente il pubblico ha iniziato a giocare” (Bredsdorff 1970; OTA 1970b, 211).
Simile a quella di Bredsdorff è la recensione di Christian Ludvigsen, comparsa sul quotidiano regionale “Morgenavisen Jyllands Posten”. Ludvigsen è stato un importante studioso di teatro, tra i docenti fondatori del Dipartimento di Drammaturgia dell’Università di Aarhus, nonché primo consigliere letterario e accesissimo sostenitore e collaboratore dell’Odin (Ludvigsen 2012; Perrelli 2013). Lo studioso danese individua le dinamiche spaziali poste in essere dalle macchine sceniche come un espediente che trascina lo spettatore nel gioco, e a quel punto “Si sta al gioco, che lo si voglia o meno”. Secondo Ludvigsen “è proprio questo il senso di questo spettacolo teatrale ‘raramente organizzato’, ossia un gioco che attraverso la partecipazione attiva provoca nello spettatore un ‘entusiasmo quasi estatico’” (Ludvigsen 1970; OTA 1970b, 214).
Mentre Bredsdorff e Ludvigsen si concentravano sugli aspetti tecnici e sull’influenza che questi avevano sugli spettatori, il critico Knud Schoenberg del quotidiano nazionale “Ekstra Blandet” individuava lo spettatore stesso in quanto fulcro della sua recensione, facendo emergere dall’esperienza vissuta in prima persona un “bombardamento dei sensi che lascia in uno stato di beatitudine” e un disorientamento cognitivo ed emotivo per cui “una persona con due teste non riuscirebbe a seguire tutte le azioni violente che si svolgono contemporaneamente. Non si può stare un minuto senza sperimentare l'amore ardente e la morte violenta” (Schoenberg 1970; OTA 1970b, 230).
Lo storico della letteratura e scrittore danese Jens Kruuse si è riferito all’Orlando come a un evento “veramente meraviglioso”, in grado di suscitare nello spettatore paura e divertimento attraverso un “ironia distanziante”, che “rendeva il gioco tollerabile attraverso la finzione […] allegro e terribilmente serio […] vissuto da persone che non conoscevano tre parole di italiano”, e poi conclude: “i miracoli accadono ancora” (Kruuse 1970).
I meccanismi ludici esaltati dalla critica danese, e gli effetti cognitivi da essi risultanti, furono messi in luce in Italia da Franco Quadri che, analizzando la situazione dello spettatore relativamente a questo spettacolo, aveva individuato dimensioni emotive e percettive quali insicurezza, sorpresa, aggressione, partecipazione e scelta, che conducevano lo spettatore alla “scoperta del meraviglioso” (Quadri 1969a, 22; Quadri 1970, 140). In sostanza, secondo il critico italiano, lo spettatore dell’Orlando “affronta veramente come un bambino il mondo di fantasia che gli viene proposto”, viene invitato e stimolato a “godere, come il bambino, dell’oggetto semplice, che gli permette di riflettervi le sue emozioni interiori”, tutte dinamiche che vanificano “ogni tentativo di razionalizzazione in termini critici” (Quadri 1969a, 22; Quadri 1970, 141). Se, come sostiene giustamente Quadri, le reazioni provocate dai meccanismi ludici sullo spettatore non trovano una spiegazione in termini strettamente critici o teatrologici, forse possono diventare più comprensibili se osservate da un punto di vista antropologico.
Innanzitutto, va detto che lo spettacolo è gioco per definizione, e non solo perché l’attore interpretando un personaggio incarna nella pratica la regola del ‘facciamo che io ero’, ma anche e soprattutto perché gli elementi della scena fanno sì che lo spettatore sia “coinvolto in una dettagliata rete di stimolazioni e risonanze intersoggettive che caratterizzano la specificità fenomenologica non solo del teatro, ma di tutte le diverse forme di spettacolo dal vivo” (Sofia 2013, 73). La rete di stimolazioni di cui parla Sofia genera una tempesta sensoriale ampiamente evidenziata dalla critica danese nei confronti dell’Orlando, e di conseguenza il senso di aggressione a cui si riferisce Quadri. Nel caso specifico di quest’opera ronconiana, il fatto che più scene avvenissero simultaneamente nel medesimo spazio, generava una rete di stimoli che in prima istanza disorientava lo spettatore, costringendolo a una scelta. La tensione generata dal disorientamento spingeva lo spettatore stesso ad agire. Infatti, Huizinga indica la tensione come una caratteristica del gioco, “tensione significa incertezza, possibilità di una buona o di una cattiva riuscita” che provoca un’“aspirazione a distendersi”, nel senso che innesca la ricerca di un rilassamento fisico ed emotivo che può essere raggiunto solo “con un certo sforzo” (Huizinga [1939] 2002, 14). La tensione provoca quindi uno sforzo atto alla ricerca attiva della distensione emotiva, situazione ben chiara alla critica danese, che ha messo in luce come gli stimoli provenienti da più parti inducano lo spettatore a muoversi, a scegliere, a cercare una soluzione. Per questo la partecipazione attiva dello spettatore all’interno dell’Orlando ronconiano è fondamentale: lo spettatore disorientato agisce e co-costituisce con l’attore “il mondo fenomenico su cui si basa il loro incontro”, una realtà extraquotidiana da cui risulta “un’esperienza altra dello spazio, della temporalità e dell’intersoggettività” (Sofia 2013a, 176). In particolare, riferendosi all’Orlando di Ronconi, le dinamiche cognitive ed emotive appena descritte, si verificavano nella fase identificata da Quadri come “aggressione”, il cui momento culminante era rappresentato dal duello tra Bradamante e Sacripante, circostanza che però assumeva anche una funzione rassicurante “dato che, registrando uno scatto di aggressività tra i due personaggi, stimola lo spettatore a farsi partecipe dell’avvenimento come fatto competitivo, schierandosi per l’uno o per l’altro contendente”, offrendogli quindi “una prima possibilità di scelta” che si espandeva nel momento successivo, quando i due sipari di cartapesta posti ai due estremi della sala si aprivano fornendo allo spettatore un’ulteriore possibilità di scelta che “non si pone più tra i due interpreti di una stessa azione, ma tra due azioni simultanee e contrapposte” (Quadri 1969a, 21-22; Quadri 1970, 139-140).
Un’altra circostanza stupì la critica danese, ossia il fatto che gli spettatori partecipavano attivamente alla messa in scena nonostante non comprendessero una parola del testo. Il rapporto tra testo e scena, dal cui bilanciamento sono poi scaturiti i meccanismi scenici dell’Orlando, è stato ben puntualizzato da Ronconi. In un’intervista, Claudio Longhi – nel porre la domanda al regista – individua nel testo dell’Ariosto un intreccio tra il filo narrativo e la riflessione metanarrativa che, secondo lo studioso, si trasferisce sulla scena attraverso una componente metateatrale. Ronconi sostiene che, nel caso dell’Orlando, l’autorivelazione della finzione scenica è stata necessaria e inevitabile:
Penso per esempio all’ostentazione del meccanismo che caratterizzava la rappresentazione, cioè al fatto che si mostrasse chiaramente il funzionamento dell’ordigno scenico senza alcuna pretesa di simulare il prodigio. […] Il funzionamento del meccanismo era mostrato perché, utilizzando a trecentosessanta gradi lo spazio rappresentativo, era impossibile tenerlo celato (Longhi 1996, 96).
Lo svolgersi simultaneo delle azioni e la messa in scena dell’ordigno scenico stesso, con tutti i suoi funzionamenti e la sua meccanicità, oltre a rappresentare soluzioni metateatrali che potessero far emergere l’entrelacement narrativo ariostesco, hanno di fatto creato un metalinguaggio, che non si prefigge di veicolare significati culturali convenzionali, ma agisce sul sistema cognitivo dello spettatore invitandolo a scelte di ordine arbitrario. In questo senso, da un punto di vista antropologico, l’Orlando furioso era un gioco “in grado di fornire un metalinguaggio”, i cui messaggi si formavano attraverso “un poutpourri di elementi apparentemente incongrui” e in cui stati di pensiero razionali si scontravano con istanze ed elementi “privi di qualsiasi concatenazione sintattica”, che però si ponevano in una sfera di metacomunicazione così vasta che “niente di umano gli sfugge” (Turner [1986] 1993, 282-284).
Forse è proprio questo il segreto del successo che l’Orlando furioso ha ottenuto anche fuori dall’Italia. Esaminando le recensioni della critica danese e confrontando le stesse con il concetto di ‘gioco’, e quindi con studi di carattere antropologico, emerge una scrittura scenica che unisce i sapienti tagli episodici pensati da Sanguineti con un’organizzazione spaziale atta ad offrire una tempesta di stimoli visivi e uditivi allo spettatore, capace di creare un metalinguaggio espressivo in grado di travalicare sia i confini formali imposti dalla narrazione, che quelli culturali dettati dalla lingua.
Una perdita per portare la cultura in Fionia
Nonostante il grande successo di stampa e di pubblico, l’organizzazione da parte del teatro laboratorio di Holstebro della tournée danese dell’Orlando causò un ingente perdita sul piano economico. Un documento contabile redatto da Per Moth, allora direttore amministrativo dell’Odin Teatret, registrava una perdita di più di 34.000 corone danesi, equivalenti a circa 5.000 dollari (Moth 1970, 7). Tale perdita fu probabilmente dovuta al fatto che, mentre a Holstebro l’associazione commercianti appoggiò l’iniziativa, sull’isola di Fionia – dove l’Odin Teatret aveva organizzato due delle sette rappresentazioni pattuite con il Teatro Libero – le municipalità di Munkebo, Odense e Svendborg si rifiutarono di sostenere un esperimento così audace ed economicamente impegnativo.
Dopo le rappresentazioni dell’Orlando, i giornali della Fionia diedero vita a un dibattito contro le istituzioni locali, rispetto al disinteresse a intraprendere iniziative in grado di offrire agli abitanti dell’isola una maggiore fruizione culturale. Secondo Taviani, l’Odin decise di proporre due rappresentazioni dell’Orlando a Munkebo in quanto nella cittadina risiedeva una popolazione formata per lo più “dagli operai del locale cantiere navale”, inoltre era “fuori da qualsiasi circuito teatrale”, e dal momento che molte istituzioni teatrali nazionali rifiutarono di ospitare l’Orlando, “sembrò all’Odin il posto ideale per presentarvi uno spettacolo che tutti avevano rifiutato” (Taviani 1975, 83).
Dalla rassegna stampa sembra che le istituzioni della Fionia non finanziarono le rappresentazioni dell’Orlando perché lo ritenevano uno spettacolo ‘troppo avanzato’ e ‘poco popolare’. Tali motivazioni spinsero l’amministratore dell’Odin a rilasciare delle dichiarazioni sui quotidiani della Fionia, attraverso i quali Moth espresse il suo rammarico per non aver ottenuto una garanzia finanziaria dalle istituzioni locali, e aggiunse: “siamo dispiaciuti per il risultato deludente sulla Fionia, ma questo non ci scoraggia, non ci dissuade dall'offrire un po’ di cultura agli abitanti della Fionia un’altra volta” (F.A.A. 1970; OTA 1970b, 226).
Tuttavia, come abbiamo potuto verificare attraverso l’analisi operata nel precedente paragrafo, l’Orlando furioso di Ronconi poteva sì risultare avanzato e complesso sul piano drammaturgico e dell’organizzazione spaziale, ma era sicuramente dotato di un linguaggio scenico che potremmo definire ‘popolare’, nella misura in cui è stato in grado di coinvolgere lo spettatore indipendentemente dalla sua provenienza geografica o appartenenza culturale.
Va detto che sul piano organizzativo il teatro laboratorio di Holstebro rappresentava in quegli anni una macchina quasi perfetta che, attraverso seminari e altre iniziative, faceva convogliare in Danimarca le novità teatrali che si stavano imponendo nel panorama europeo. Tale circostanza è ben delineata da una lettera di ringraziamento che Radaelli indirizza a Barba da Stoccolma il 29 aprile 1970:
Caro Barba,
a nome di tutta la Compagnia la volevo ringraziare per l’ospitalità straordinaria che abbiamo trovato a Holstebro, e in modo particolare personalmente vorrei dirle che ho trovato nei suoi collaboratori tanto calore e tanta efficienza da rendermi il soggiorno danese indimenticabile e tutti i problemi organizzativi di molto alleviati (Radaelli 1970).
Concludendo, sì può affermare che, malgrado la perdita economica registrata dall’Odin Teatret, le recensioni comparse sui quotidiani danesi fanno emergere un’ottima risposta da parte della critica e del pubblico. Inoltre, la lettera che Radaelli spedisce a Barba a tournée danese conclusa conferma che da un punto di vista organizzativo l’Odin ha rappresentato per il Teatro Libero un riferimento logistico fondamentale, in grado di amministrare e gestire ingenti spostamenti di mezzi e persone, e capace di attuare operazioni anche tempestive per risolvere qualsiasi tipo di problema organizzativo si fosse presentato.
Bibliografia
Fonti documentarie e archivistiche
- Barba 1969
Lettera di Eugenio Barba a Franco Quadri (18 novembre 1969), Odin Teatret Archives, Fondo Odin Teatret, Serie Activities, b. 46, f. 275. - Bredsdorff 1970
T. Bredsdorff, Åh, sikken herlig leg Teatro Liberos gæstespil med “Orlando Furioso” [Oh, che bel gioco lo spettacolo ospite “Orlando Furioso” del Teatro Libero], “Politiken” (22 aprile 1970), Odin Teatret Archives, Fondo Odin Teatret, Serie Activities-B, b. 6, f. 212. - F.A.A. 1970
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English abstract
In late 1969, thanks in part to the intermediation of Franco Quadri, Eugenio Barba and the Odin Teatret administration contacted the Teatro Libero in order to arrange a Danish tournée of Orlando furioso. Teatro Libero accepted Odin's invitation on the condition that they could present the performance at least seven times. Despite several problems on both economic and organizational levels, Ronconi, together with 41 actors and 14 technicians, arrived in Holstebro in April 1970 and presented Orlando for four evenings in the Holstebro Hallen (April 20-23), then two more performances were presented in the small town of Munkebo (April 24-25) - a location outside any theatre circuit, located about 10 kilometres from Odense on the island of Funen - and finally a repetition was given at the Falkoner Centret in Copenhagen (April 26), the only cultural institution that had agreed to host Ronconi's work at its own expense.
The Orlando furioso achieved enormous success in Denmark with the press and the public, stemming from Ronconi's scenic writing, the dramaturgical organization of space and the metatheatrical dynamics triggered by the movements of the stage devices; all elements capable of entering the spectator's emotional universe by striking him from a cognitive point of view.
This success triggered an access debate in local newspapers in Funen against the administrations of Munkebo and neighbouring towns that had refused to grant subsidies to support the project.
The article, thanks to a substantial press review accessible at the Odin Teatret Archives (OTA), aims to analyze the point of view of Danish theatre critics towards Orlando furioso and, through administrative documents and correspondences, intends to reconstruct the complex organizational dynamics of this tournée.
keywords | Orlando furioso; Tournée; Denmark; Teatro Libero; Odin Teatret.
La Redazione di Engramma è grata ai colleghi – amici e studiosi – che, seguendo la procedura peer review a doppio cieco, hanno sottoposto a lettura, revisione e giudizio questo saggio
(v. Albo dei referee di Engramma)
Per citare questo articolo / To cite this article: Simone Dragone, L’Orlando in Danimarca. Un ‘gioco’ di successo (1970), “La Rivista di Engramma” n. 224, maggio 2025.